Quel
caso, Ryo non lo avrebbe mai voluto accettare, per nulla al mondo: il
cliente
era un ometto, e lui non era mai stato interessato a lavorare per
uomini, punto
primo, e punto secondo, si trattava di un dannato campionato di
mongolfiere.
Mongolfiere,
ovvero arnesi che andavano nel cielo, volando. E lui
detestava volare. E
non
certo solamente per i suoi più che giusti motivi personali:
l’essere umano
aveva le ali? No. Aveva braccia per prendere oggetti e sparare (e
palpare
graziose signorine) e gambe per correre e camminare (e, nel caso delle
suddette
belle signorine, fatte anche per essere allacciate alla vita dei loro
aitanti
amanti). E comunque, era pure un’idiozia assurda: il tizio
aveva chiesto la
loro protezione perché pensava che uno dei suoi avversari
volesse sabotarlo in volo…
e questo implicava la loro
presenza su suddetta mongolfiera durante il volo.
Perciò,
Ryo, per tutta una serie di ottimi motivi – il cliente era un
uomo, lui sarebbe
dovuto volare in cielo su un arnese ancora meno sicuro di un aereo, il
caso era
stupido - aveva categoricamente rifiutato il caso.
Lui.
Non
altrettanto aveva fatto la sua socia, la bella Kaori che gli faceva
battere il
cuore, a cui due settimane prima aveva detto di amarla solo per poi far
cadere
nel dimenticatoio quel discorso e riprendere a fare “il
manico pervertito”, come lo definiva Kaori, con
tutte. E questo
era uno dei due motivi che l’aveva spinta ad accettare: uno
era che, come al solito
(grazie ai suoi vizietti) erano di nuovo, ancora e sempre in bolletta,
e l’altro
era il fatto che lui fosse contrario a priori. Kaori voleva farlo
imbestialire,
fargliela pagare, lo aveva capito Ryo – non era tonto fino a
questo punto
quando si trattava di donne – e al contempo dimostrargli che
un caso così banale
era capace di risolverlo pure lei da sola – sempre che qualcosa da risolvere ci
fosse per davvero; il
tizio sembrava essere leggermente fuori, altrimenti non si sarebbe
spiegato perché
il suo hobby comprendesse volare, e altrettanto leggermente affetto da
manie di
persecuzione, con la sua fissa che i suoi avversari lo volessero
sabotare, nemmeno
si fosse trattato della corsa al Nobel e non di una gara di volo in
mongolfiera.
Peccato
che, poi, Ryo avesse casualmente scoperto cosa ci fosse sotto, quando
aveva,
altrettanto casualmente, incrociato sulla sua strada la bella Saeko,
che tutta
pimpante lo aveva ringraziato per aver accettato il caso ed essersi
preso amorevolmente
cura del tracagnotto scienziato che era stato sì minacciato
dai suoi
competitori… ma mica nel campo delle gare in mongolfiera,
no, ma quelli del
settore industriale! L’uomo aveva sviluppato un composto
molto simile alla
plastica, con la stessa resistenza della plastica, ma completamente
biodegradabile
nel lungo corso, e con questo brillante progetto (che, Ryo doveva
ammetterlo,
il Nobel se lo sarebbe meritato tutto) si era scatenato contro le ire
di alcuni
magnati dell’industria petrolchimica, specie di uno, tale
Miyazawa, che si
diceva avesse contatti con la Yakuza.
E
adesso Kaori era con quel tipo, bloccata su una mongolfiera a
chissà quanti
metri di altezza, e nonostante fosse migliorata molto nello sparare
grazie a
Mick e Miki, di strada da fare ne aveva ancora parecchia e quelli
contro cui
non sapeva di essersi messa contro erano dei sicari professionisti.
Meraviglioso,
decisamente meraviglioso.
Tentando
di mascherare il leggero tremolio delle gambe causato dalla
preoccupazione per
la sua bella, Ryo adesso stava fingendo di camminare tranquillo nel
campo di
volo, desiderando potersi fumare minimo un pacchetto o due di sigarette
per
stemperare la tensione- peccato che fosse vietato- e per dimenticare quelle
faccette allegre ed euforiche…. Sul serio,
perché la gente si divertiva a volare? Non capiva che era
innaturale? Che se
cadevi da quell’altezza ci rimanevi secco di sicuro?
Si
guardò intorno, facendo finta che il cielo non fosse pieno
di quegli strumenti
di morte, e poi, finalmente, eccola lì, con il piccoletto
davanti ad una mostruosità
sul cui tessuto era raffigurato il faccione del tipo in questione in
versione
manga – orribile, altro che di morte, quello era uno
strumento di tortura.
Digrignando i denti e sbattendo i piedi, Ryo si diresse verso la sua
socia,
senza attendere altro, pronto a farle una bella scenata
perché non si era
informata di tutto e soprattutto farne una con i fiocchi e contro
fiocchi al
piccoletto che aveva mentito spudoratamente su tutto, su tutta la
linea, fin
dal principio, su indicazione di quella vipera bugiarda di una
poliziotta che
non aveva mai saldato un solo conto con lui.
“TU!”
Sbraitò indicando l’uomo da lontano, attirando
l’attenzione della folla su di
sé. “Piccolo essere bugiardo ed ignobile! Lo
sapevo io che non c’è da fidarsi
degli uomini!”
Kaori
si limitò a boccheggiare, gli occhi spalancati, chiedendosi
da dove provenisse
quell’uscita di Ryo, cosa ci facesse Ryo lì, e
soprattutto: perché il loro
cliente si era messo a sudare copiosamente e guardava altrove, con
espressione
colpevole, senza nemmeno provare a sostenere lo sguardo del duo City
Hunter?
“DIGLIELO,
PICCOLO VERME! DIGLIELO CHE TI HA MANDATO SAEKO NOGAMI DA NOI E CHE A
MINACCIARTI
SONO QUELLI DELLA YAKUZA PER UN’INVENZIONE RIVOLUZIONARIA,
NON I MEMBRI DEL
CIRCOLO AMATORIALE DI MONGOLFIERE! DIGLIELO!”
A
boccheggiare, stavolta, fu il tipo, davanti a cui Kaori si
sistemò, con le mani
sui fianchi, un sopracciglio sollevato, sembrando un genitore
estremamente deluso
dal figliolo disubbidente- e grazie a Ryo, Kaori
quell’espressione aveva
imparato a farla molto, molto bene. Di delusioni e arrabbiature lui nel
corso
degli anni gliene aveva date davvero tante, ma così tante
che a volte si chiedeva
cosa ci facesse ancora lì con lui.
“Vuole
forse aggiungere qualcosa a sua difesa?” la donna gli
domandò, mentre Ryo si
sistemò di fianco a lei, braccia conserte ed un sorrisetto
di soddisfazione stampato
in volto: ci aveva visto giusto a non accettare il caso, anche se per i
motivi
sbagliati. Non che questo lo avrebbe mai ammesso, specie con Kaori.
“Ehm,
ecco, io….” Proprio in quel momento, videro un
gruppetto di giovani uomini
farsi largo sgarbatamente tra la folla; indossavano occhiali da sole a
specchio, divise scolastiche con la giacca lasciata aperta sotto cui
facevano
sfoggio di magliette nere, e i loro capelli erano acconciati con Mohawk
dai
colori sgargianti. Avevano dei coltelli a serramanico in mano, ma tolto
quello,
Ryo e Kaori, quando li notarono, alzarono un sopracciglio leggermente
delusi: q
uelli sarebbero stati i pericolosi
Yakuza assunti per far fuori lo scienziato? La mala stava davvero
cadendo in
basso, ancora un po’ e sarebbero stati disoccupati, se in
giro c’erano solo più
tipi come quelli…
“Salite
sulla mongolfiera e fatevi il vostro giretto,” Ryo disse loro
alzando il
pollice e facendo loro l’occhiolino. “A questi
sempliciotti qui ci penso io!”
Senza
attendere altro, Ryo, mani in tasca e fischiettando, si mosse verso i
tizi, mentre
Kaori ed il cliente salivano nel cesto di vimini e si preparavano alla
salita.
Lo sweeper passò accanto agli “Yakuza”-
che vergogna chiamarli così! – fischiettando,
e molto casualmente diede una gomitata a quello che sembrava il capo,
che da
quel momento in poi lui avrebbe definiti Cresta di Gallo, che aveva la
cresta
più alta; logico che, offeso nell’orgoglio, il
ragazzino se la fosse presa…
peccato che non sapesse con chi aveva a che fare.
“Ehi,
tu, vecchio, come osi venirmi addosso! Ma lo sai chi sono
io?” Gli urlò contro
cresta di gallo.
“Eh?
Ma dici a me?” Ryo si voltò, guardandolo stupito,
facendo la faccia da scemotto
innocente ed inconsapevole (che gli riusciva pure bene) e si
indicò, sbattendo
gli occhioni scuri. “Ma… ma io non sono
vecchio… io sono un giovane uomo di
vent’anni…”
“Ma
mi prendi per il culo? Adesso te la facciamo vedere noi!”
Seguirono concitati
minuti di colluttazione, in cui Ryo, rimanendo fresco come una rosa e
muovendosi poco o nulla dispensò calci nello stomaco, pugni
sotto al mento, gomitate
nei denti, ginocchiate nelle parti basse e mandò al tappeto
Cresta di Gallo
dandogli un colpo col calcio della Python su quel cranio probabilmente
vuoto,
se il tonfo era indicazione di qualcosa.
Ma
che spreco del suo prezioso tempo!
E
lui detestava sprecare il suo tempo! Invece di starsene lì,
a perdere ore
preziose che non sarebbero mai più tornate con dei citrulli,
invece di preoccuparsi
inutilmente per Kaori, sarebbe
potuto
starsene a casa a giocare con la sua consolle magari contro Mick, o a
leggere
le sue amate riviste culturali, o magari avrebbe potuto bazzicare per
localini,
o per le strade cittadine alla ricerca di signorine interessate alla
sua
intensamente stimolante compagnia…
E
invece no. Si era fatto venire il fegato amaro per la preoccupazione
per la sua
bella e tutto per niente.
Come
aveva detto: spreco di tempo.
Cercando
di apparire tranquillo e pacato, tornò in direzione del
pallone, con le braccia
incrociate ed un sopracciglio alzato, e guardò Kaori, che
dentro alla cesta
sembrava fumare di rabbia – per cosa, non ne era certo
nemmeno lui. Perché lui
aveva pensato che lei non avrebbe saputo come cavarsela da sola?
Perché ancora una
volta erano stati infinocchiati da Saeko? Perché il loro
cliente era un mezzo
cretino bugiardo? Chissà. Forse erano tutte, o forse era
nessuna di quelle
situazioni a darle sui nervi.
Lei
assunse la sua stessa posa.
Si
guardarono intensamente, per lunghi minuti. Nessuno dei due sembrava
voler
interrompere il contatto visivo, né ammettere una
qualsivoglia cosa.
“Vuoi
dirmi qualcosa, Kaori?”
“Io?
Assolutamente nulla, Ryo. Piuttosto, non credi dover essere tu a dire
qualcosa
a me?”
“Ah,
no, casomai sei tu che dovresti parlare con me…”
“No,
Ryo, davvero, se devi ammettere qualcosa, sentiti liberissimo di farlo.
Sempre
che tu non sia troppo codardo per farlo. O troppo macho per ammettere
di avere
torto. Sempre che dopo non ti venga un attacco di amnesia o la voglia
di
rimangiarti tutto…”
E
mentre loro bisticciavano, dimentichi del mondo intorno a loro,
l’ometto
guardava la coppia, guardava i suoi avverarsi, e guardava la sua
mongolfiera, ancora
a terra, il pallone ormai gonfio grazie alla fiammella che ardeva nel
braciere
sopra le loro teste. “Ehm, signori, se non vi
dispiace…”
“Ah!”
Ryo la indicò, fiero, sbattendo un piede per terra, tronfio.
“Vedi che qualcosa
da dire ce l’hai?”
“Io?
Io non ho nulla da dirti!” Replicò lei, sbattendo
pure lei i piedi, stringendo
i denti, i pugni, fumando di rabbia, arrossendo tutta- e Ryo, gli
rodeva
ammetterlo, moriva dalla voglia di sapere se fosse arrossita anche in
altri
posti, posti che in quel momento erano nascosti dal tessuto dei
vestiti. “Anzi,
sai che ti dico? Io ho fin troppe cose da dirti, ma nessuna di quelle
che tu
vorresti sentirti dire, stronzo!”
“Stronzo
a me?!” Le sibilò mentre saliva nel cestino e si
metteva davanti a lei, ad un
respiro di distanza dalla donna. L’ometto si
asciugò il sudore con un grosso
fazzoletto bianco, e sospirando si mise a trafficare con il braciere,
fino a
che la mongolfiera non si alzò in volo, tra gli sbraiti
della coppia che si
stava bellamente facendo i propri affari, nemmeno fossero stati nel
loro
salotto. “Io mi faccio tutta questa dannata strada e spreco
il mio prezioso
tempo per venire a salvarti il culo e mi prendo pure dello stronzo?
Grazie
mille, bella gratitudine!”
“Oh,
ma per favore! Tanto cos’è che avevi da fare, eh?
Sbavare suoi tuoi dannati
giornaletti porno? Palpare delle povere ragazze al parco?”
Gli replicò lei, occhi
negli occhi, così vicini che Ryo sentiva il respiro di Kaori
sulla pelle, era
quasi certo che i capelli rossi della donna gli stessero solleticando
il viso…
ingoiò a vuoto, gli occhi spalancati con un senso di panico
che gli attanagliava
il petto: se non avesse messo un po’ di distanza tra di loro,
non avessero
smesso di urlare, come minimo lui le sarebbe saltato addosso e
l’avrebbe divorata
di baci, e al diavolo tutti i buoni propositi e tutte le promesse che
aveva
fatto! “E comunque di gentaglia come quella me ne sbarazzavo
quando andavo al
liceo, non mi serviva il tuo dannato aiuto!”
“Ed
intanto però io sono qui, e mi sono preso la briga di darti
una mano,
nonostante ti avessi detto che accettare questo caso fosse una pessima
idea!”
Le sibilò contro, a denti stretti,
desideroso
di mettere un po’ di spazio tra di loro eppure incapace di
farlo. E com’è che
nonostante fosse a tipo due centimetri da lei invece di essere
accaldato aveva
freddo, tutto d’un tratto?
“Oh,
ma per favore! Piantala di fare il grand’uomo, il novanta
percento delle volte
tu sei completamente inaffidabile, come buona parte dei maschi, del
resto! E lo
sai perché? Te lo dico io il perché!
Perché voi uomini, quando arriva il
momento di dover fare qualcosa e fare un dannato passo avanti, ve la
fate
addosso! Anzi, non gli uomini, tu!”
“Ah,
ma allora vedi che qualcosa da dire ce l’hai
signorinella!” Ryo quasi le
ridacchiò in faccia, con espressione soddisfatta –
un’espressione che spezzò
qualcosa dentro Kaori, che con gli occhi lucidi si strinse nel proprio
abbraccio e distolse lo sguardo da Ryo.
“Io
non sono una signorinella, Ryo…” la voce di Kaori
era bassa, quasi tremante,
guardava ovunque ma non lui, si fissava i piedi mentre le lacrime
minacciavano
di lasciare i suoi bei occhi color nocciola. “Io sono una
donna, e sono stufa
dei tuoi passi indietro… un giorno me ne potrei andare, e
stavolta non tornerei
più da te, lo capisci questo?”
Sconvolto
dal dolore che leggeva nella donna, conscio che lui stesso ne era la
causa, e
che il gioco era durato fin troppo a lungo, Ryo alzò una
mano come per
sfiorarla, sospirando il suo nome a voce così bassa che la
sua voce parve
perdersi nell’aria; Kaori, sconvolta dalla sua stessa
affermazione, scosse però
il capo, e fece un passo indietro, la schiena che si fermò
contro il bordo del
cesto che occupavano.
“Lo
so che il principe azzurro non esiste, e io non lo voglio
nemmeno… non ho mai preteso
che tu divenissi una persona completamente diversa da quella che sei
sempre
stato, so di non poter avanzare pretese perché tu sei stato
obbligato a prenderti
cura di me, lo avevi promesso a mio fratello… lo dicevi
sempre, quando spiegavi
perché vivevamo insieme… io
sono solo il
suo tutore. Non hai idea di quanto quella frase mi abbia
fatto male, più di
quando mi deridevi chiamandomi mezzo uomo e
travestito…”
“Mezzo
uomo? Lei?” il
piccoletto si sistemò gli
occhialini sul naso, e si avvicinò a Kaori, squadrandola per
bene da capo a
piedi – e soffermandosi con sguardo lascivo sul bel seno
prorompente strizzato
dalla maglietta a strisce bianche e rosse. “Ammetto
che la mia conoscenza carnale delle
donne sia assai limitata, ma giuro Signor Saeba che non capisco come
possa avere
anche solo lontanamente pensato una cosa del
genere…”
“ZITTO
TU!” Gli sbraitarono contro all’unisono, e Ryo lo
fulminò con lo sguardo, poi, infischiandosene
che avevano solo ricevuto un misero anticipo, gli ficcò una
mano sulla faccia e
lo allontanò da Kaori facendolo ricadere
all’indietro, mentre lui lei
si avvicinò invece, praticamente
annullando la distanza tra i loro corpi.
“E
se faccio il cafone non ti va bene, e non vuoi il principe azzurro, una
cosa
non va , un’altra pure!” Ryo la accusò.
“Ma si può sapere cosa diavolo vuoi da
me, donna benedetta?”
Kaori
sussultò, arrossendo lievemente, al solo udire quella
parola- quante volte Ryo l’aveva
definita donna negli anni passati assieme? – ma poi si
riprese: lui stava,
lentamente, cedendo, lo sapeva, lo avvertiva dal suo sguardo, dalla
distanza
ormai inesistente tra i loro corpi, ed arrivata a questo punto Kaori
sentiva di
non potere né volere più tornare indietro: doveva
andare avanti e tirare fuori
quello che covava nascosto nel cuore se voleva sperare in un futuro con
lui, di
poter ancora essere, a lungo, l’altra metà di City
Hunter.
“Nella
radura… abbiamo avuto un momento in cui ho capito che tu eri
finalmente onesto
con me, che mi stavi realmente aprendo il tuo cuore… ma poi
ti sei fatto prendere
dal panico, e tutto è tornato come prima. E con te a me
sembra di giocare al
Gioco dell’Oca, quando sei ad un passo dall’arrivo
e finisci sulla casella che
ti fa tornare indietro di dieci passi e io non so…”
Senza
lasciarle finire la frase, Ryo la afferrò, stringendola a
sé; una mano sulla
spalla, l’altra andò al mento che
sollevò con due dita, costringendola ad
alzare gli occhi e a guardarlo; si vide riflesso in quelle iridi
tremanti, e
mentre le sorrideva, rattristato per il dolore causatole, la mente gli andò
a quando l’aveva quasi
baciata nelle vesti della sua Cenerentola, anni prima, quando Eriko
aveva
organizzato loro un appuntamento senza che nessuno dei due lo
sapesse…
“Sai,
Kaori… non ho paura ad affrontare la morte, eppure, quando
si tratta di te…” Le
sussurrò a fior di labbra, abbassando il capo verso di lei;
erano così vicini
che tra le loro bocche vi era solo un alito di vento. “Tu,
dal primo giorno che
ti ho vista… mi spiazzi. Mi rendi debole, ma
forse…” Continuò, passandole il
pollice sul labbro, sulla bocca carnosa che desiderava più
di qualsiasi altra
cosa al mondo. “Forse questo tipo di debolezza non
è poi così male…”
Occhi
sgranati, sognanti, Kaori trattenne, rigida e tesa, il fiato quando le
labbra
di Ryo si posarono, finalmente sulle sue; quando poi lui le
sfiorò la bocca con
la punta della lingua, lei socchiuse le palpebre, e mettendogli le
braccia al
collo, fece scorrere le mani in quei deliziosi capelli neri, mentre
dischiudeva
leggermente le labbra per dargli maggiore accesso e approfondire il
bacio,
lasciando che la sua lingua incontrasse in un erotico gioco a
nascondino quella
di lui. Si dimenticarono di tutto e tutti, e persi nella loro bolla,
continuarono a baciarsi, le mani di lui che cercavano, esploravano il
corpo di
Kaori attraverso i vestiti, stringendola con sempre maggiore forza
contro di sé,
bacino contro bacino, la sua erezione contro il punto più
segreto di quella che
ora era, a tutti
gli effetti, la sua
donna. Il desiderio si stava facendo troppo intenso, doveva trovare un
posto
tranquillo, comodo e appartato dove poter continuare in pace quella
divina
esplorazione e
scoprire cosa si fosse
così stupidamente negato in tutti quegli anni, e Ryo quindi,
senza smettere di
baciare Kaori, fece per aprire il cancelletto del cesto, quando perse
l’equilibrio,
e non fosse stato per i suoi riflessi sarebbe caduto nel vuoto;
tremante, si
rannicchiò in un angolo, stringendo come un bimbetto le
gambe di Kaori,
piangendo disperato.
Non
si era nemmeno accorto che erano saliti in cielo, preso
com’era dalla litigata
con Kaori.
“AAHHH!
FERMI, FERMI, FERMI, FATEMI SCENDERE!!!”
Kaori,
sospirando, alzò gli occhi al cielo. Certe cose non
cambiavano mai. E forse,
ammise tra sé e sé ridendo, era proprio per
questo che a lei lui piaceva così
com’era- lo amava, con tutti i suoi pro… ed i
tanti contro.