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Autore: Little Firestar84    10/02/2021    10 recensioni
Kaori sussultò, arrossendo lievemente, al solo udire quella parola, ma poi si riprese: lui stava, lentamente, cedendo, lo sapeva, lo avvertiva dal suo sguardo, dalla distanza ormai inesistente tra i loro corpi, ed arrivata a questo punto Kaori sentiva di non potere né volere più tornare indietro: doveva andare avanti e tirare fuori quello che covava nascosto nel cuore se voleva sperare in un futuro con lui, di poter ancora essere, a lungo, l’altra metà di City Hunter.
Ryo, Kaori, uno starno caso, un uomo come cliente... ed un campionato di volo in mongolfiera.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Quel caso, Ryo non lo avrebbe mai voluto accettare, per nulla al mondo: il cliente era un ometto, e lui non era mai stato interessato a lavorare per uomini, punto primo, e punto secondo, si trattava di un dannato campionato di mongolfiere.

Mongolfiere, ovvero arnesi che andavano nel cielo, volando. E lui detestava volare.  E non certo solamente per i suoi più che giusti motivi personali: l’essere umano aveva le ali? No. Aveva braccia per prendere oggetti e sparare (e palpare graziose signorine) e gambe per correre e camminare (e, nel caso delle suddette belle signorine, fatte anche per essere allacciate alla vita dei loro aitanti amanti). E comunque, era pure un’idiozia assurda: il tizio aveva chiesto la loro protezione perché pensava che uno dei suoi avversari volesse sabotarlo in volo… e questo implicava la loro presenza su suddetta mongolfiera durante il volo.

Perciò, Ryo, per tutta una serie di ottimi motivi – il cliente era un uomo, lui sarebbe dovuto volare in cielo su un arnese ancora meno sicuro di un aereo, il caso era stupido - aveva categoricamente rifiutato il caso.

Lui.

Non altrettanto aveva fatto la sua socia, la bella Kaori che gli faceva battere il cuore, a cui due settimane prima aveva detto di amarla solo per poi far cadere nel dimenticatoio quel discorso e riprendere a fare “il manico pervertito”, come lo definiva Kaori, con tutte. E questo era uno dei due motivi che l’aveva spinta ad accettare: uno era che, come al solito (grazie ai suoi vizietti) erano di nuovo, ancora e sempre in bolletta, e l’altro era il fatto che lui fosse contrario a priori. Kaori voleva farlo imbestialire, fargliela pagare, lo aveva capito Ryo – non era tonto fino a questo punto quando si trattava di donne – e al contempo dimostrargli che un caso così banale era capace di risolverlo pure lei da sola – sempre che  qualcosa da risolvere ci fosse per davvero; il tizio sembrava essere leggermente fuori, altrimenti non si sarebbe spiegato perché il suo hobby comprendesse volare, e altrettanto leggermente affetto da manie di persecuzione, con la sua fissa che i suoi avversari lo volessero sabotare, nemmeno si fosse trattato della corsa al Nobel e non di una gara di volo in mongolfiera.

Peccato che, poi, Ryo avesse casualmente scoperto cosa ci fosse sotto, quando aveva, altrettanto casualmente, incrociato sulla sua strada la bella Saeko, che tutta pimpante lo aveva ringraziato per aver accettato il caso ed essersi preso amorevolmente cura del tracagnotto scienziato che era stato sì minacciato dai suoi competitori… ma mica nel campo delle gare in mongolfiera, no, ma quelli del settore industriale! L’uomo aveva sviluppato un composto molto simile alla plastica, con la stessa resistenza della plastica, ma completamente biodegradabile nel lungo corso, e con questo brillante progetto (che, Ryo doveva ammetterlo, il Nobel se lo sarebbe meritato tutto) si era scatenato contro le ire di alcuni magnati dell’industria petrolchimica, specie di uno, tale Miyazawa, che si diceva avesse contatti con la Yakuza.

E adesso Kaori era con quel tipo, bloccata su una mongolfiera a chissà quanti metri di altezza, e nonostante fosse migliorata molto nello sparare grazie a Mick e Miki, di strada da fare ne aveva ancora parecchia e quelli contro cui non sapeva di essersi messa contro erano dei sicari professionisti.

Meraviglioso, decisamente meraviglioso.

Tentando di mascherare il leggero tremolio delle gambe causato dalla preoccupazione per la sua bella, Ryo adesso stava fingendo di camminare tranquillo nel campo di volo, desiderando potersi fumare minimo un pacchetto o due di sigarette per stemperare la tensione- peccato che fosse vietato- e per dimenticare     quelle faccette allegre ed euforiche…. Sul serio, perché la gente si divertiva a volare? Non capiva che era innaturale? Che se cadevi da quell’altezza ci rimanevi secco di sicuro?

Si guardò intorno, facendo finta che il cielo non fosse pieno di quegli strumenti di morte, e poi, finalmente, eccola lì, con il piccoletto davanti ad una mostruosità sul cui tessuto era raffigurato il faccione del tipo in questione in versione manga – orribile, altro che di morte, quello era uno strumento di tortura. Digrignando i denti e sbattendo i piedi, Ryo si diresse verso la sua socia, senza attendere altro, pronto a farle una bella scenata perché non si era informata di tutto e soprattutto farne una con i fiocchi e contro fiocchi al piccoletto che aveva mentito spudoratamente su tutto, su tutta la linea, fin dal principio, su indicazione di quella vipera bugiarda di una poliziotta che non aveva mai saldato un solo conto con lui.

“TU!” Sbraitò indicando l’uomo da lontano, attirando l’attenzione della folla su di sé. “Piccolo essere bugiardo ed ignobile! Lo sapevo io che non c’è da fidarsi degli uomini!”

Kaori si limitò a boccheggiare, gli occhi spalancati, chiedendosi da dove provenisse quell’uscita di Ryo, cosa ci facesse Ryo lì, e soprattutto: perché il loro cliente si era messo a sudare copiosamente e guardava altrove, con espressione colpevole, senza nemmeno provare a sostenere lo sguardo del duo City Hunter?

“DIGLIELO, PICCOLO VERME! DIGLIELO CHE TI HA MANDATO SAEKO NOGAMI DA NOI E CHE A MINACCIARTI SONO QUELLI DELLA YAKUZA PER UN’INVENZIONE RIVOLUZIONARIA, NON I MEMBRI DEL CIRCOLO AMATORIALE DI MONGOLFIERE! DIGLIELO!”

A boccheggiare, stavolta, fu il tipo, davanti a cui Kaori si sistemò, con le mani sui fianchi, un sopracciglio sollevato, sembrando un genitore estremamente deluso dal figliolo disubbidente- e grazie a Ryo, Kaori quell’espressione aveva imparato a farla molto, molto bene. Di delusioni e arrabbiature lui nel corso degli anni gliene aveva date davvero tante, ma così tante che a volte si chiedeva cosa ci facesse ancora lì con lui.

“Vuole forse aggiungere qualcosa a sua difesa?” la donna gli domandò, mentre Ryo si sistemò di fianco a lei, braccia conserte ed un sorrisetto di soddisfazione stampato in volto: ci aveva visto giusto a non accettare il caso, anche se per i motivi sbagliati. Non che questo lo avrebbe mai ammesso, specie con Kaori.

“Ehm, ecco, io….” Proprio in quel momento, videro un gruppetto di giovani uomini farsi largo sgarbatamente tra la folla; indossavano occhiali da sole a specchio, divise scolastiche con la giacca lasciata aperta sotto cui facevano sfoggio di magliette nere, e i loro capelli erano acconciati con Mohawk dai colori sgargianti. Avevano dei coltelli a serramanico in mano, ma tolto quello, Ryo e Kaori, quando li notarono, alzarono un sopracciglio leggermente delusi: q            uelli sarebbero stati i pericolosi Yakuza assunti per far fuori lo scienziato? La mala stava davvero cadendo in basso, ancora un po’ e sarebbero stati disoccupati, se in giro c’erano solo più tipi come quelli…

“Salite sulla mongolfiera e fatevi il vostro giretto,” Ryo disse loro alzando il pollice e facendo loro l’occhiolino. “A questi sempliciotti qui ci penso io!”

Senza attendere altro, Ryo, mani in tasca e fischiettando, si mosse verso i tizi, mentre Kaori ed il cliente salivano nel cesto di vimini e si preparavano alla salita. Lo sweeper passò accanto agli “Yakuza”- che vergogna chiamarli così! – fischiettando, e molto casualmente diede una gomitata a quello che sembrava il capo, che da quel momento in poi lui avrebbe definiti Cresta di Gallo, che aveva la cresta più alta; logico che, offeso nell’orgoglio, il ragazzino se la fosse presa… peccato che non sapesse con chi aveva a che fare.

“Ehi, tu, vecchio, come osi venirmi addosso! Ma lo sai chi sono io?” Gli urlò contro cresta di gallo.

“Eh? Ma dici a me?” Ryo si voltò, guardandolo stupito, facendo la faccia da scemotto innocente ed inconsapevole (che gli riusciva pure bene) e si indicò, sbattendo gli occhioni scuri. “Ma… ma io non sono vecchio… io sono un giovane uomo di vent’anni…”

“Ma mi prendi per il culo? Adesso te la facciamo vedere noi!” Seguirono concitati minuti di colluttazione, in cui Ryo, rimanendo fresco come una rosa e muovendosi poco o nulla dispensò calci nello stomaco, pugni sotto al mento, gomitate nei denti, ginocchiate nelle parti basse e mandò al tappeto Cresta di Gallo dandogli un colpo col calcio della Python su quel cranio probabilmente vuoto, se il tonfo era indicazione di qualcosa.

 Ma che spreco del suo prezioso tempo!

E lui detestava sprecare il suo tempo! Invece di starsene lì, a perdere ore preziose che non sarebbero mai più tornate con dei citrulli, invece di preoccuparsi inutilmente per Kaori,  sarebbe potuto starsene a casa a giocare con la sua consolle magari contro Mick, o a leggere le sue amate riviste culturali, o magari avrebbe potuto bazzicare per localini, o per le strade cittadine alla ricerca di signorine interessate alla sua intensamente stimolante compagnia…

E invece no. Si era fatto venire il fegato amaro per la preoccupazione per la sua bella e tutto per niente.

Come aveva detto: spreco di tempo.

Cercando di apparire tranquillo e pacato, tornò in direzione del pallone, con le braccia incrociate ed un sopracciglio alzato, e guardò Kaori, che dentro alla cesta sembrava fumare di rabbia – per cosa, non ne era certo nemmeno lui. Perché lui aveva pensato che lei non avrebbe saputo come cavarsela da sola? Perché ancora una volta erano stati infinocchiati da Saeko? Perché il loro cliente era un mezzo cretino bugiardo? Chissà. Forse erano tutte, o forse era nessuna di quelle situazioni a darle sui nervi.

Lei assunse la sua stessa posa.

Si guardarono intensamente, per lunghi minuti. Nessuno dei due sembrava voler interrompere il contatto visivo, né ammettere una qualsivoglia cosa.

“Vuoi dirmi qualcosa, Kaori?”

“Io? Assolutamente nulla, Ryo. Piuttosto, non credi dover essere tu a dire qualcosa a me?”

“Ah, no, casomai sei tu che dovresti parlare con me…”

“No, Ryo, davvero, se devi ammettere qualcosa, sentiti liberissimo di farlo. Sempre che tu non sia troppo codardo per farlo. O troppo macho per ammettere di avere torto. Sempre che dopo non ti venga un attacco di amnesia o la voglia di rimangiarti tutto…”

E mentre loro bisticciavano, dimentichi del mondo intorno a loro, l’ometto guardava la coppia, guardava i suoi avverarsi, e guardava la sua mongolfiera, ancora a terra, il pallone ormai gonfio grazie alla fiammella che ardeva nel braciere sopra le loro teste. “Ehm, signori, se non vi dispiace…”

“Ah!” Ryo la indicò, fiero, sbattendo un piede per terra, tronfio. “Vedi che qualcosa da dire ce l’hai?”

“Io? Io non ho nulla da dirti!” Replicò lei, sbattendo pure lei i piedi, stringendo i denti, i pugni, fumando di rabbia, arrossendo tutta- e Ryo, gli rodeva ammetterlo, moriva dalla voglia di sapere se fosse arrossita anche in altri posti, posti che in quel momento erano nascosti dal tessuto dei vestiti. “Anzi, sai che ti dico? Io ho fin troppe cose da dirti, ma nessuna di quelle che tu vorresti sentirti dire, stronzo!”

“Stronzo a me?!” Le sibilò mentre saliva nel cestino e si metteva davanti a lei, ad un respiro di distanza dalla donna. L’ometto si asciugò il sudore con un grosso fazzoletto bianco, e sospirando si mise a trafficare con il braciere, fino a che la mongolfiera non si alzò in volo, tra gli sbraiti della coppia che si stava bellamente facendo i propri affari, nemmeno fossero stati nel loro salotto. “Io mi faccio tutta questa dannata strada e spreco il mio prezioso tempo per venire a salvarti il culo e mi prendo pure dello stronzo? Grazie mille, bella gratitudine!”

“Oh, ma per favore! Tanto cos’è che avevi da fare, eh? Sbavare suoi tuoi dannati giornaletti porno? Palpare delle povere ragazze al parco?” Gli replicò lei, occhi negli occhi, così vicini che Ryo sentiva il respiro di Kaori sulla pelle, era quasi certo che i capelli rossi della donna gli stessero solleticando il viso… ingoiò a vuoto, gli occhi spalancati con un senso di panico che gli attanagliava il petto: se non avesse messo un po’ di distanza tra di loro, non avessero smesso di urlare, come minimo lui le sarebbe saltato addosso e l’avrebbe divorata di baci, e al diavolo tutti i buoni propositi e tutte le promesse che aveva fatto! “E comunque di gentaglia come quella me ne sbarazzavo quando andavo al liceo, non mi serviva il tuo dannato aiuto!”

“Ed intanto però io sono qui, e mi sono preso la briga di darti una mano, nonostante ti avessi detto che accettare questo caso fosse una pessima idea!” Le sibilò contro, a denti stretti,  desideroso di mettere un po’ di spazio tra di loro eppure incapace di farlo. E com’è che nonostante fosse a tipo due centimetri da lei invece di essere accaldato aveva freddo, tutto d’un tratto?

“Oh, ma per favore! Piantala di fare il grand’uomo, il novanta percento delle volte tu sei completamente inaffidabile, come buona parte dei maschi, del resto! E lo sai perché? Te lo dico io il perché! Perché voi uomini, quando arriva il momento di dover fare qualcosa e fare un dannato passo avanti, ve la fate addosso! Anzi, non gli uomini, tu!”

“Ah, ma allora vedi che qualcosa da dire ce l’hai signorinella!” Ryo quasi le ridacchiò in faccia, con espressione soddisfatta – un’espressione che spezzò qualcosa dentro Kaori, che con gli occhi lucidi si strinse nel proprio abbraccio e distolse lo sguardo da Ryo.

“Io non sono una signorinella, Ryo…” la voce di Kaori era bassa, quasi tremante, guardava ovunque ma non lui, si fissava i piedi mentre le lacrime minacciavano di lasciare i suoi bei occhi color nocciola. “Io sono una donna, e sono stufa dei tuoi passi indietro… un giorno me ne potrei andare, e stavolta non tornerei più da te, lo capisci questo?”

Sconvolto dal dolore che leggeva nella donna, conscio che lui stesso ne era la causa, e che il gioco era durato fin troppo a lungo, Ryo alzò una mano come per sfiorarla, sospirando il suo nome a voce così bassa che la sua voce parve perdersi nell’aria; Kaori, sconvolta dalla sua stessa affermazione, scosse però il capo, e fece un passo indietro, la schiena che si fermò contro il bordo del cesto che occupavano.

“Lo so che il principe azzurro non esiste, e io non lo voglio nemmeno… non ho mai preteso che tu divenissi una persona completamente diversa da quella che sei sempre stato, so di non poter avanzare pretese perché tu sei stato obbligato a prenderti cura di me, lo avevi promesso a mio fratello… lo dicevi sempre, quando spiegavi perché vivevamo insieme… io sono solo il suo tutore. Non hai idea di quanto quella frase mi abbia fatto male, più di quando mi deridevi chiamandomi mezzo uomo e travestito…”

“Mezzo uomo? Lei?”  il piccoletto si sistemò gli occhialini sul naso, e si avvicinò a Kaori, squadrandola per bene da capo a piedi – e soffermandosi con sguardo lascivo sul bel seno prorompente strizzato dalla maglietta a strisce bianche e rosse.  “Ammetto che la mia conoscenza carnale delle donne sia assai limitata, ma giuro Signor Saeba che non capisco come possa avere anche solo lontanamente pensato una cosa del genere…”

“ZITTO TU!” Gli sbraitarono contro all’unisono, e Ryo lo fulminò con lo sguardo, poi, infischiandosene che avevano solo ricevuto un misero anticipo, gli ficcò una mano sulla faccia e lo allontanò da Kaori facendolo ricadere all’indietro, mentre lui  lei si avvicinò invece, praticamente annullando la distanza tra i loro corpi.

“E se faccio il cafone non ti va bene, e non vuoi il principe azzurro, una cosa non va , un’altra pure!” Ryo la accusò. “Ma si può sapere cosa diavolo vuoi da me, donna benedetta?”

Kaori sussultò, arrossendo lievemente, al solo udire quella parola- quante volte Ryo l’aveva definita donna negli anni passati assieme? – ma poi si riprese: lui stava, lentamente, cedendo, lo sapeva, lo avvertiva dal suo sguardo, dalla distanza ormai inesistente tra i loro corpi, ed arrivata a questo punto Kaori sentiva di non potere né volere più tornare indietro: doveva andare avanti e tirare fuori quello che covava nascosto nel cuore se voleva sperare in un futuro con lui, di poter ancora essere, a lungo, l’altra metà di City Hunter.

“Nella radura… abbiamo avuto un momento in cui ho capito che tu eri finalmente onesto con me, che mi stavi realmente aprendo il tuo cuore… ma poi ti sei fatto prendere dal panico, e tutto è tornato come prima. E con te a me sembra di giocare al Gioco dell’Oca, quando sei ad un passo dall’arrivo e finisci sulla casella che ti fa tornare indietro di dieci passi e io non so…”

Senza lasciarle finire la frase, Ryo la afferrò, stringendola a sé; una mano sulla spalla, l’altra andò al mento che sollevò con due dita, costringendola ad alzare gli occhi e a guardarlo; si vide riflesso in quelle iridi tremanti, e mentre le sorrideva, rattristato per il dolore causatole,  la mente gli andò a quando l’aveva quasi baciata nelle vesti della sua Cenerentola, anni prima, quando Eriko aveva organizzato loro un appuntamento senza che nessuno dei due lo sapesse…

“Sai, Kaori… non ho paura ad affrontare la morte, eppure, quando si tratta di te…” Le sussurrò a fior di labbra, abbassando il capo verso di lei; erano così vicini che tra le loro bocche vi era solo un alito di vento. “Tu, dal primo giorno che ti ho vista… mi spiazzi. Mi rendi debole, ma forse…” Continuò, passandole il pollice sul labbro, sulla bocca carnosa che desiderava più di qualsiasi altra cosa al mondo. “Forse questo tipo di debolezza non è poi così male…”

Occhi sgranati, sognanti, Kaori trattenne, rigida e tesa, il fiato quando le labbra di Ryo si posarono, finalmente sulle sue; quando poi lui le sfiorò la bocca con la punta della lingua, lei socchiuse le palpebre, e mettendogli le braccia al collo, fece scorrere le mani in quei deliziosi capelli neri, mentre dischiudeva leggermente le labbra per dargli maggiore accesso e approfondire il bacio, lasciando che la sua lingua incontrasse in un erotico gioco a nascondino quella di lui. Si dimenticarono di tutto e tutti, e persi nella loro bolla, continuarono a baciarsi, le mani di lui che cercavano, esploravano il corpo di Kaori attraverso i vestiti, stringendola con sempre maggiore forza contro di sé, bacino contro bacino, la sua erezione contro il punto più segreto di quella che ora era, a  tutti gli effetti, la sua donna. Il desiderio si stava facendo troppo intenso, doveva trovare un posto tranquillo, comodo e appartato dove poter continuare in pace quella divina esplorazione  e scoprire cosa si fosse così stupidamente negato in tutti quegli anni, e Ryo quindi, senza smettere di baciare Kaori, fece per aprire il cancelletto del cesto, quando perse l’equilibrio, e non fosse stato per i suoi riflessi sarebbe caduto nel vuoto; tremante, si rannicchiò in un angolo, stringendo come un bimbetto le gambe di Kaori, piangendo disperato.

Non si era nemmeno accorto che erano saliti in cielo, preso com’era dalla litigata con Kaori.

“AAHHH! FERMI, FERMI, FERMI, FATEMI SCENDERE!!!”

Kaori, sospirando, alzò gli occhi al cielo. Certe cose non cambiavano mai. E forse, ammise tra sé e sé ridendo, era proprio per questo che a lei lui piaceva così com’era- lo amava, con tutti i suoi pro… ed i tanti contro.

   
 
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