Serie TV > Vikings
Segui la storia  |       
Autore: Laisa_War    10/02/2021    2 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prima del banchetto, Hylde era riuscita a tornare a casa per darsi una sistemata e togliersi dalle spalle la stanchezza di una giornata piena. Si prese tutto il tempo di cui sentiva di aver bisogno, essendo la casa vuota: tutta la famiglia era uscita presto, per godersi le gioie dei ricchi banchetti festivi di Kattegat.

Negli ultimi anni, Hylde aveva perso la voglia di partecipare alle feste, in realtà non era mai stata la persona più socievole del mondo, la vita non le aveva dato troppe occasioni e lei non aveva mai cercato di combattere contro quella situazione.

Rimase sconvolta dall’irresistibile attrazione provata verso il piccolo stelo con cui Floki ed Helga erano soliti dipingersi gli occhi: voleva andare alla festa, partecipare al banchetto... e ci voleva andare truccata. Voleva abbellirsi per una situazione che l’aveva sempre messa a disagio.

Mentre iniziava a colorarsi gli occhi chiarissimi di nero, creando un bell’effetto “sfumato”, rifletté sul motivo di tale scelta e la risposta le apparve in mente, cristallina: aveva finalmente trovato la tranquillità adatta per vivere la vita normalmente, trovando divertenti cose che in passato aveva ritenuto futili. Il suo cuore sapeva di essere nel posto giusto, circondata da persone che lei stimava e che la stimavano con la sua stessa intensità. Era dove doveva essere, dove era destinata ad essere. Era un sensazione rinvigorente, bella più di ogni altra cosa e le permetteva di non pensare a quanto in realtà fosse dura la vita di tutti i giorni, in un’epoca così lontana e diversa. Le consentiva di apprezzare le piccole gioie del momento, come una serata in cui avrebbe potuto rilassarsi e passare del tempo di qualità con le persone amate.

Indossò degli abiti diversi: non più i soliti pantaloni, ma un vestito semplice e caldo, adatto a una sera di festa. Dopo essersi coperta con una spessa pelliccia, s’incamminò verso la città, lungo l’itinerario che ormai conosceva molto bene, reggendo una torcia.

Il suono dei tamburi, delle danze e dei profondi canti investì le orecchie di Hylde già nel tragitto attraverso i boschi per giungere a Kattegat, diventata ormai un enorme centro di vita, pieno di tende e nuove abitazioni, il molo e il porto erano cresciuti di dimensione, le strade pullulavano di guerrieri e di persone mai incrociate prima. Il tempo delle occhiatacce per strada era finito, gli abitanti ormai si erano abituati alla sua presenza, come anche a quella delle decine di stranieri arrivati in città, pur rimanendo diffidenti. “Poco male...”, pensò lei, avrebbe potuto dimostrare il proprio valore come guaritrice molto presto, il che avrebbe potuto giovare alla sua reputazione, avrebbe smesso di sentirsi sempre come “l’ultima arrivata”.

Hylde capì l’importanza di quella serata solo dopo aver varcato le porte imponenti della città. Tutti, guerrieri, schiavi, contadini, civili di ogni genere facevano avanti e indietro dalla longhouse per rifornire di birra i propri boccali o i corni bovini usati come recipienti per bere, ballando e cantando, seguendo il ritmo scandito dai suonatori di tamburi. C’erano coppie che pomiciavano ad ogni angolo, persone sia giovani sia adulte che si abbandonavano a danze scatenate e a canti urlati a squarciagola. C’era vita e giovialità quella sera, non esistevano differenze di rango, tutti erano invitati a far festa fino a tardi, persino i bambini giravano ancora per le strade, festeggiando e giocando con felicità. Nella piazza davanti alla longhouse si ergeva un grande falò votivo, che sprigionava la sua luce e il suo calore insieme alle tante, piccole torce distribuite per tutta Kattegat.

La ragazza scoprì solo più tardi che quella festività, Jólablót, fosse il corrispettivo di quello che nel mondo moderno veniva chiamato Natale. Avrebbero festeggiato per alcuni giorni di seguito e, nell’ultimo giorno, avrebbero sacrificato al dio Freyr il grosso maiale che Hylde aveva visto nel recinto posto all’ingresso della città, sorvegliato da un paio di guardie. Lo scopo di quel sacrificio finale era di chiedere a Freyr la pace su tutta Midgard (la terra abitata dagli uomini) e la cessazione del freddo invernale a favore dell’arrivo della primavera e delle stagioni calde.

Hylde varcò la porta della longhouse facendosi spazio a fatica nell’enorme ressa di persone che affollavano la vasta struttura, ormai privata di alcuni tavoli e sedie, per guadagnare dello spazio in più. Il trono di Lagertha si notava appena, talmente era affollato il posto.

Fu subito notata da Brandr, che la salutò agitando la mano libera, mentre con l’altra reggeva un decoratissimo bicchiere. Hylde non poté fare a meno di notare che era seduta sulle gambe di Ubbe, il quale, accaparratosi una delle poche sedie disponibili, la teneva stretta, con un sorriso felice stampato sul viso arrossato dalla birra.

Le due giovani si scambiarono un occhiolino d’intesa, con cui Brandr fece capire a Hylde quanto fosse contenta in quel momento. Era incredibile la complicità sviluppatasi tra le due, che erano in grado di comprendersi senza nemmeno parlare, pura telepatia.

Lasciando tranquilli per i fatti loro i due innamorati, Hylde si guardò attorno alla ricerca di una faccia amica, essendo circondata da gente che non aveva mai visto. Se fosse stata sincera con se stessa, avrebbe ammesso di essere in cerca di una faccia, di una sola faccia in particolare.

Fu fermata da Floki, accompagnato da Lagertha, elegante ed impeccabile come sempre.

La regina le diede un’impercettibile pacca sulla spalla, prendendosi una confidenza che Hylde non si sarebbe mai aspettata, forse incoraggiata dal clima festoso di quella sera. «Stavamo proprio parlando di te, Hylde.», esordì lei con aria gioviale.

La ragazza, con gli occhi di ghiaccio illuminati dal fuoco delle torce distribuite per tutta la stanza, sorrise, un po’ disorientata, chiedendo implicitamente delle spiegazioni.

Lagertha parlò a Floki con amabile allegria, lasciando perdere l’atteggiamento da sovrana, ma rivolgendosi a lui come una vecchia amica avrebbe fatto: «Come ti dicevo, Hylde oggi si è dimostrata degna della fiducia della nostra città, curando mio nipote con grande maestria, pur non essendo tenuta a farlo.».

Floki guardò con sorpresa la giovane dai capelli rossi, mentre la regina continuava col tono di chi era in procinto di dare un grosso annuncio: «Ed è per questo che ho deciso di accoglierla tra i miei guaritori.». Aggiunse poi, non troppo turbata dalla delusione di Floki, conscia di aver preso la decisione giusta: «Mi dispiace toglierti la tua compagna di lavoro, amico mio, ma così potrà essere più utile a tutti i cittadini.».

Si mise in mezzo al discorso un uomo a Hylde sconosciuto, che presentava i tipici tratti somatici norreni, con occhi azzurri e lunghissimi capelli color castano chiaro, e coperto da numerosi tatuaggi, anche sul viso. Si avvicinò a Hylde con un sorriso da seduttore incallito, ma la destinataria delle sue parole fu la regina: «Sono sicuro che Kattegat sarà in buonissime mani, grazie alla vostra decisione, mia Signora.».

Lagertha riprese subito il suo ruolo di sovrana, raddrizzò la schiena riacquistando la solita aria solenne ed intervenne per accogliere e salutare il suo ospite: «Re Harald Bellachioma! Che piacere rivederti.». Non c’era gioia nel suo discorso, solo pura formalità. Aggiunse, distaccata: «Non sapevo saresti arrivato stanotte. Avrei fatto in modo di accoglierti personalmente.».

Il prestante re norreno la corresse, sempre con quel tono gioviale che iniziava ad irritare Hylde, figurarsi Lagertha: «Sono arrivato stamane, in verità. Mi sono preso del tempo per sistemare vecchi affari lasciati in sospeso, giusto in tempo per vedere questa giovane fanciulla soccorrere il piccolo figlio di Bjorn.». Ignorò Lagertha per arrangiare un inappropriato baciamano con Hylde, imbarazzata oltremodo per quelle opprimenti attenzioni.

Un brivido le percorse la schiena, quell’uomo, per quanto fosse affascinante, non le aveva trasmesso buone sensazioni, nella sua testa rimbombava una voce che le intimava di non fidarsi di lui. Per questo, quegli apprezzamenti le risultavano fuori luogo e viscidi.

Floki e Lagertha furono così gentili da liberarla da una delle situazioni più imbarazzanti della sua vita a Kattegat, allontanando Harald con la scusa di discutere i piani riguardo alla flotta. A Hylde non dispiacque affatto rimanere un po’ da sola a tirare il fiato, cosa che le permise di starsene tranquilla a sorseggiare la sua birra. Non era mai stata una gran bevitrice e non era affatto un’esperta di alcolici, ma quella birra era dannatamente buona.

La serata, per lei, prese una piega davvero positiva quando finalmente avvistò Ivar, seduto ad un tavolo dal lato opposto della sala, immerso completamente in una discussione coi fratelli Bjorn, Hvitserk e Sigurd. Discutevano bruscamente e, pur senza sentire una parola a causa del forte baccano, Hylde poté vedere i loro animi scaldarsi sempre di più.

La conversazione si trasformò presto in una litigata tra Bjorn ed Ivar, sotto lo sguardo soddisfatto degli altri due fratelli, che parteggiavano per il più anziano di loro e godevano nel vedere il fratello minore rimesso al proprio posto.

Bjorn si batté un paio di volte il pugno sul petto e Hylde riuscì di sfuggita a leggergli il labiale: «Io! Il capo sono io!», aveva detto in un evidente impeto di rabbia. Si era alzato in piedi, per sovrastare Ivar con la voce e con la presenza fisica.

Il fratello più piccolo, invece, lo sfidava con lo sguardo, facendogli capire che, nonostante gli sforzi, non gli avrebbe mai dato ragione e che non avrebbe mollato tanto facilmente. Quando Bjorn ribadì che il comando sarebbe rimasto solo nelle sue mani, senza possibilità di replica, Ivar esplose, sbattendo forte sul tavolo il proprio boccale di birra, che era schizzata ovunque. Uscì di fretta dalla longhouse.

Hylde odiava vederlo così turbato, ma prima che potesse raggiungerlo fu distratta dalla risata di alcuni uomini svedesi vicino a lei. Stavano ridendo di Ivar, del suo modo di strisciare sul terreno e di trascinare le gambe inerti, facevano battute molto sgradevoli, additandolo e chiamandolo “storpio”, come se fosse una cosa normale ed esilarante. Le venne un conato di vomito nel sentire quei commenti, con lo sdegno che s’impossessava di lei.

Prima che, incoraggiata dalla birra, potesse dire qualcosa, la precedette Ubbe, che redarguì il gruppo di combattenti: «Dovreste fare attenzione a chi fate oggetto dei vostri commenti. Quello è mio fratello, Ivar Senz’Ossa, figlio di Ragnar Lothbrok.».

Hylde avrebbe pagato oro per avere una macchina fotografica ed immortalare l’espressione che comparve sulla faccia degli svedesi dopo le parole di Ubbe. Erano la manifestazione più pura dell’imbarazzo, arrancarono delle scuse, balbettando quasi, e giurarono che se solo lo avessero saputo non si sarebbero mai permessi di parlare in quel modo.

La ragazza s’irrigidì e sputò quelle parole come se fossero veleno, indignata da quelle scuse facilone e francamente molto inutili: «Il fatto è che non dovreste permettervi in generale, con nessuno.». Raddrizzò la schiena e girò i tacchi, uscendo dall’edificio sotto lo sguardo attonito dei guerrieri, che non osarono fiatare. Brandr e Ubbe invece ridacchiarono, divertiti da quella presa di posizione e dalla drammatica uscita di scena.



La piazza di fronte all’edificio principale era ancora più piena di quanto lo fosse quando Hylde era arrivata. Vichinghi di ogni stazza, sesso ed estrazione sociale ballavano scatenati, scoordinati ed ubriachi attorno al grande falò, lasciato libero di splendere da un tempo clemente, privo di correnti d’aria fredda. Il cielo sereno, con solo qualche nuvola sparsa qua e là, ospitava una spettacolare luna piena, la cui luce si rifletteva sul mare calmo della baia di Kattegat.

Hylde fece davvero fatica ad individuare Ivar in mezzo a quella situazione a dir poco caotica, ma alla fine lo avvistò in lontananza. Si muoveva rapidamente, strisciando come un serpente sinuoso con la sola forza delle braccia ben tornite. Lo vide entrare all’interno di quella che doveva essere casa sua.

La ragazza lo seguì, ritagliandosi con enormi sforzi lo spazio per passare attraverso la ressa di persone. Arrancando, riuscì a raggiungere la casa, tuttavia si ritrovò indecisa sul da farsi. Si chiese se lui avesse effettivamente voglia di compagnia in quel momento, o se non fosse troppo strano che lei si presentasse lì senza motivi apparenti.

Infine prese coraggio, deglutì e bussò alla porta con fare incerto. «Ivar... Sono io! Ti ho visto andare via di fretta dalla festa, mi chiedevo se ti sentissi bene.», disse lei, interessata davvero a capire come stesse quell’impulsivo ragazzo.

Nessuna risposta.

Hylde scosse la testa e si obbligò a riprovare: «Posso entrare?».

Ancora nessuna risposta, ma sentì debolmente dei movimenti all’interno dell’abitazione. “Allora sta ascoltando!”, ridacchiò lei fra sé e sé, probabilmente Ivar era dietro la porta, tenendola volutamente sulle spine per il semplice gusto di renderla impaziente.

«Avanti! Dammi almeno un segno di vita!», il tono di Hylde si era fatto più leggero e scherzoso, certa di essere ascoltata.

La porta si aprì dopo pochi istanti e all’ingresso comparvero Ivar e il suo adorabile sorriso sghembo, quello che gli conferiva la sua tipica aura di furbizia. «Sai che sei proprio insopportabile?», chiese lui ironico, mettendo da parte per un secondo la rabbia che gli ribolliva nel profondo.

Hylde rispose: «Caratteristica che...mi apre molte porte.». Accompagnò quella risposta ad un sorriso davvero stupido e divertente, che strappò una risata ad un Ivar ostinato a rimaner serio.

La invitò ad entrare e le confessò: «Stavo accendendo il fuoco, per non farti sentire il freddo della casa.».

Lei capì quanto il ragazzo stesse cercando di fare un gesto gentile nei suoi confronti dal fare impacciato ed imbarazzato che aveva assunto. Per un momento, la parte oscura di Ivar era sparita. Era di nuovo lui.

La guidò verso la coppia di sedie sistemate di fronte al focolare acceso e così Hylde ne approfittò per guardarsi attorno. Era proprio una bella casa, spaziosa, adatta ad ospitare tante persone, poiché c’erano diverse camere da letto. La sala del focolare era ben arredata con mobili in legno massiccio, decorata con numerosi trofei di caccia appesi alle pareti e tappeti di pelliccia sul pavimento freddo.

«Ti ho visto turbato, al banchetto.», ruppe il ghiaccio Hylde, accomodandosi sulla sedia di fianco a lui, vicina tanto da sfiorargli le gambe con le sue.

Ivar la osservò con sguardo indagatore, con un sorriso divertito che gli faceva piegare un angolo della bocca: «Mi stavi spiando, Hylde?». Adorava stuzzicarla così, solo per vederla arrossire.

Infatti, il pallido viso della ragazza si dipinse di un accentuato color rosso e si comportò come se provasse un misto di vero imbarazzo e finta indignazione: «Non è assolutamente vero!». Si giustificò: «Cercavo solo una faccia conosciuta!».

«Mh... Se lo dici tu.», continuò a prenderla in giro lui, che non credeva a quelle scuse e si divertiva a vederla agitarsi. Ammirò il suo bel viso e si rese conto di non averla mai vista truccata, con gli occhi chiarissimi messi in risalto dal nero delle linee disegnate. La trovò davvero bella, anche con l’aiuto del semplice vestito lungo color terra bruciata che le fasciava il corpo. Era eccezionale come con lei si dimenticasse di ogni problema, di ogni cosa che lo rendesse arrabbiato o infelice.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Vikings / Vai alla pagina dell'autore: Laisa_War