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Autore: MaxB    10/02/2021    4 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Che vergognaaaaa non posto da quasi un mese! Scusatemi! Che pessima che sono ç.ç Scusatemi tantissimissimo.
Cercherò di rimediare, davvero.
Un grazie a Sofy_m, in ritardo, per avermi fatto venire in mente la scena che ho descritto in questo capitolo. Se non te la ricordi neanche dopo aver letto te la rammento io xD
Di recente ho riflettuto anche sulla lunghezza di questa ff, perché sono al capitolo 27, ho scritto 200 pagine e ancora credo di non essere nemmeno a metà... o forse un po' più della metà. Non lo so. In ogni caso, spero che non vi prendiate paura e non vi stanchiate. Ci tengo davvero tanto a questa long e ho tante cose ancora da scrivere e colpi di scena da buttare in piazza.
Mi auguro che vogliate continuare a seguirla♥


Capitolo 27

I preparativi iniziarono quasi subito. In realtà non richiesero molto tempo, ma la partenza non sarebbe stata immediata a causa della stagione polare pessima per viaggiare in aeronave.
Un pomeriggio in cui Ofelia stava preparano le valigie Serena le si avvicinò, impaziente di rendersi utile. Le allungò il suo pellicciotto preferito. – Potta questo mamma!
Ofelia scosse la testa. – Tesoro, su Anima non servirà avere un cappottino così pesante. Lì fa più caldo di qua.
In quel momento entrò in camera Renard, che se ne stava tutto curvo e teneva per le manine Balder. Lo stavano aiutando a camminare tenendolo sempre affinché non cadesse, e il piccolo passava intere giornate a caracollare per casa divertendosi un mondo. Per lo più lo portavano a spasso Renard, Ofelia e Serena, perché Thorn di giorno lavorava, all’intendenza o a casa, e la sera Balder era troppo stanco per scorrazzare in giro. Ogni tanto Serena si dimenticava che il fratellino non poteva camminare da solo, e lo mollava per correre incontro a qualcuno. Ofelia attribuiva quegli episodi alla distrazione della figlia più che ad una vera e propria dimenticanza: Serena aveva la memoria di Thorn, non si sarebbe dimenticata nemmeno i particolari più insignificanti della sua vita. Comunque, se Balder era fortunato cadeva sul sedere imbottito di panni e si dava al gattonamento, se era più sfortunato cadeva di faccia. Ofelia lo aveva visto più volte rimettersi a sedere con impaccio, guardarsi intorno spaesato e poi sorridere e riprendere a gattonare come se nulla fosse.
Non si poteva dire che avesse una soglia di sopportazione del dolore bassa, tanto più quando gli spuntavano in fronte dei lividi nerastri senza che lui versasse una lacrima.
Anche se non aveva la memoria di Serena riusciva lo stesso a trovare la via per la sua stanza preferita: lo studio del papà. Ofelia aveva perso il conto delle volte in cui Serena lo aveva abbandonato a sé stesso e lui, gattonando, si era fatto strada fino a Thorn. Quando lui era a casa, Ofelia li trovava assorti nella contemplazione dei libri contabili, con Balder quasi più corrucciato e concentrato del padre. Se invece Thorn era all’intendenza, lo beccava seduto in mezzo alla stanza, spaesato. Allungava le manine verso di lei e si lamentava: - Papà!
Ad Ofelia toccava sempre il cuore vedere quanto amore incondizionato i bambini nutrissero per Thorn. Da parte di quest’ultimo, l’affetto nei confronti dei figli non era mai dimostrato platealmente, ma i gesti di Thorn non lasciavano spazio ai dubbi. Aveva detto di detestare i marmocchi, lo aveva quasi giurato con convinzione, quando erano ancora due fidanzati costretti a sposarsi, ma chi avrebbe mai potuto immaginarlo quando, nel pieno del lavoro, si dedicava ai passatempi di Serena o dava il biberon a Balder? Quando Serena si metteva a giocare seduta sulle sue gambe facendo trottare dadi, gomme e fogli mentre lui non batteva ciglio? E non storceva nemmeno il naso quando era il momento di cambiare il pannolino a Balder, o quando urlava nel cuore della notte o interrompeva lui e Ofelia mentre cercavano di ricavarsi un po’ di tempo per loro?
I bambini sono più ricettivi e intelligenti di qualsiasi adulto, più sensibili ai loro cambi di umore, più empatici e pronti ad assorbire qualsiasi emozione passasse nell’aria. Thorn era un uomo freddo, calcolatore, distante quasi, ma anche incredibilmente leale, capace di grande tatto e delicatezza, e questo i bambini lo percepivano. Non avevano la malizia di farsi spaventare dal suo aspetto. Non avevano la cattiveria che spingeva gli adulti ad etichettare qualcuno in base alla posizione sociale o alla nascita più o meno nobile.
Thorn era il papà di Serena e Balder, si prendeva cura di loro con amore, dedicava loro più attenzioni di quanta ne dedicasse persino alla moglie, talvolta, ed era sempre pronto a sopperire ai loro bisogni. Li educava, era avvicinabile. Non sorrideva, ovviamente, ma questo non li allontanava. Loro percepivano che Thorn era tutt’altro che ostile. E sebbene fosse un concentrato di energia elettrica, manierismi, tic e nervosismo, con loro riusciva sempre a padroneggiarsi. I suoi figli lo calmavano, erano catartici, lavano via tutta quell’ansia che covava in corpo.
Lo adoravano. E quell’affetto era abbondantemente ricambiato.
- Ragazzo? – chiamò Renard, riscuotendola dai suoi pensieri.
- Scusate, cosa stavate dicendo?
Renard le sorrise. Il suo amico era ancora più incline ai sorrisi da quando Gaela era rimasta incinta. In pratica, non smetteva mai di sorridere, nemmeno quando Thorn gli lanciava qualche occhiataccia perché reputava che fosse sempre troppo goliardico.
- Volete che dia qualche lezioncina di geografia ai signorini? A Serena più che altro, perché dubito che il signorino Balder, senza la memoria del padre, ricorderà alcunché di ciò che gli diciamo.
Com’era subito apparso chiaro che Balder aveva ereditato l’animismo di Ofelia, era anche risultato evidente che non aveva la memoria di Serena. Non lo avevano presunto a causa del linguaggio di Balder. Serena era più grandicella quando aveva cominciato a ripetere a memoria i teoremi che Thorn enunciava per farla dormire come se fossero delle ninne nanne. Più che altro sembrava meno… ricettivo.
Un po’ più tonto, ecco.
Thorn non aveva altri termini di paragone se non sé stesso e la figlia, ma era sicuro che il piccolo non avesse ereditato quel dono. – Anche un po’ di più - aveva detto.
Ofelia sorrise. – Fate pratica per quando potrete esercitare? Quanto manca ormai?
L’altro motivo per cui Renard era così felice era che il corso da insegnante stava per finire, e lui aveva passato ormai quasi tutti gli esami a pieni voti. L’idea di poter essere anche il maestro di suo figlio o sua figlia lo riempiva di orgoglio. Non avrebbero avuto un padre valletto, ma un uomo di cultura che potesse insegnare loro i misteri di ogni materia.
Anche Ofelia era fiera di lui.
- Conseguirò il titolo due settimane prima della partenza. Sono felice che il viaggio sia imminente e che possiamo concederci questa vacanza. Sapete, poi potrebbe diventare difficoltoso visto lo stato di Gaela.
Ofelia represse una risata. – Se vi sentisse tirerebbe fuori la chiave inglese minacciandovi di violenza.
- Lo so, ragazzo, ma almeno lasciami sfogare con te. Non è più una giovinetta come voi, voglio solo che prenda tutto con calma e si goda questo periodo, ma è irruente e testarda e fa quello che vuole.
- Non la amate anche per questo?
Il sorriso di Renard si allargò ancora. – Certamente. Però mi preoccupo per lei. E per il bambino. Uno dei due dovrà pur farlo, no?
- Lasciate che faccia come si sente. Non è un’incosciente, e sono certa che tenga a portare a termine la gravidanza quanto voi.
Renard annuì, ammiccando poi a Serena che se ne stava ancora impalata con il cappottino in mano.
- Allora, signorina, vogliamo imparare un po’ che differenze ci sono tra il Polo e Anima?
- Sì! – esclamò Serena, sempre entusiasta di fare qualsiasi cosa.
Ofelia li guardò allontanarsi e continuò a fare le valigie sorridendo.
Erano passate quasi due ore quando si stiracchiò e si rese conto che la casa era fin troppo silenziosa. In salotto non trovò nessuno, se non la zia Roseline intenta a lucidare la sua macchina da cucire, così assorta da non aver nemmeno notato la sua presenza. Tre o quattro stracci stavano pulendo insieme a lei, di propria iniziativa, accapigliandosi di tanto in tanto. Ofelia preferì andarsene senza farsi sentire prima che la zia le chiedesse di aiutarla a smontare la macchina per togliere ogni granello di polvere. Era già successo due o tre volte, e non era mai finita bene. La zia diventava particolarmente puntigliosa quando ne andava del suo cucito. Ofelia rischiava sempre di irritarsi e qualche pezzo della macchina, contagiato dalla sua stizza, prendeva e se ne andava. Era un calvario poi dover cercare viti piccole come dei ditali, e la zia si imbestialiva ancora di più.
Alla fine si ritrovò a dover guardare dentro ogni stanza della casa. Stava per andare verso la porta della dimora di Renard quando gli giunse la voce di Thorn. Colse distrattamente le parole “Heliopolis”, “folgori” e “bagliori”, segno evidente che non stava parlando di lavoro.
Ma allora cosa…?
Quando varcò la soglia della biblioteca adibita a studio, rimase spiazzata da ciò che vide.
Thorn se ne stava di fronte ad una cartina geografica riportante la posizione di tutte le arche, collegate da linee sottili e ingarbugliate. Anzi, una Mappa delle Rose dei venti e delle loro destinazioni. Ecco cosa si era studiato Thorn per muoversi con tanta agilità tra le varie Rose dei venti…
In quel preciso momento aveva un lungo braccio teso in alto a destra ad indicare Heliopolis. Serena se ne stava seduta buona buona sullo spesso tappeto, gli occhi incollati alla cartina. Vittoria, di fianco a lei, era sdraiata con in mano una matita, assorta in un disegno che sembrava voler raffigurare la mappa. Non stava venendo molto bene… Renard invece se ne stava acciambellato, evidentemente a disagio, per terra, con Balder in braccio. Il bambino non era meno concentrato della sorella, anche se ogni tanto si distraeva facendo le bolle di saliva. In un angolo, Berenilde si stava specchiando canticchiando, provando nuove acconciature. Probabilmente aveva seguito la figlia fin lì, ma quando aveva visto che si era dedicata ad un’attività innocua si era distratta.
Renard si voltò lentamente, lanciandole un’occhiata a dir poco disperata. Ofelia gli andò vicino e cercò di sedersi senza fare danni. La sciarpa cambiò posizione quando Salame, acciambellato di fronte a Renard, aprì un occhio e iniziò a muovere la coda, pronto a balzare.
- Ma cosa sta succedendo? – domandò, anche se già immaginava cosa stese facendo Thorn. Sperava solo che Renard la smentisse.
- Sta facendo una lezione di geografia – sibilò, con la voce così potente che anche un sussurro era udibile fino all’altro capo della stanza. Thorn lanciò loro un’occhiata di ammonimento, ma non si interruppe.
- Il terreno di Heliopolis è per lo più brullo. Per questo motivo sono costretti ad importare la maggior parte del…
- Io ero venuto qui con il semplice intento di mostrare a Serena quanto distano Anima e il Polo, che effettivamente sono tra le arche più vicine rispetto alla distanza che intercorre tra le altre. Ho detto a vostro marito che non lo avrei disturbato, volevo solo insegnare qualcosa ai bambini e fare anche un po’ di pratica, come si conviene a chi sta per prendere la licenza. L’intendente è tornato subito ai suoi registri, ma dopo poco si è alzato e mi si è affiancato. Ha cominciato ad aggiungere qualche dettaglio a quello che dicevo, a completare ciò che io tralasciavo, finché i ruoli non si sono invertiti e ci siamo ritrovati così. Sta spiegando l’intera struttura giuridica di ogni singola arca! Insieme alla sua conformazione geografica, ai principali prodotti importati ed esportati e ai poteri familiari che caratterizzano ognuna.
Renard non l’aveva smentita: aveva esacerbato la sua ipotesi, peggiorandola se possibile. Toccò lievemente il braccio di Renard in segno di compatimento.
- Quante arche ha trattato finora?
- Sei, in linea retta. Anima, Polo, Cyclope, Flore, Pharos, La Serenissima e ora siamo ad Heliopolis. Ragazzo, io non so tutte le cose che sta spiegando lui! È forse mediocre la qualità degli insegnamenti che mi hanno impartito?
Ofelia scosse la testa. – Non preoccupatevi, Renold. Tutto quello che sta dicendo Thorn è fondamentale?
- Non direi, no… Anzi, credo che potrebbe tornare utile solo la metà delle cose che ha detto.
Ofelia gli sorrise e ammiccò: - Allora insegnategliene un quarto.
Renard non parve molto tranquillizzato da quel tentativo di consolazione.
- Renold, analizzate la situazione con obiettività. Thorn queste cose le sa perché è l'intendente, è abituato a barcamenarsi tra le politiche e la burocrazia di tutte le arche. Non sarà fondamentale per i bambini sapere cosa si coltiva su Plombor, vi pare?
Renard parve riacquisire un po' di vigore. - Forse avete ragione. Le lezioni che mi hanno impartito mi sembravano... esaustive e complete.
- E allora fidatevi del vostro istinto. Sarete un ottimo istruttore. Ve lo dice chi ha già beneficiato dei vostri insegnamenti.
Finalmente Renard le sorrise, complice, ripensando al periodo in cui aveva fatto da guida al valletto Mime.
Thorn si schiarì la gola bruscamente. - Gradirei un po' di silenzio se non vi dispiace.
Renard raddrizzò la schiena, mettendosi militarmente sull'attenti, mentre Ofelia stringeva le labbra per non ridere. Quando incrociò lo sguardo dell'amico però non resistette più, e scoppiarono a ridere un istante, prima di coprirsi la bocca con le mani. Thorn li fulminò con un'occhiata delle sue solite, dure e penetranti, ma i due non poterono fare a meno di continuare a sghignazzare. Ofelia si rese conto che, se lei e Renard avessero avuto la stessa età e avessero frequentato la stessa classe, nella scuola di Anima, probabilmente sarebbero finiti nei guai diverse volte. Troppe volte.
- Sh! - li sgridò anche Serena, disturbata da quella distrazione.
Figlia di suo padre, era, altroché!
- Però non vi aspettate che io insegni loro l'algebra e la geometria. Se il signor intendente dovesse mai assistere ad una di quelle lezioni, credo che mi licenzierebbe.
- Sono d'accordo - assentì Thorn, interrompendo un secondo la spiegazione per rispondere a Renard, che aveva cercato di parlare ad Ofelia con il sussurro più basso che riusciva a bisbigliare.
Non era andata molto bene. I due continuarono a ridere impunemente, facendo del loro meglio per disturbare Thorn. Purtroppo, lui non diede loro la soddisfazione di reagire, nonostante la sua mascella fosse più contratta del solito.
Dopo un'altra mezz'ora di spiegazioni, quando anche Balder e Serena iniziavano a dare segni di cedimento e Renard si era addormentato con la testa appoggiata al pugno, Ofelia decise che ne aveva abbastanza. Ma poi Thorn non doveva lavorare?
- Chi vuole fare merenda? - domandò alzandosi, le gambe anchilosante dopo averle tenute immobili per un tempo prolungato. Le sentiva formicolare e sapeva che sarebbe stato meglio non muoversi per un po'.
Renard si alzò stiracchiandosi, con Balder in braccio che gli tirava i favoriti. L'omone lo sgridò bonariamente e, dopo avergli pizzicato una gota, lo mise per terra affinché si muovesse un po'. Era stato fin troppo immobile in quelle ore, assopendosi raramente. Salame invece gli saltò sulla schiena e si sistemò in equilibrio sulla sua spalla.
- Io! - saltellò gioiosamente Serena, facendo involontariamente agitare le code dorate dei tappeti. Balder applaudì, imitandola, e le frange dei tappeti vibrarono ancora di più.
Era proprio il caso di portarli ad Anima. Vittoria si riscosse dal suo torpore con più calma, alzandosi e lasciando per terra colori e fogli. Lei e Serena, di comune accordo, presero per mano Balder, aiutandolo ad alzarsi. Lo condussero fuori dalla porta in autonomia, come una combriccola di piccoli e allegri nani. Ofelia sorrise di fronte alla scena, e rimase sorpresa di vedere che anche Berenilde stava sorridendo. Annoiata, la signora si era scrutata le unghie per tutto il tempo, borbottando di tanto in tanto che la corte era molto più divertente. Di fianco a lei, il set da ricamo era rimasto intoccato. Ofelia sapeva che il suo era solo un distaccamento di facciata, dato che non partecipava più a feste e balli così spesso come in passato. Ci andava giusto per trovare Faruk, ma la verità era che in quella casa piena di bambini si trovava molto più a suo agio.
- Sarà meglio che li segua, prima che quelle dolci fanciulle abbandonino il povero ometto da qualche parte – si congedò Renard.
Berenilde lo seguì in silenzio, e Ofelia rimase sola con Thorn, instabile sulle gambe formicolanti. Lui la guardava intensamente. Sperava proprio che non avesse un attacco di gelosia dei suoi...
- Non devo essere granché come insegnante se i miei figli hanno preferito andare a fare merenda che ascoltarmi.
Oh santissima sciarpa! Che si agitò, stupita quanto Ofelia.
- Thorn, sono dei bambini! Mi meraviglio invece che ti abbiano ascoltato per così tanto tempo senza annoiarsi o distrarsi!
Rigido come uno spaventapasseri sulle lunghe gambe da trampoliere, Thorn non sembrava molto convinto.
- Thorn, Balder non ha nemmeno un anno e mezzo e Serena ne ha meno di cinque! Sono dei bambini piccoli. Se Salame fosse stato sveglio, invece che starsene immobile a sonnecchiare, i bambini si sarebbero distratti costantemente!
Notando che le sue parole non sembravano sortire il minimo effetto sull'atteggiamento del marito, Ofelia sospirò.
- Thorn, diciamo che sei un po'... rigido. Impostato, ecco. Non che ci sia nulla di male - aggiunse, quando il marito le lanciò un'occhiata tagliente. - Però devi tenere conto di chi è il tuo interlocutore. So che non sei abituato ad adattarti a... agli altri, ma non puoi parlare ai tuoi figli come parli ai governatori, con gergo tecnico e scientifico. I burocrati parlano il legislativese, Serena è ancora piccola. Non sa nemmeno cosa sia l'agricoltura, non puoi pretendere che capisca quali sono i metodi di coltivazione più all'avanguardia?
Thorn grugnì. - Pensavo che i membri della corte non capissero ciò che dicevo perché sono ignoranti, non perché io mi spiego male.
Ofelia sorrise leggermente. In effetti, loro avevano il dovere di conoscere i vari codici civili e penali, i commi, le leggi e le modifiche. - Forse hai ragione tu, credo che siano ignoranti in materia. Dovrebbero conoscere il gergo tecnico del mestiere che svolgono, loro.
Thorn si accigliò. - A tal proposito, cosa facciamo con il tuo studio?
Ofelia non si era dimenticata del suo lavoro. Spesso ci pensava. Le dispiaceva non poter fare ciò per cui era più portata, per cui si era impegnata così profondamente e che la dava tanta soddisfazione. Era brava nel suo lavoro, e ne andava orgogliosa. Non aveva mai aspirato ad essere una madre onnipresente e dedita solo e unicamente a figli e famiglia. Ad essere sinceri, fino a qualche anno prima non era nemmeno consapevole di voler essere una madre. Ma finché Balder e Serena erano così piccoli le dispiaceva perdersi qualche particolare della loro crescita, qualche nuova tappa. Diventavano grandi troppo, troppo in fretta. Nel giro di poco Serena avrebbe avuto cinque anni.
Non avrebbe mai pensato di sentirsi così.
- Io vorrei tornare ad esercitare, lo sai. Solo... non ora. Balder è piccolo. Magari quando comincerà ad essere un po' più autonomo e andranno entrambi a fare lezione con Renard, che li terrà impegnati tutta la mattina, potrò riaprirlo. Ora però non voglio perdermi le loro prime conquiste.
Ofelia si rese conto che era proprio quello il motivo per cui Thorn si prodigava tanto per riuscire a lavorare da casa, portandosi avanti all’intendenza quanto più possibile. Doveva essere orribile tornare a casa dopo una giornata di lavoro e scoprire che tuo figlio aveva cominciato a parlare senza di te, o a camminare, o aveva manifestato un potere senza riuscire a vederlo.
Thorn fece un brusco cenno col capo. - Concordo. Specialmente quando sono così piccoli, credo che... abbiano bisogno della presenza costante di un genitore. Di una madre - aggiunse sommessamente, sempre in tono impassibile.
Da fuori non era visibile nessuna incrinatura nella sua corazza, ma Ofelia lo conosceva. Lo conosceva bene, forse meglio di quanto lui conoscesse lei. E proprio per questo sapeva che le sue parole, per quanto inflessibili, fossero in realtà venate di amarezza.
Ofelia gli si avvicinò con l'intento di abbracciarlo, ma fu lui ad aprire le braccia quando lei fu a pochi passi. Si strinse a lui, grata di essere così piccola da poter posare l'orecchio direttamente sul suo petto. Lei e Thorn sembravano del tutto sproporzionati, ma la verità era che si incastravano perfettamente.
- Avranno un'infanzia felice, Thorn. Migliore della mia e della tua. Migliore di quella di chiunque altro.
La sua infanzia era stata gioiosa, tutto sommato. Tranquilla, per quanto il percorso di crescita di un animista, circondato da parenti considerati affini fino al quarto grado, possa esserlo. Famiglie sempre numerose, familiari sempre troppo presenti. Nulla di cui lamentarsi in confronto a quella di Thorn, comunque. Si era inclusa per quello, per non dover rimarcare la sofferenza del passato, l'infamia da bastardo che aveva dovuto subire. Che aveva assaggiato sulla pelle.
Thorn si irrigidì contro di lei, e subito dopo la strinse più forte.
- Devo tornare al lavoro.
Ofelia si rese conto che Thorn aveva sprecato due ore per andare dietro ai bambini. Una gravissima contravvenzione alle sue regole.
- Hai usato il tempo dedicato al tuo lavoro per stare dietro ai bambini? - gli chiese sorpresa.
Thorn la guardò come se avesse parlato in un'altra lingua. Ossia con imperturbabilità, ma le sopracciglia erano aggrottate. - Certo che no. Un'ora e cinquantasette minuti ho parlato loro di geografia, continuando però a redigere tre relazioni che dovevo assolutamente concludere entro oggi. Ho corretto una bozza legislativa, anche. Solo negli ultimi minuti, dato che ero in anticipo, mi sono permesso di alzarmi per illustrare sulla cartina dove si trovassero le arche e le zone che stavo descrivendo. Ma era lavoro anche quello: devo valutare l'attualità e la precisione delle cartine in dotazione alle strutture burocratiche e istruttive del Polo. Ci sono stati degli aggiornamenti nei confini e nella morfologia del territorio. Alcuni crolli hanno inciso profondamente sull'occupazione dello spazio circostante. Quindi, mentre spiegavo, confrontavo le varie cartine che abbiamo noi con quelle nuove che mi hanno fatto pervenire, per esaminare l'eventu...
Ofelia si mise a ridere e, preso Thorn per la giacca, lo tirò verso di sé, schioccandogli un bacio rumoroso sulle labbra.
Thorn si raddrizzò non appena l'ebbe lasciato andare, schiarendosi la gola e rassettandosi le spalline della divisa. Era a disagio. - Perché? - le chiese.
Ofelia scosse la testa. - Per farti stare zitto. Perché mi fai ridere. E perché mi andava. Ci vediamo a cena, vado dai bambini - si congedò, lasciandolo lì impalato a riflettere sulle sue parole.
Quella notte, non appena ebbero messo a letto Balder, che non si era voluto addormentare fino all'ultimo, Ofelia si rese conto che qualcosa non andava in Thorn. Era stato taciturno... più taciturno del solito durante la cena e la serata. Era evidente che qualcosa lo angustiava.
- Che c'è? - gli chiese infatti mentre Thorn riponeva con cura i gemelli sul comodino, di fianco all'orologio da taschino.
Ofelia fece lo stesso con gli occhiali ma, lungi dall'essere precisi e obbedienti come gli effetti personali di Thorn, si misero subito di sghimbescio senza apparente motivo. La sciarpa invece si dimenò per andare con Balder, rischiando di strozzarla o farla cadere per la forza con cui tirava. Dopo essersi liberata di ogni orpello, eccetto gli immancabili guanti, si voltò verso Thorn. Immobile, rigido, con lo sguardo fisso, sembrava più che mai un rapace. O una statua.
- Allora? - lo incalzò Ofelia, perplessa di fronte al suo atteggiamento.
Thorn scosse la testa, senza emettere un suono, e si sdraiò. Spense la lampada non appena l'ebbe fatto anche Ofelia, anche se era del tutto inutile dato che, senza occhiali, poteva anche essere sotto il sole di mezzogiorno: non avrebbe visto nulla lo stesso.
Ofelia si fece largo nell'ampio letto per avvicinarglisi e abbracciarlo, posando la testa sul suo petto. Percepiva l'inquietudine di Thorn meglio della propria, ma se lui era deciso a non volerla mettere a parte, non avrebbe insistito.
Stava per scivolare nel sonno quando lui la riscosse dal suo torpore.
- Cosa vuol dire che ti faccio ridere?
- Mh? - mugugnò Ofelia, abbastanza stizzita, cercando di comprendere le sue parole.
- In che senso ti faccio ridere?
- Non capisco - farfugliò. Non la stava facendo ridere, la stava facendo addormentare con il tepore del suo corpo.
- Prima, quando mi hai... baciato per zittirmi, hai detto anche ti faccio ridere. In che senso ti faccio ridere? Appaio ridicolo?
Ofelia sbatté freneticamente le palpebre al buio, e successivamente si rimise a ridere sommessamente.
Thorn trattenne a stento uno sbuffo. - Che ho detto ora?
- Non ti è mai capitato di far ridere qualcuno per via del tuo atteggiamento? Sai quante volte io ho fatto ridere mio fratello perché non mi accorgevo di qualche dispetto della sciarpa o di aver invertito le scarpe o perché cercavo gli occhiali che avevo sulla punta del naso?
Thorn rimase zitto per un po', indeciso. Poi chiese: - Come hai fatto a non renderti conto di avere gli occhiali sul naso?
Ofelia ridacchiò di nuovo. – Avevo la vista appannata e pensavo di non averli perché ci vedevo male.
Thorn si azzittì di nuovo, così Ofelia riprese la parola. – Non significa essere ridicoli, non ti pare?
- No – mormorò Thorn. – Ti faccio spesso ridere? Per quello che faccio?
Ofelia rise di nuovo, a bassa voce, e Thorn sentì vibrare la vibrazione del suo corpo contro il petto. – Abbastanza, sì.
- Quando?
- Ah, non lo so. Dipende.
- Tipo? – insisté lui, insoddisfatto.
Ofelia sbuffò, per nulla infastidita. – Vediamo… quando cambi il pannolino a Balder. Non fai una smorfia di fronte all’odore, all’idea di toccare lo sporco, lo lavi e fai tutto quello che devi fare senza una piega, e poi quando devi mandare in lavanderia il pannolino lo prendi con la punta delle dita e lo guardi come se rischiasse di esploderti in faccia. Lo tieni il più distante possibile da te. Oppure quando ti fai la barba la mattina. Non te ne rendi nemmeno conto, ma spalanchi gli occhi mentre ti radi, sembri un po’ un pesce. Ogni tanto borbotti nel sonno. Quando i mobili o i tappeti sono particolarmente vivaci li guardi malissimo, come a volerli intimidire con la forza del pensiero. Quando riponi gli oggetti sul comodino prima di dormire rimani alcuni istanti immobile, credo per contemplare il loro ordine e la simmetria perfetta, e annuisci soddisfatto. Parli a Balder e Serena come se fossero degli adulti, e la fai sembrare una cosa perfettamente normale. Ma sembri disorientato quando loro fanno cose infantili come sporcarsi con i colori o mettere in disordine. Ti irrigidisci e inarchi le sopracciglia, come se temessi di essere contagiato dal caos e volessi ritrarti. E quando prepari la vasca, prima di immergerti saggi sempre l’acqua con un dito del piede, in equilibrio precario. Se è troppo fredda grugnisci. Questi sono i casi che preferisco. Devo continuare?
Thorn ci mise un po’ a rispondere. – Sì.
- Vediamo… Quella volta che ti si è appiccicata una gomma da masticare alla scarpa. Eri così inferocito con la scarpa che sei rimasto fermo al tuo posto cercando di toglierla per dieci minuti. E quando ci sei riuscito hai fatto una faccia soddisfatta che era esilarante, come se il mondo fosse tornato al suo posto. Poi ne hai pestata un’altra – raccontò Ofelia, concitata, cominciando a ridere. Alla fine rideva così tanto che dovette tapparsi la bocca per non svegliare Balder. – Eri così divertente. Sembrava una sfida personale tra la tua determinazione a liberarti della gomma e la sua a rimanerti attaccata alla scarpa.
Ofelia cercò di recuperare il respiro prima di parlare nuovamente. – Non ti piacciono i finocchi. Quando li servono li accantoni sempre in un angolo del piatto fissandoli con disgusto, come se potessero farti del male. Hai la stessa espressione schifata di un bambino cocciuto in quei casi. Quando Renold racconta qualche barzelletta tu ti soffermi sempre su qualche dettaglio banale e insignificante che non ha alcuna pertinenza con la parte ilare dello scherzo, perché fai fatica a capirne il senso. Ogni volta che c’è una piega sul divano la sistemi. Una sera ti ho visto farlo per una ventina di volte, quando tua zia ti si era seduta accanto ma si era alzata a più riprese per mimare i balli di alcuni conti imbranati.
- Dodici volte – la corresse Thorn.
Ofelia dovette calmare un altro accesso di risate. – Quando senti un odore sgradevole arricci il naso come un coniglio. Ogni volta che Serena ti è in braccio e ti infila le mani tra i capelli tu te li ripettini quasi in automatico. Lei spettina, tu pettini, lei spettina, tu pettini. E non sembri neanche renderti conto che lei spesso crede che sia un gioco.
- Non sopporto il disordine – si schermì lui.
Ofelia ridacchiò ancora. – Ma anche io spesso ti spettino, eppure tu non ti risistemi fino al mattino dopo.
Thorn non rispose, e per un po’ regnò il silenzio. Sentiva il cuore di Ofelia battergli contro il fianco.
- Posso dormire ora? – domandò Ofelia.
- Sì.
- Come mai tutte queste domande?
Ofelia lo sentì stringersi impercettibilmente nelle spalle. – Ti vedo sempre ridere per qualcosa che dice Renold, talvolta anche l’ambasciatore. Io non sono… spiritoso. Con loro ridi e sorridi molto più che con me. Mi chiedevo quindi se in qualche modo anche io ti… facessi venire il buonumore.
L’ilarità di Ofelia era sparita. Si strinse a lui. – Certo che mi fai venire il buonumore. E mi fai ridere più spesso di quanto tu creda, anche se magari involontariamente. Non importa quanto mi facciano ridere gli altri, Thorn.
- Quindi… - mormorò Thorn, prima di zittirsi. Ci mise un po’ a riprendere la frase. – Quindi dovrei preoccuparmi di Faruk?
- In che senso?
- Se non devo temere chi ti fa ridere, forse hai un debole per gli uomini seriosi. Faruk ne è l’esempio per antonomasia. Dovrò cercare di essere più… come lui. Magari potrei far finta di dimenticarmi qualcosa. Chi sei, per esempio.
- Sei serio?
- No.
- Era una battuta?
Ofelia intuì la smorfia che doveva aver dipinta sul volto. – Un tentativo.
Sbalordita, Ofelia esclamò a mezza voce: - Ma era pessima!
- Non sono bravo in queste cose.
Ofelia ormai stava ridendo sul serio. – Era talmente pessima che non ho nemmeno capito che fosse una battuta!
Risentito, Thorn brontolò e si girò sul fianco per dormire.
Ofelia continuò a ridacchiare. Alla fine lo abbracciò da dietro, strofinando la faccia contro la sua schiena calda. – Non è necessario far ridere una persona per metterla di buonumore.
- E cosa serve, allora?
- La presenza. Ogni volta che ti vedo con i bambini sono felice. Non mi serve altro. Davvero.
Ofelia scivolò lentamente nel sonno, finalmente. Non si perse, però, l’abbraccio di Thorn, che si voltò verso di lei e la strinse a sé pensando che stesse già dormendo.
- Per lo meno non devo fare il buffone per farti felice. Avrei dovuto comprare una parrucca, credo.
Ofelia si addormentò col sorriso.
  
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