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Autore: _Cthylla_    11/02/2021    1 recensioni
Un'illuminazione è giunta a Tarn, il comandante della Decpeticon Justice Division: tentare di scrivere certe memorie giovanili, risalenti a quando aveva un altro aspetto, un altro nome, un appartamento minuscolo in un settore di Cybertron non privo di disagi e, soprattutto, i vicini di casa peggiori della storia. Perché non tutti i Megatron sono uguali!
[Il contesto corretto sarebbe generale/vago. Maggiori dettagli nella premessa.]
Genere: Demenziale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Megatron, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Generation I
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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Memorie, capitolo [numero ancora da definirsi]:  I vicini di casa peggiori della storia














Una cosa che mi accade sovente e mi accadeva anche prima del trasferimento in quel di Kostrobna è, per una ragione o l’altra, svegliarmi all’alba o ancor prima dell’inizio di essa, come oggi.

 
Non sempre è colpa del rumore prodotto dalle genti ubriache, dai veicoli vecchi e malconci che passano sferragliando in modo detestabile lungo la strada o dalle tubature nelle pareti intente, forse, a protestare a loro modo per essere state montate in questo condominio da costruttori sadici; a volte -spesso. La maggioranza. Sono le mie memorie, posso essere onesto con me stesso?- a destarmi sono i miei stessi pensieri. Il mio processore ne è pieno, lo è sempre stato. Penso al passato, al presente, al futuro: nulla di allegro. Non lo è praticamente mai.
Penso anche a me stesso, e quando penso a me stesso diventa tutto ancor più cupo. Rievoco in maniera costante i fatti occorsi nei giorni precedenti, le conversazioni, le parole degli altri, le mie in risposta, quando ci sono state, e immagino scenari differenti. “Avrei potuto dire”, “avrei dovuto fare”… non mi lasciano in pace, insieme alla sensazione di non aver mai agito nel modo corretto e il dubbio di non esserne in grado, non abbastanza, mai abbastanza, perché io non sono abbastanza.
In questi momenti mi sento perso, senza prospettive. D’altra parte quali prospettive può avere una persona come me?
Il mio obiettivo momentaneo è raggranellare abbastanza shanix da poter lasciare Kostrobna e tornare a vivere in una parte migliore della mia città natale, con un tenore di vita migliore grazie a quel che sto risparmiando e all’esperienza acquisita che dovrebbe permettermi di trovare un lavoro migliore, più sicuro, ma certe volte ho il dubbio che non riuscirò neppure in questo. Sono abile ma non mi promuovono: non ho l’atteggiamento giusto. Non sono giusto.
 
Non abbastanza, mai abbastanza… è il leitmotiv di sempre.
 
Il dubbio poi diventa certezza, la certezza diventa una sensazione di ansia così opprimente che restare sdraiato sulla cuccetta in questo buco di appartamento diventa insopportabile. Capisco di aver bisogno di uscire all’aperto quando il mio sistema di ventilazione inizia a lavorare male. Sotto questo punto di vista ci sono stati dei miglioramenti, non mi accade più così spesso come quando vivevo a Tarn -il che è paradossale considerando l’ambiente e le persone caotiche che mi circondano qui a Kostrobna- ma lo fa ancora, certo che lo fa ancora: è l’ennesimo aspetto di me che non va.
 
Esco, percorro il corridoio quasi di corsa, salgo le scale tre a tre. Il mio obiettivo è il tetto del palazzo, in alto, lontano dalla strada, dalla gente che a quest’ora risulta comunque poca e nulla, lontano da miserie in cui resto sempre e comunque invischiato come ad aver fatto un bagno nell’olio guasto. Arrivo alla porta, riesco ad aprirla nonostante la resistenza prodotta dalla corrente d’aria. Il vento freddo è come uno schiaffo in pieno volto, ma non mi dispiace, perché ho sempre apprezzato molto più il freddo del caldo, e la neve ancor più del solo freddo.
 
Mentre mi trascino lentamente a un paio di metri dal bordo del tetto, rigorosamente privo di parapetto -d’altra parte questa è Kostrobna, le misure di sicurezza sono un’opinione. Per la precisione un’opinione che a nessuno interessa ascoltare- mi accorgo del leggero tremore delle mie mebra. Vorrei che c’entrasse la temperatura ma è la mia solita maledettissima debolezza.
Ho voglia di urlare e allo stesso tempo di non parlare mai più, di prendere a pugni qualcosa o qualcuno e di sdraiarmi a terra restando inerte. Odio questo settore, odio la vita, la galassia e l’Universo tutto perché non riesco a trovare un posto in esso, vagolando in un’esistenza miserevole carico anche di una solitudine “interna” che percepisco in maniera pressoché costante.
 
 
[Mentre le memorie fluiscono dalla mia testa al datapad mi sorprendo sia della quantità di dramma inutile, sia di quanto i ricordi siano vividi. Anche troppo per i miei gusti. Ero così giovane e così sciocco… sono oltre ormai, ho trovato il mio scopo, il mio posto. È tutto sotto controllo. Va tutto bene.]
 
 
«Vicino!»
 
Lo strillo che mi sale spontaneo alle labbra è poco virile ma pienamente giustificato dalla stramaledetta mossa della mia stramaledetta vicina di appartamento che ha avuto la stramaledetta idea di spuntare fuori dal nulla senza avvisare, come del resto succede molto spesso. Come possa una persona chiassosa come Wraith essere così silenziosa, quando le pare -in perfetto accordo con la sua abilità, che la rende impalpabile, e il suo stesso nome, che rievoca uno spettro- risulta tutt’oggi un mistero per me.
 
«M-ma che diam- COSA ci fai TU qui a quest’ora?! E piantala di arrivare di botto! È insopportabile, capito?!... nemmeno prima dell’alba si può stare in pace, nemmeno adesso, maledizione!»
 
«A dire il vero ero qui da prima di te, ti ho visto uscire» rivela lei «Io e Megatron siamo tornati una mezz’ora fa: lui è a duecento metri da qui con un paio di ragazze, sai come va, e io non avevo ancora voglia di andare a dormire».
 
Le mie angosce e la mia rabbia dirette al tutto diventano un grumo di collera diretto a una persona molto precisa, alias la femme che mi sta davanti con un cubo di energon extra forte semivuoto -e poi vuoto, dopo un sorso, e poggiato a terra- in mano, l’espressione più serena del mondo e che si azzarda perfino a sorridere.
Ed è una cosa insopportabile.
Vive in una topaia poco più grande della mia, non ha uno straccio di lavoro, non ha colleghi e superiori di cui curarsi perché lei e quel bel tomo del suo gemello trovano comunque di che campare, la sua vita è un susseguirsi incessante di disagio, bevute, feste, risse in cui si trova coinvolta insieme al fratello -…che le crea- pensa solo al “qui e ora” senza mai preoccuparsi del futuro, cos’ha da sorridere? Cosa?!
 
Il mio pugno parte da solo, diretto al volto di questa “disgraziata” -come Megatron la definisce spesso senza per una volta avere torto- maledettamente tranquilla che inclina la testa da un lato in un movimento tanto rilassato da avere dell’irreale; in ciò non cambia espressione, la mia rabbia le scivola addosso come olio sul piano inclinato del suo totale menefreghismo, il che mi fa solo infuriare di più.
 
«Dunque, come mai sei qui a quest’ora?» mi domanda mentre il secondo pugno che le sferro passa a un paio di centimetri di distanza dal suo naso «Sei stato in giro tutta la notte anche tu?»
 
«Fatti» un altro pugno a vuoto «Gli» e un altro ancora, l’ennesimo, e il risultato non cambia «Affari» mi porto in avanti, tento di afferrarla, le mie mani stringono il nulla e quasi perdo l’equilibrio «TUOI!»
 
La rabbia e tutto il resto risultano più sopportabili ora che ho qualcuno contro cui dirigerli. Il senso di oppressione che mi ha portato quassù inizia ad attenuarsi leggermente, il sistema di ventilazione torna a funzionare in modo regolare, man mano i miei colpi acquistano vigore e velocità, e la mia immane frustrazione si sposta tutta sul fatto di non riuscire a dare a questa dannata ficcanaso quel che si merita, sia per la sua invadenza continua, sia per tutto l’assoluto disagio che sono costretto a subire da parte sua e di suo fratello.
 
«Si vede che Megsha ti sta facendo allenare insieme a lui più spesso» commenta, e schiva un mio affondo che va a finire contro la porta dalla quale sono uscito poco fa «Il modo in cui dai i diretti è molto simile al suo».
 
Sì, sono costretto a subire gli allenamenti con a quel grosso cafone tamarro di Megatron,
 
 
[L’effetto dato dall’associare il Suo nome a simili aggettivi è così profondamente sgradevole!... perché, perché quel disgraziato del mio per fortuna ormai ex vicino di casa doveva avere l’onore di portare proprio il Suo stesso nome?]
 
 
non ho altra scelta considerando che se non gli do corda continua a provocarmi fino a farmi innervosire abbastanza da scatenare una discussione che, potenzialmente, potrebbe finire con me sbattuto contro la parete che divide i nostri due appartamenti e con la parete in questione sfondata.
Un’altra volta.
Meglio non parlare del modo in cui abbiamo tentato di ripararla finendo soltanto per sfondarla ancora di più, rei di non aver ricordato di avere a disposizione una transfasica che, tornata a casa, avrebbe potuto infilare nell’apertura lamiere su lamiere con immensa facilità. In mia difesa, e anche di Megatron, posso solo dire che comunque non saremmo stati sicuri del suo essere abbastanza sobria da portare a termine il compito.
 
«Taci! Nessuno ve l’ha chiesto, nessuno vi ha chiesto niente!» esclamo, tornando all’attacco dopo essermi massaggiato brevemente le nocche «E smettila di muoverti!»
 
«Quando sei abituata a cercare di evitare il mestolo di babushka Valka, a volte con successo ma molto più spesso purtroppo no E anche quando hai successo finisci col beccare il triplo delle mestolate appena ti ha a portata di mano, il tuo corpo si mette a schivare le botte da solo! È il trauma, blyat!» blatera Wraith mentre cammina all’indietro «E aggiungo che quando sai che babushka è sulle tue tracce anche farti ospitare da un ursanokor per nasconderti non pare una brutta idea».
 
«Peccato solo che l’ursanokor non ti abbia mangiata!»
 
«Naaah, Vladsha non l’avrebbe mai fatto, da piccoli era uno dei nostri migliori amici».
 
Megatron e Wraith avevano un ursanokor come migliore amico quando erano piccoli.
Un ursanokor come migliore amico.
D’altra parte siamo a Kostrobna ma dettagli allucinanti come questo rientrano tra le cose delle quali non riesco proprio a capacitarmi, anche se mi riesce più difficile pensare che sia una bugia piuttosto che pensare che sia vero.
 
«Io, lui e Megatron giocavamo spesso alla lotta, solo che babushka per qualche motivo che ignoro non voleva che ci frequentassimo, quindi quando ci beccava insieme fuggivamo tutti e tre nella sua tana… o comunque ci provavamo».
 
Ne ho abbastanza di starla a sentire, ne ho abbastanza di lei, del fratello, di tutto. Sono esasperato, sono arrabbiato. “Se solo potessi strapparle via la testa!”, penso perfino: d’accordo, non so quanto sia seria la mia voglia di fare davvero qualcosa di tanto violento, ma quella di prendere a pugni questa disgrazia con le corna c’è tutta.
 
Scatto in avanti, stavolta sono stato particolarmente veloce, riesco a sentire vagamente il calore del corpo di Wraith...
E succede di nuovo, come all’inizio: si sposta di lato con fluidità e il mio pugno colpisce solo l’aria, ma stavolta sento sul braccio un tocco leggero che devia completamente la traiettoria del mio colpo, del mio braccio e dell’intero me stesso, completamente senza equilibrio e decisamente troppo vicino al ciglio del tetto.
La paura di finire col cadere mi impedisce di capire bene cosa succede negli istanti successivi, so solo che il braccio sinistro di Wraith è attorno alla mia vita e di dà una leggera spinta all’indietro, la sua mano destra preme sulla schiena alla stessa altezza, e mentre lei mantiene saldamente l’equilibrio per tutti e due io sono fermo a guardare la strada sotto di noi.
 
«Ti tengo» la sento dire vicino a uno dei miei recettori audio «Tranquillo».
 
Alle mie gambe non manca nulla per essere stabili se non la consapevolezza di esserlo. Riprendo l’equilibro. Lo stupore e la paura hanno fatto svanire completamente la rabbia, anche se la mia scintilla pulsa in modo fastidiosamente forte a causa di essi. Anche l’ansia e il senso di costrizione nel mio sistema di ventilazione, ossia quel che mi aveva spinto quassù, sono scomparsi. Sto meglio. Oserei perfino dire che sto molto meglio, il tremore è molto più ridotto.
Il braccio di Wraith, lungo e sottile quanto saldo, è ancora attorno alla mia vita.
 
«È tutto ok, a volte ci sta sfogarsi un po’».
 
Realizzo che, se Wraith era già sul tetto al mio arrivo, probabilmente aveva notato le condizioni in cui versavo e tutte le sue successive azioni sono state fatte di proposito.
È invadente, è chiassosa, è alcolizzata, è -assieme al fratello- la personificazione di tutto il meglio e il peggio del disagio profondo che aleggia a Kostrobna, ma nella mia permanenza in questo settore ho avuto modo di comprendere che, per fortuna o purtroppo, né lei né Megatron sono due stupidi, e che dunque i difetti elencati in precedenza derivano semplicemente dall’essere stronzi; e nonostante questo è riuscita a farmi stare meglio.
 
Non so come sentirmi a riguardo.
Non sapere come sentirmi riguardo certe loro azioni nei miei confronti è qualcosa che accade spesso.
 
Rendermi conto di tutto questo mi porta a pormi domande stupidi quali “Se l’avessi colpita davvero, Damus? È più alta di te ma è sottile, non ha la struttura fisica del fratello. È una femme profondamente esasperante ma tutta quella rabbia non era rivolta a lei per davvero, è con te stesso che ce l’avevi e lo sai benissimo. Potevi…”
 
«… uccidere qualcuno che voleva solo aiutare».
 
Non l’ho detto ad alta voce, vero?
Non mi sono lasciato sfuggire certi pensieri per davvero, giusto?
 
(nota dell’autore: ahimè l’avevo fatto, ennesimo inaccettabile atto di debolezza. In quel frangente, pur non essendo nel torto nella parte riguardante la struttura fisica, avevo dimenticato un fondamentale dettaglio qual era la sua natura di kostrobnese. I kostrobnesi sono una piaga pressoché impossibile da estirpare, più o meno come la tendenza dei Phase Sixers alla ribellione.)
 
«Io sono transfasica, ricordi?»
 
«N-non è automatica. La transfase. Non scatta da sola quando sei in pericolo».
 
«Vero, Dasha, ma tu non sei babushka e non hai un mestolo. Anche per paralizzarmi una parte del corpo avresti dovuto toccarmi».
 
Tra i vari difetti snervanti delle genti di Kostrobna c’è anche questo modo di storpiare i nomi delle persone facendoli terminare con la desinenza “-sha”, ragion per cui “Damus” diventa immancabilmente “Dasha”, ma del nomignolo mi curo ben poco stavolta, ho il processore impegnato con ben altri pensieri.
Lei poggia le mani sulle mie spalle. Il fatto che io percepisca il gesto come tranquillizzante risulta quasi fastidioso all’inizio e so che dovrei almeno voltarmi a guardarla, ma al momento sapendo che ha assistito a tutta quella scena patetica non ci riesco.
 
«E non ci sono andato vicino» mormoro.
 
«Njet» conferma, facendo poi una breve pausa «Hai voglia di narrarmi i tuoi disagi? Sono quasi sobria al momento».
 
«No. Non era niente di importante, solo… pensavo. E alla fine mi sono ritrovato quassù».
 
Non mi va di spiegarlo, non alla mia vicina molesta con addosso la perenne “fragranza” dell’energon extra forte, e in ogni caso non capirebbe. O forse sì, e in un certo senso sarebbe perfino peggio.
 
«È anche per questo che spesso reagisci in ritardo, e non solo quando si tratta di darle o prenderle in una rissa. Hai il processore sempre troppo pieno, vicino!»
 
Purtroppo non posso darle tutti i torti, ma non glielo dirò. «E tu e tuo fratello ce l’avete perennemente vuoto» borbotto «O pieno di energon extra forte, che poi è la stessa cosa».
 
La sua assurda risata simile al verso di un gabbianocon pugnala i miei recettori uditivi. Trovo sempre incredibile che qualcuno con un timbro di voce caldo e scuro come il suo, possa emettere un rumore così stridulo. Per fortuna non dura molto.
 
«Hai notato che oggi col vento l’aria è bella pulita quassù?» mi domanda, non so perché, e inspira profondamente «Prova anche tu, il tuo sistema di ventilazione ringrazierà».
 
Inizialmente borbotto qualche protesta, ma riconosco che la cosa non può far danni, dunque l’assecondo. Qualsiasi cosa pur di non guardarla in faccia.
Dopo vari respiri profondi il tremore passa del tutto.
 
«Forse già lo sai, vicino, ma io amo particolarmente i luoghi alti. Conosco i tetti bene quanto le strade. Il mio posto preferito in assoluto è la torre laggiù» dice Wraith, indicando una torre che si riesce a distinguere chiaramente nonostante la distanza «Ma qualunque cosa sia in alto è ok. Qualsiasi posto ti permetta di osservare più parti di questa meraviglia di settore è ok…»
 
Mi permetterei di dissentire se non fosse che lasciarla parlare, insieme ai respiri, contribuisce a rilassarmi.
 
«E qualsiasi eventuale problema diventa più piccolo o sparisce. Tu sei qui, il resto è laggiù, e va tutto bene. Nulla ti tocca, Damus. Ripeti dopo di me: nulla ti tocca».
«Nulla mi tocca…»
 
«”Va tutto bene”».
 
«Va tutto bene…»
 
«“Se hai fame prendi tutti i semechki che ho nello scomparto”…»
 
«Se hai fame prendi tutti i semechki che ho- ma CHE DIA-»
 
«Sei il miglior vicino del mondo, blyat!» esclama la disgraziata, e mi giro di scatto solo per vederla andare di corsa verso la porta  «E direi che dovremmo andare in ricarica tutti e due, Megatron parlava di non so quale idea che aveva per oggi pomeriggio e che coinvolge anche te. C’è stato un allagamento verso ovest, mi sa che c’entrava quello…»
 
No. No, no e poi no. Non so cos’abbia pensato Megatron ma qualsiasi cosa sia non voglio farne parte, né mai né tantomeno oggi. «Qualunque cosa sia sappi che io non intendo minimamente-»
 
«Non intendi minimamente perdertela, ci credo!» annuisce lei «A dopo, vicino!»
 
«WRAITH
 
È scomparsa nel pavimento, da buona transfasica nonché da buona vicina di casa peggiore della storia: certe cose non cambiano mai e lei e il suo gemello sono una piaga sempre e comunque, anche se… anche se
 
 
 
 
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°°° CANCELLAZIONE FILE “CAPITOLO #####” ESEGUITA °°°
 
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