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Autore: Itzi    11/02/2021    3 recensioni
[STORIA INTERATTIVA -ISCRIZIONI CHIUSE]
Il ragazzo si appoggiò alla vetrina, studiandosi le unghie corte con finta noncuranza. «Perché, abbiamo cose di cui preoccuparci?»
            «I nostri cari vecinos avranno di nuovo fatto casino…Ottanta anni fa se ne sono usciti con quella cosa degli imperatori; abbiamo avuto le comunicazioni bloccate per mesi, un incubo!» Gesticolò con una mano, ritirando i soldi che gli aveva poggiato vicino alla cassa «Convivenza civile un cazzo. Entro la fine di questo secolo finirò per prendere qualcuno a calci in culo, me lo sento!»
           «Uuh, quindi… Siamo di fronte a uno scontro tra Pantheon ? Ma davvero?»
*****
«Non è stata colpa mia.» Da come Olivia lo guardò, dedusse che non era per nulla credibile.
            «Allora perché sei scappato?»
         «Perché tutti saltano alle conclusioni! Senti, ieri sera, è successo qualcosa.» Si avvicinò leggermente allo schermo, con fare furtivo, quasi avesse paura di essere ascoltato. «Qualcosa che la Casa non può più ignorare.»
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Ecate, Gli Dèi, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI
THE LOVERS
Parte Quarta
 
 
Dopo quasi una settimana, aveva finalmente smesso di piovere. Non ci aveva badato molto appena sveglia visto che era corsa negli appartamenti di Taewook- san, ma il cielo era tornato ad essere di un’unica sfumatura piatta di grigio che si intravedeva dalla finestra.
            «Spogliati.»
            Ayano trattenne il fiato e si impose un minimo di compostezza per non alzarsi e correre via da lì. Lo speziale assottigliò appena gli occhi continuando ad osservarla senza mostrare la minima espressione. Aveva capelli biondi arricciati sotto una bandana viola, del trucco rosso sulle palpebre e orecchie allungate verso l’alto.
            «Per vedere meglio il segno.» Rimarcò, nel caso avesse frainteso le sue intenzioni. Ovviamente Ayano sapeva che era lì per quello, ma l’implicazione nelle sue parole la fece lo stesso avvampare. Kayo, l’assistente dello speziale, gli tirò uno scappellotto sul retro della nuca.
            «Ma ti pare che glielo puoi chiedere così? Almeno girati!»
            Il ragazzo la guardò con la perplessità dipinta sul viso, e Kayo premette le mani sulle ginocchia coperte dal suo kimono giallo.
            «Perché?»
            «Perché magari si vergogna!»
            «Oh!»
            Ayano scosse la testa. «Non c’è problema, davvero!» Disse, e prese ad allentare con le dita l’obi del kimono. Fece scivolare le spalline della veste sfilandosela dalle braccia e, una volta rimasta in maglietta, si adoperò per toglierla senza dover per forza slacciare la cintura e buttare al vento i dieci minuti che Tsukki ci aveva messo per allacciargliela al meglio.
            Il marchio, segno, o qualsiasi cosa fosse, le copriva l’intera clavicola, impresso sulla pelle come un tatuaggio. Oltre ad essere troppo grande, la metteva a disagio e non capiva come potesse essere comparso: la sera prima si era limitata ad andare a dormire senza che nulla di strano succedesse.
            «Si è gonfiato…» Borbottò Kayo. Lo speziale allungò le dita e cominciò a tastarle la pelle con delicatezza, senza però migliorare la situazione. Alzò lo sguardo, osservando Tsukki che, in piedi accanto all’uscio della porta, muoveva a scatti le orecchie palesando tutto il suo nervosismo. Taewook-san era seduto in ginocchio al tavolino dove avevano servito il thè.
            Lo speziale rimase chinato su di lei abbastanza da farla arrossire. A un certo punto, nemmeno Tsukki fu più di distrazione, e si ritrovò a sobbalzare con le guance calde all’ennesimo tocco. L’uomo assottigliò gli occhi e dopo un momento ritrasse le dita.
            «Allora?»
            «Non ho idea di cosa sia.»
            Ayano vide il volto di Taewook–san contrarsi in un principio di fastidio.
            «Nessun odore strano, né energia propriamente malvagia. Sembra solo un tatuaggio; sicuro che la ragazza non sia scappata in qualche sottoscala illegale in preda agli ormoni?»
            «Certo che no! Non sono così… Così…!» Strepitò, con il viso paonazzo, non riuscendo nemmeno a terminare la fase.
            Abbassò la testa e riprese a vestirsi tenendo lo sguardo incollato sulla stoffa del suo kimono; Teawook–san si limitò ad alzare un sopracciglio prima di rivolgersi di nuovo allo speziale.
            «Sei sicuro non ci sia altro?»
            «No. Non ho mai visto nulla di simile, ma non sembra opera di un mononoke. E, perdonami, se lo fosse stato, lo avresti avvertito. Sono ancora convinto che tu mi abbia chiamato solo per confermare i tuoi sospetti.»
            «Cambierebbe qualcosa? Sei sempre in giro, almeno ti rendi utile, visto che nessuno compra più i tuoi intrugli.»
            Lo speziale sospirò mormorando qualcosa su come fosse scomodo camminare con i geta sulle metropolitane per attirare l’attenzione, poi le dedicò un’ultima occhiata, quasi di sfuggita.
            «Portala al tempio.» 
            «Oh, posso farlo anche io, se siete troppo impegnati.» Disse Kayo, sorridendole. La ragazza era l’unica che si sforzava di non darle le spalle e parlare come se non fosse stata presente, una premura che apprezzava molto e che almeno un po’ attenuava l’imbarazzo.
            «Non serve. L’accompagnerò in città, tu e Kusuriuri potete rimanere coi ragazzi.»
            Dal fondo della sala, Tsukki si irrigidì appena. Aveva la coda attorcigliata tra le gambe e tra i ricci spuntavano appena la punta delle orecchie; i suoi occhi erano più brillanti e ferini del solito. Non aveva detto nulla dall’arrivo dei due nuovi ospiti, e non si era sbilanciata in nessun modo com’era solita fare, e questo aveva lasciato Ayano stranita. Sembrava quasi fosse intimorita e, se nei riguardi dello speziale poteva comprenderla, le pareva strano fosse schiva anche con la gentilezza di Kayo.
            Le fece un cenno col capo, ma la ragazzina voltò la testa e i capelli le nascosero il viso.
 
 
 
I templi del complesso di Ise venivano abbattuti con cadenza ventennale, per poi essere ricostruiti e consacrati prima del solstizio d’inverno. Quell’anno, i lavori si erano protratti per mesi e, nonostante alcune strutture non fossero finite, l’afflusso di persone e turisti era rimasto costante, preannunciando un aumento in vista delle festività.
            Aveva già avuto l’occasione di visitare il santuario più volte, ma farlo con Taewook-san accanto le sembrava diverso, e non era sicura se fosse un bene o no. Da quando avevano lasciato il Campo si erano rivolti a malapena la parola, e Ayano aveva provato a distrarsi senza successo: a quanto pare, ritornare in città dopo mesi non le aveva dato il conforto sperato.
            Passarono un lungo ponte che dava sul letto di un fiume in secca. Più in basso, un gruppo di monaci e inservienti era intendo a strofinare delle pietre basse e piatte, in un lavoro di manutenzione che non le sembrava particolarmente efficace ma che era indice di un’altra peculiarità di Ise, ossia la presenza massiccia di sacerdoti e sacerdotesse che viveva nel villaggio centrale, chiuso al pubblico. L’unica cosa che si riusciva a scorgere erano i tetti dei templi e, neanche a dirlo, quella era proprio la direzione che avevano intrapreso.
            Per un momento, Ayano fu sul punto di chiedere a Taewook-san come, di grazia, sarebbero riusciti ad entrare, ma la sua domanda non vide mai la luce. La kitsune le premette una mano sulla spalla e la spinse in avanti, incoraggiandola a continuare. Gli sguardi delle poche persone lì presenti le scivolarono addosso, e nessuno le disse nulla, come se fosse stata invisibile.
            Più andavano avanti e più folti si facevano gli alberi; i santuari sembravano incastrati tra tronchi di piante secolari e staccionate scure dalle assi sottili. Indugiarono di fronte a un portico in legno, finché una ragazza non uscì dalla porta principale brandendo una scopa di saggina. Era molto alta, e le si intravedevano le caviglie oltre l’orlo dell’ hakama rossa che indossava; i capelli scuri erano raccolti in una coda alta con un nastro del medesimo colore.
            La miko iniziò a spazzare l’entrata del tempio con gesti secchi, nonostante non ci fossero foglie secche per terra. C’era qualcosa che la metteva a disagio a guardarla, qualcosa che le faceva pesare il petto come se un macigno le avesse fratturato la gabbia toracica. Trattenne il fiato, e Taewook-san  le strinse appena le dita sulla spalla, intimandole di rimanere ferma al suo posto.
            Non successe nulla. Rimasero ad osservare la ragazza a lungo, ma lei non diede nessun cenno di essersi accorta della loro presenza. Continuava a spazzare, impugnando la scopa con la stessa tenacia con cui avrebbe brandito una katana. Quando parlò, Ayano sobbalzò per la sorpresa.
            «Stai perdendo tempo, Taewook. Non dovresti essere qui.» La sua voce era tagliente come il filo di una lama. Taewook-san non si scompose, ma inclinò la testa in un inchino, anche se la miko continuava a tenere gli occhi fissi per terra e l’invisibile sporco.
            «Ōhirume-no-muchi-no-kami». Disse. Ayano sgranò gli occhi sconvolta dalla rivelazione, e si apprestò a chinarsi con veemenza in direzione della dea. Sperò di non averla offesa o di essere scambiata per un’irriverente per quella mancanza. Amaterasu continuò ad ignorarli. 
            «Onorati. Immagino sappia già perché siamo qui?»
            «Sì. E non c’è nulla da dire. Fa’ quello che devi fare e basta, il resto non mi interessa.»
            Ayano strinse le labbra a disagio, sicuramente non era la risposta che si era aspettata e per un attimo si ritrovò stranita dal tono tanto seccato. Taewook-san socchiuse gli occhi fino a farli diventare due fessure e inarcò appena la bocca in un sorriso.
            «Capisco.»
            Fece un ultimo inchino, e poi riprese a camminare seguendo il sentiero che si snodava attraverso i templi. Ayano si trovò costretta a seguirlo.
 
 
 
Tsukki si lasciò alle spalle il calore e il chiacchiericcio della sala per uscire di fuori. L’aria gelida del pomeriggio le si schiaffò in faccia e per un momento meditò di tornare in salone e ricongiungersi con la sua tazza di thè al gelsomino. Non importava che, tecnicamente parlando, essendo una mezza volpe avrebbe potuto trasformarsi e godere il calore della sua stessa pelliccia.
            Il Campo era tornato silenzioso come sempre. Si diresse verso il piccolo santuario addossato alla parete rocciosa, e si bloccò a pochi passi dall’ingresso e dai gradini in pietra liscia: seduto a gambe incrociate, scorse la figura di Ravi.
            La pioggia lo aveva trattenuto per tutta la settimana, e in quei giorni si era abituata ad averlo attorno. Era di poche parole e la sua compostezza l’affascinava, insieme ai suoi modi, anche se era evidente a tutti che avesse poco a che fare con kami e affini. Si schiarì la voce, prima di parlare.
            «Ravi-san?»
            Il ragazzo rimase seduto dandole la schiena, le spalle rilassate. Era immerso in quella che sembrava una preghiera, ma anche facendo attenzione, non era in grado di distinguere le parole che stava mormorando, un po’ per la lingua, un po’ perché si accavallavano tutte tra di loro, sussurrate e masticate tra le labbra. Decise di aspettare un poco prima di provare a richiamarlo.
            «Ravi-san.» Disse, e questa volta il ragazzo si girò appena verso di lei piegando il viso sulla spalla.  «Il thè è pronto.»
            Ravi rivolse un ultimo cenno verso l’altarino del tempio e si alzò sistemandosi le pieghe della casacca bianca che aveva addosso.
            «Grazie. Sei molto gentile a chiamarmi ogni volta.» Le sorrise e Tsukki rispose allo stesso modo un po’ impacciata. Iniziarono a tornare indietro.
            Se la sua prima impressione di Ravi si era fermata al fatto che non sembrasse solamente umano, in quei giorni non era riuscita a confermare né smentire tale idea. Il suo odore era normale, forse più deciso rispetto a quello degli umani a cui era abituata; la sua presenza non tradiva nessuna origine divina, eppure avvertiva che qualcosa nel profondo fosse diverso. Solo che non riusciva a figurarsi esattamente cosa fosse, e questo oltre a portarla a una distrazione continua, era diventato un suo chiodo fisso; voleva sapere, e quella era probabilmente l’ultima occasione utile per farlo.
            «Preghi spesso Ravi-san? Sei un credente?» Gli chiese, alzando lo sguardo dalla stradina che stavano percorrendo per guardarlo in viso.
            «Sì. Le mie preghiere sono rivolte alla mia famiglia e alla mia casa: auguro per la loro felicità e la buona salute.»
            «Oh!» Esclamò, a un certo punto ancora più interessata alla conversazione e alla piega che stava prendendo. «Hai una famiglia numerosa?»
            «Non particolarmente. Ma siamo tutti molto uniti tra noi.»
            «Che bellezza Ravi-san! A me sarebbe piaciuto avere qualche fratello, o sorella al di fuori delle altre kitsuni.» Rispose, allacciando le mani dietro la schiena. «Se hai una famiglia così allora sei un umano anche tu? Io non riesco proprio a capirlo.»
            Ravi le dedicò una lunga occhiata, pensando alla risposta da darle. Apprezzava che non avesse semplicemente liquidato il suo interesse con il silenzio.
            «Non proprio… Direi di più che sono a forma di umano.»
            Tsukki annuì. Aveva intuito quello che intendeva, nonostante il significato preciso di quella affermazione continuava a sfuggirle. Era qualcosa di diverso dall’ essere un ibrido a metà tra realtà differenti come lo era lei; e comunque in qualche modo era anche simile. Sentiva che la risposta a un quesito come quello non sarebbe stata facile, né scontata.
            «Il dio che preghi ti ascolta?» Chiese ancora. 
            «La mia devozione, le mie parole e le mie intenzioni parlano già per me. Quello che faccio o desidero viene sempre conosciuto.»
            Arrivarono di fronte alla porta del ryokan; Tsukki si sfilò le scarpe ed aprì la porta, entrando per prima al cenno di Ravi. L’ingresso era costellato di calzature di ogni tipo: scarpe da ginnastica, scarponi imbottiti, stivali, sandali e poi geta dai tacchi alti almeno trenta centimetri e con la suola di legno duro. Le aggirò in punta di piedi, facendo attenzione a non calpestarle e si diresse verso il salone del piano terra.
            Era abituata a tutto quel frastuono durante l’estate, quando il Campo si riempiva e animava, ma in inverno… Beh, era estraniante. Tra la miriade di persone che erano arrivate nell’arco della mattina c’erano alcune che già conosceva. Ragazzini mezzosangue, adolescenti, liceali che tra un compito di giapponese e un festival scolastico esorcizzavano demoni, e che passavano l’estate lì. Altri invece non sapeva nemmeno chi fossero, l’alternanza di creature, yokai e sacerdoti dei più disparati clan la lasciava senza parole. Si chiese se, una volta aver vissuto tanto quanto Taewook, anche lei avrebbe potuto contare così tante conoscenze.
            Ayano le fece un segno dall’altra parte della stanza, indicandole il posto accanto a lei. Sembrava abbastanza stanca dal viaggio della mattina e Tsukki non vedeva l’ora di chiederle qualche dettaglio in più, ma con tutto quel trambusto non ne aveva ancora avuto l’occasione. Si sedette accanto all’amica, Ayano socchiuse gli occhi per sorseggiare il suo thè.
            «Ti fa ancora male il segno?»
            «No, non più. Kusuriuri-san l’ha medicato, prima, ma onestamente non so con quale intruglio… Puzzava un sacco!» Le bisbigliò, chinandosi verso di lei con fare cospiratorio. Lo speziale era seduto al tavolino basso di fronte a loro, intento a giocare a go con Taewook.
            La partita stava attirando una discreta attenzione; Tsukki si sporse per riuscire a vedere la tavola da gioco e cercare di capire chi fosse in vantaggio, anche se con scarso successo. Scorse solo la manciata di pedine bianche di Taewook coprire un angolo e basta.
            «Hai notato che…»  Ricominciò Ayano, coprendosi la bocca con una mano e socchiudendo gli occhi. «Ogni volta che gioca a go, Taewook-san vince sempre. È davvero molto fortunato
            Il modo in cui glielo disse implicava altro, e si ritrovarono a sghignazzare mentre lo osservavano.
            «Non credo ci sia qualcuno che bari più di Taewook.» Disse poi. «Ma anche Kusuriuri-san non sembra da meno.»
            Lo speziale fumò pigramente dalla sua kiseru, guardando la disposizione delle pedine da gioco. Allungò le dita e ne posizionò una verso il centro della tavola, una mossa che scatenò il chiacchiericcio degli spettatori vicini. Kayo, la sua assistente, incrociò le braccia e si avvicinò per dirgli qualcosa, facendolo sorridere.
            «Certo che, mettere due kitsuni allo stesso tavolo da gioco…»
            Seguirono con interesse la partita finchè, dopo una diatriba sul conteggio finale dei punti, fu dichiarato il pareggio. Taewook si passò una mano tra i capelli e si alzò, lasciando il proprio posto a chiunque fosse stato interessato a giocare. Lo videro dirigersi verso Ravi, e poi uscire insieme a quest’ultimo dalla stanza.
            «Vuoi andare ad origliare?» Le chiese Ayano, notando il suo interesse. Sarebbe stata una cosa divertente da fare, e che magari avrebbe placato un minimo la sua curiosità, nonostante la possibilità di finire in guai seri. Ma decise che no, almeno per quella volta, avrebbe passato. Forse non ne valeva così tanto la pena.
            Kusuriuri-san la distrasse abbastanza da abbandonare quei pensieri: le fece un cenno verso di lui e il tavolo da gioco. La tavola era stata pulita, pronta per una nuova partita.
            Si alzò ridendo e trascinò con lei anche Ayano.
            «Perché devo venire anche io?» 
            «Perché io non so giocare bene, mi serve una mano! Dai!»
            Non era mai stata brava nei giochi da tavolo, in verità le piaceva più osservare che cimentarsi in prima persona, ma non poteva certo rifiutare quell’invito. Ayano si sedette accanto a lei e lo speziale sorride appena. Era difficile da notare, visto che il trucco sulla bocca mascherava un po’ la cosa.
            «Non si può giocare in più di due.» Soffiò, prendendo un’altra boccata dalla pipa.
            «Yan-chan mi fa da supporto!» Esclamò. Ayano socchiuse gli occhi.
            «Qual è il premio se vinciamo?»
            «A parte la consapevolezza di saper muovere bene delle pedine? Nulla.» Rispose pragmatico.
            «Beh, noi vogliamo un premio.» Disse Ayano, puntando un dito verso lo zaino di legno poggiato contro un angolo del muro. Era una cassa a diversi scomparti, con un occhio dipinto sulle assi e due spallacci di corda abbastanza robusti a fare da spalline. «Se vinciamo possiamo guardare dentro alla sua borsa?»
            Lo speziale inarcò appena le sopracciglia, ma alla fine acconsentì con un cenno del capo.
            «Non c’è nulla di interessante.» Disse solo. 
            Tsukki strinse la bocca per non ridere, perché era palese a tutti il contrario. Qualsiasi oggetto ci fosse all’interno di quello zaino, emanava un’energia così forte da impestare l’intera stanza, e capiva perché Ayano fosse così curiosa al riguardo. Ora anche lei voleva sapere di che cosa si trattava.
            «Che pedine scegliete?»
            «Bianche.»
            Kusuriuri-san allungò loro il sacchetto corrispondente. Le sorse il dubbio che forse non sarebbe stato poi così facile vincere, ma Ayano sembrava estremamente determinata a portare a termine quel personale obbiettivo, perciò decise di fidarsi.
            
 
 
Taewook gli fece abbassare la testa, mentre passava le mani tra i suoi ricci. Gli scostò alcune ciocche e lo sentì premere contro la sua pelle; socchiuse gli occhi per il fastidio.
            «Uhm, si, lo vedo. È proprio uguale.» Disse, continuando a controllare. «Ha fatto male anche a te? Credo sia un po’ gonfio, ma non ne sono sicuro. Dovrei tagliarti i capelli per poterlo dire con certezza.»
            Gli spinse la testa ancora più in basso, e Ravi si ritrovò con il mento premuto contro lo sterno.
            «Taglia, se devi.»
            La kitsune sgranò appena gli occhi divertita, anche se non poteva vederla. La sentì armeggiare con il cassetto della specchiera e vide il lampo lucido di un paio di forbici, poi il rumore secco dei suoi ricci tagliati e che gli scivolavano sulle spalle, sulla schiena.
            «Certo che sono lunghi!» Commentò Taewook, tirandogli indietro la frangia per accorciarla. «Non ricordavo avessi così tanti capelli in testa nemmeno da bambino.»
            Scosse appena le spalle. Onestamente non si curava troppo della cosa, le uniche volte che aveva prestato attenzione al suo taglio di capelli era quando le ciocche cominciavano a diventare fastidiose e a ricadergli di fronte agli occhi. Non si ricordava nemmeno come apparisse da ragazzino, ma Taewook aveva sicuramente una memoria migliore della sua e, tra l’altro, avrebbe scommesso sul fatto che lo considerasse ancora un moccioso urlante incapace di allacciarsi le scarpe senza il suo aiuto.
            «Come è andata la mattinata?» Chiese. Taewook gli passò le forbici vicino alle orecchie, continuando a tagliare. «Il Campo si è riempito tutto all’improvviso con ragazzi provenienti dall’intero Giappone, ma immagino che il tuo invito fosse più esteso.»
            «Odio tutto questo casino! Per cosa poi? È stato solo un inconcludente assembramento di gente che, francamente, avrei preferito anche non vedere per il prossimo decennio. Per quanto riguarda la storia del marchio, né più né meno di quello che già sapevamo: nessuno a parte te e Ayano-chan sembra averlo, e gli dei non si sono sbilanciati per niente.» Si lamentò, spazzolandogli le spalle e riponendo le forbici sul ripiano del mobile. Dal cassetto, tirò fuori un rasoio con il manico in osso intarsiato, sfoderò la lama e cominciò a passarla alla base della nuca con movimenti precisi. «Prova a pregare Yama, magari sei più fortunato e avrai le risposte che cerchi senza aspettare sogni premonitori o catastrofi naturali!» Lo schernì. Lui non risposte e così la conversazione cadde.
            Rivolgersi a Yama era stato il suo primo pensiero in realtà. Una volta accortosi del marchio, tra il sangue e il dolore era stata quella l’unica idea da mettere in pratica. Ma le sue preghiere erano state accolte solo dal vento e dal cielo color metallo; Yama era rimasto in silenzio e per un momento lunghissimo Ravi si era sentito spaesato. Perso. Come un bambino che si volta e non trova più il viso famigliare della madre ad aspettarlo.
            C’erano tante domande che erano maturate nel corso di quei giorni, prima ancora di arrivare da Taewook, ma si era arreso all’evidenza che nessuno, per il momento, potesse davvero rispondergli. Non avere la certezza di che cosa stesse accadendo era estraniante. Anche il fatto che fosse lì, a gambe incrociate su un tatami di fronte a una vecchia toeletta appartenuta a chissà quale nobildonna giapponese era qualcosa di alienante.
            Alzò lo sguardo e si soffermò sul suo riflesso: Taewook gli aveva rasato davvero tutta la testa, lasciandolo scoperto e quasi vulnerabile. Aveva l’impressione che le sue orecchie sporgessero più del necessario, e che la sua fronte fosse esageratamente lunga. Assomigliava in tutto e per tutto ad un monaco, e non sapeva come approcciarsi a quel cambiamento così drastico e repentino che lo stava lasciando tutt’altro che indifferente.
            «Oh, sanguina!» Borbottò Taewook, riferendosi al marchio dietro la sua nuca, proprio sopra il collo. Sentì il sangue colargli sulla pelle, lento e denso.
            «Non è proprio una ferita, credo sia più una reazione involontaria. Hai la pelle gonfia, rimarrà in questo stato almeno per un paio di giorni.» Gli disse, premendoci le dita sopra. Il freddo gli pizzicò la testa e ben presto anche il dolore sordo che provava si attenuò abbastanza da diventare sopportabile. Taewook lo osservò dallo specchio, assottigliando gli occhi e storcendo le labbra in un sorrisetto divertito. «Non stai poi così male.» Sentenziò alla fine.
            Ravi si alzò, scuotendo via dai vestiti quello che rimaneva dei suoi capelli. Il pavimento era pieno di ciocche scure e arricciate, ma a Taewook sembrava non importare. Probabilmente avrebbe chiamato qualcuna delle ragazze di sotto dandole il compito di ripulire quel disastro.
            «Rimani per cena? O riparti già questa sera?» Chiese la kitsune, infossando le mani nelle maniche larghe del kimono. Per un momento, l’idea di fermarsi ancora una notte indugiò nella sua mente: la sua stanza era sempre la stessa, con i pannelli dipinti e i fogli delle preghiere appiccicate alle travi di legno delle pareti, nell’esatto ordine in cui le aveva affisse da ragazzino. 
            Scosse la testa. «Devo andare. Mi sono fermato abbastanza.»
            Taewook non risposte ma sul suo viso gli si formò un’espressione ben più eloquente. La stessa che gli rivolgeva da bambino, quando si ostinava a cercare di afferrare una delle sue code come se fossero i giocattoli più interessanti. Un misto di curiosità ed evidente insofferenza.
            «Beh, fai come ti pare. Buon viaggio, suppongo!»
            Sorrise, e la sua bocca si incurvò con malizia verso l’alto.
 
 
 
La borsa dello speziale non conteneva davvero nessun oggetto particolare, escludendo le scatole piene di farmaci e unguenti. Ayano aveva aperto il vano più grande, scoprendo una custodia di velluto e il manico pesante di una katana: era ricoperto di sigilli ma si riusciva a intravedere l’estremità dell’elsa a forma di testa, insieme agli smeraldi incastonati tra i rilievi delle decorazioni. Era sicuramente un’arma stregata per fare a pezzi i mononoke, ma la cosa non la stupì considerando la natura dello speziale. L’aveva riposta con cura e aveva continuato a frugare tra le altre cianfrusaglie.
            «Oh, questo è il mio vecchio fermaglio!» Esclamò Kayo a una certa, indicando il portagioie di legno che avevano riesumato tra bilancini dalle forme strane e sacchetti di spezie. «Da giovane lo indossavo sempre! Lo avevo anche quando ho conosciuto Kusuriuri-san!»
            Le fece cenno di aprirlo. Al suo interno c’era un semplice kanzashi; la spilla era lucida e ricavata probabilmente dal guscio di una tartaruga, all’estremità un sottile filo di ferro teneva agganciati dei fiori di pesco di ceramica e metallo.
            «Oooh, è così carino!» Esclamò Tsukki estasiata, facendo scattare le orecchie. Lo tirarono fuori dalla custodia e iniziarono a rigirarselo tra le dita.
            «Vuoi provarlo? Vieni, ti mostro come si fa.»
            Kayo le si sistemò dietro le spalle e iniziò a raccoglierle i capelli, facendo attenzione a non tirarglieli. Infilò il fermaglio in mezzo alle ciocche e torse con un movimento sicuro, bloccando la coda in modo che rimanesse al suo posto.
            «Ecco fatto!» Cinguettò la ragazza, e Tsukki le si avvicinò per guardare meglio. 
            «È davvero bellissimo!»
            «Puoi tenerlo se vuoi, sai? Ormai non lo indosso più, e poi ti sta così bene! Ti porterà fortuna!»
            Kayo le sistemò la coda su una spalla ridendo, e Ayano strinse appena le dita sulla custodia del fermaglio.
 
            Nel buio della notte, i suoi pensieri sono più rumorosi di quello che pensa. Tsukki si girò su un fianco, guardandola con i suoi occhi ferini, così vicina che le loro gambe si toccavano sotto le coperte.
            «Se devi andare voglio venire con te.» Le disse; una confessione maturata durante tutta la giornata e che solo in quel momento trovava voce. Non rispose.
            Tsukki allungò la mano e gliela poggiò vicino al cuore, nel punto in cui il marchio si allargava sul suo corpo. Anche attraverso il tessuto della sua maglia, riusciva a sentire le dita indugiare lungo le linee, come se fossero appoggiate direttamente sulla sua pelle.
            «Hai paura?»
            «Non lo so.»
            Ed era vero. Non c’era una certezza che potesse definire tale, e aveva questa impressione terrificante di non riconoscere nemmeno il terreno dove camminava, come se neanche il suo corpo le appartenesse. Trasse un respiro un po’ tremante e Tsukki si spinse in avanti verso di lei, finché le loro fronti non si toccarono.
            All’improvviso ebbe paura di quella vicinanza. Lo stomaco le si strinse in una morsa, lasciandola stranita e con la voglia di allontanarsi almeno un po’. Non lo fece però, si limitò a sistemare la testa sul cuscino, e Tsukki lasciò scivolare via la mano. Pensò volesse dirle altro, di solito lo faceva finché non era così stanca da addormentarsi a metà frase. Ma non le disse nulla e si limitò a sorriderle.
 
 
 
Probabilmente non avrebbe potuto essere più bagnato. Samuel abbassò lo sguardo solo per constatare che sì, non solo i suoi vestiti erano fradici, ma l’umidità gli aveva impregnato pure le ossa. Sentiva il freddo risalirgli all’interno del corpo, e a poco servì concentrarsi sulla propria magia, il calore che stava cercando di scatenare si arrese inerme a quella sensazione. Sospirò.
            «Lo trovi divertente, vero?»
            Scout scosse il capo, ma il suo uggiolare assomigliava fin troppo a una risata. Si sistemò con le zampe l’enorme zaino che si portava appresso e gli fece cenno di seguirlo. Alle sue spalle, oltre alla spiaggia dove erano approdati, si estendeva una giungla di palme azzurre, così fitta che non si riusciva a scorgerne la fine. Un sentiero tracciato da grandi lastre di pietra si inoltrava nella vegetazione, e appesa ci passò sopra con i piedi scalzi, si accorse che erano calde, come se fossero state esposte sotto il sole cocente per una giornata intera.
            Scout si voltò a guardarlo spazientito, vedendolo camminare fin troppo lentamente.  
            «Ho freddo.» Si giustificò, passandosi le mani tra i capelli zuppi. Li strizzò, e l’acqua evaporò al contatto con la pietra. «Mi capiresti se anche tu avessi la pelliccia bagnata dalla punta delle zampe alle orecchie!»
Scout socchiuse gli occhi scuri e tornò indietro, saltellando sui lastroni. A quanto pare, la generale instabilità della magia non lo aveva colpito e, a differenza sua, era riemerso dal mare più asciutto che mai. O, forse, era semplicemente più abile di lui, cosa che non l’avrebbe dovuto sorprendere nemmeno più di tanto.
            Gli porse una zampa e Samuel gliela strinse, finendo per essere trascinato senza nessuna remora lungo il percorso. Le palme erano enormi, con tronchi grossi quanto colonne e foglie larghe come i tetti di una casa: non sembravano avere frutti, ma sfoggiavano colori intensi e di sfumature che continuavano a cambiare sotto i suoi occhi. Celeste, azzurro, blu. Più avanzavano e più le piante si avvicinavano tra loro, la sabbia aveva ceduto il posto a dell’erba cortissima dai riflessi bluastri, quasi nera.
            Al centro della giungla c’era una radura. Sembrava emergere dal nulla, e lo stacco così netto lo si notava anche nel terreno. La strada si interruppe bruscamente e Scout lo strattonò verso l’edificio che si ergeva al centro.
            Avrebbe potuto essere un tempio, anche se probabilmente non era il modo migliore per descriverlo. Delle colonne intarsiate seguivano una circonferenza, ma si interrompevano su un lato, lasciando posto a degli architravi di bronzo fuso. Il riverbero del sole li rendeva accecanti, e si slanciavano verso l’alto, curvandosi e assottigliandosi come se fossero getti d’acqua; delle gradinate a più piani erano incastrate ai loro piedi e in cima, su un supporto di metallo, c’era un globo. Da quella distanza non si riusciva bene a vederne i disegni, ma Samuel sapeva esserci rappresentate stelle e costellazioni.
            «Non c’è nessuno.» Disse, mentre Scout avanzava nel padiglione, alzando le orecchie in ascolto. «Forse siamo venuti troppo presto. Non è ancora sera.»
            Si sedette ai piedi di una colonna, e osservò Scout continuare ad aggirarsi per la struttura. La giungla rimase comunque silenziosa fino alla fine, non lasciando tradire la presenza di nessuno. Scout tornò da lui, e gli indicò la base della prima gradinata.
            «Sì, anche la bussola è rimasta intatta.» Disse. Incavata nella pietra, i suoi raggi si allungavano morbidamente verso i punti cardinali; tre cerchi e un rombo. Si era attivata da un paio di giorni, e da allora non aveva smesso di brillare nemmeno per un istante. Al momento, la luce era ridotta a un flebile alone, ma di sera era abbastanza forte da illuminare tutta la struttura.
            «Direi che abbiamo finito il nostro giro per oggi, abbiamo controllato quasi tutti i Regni e non sembra esserci nulla di nuovo.»
            Scout alzò il muso al cielo, in una direzione ben precisa. Gli ci volle del tempo per riuscire a mettere a fuoco, ma alla fine anche lui vide le sagome evanescenti delle altre bussole. Tra la distanza e il colore abbacinante del cielo faceva fatica a distinguerle.
            «Ne sono comparse altre due!» Esclamò entusiasta, e Scout annuì scuotendo il muso e facendo scivolare il cappuccio che teneva in testa sulle spalle. «Che Regni sono? Quello sembra l’Eremita e poi… Il Papa?»
            Scout annuì ancora e senza aspettarlo si mise a correre di nuovo verso le palme. Samuel lo seguì, lo vide evocare un passaggio da una pozzanghera ai piedi di un tronco, e senza indugio vi si tuffò dentro. L’acqua ingoiò la sua figura e rimase completamente immobile, senza incresparsi. 
 



ANGOLO AUTRICE

Ehehehehe. Allora, premetto che sono molto soddisfatta di non aver fatto passare DAVVERO un anno intero prima di aggiornare di nuovo. Onestamente non so nemmeno cosa dire, immagino che la mia totale sparizione per, cosa, tipo 10 mesi? vi abbia solamente fatto mettere il cuore in pace e relegare arcana nel grande gruppo delle fic interattive abbandonate.
BEH. Non vi biasimo onestamente, però sapete, nonostante in quasi tre anni siamo ancora qui, all'inizio, io sono veramente affezionata a questa storia e spero di portarla a termine in un lasso di tempo inferiore ai prossimi cinque anni lol, vita reale permettendo.
Quindi sì, rieccomi qui. Immaginate quanti mesi questo capitolo è rimasto a prendere polvere nel mio pc, mezzo incompleto. Ci sono tanti motivi per cui ho mollato efp, tra covid, lezioni, drammi amorosi e familiari... Insomma, ci siamo capiti. Ma spero che comunque questo capitolo vi piaccia (anche se probabilmente non vi ricordate dove eravamo rimasti ahahah comprensibile XD) e che vi renda almeno un poco felici, dai!
Insomma, rieccoci qui. Non vi illudo dichiarando una costanza che so non riuscirei a rispettare, ma sicuramente non dovrete aspettare più così tanto prima di leggere altro.
Due parole velocissime giusto sul capitolo: Lo speziale e Kayo vengono direttamente dalla serie "Ayakaashi: japanese horror stories" e "Mononoke"! Quindi se non sapete cosa guardare ve le consiglio, sono delle serie brevi (12-13 episodi se non ricordo male). A Marzo dell'anno scorso ero andata completamente in fissa e ho douto inserirli anche qui ahahah (questo per farvi capire da quanto ho in mano questo capitolo... Mamma mia ahahah)

Grazie a tutti! Per il vostro tempo, per i vostri commenti e le visite che mi lasciate; mi rendete estremamente felice <3
Un bacio dalla vostra Itzi di quartiere!!


P.S. Sto lavorando a un restyle artistico perchè non nè posso più di vedere le pagine praticamente vuote ahahah giuro che sistemerò tutto XD
   
 
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