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Autore: ShanaStoryteller    11/02/2021    0 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ares, Dio della Guerra, aveva un trono sull’Olimpo, fedeli, templi e tributi.

Ares, Dio della Guerra, sentiva rimbombare nel cranio le urla di morti e dannati e non aveva avuto un attimo di pace da quando suo padre aveva dichiarato il suo dominio sulla guerra.

***

Cercò di ignorarle. Non poteva rimanere sull’Olimpo, non da quando sentiva su di lui lo sguardo pieno di orgoglio di suo padre, che voleva evitare. All’inizio si nascondeva nelle stanze di sua madre, si rannicchiava sul suo grembo e piangeva come non faceva da quando era piccolo. “Li sento,” disse, le lacrime che scorrevano lungo il naso sul vestito di lei, “sento che mi chiamano.”

Sua madre gli passò le dita tra i capelli e posò dolci baci sulla sua fronte. “Lo ucciderò. Come ha osato – come ha osato.”

“Non lo farai.” Disse lui, voltando il capo per guardarla. Le premette la mano sulla guancia e lei si abbandonò al suo tocco. I suoi occhi bruciavano di furia e dolore, e Ares ne era confortato. Gli occhi di sua madre erano i suoi occhi, gli occhi di suo fratello. “Sei la dea del matrimonio. Uccidere tuo marito significherebbe uccidere te stessa. Vorresti rendermi orfano, Madre?”

Dentro di lui infuriava una guerra, con soldati e generali e vedove che lo invocavano in lacrime, ma in quel momento riusciva a preoccuparsi solo di come evitare una guerra nella sua stessa casa.

Niente avrebbe potuto spaccare il pantheon come uno scontro tra Zeus e Era.

Lei non disse nulla, ma la sua presa sulla mano del figlio si fece quasi dolorosa, e Ares lo prese come un segno di assenso.

***

Poteva assentarsi per poco. Doveva raggiungere chiunque lo invocava così a gran voce, chi gli costruiva l’altare più alto, chi gli faceva il sacrificio più grande. Non era un dio così fortunato da poter osservare il suo dominio da lontano, elargendo benedizioni e guida. Le urla dentro di lui si acquietavano solo quando era al loro fianco sul campo di battaglia, solo quando era nella mischia con una spada in mano c’era abbastanza calma per pensare.

Solo quando la sua furia cambiava il corso di una battaglia era, anche se per poco, libero dal peso opprimente dei suoi fedeli e del suo dominio.

Non poteva scegliere quale fazione sostenere. Chi lo adorava di più, qualunque fazione invocava più forte il suo nome si aggiudicava il suo aiuto.

Si presentò davanti alla porta di sua madre in lacrime, il corpo squassato dal dolore perché i soldati stavano invocando il suo nome a gran voce e sarebbe dovuto essere con loro, invece era lì. Era lo sostenne tenendolo per le braccia, gli occhi spalancati e pieni di preoccupazione.

“Non voglio che vincano,” le confessò, le parole che gli bruciavano le labbra, “i soldati non sono altro che soldati, ma i generali e i nobili e i re vogliono la gloria per denaro, per un tornaconto, per puro egoismo. I loro nemici vogliono solo vivere.”

“Me ne occuperò io.” Gli promise sua madre, e Ares non aveva idea di come potesse aiutarlo. Eppure, confidava nel fatto che avrebbe trovato un modo, come sempre. Andava da sua madre chiedendole di aiutarlo e lei l’aveva sempre fatto. “Ora va’, prima che il dolore si faccia insopportabile.”

Andò.

***

Era non aveva alcun potere sul campo di battaglia.

Ma il campo di battaglia non era l’unico luogo dove si facevano tributi.

Andò da mogli e mariti, figli e figlie, sorelle e fratelli. Sussurrò ai loro orecchi e parlò di devozione e lealtà, fece rimpiangere loro i familiari assenti a causa di una guerra che nessuno voleva.

Era fece affiorare il loro dolore e la loro disperazione fino a quando questi quasi impazzirono dal bisogno di riavere i loro familiari a casa.

Costruirono un tempio per Ares, sacrificando oro e cibo e qualunque altro oggetto di valore avessero. Levarono preghiere vicino ai focolari e bruciarono messaggi per il dio della guerra, supplicandolo di far tornare le loro famiglie a casa.

***

La sorte degli eventi cambiò. Era a metà battaglia quando avvertì quel cambiamento, quando si accorse che sua madre aveva mantenuto la promessa e che lui non avrebbe più dovuto combattere per quelle persone, che ora poteva combattere contro di loro.

Non voleva combattere affatto. Ma se doveva, almeno poteva farlo al fianco di chi credeva.

Ares non lasciava che il risentimento o la rabbia per suo padre avessero la meglio su di lui. Ma desiderò, e non per la prima volta, che Zeus lo avesse nominato dio della giustizia, della pace, dell’equità, della lealtà. Che Zeus lo avesse nominato dio di qualcosa in cui credeva, qualcosa per cui credeva di poter combattere.

Tutto ciò che faceva la guerra era uccidere uomini e donne senza colpe, tutto ciò che faceva era covare risentimento e odio sia nei vincitori che nei vinti.

Anche se Ares era convinto che non c’erano mai vincitori nelle guerre. Solo persone che perdevano meno delle persone che combattevano.

***

Ci fu un attimo di tranquillità. Nessuno che lo invocava con abbastanza fervenza da non poter ignorare.

Andò al vulcano di Efesto e si lasciò scivolare in una pozza di magma, il calore bruciante della lava alla giusta temperatura per sciogliere i nodi di tensione nelle cosce e sulla schiena.

“È snervante vederti lì dentro.” Disse suo fratello, e Ares aprì gli occhi e lo vide mentre lo osservava con preoccupazione. “Sembri stanco.”

Aveva delle occhiaie violacee. Non ricordava l’ultima volta che non le aveva viste. Gli doleva tutto, faceva sempre male, anche in periodo di pace c’erano persone che bramavano la guerra e che lo invocavano, e non rispondere a un tributo lo logorava. Era esausto e sfibrato, così magro che temeva di spezzarsi in qualunque momento.

Osservò la preoccupazione di Efesto e gli confessò qualcosa che non aveva mai detto a nessuno, qualcosa che aveva avuto troppa paura di dire a sua madre perché avrebbe potuto decidere di distruggere Zeus per quello. “Credo che queste guerre mi stiano uccidendo.”

Il volto di suo fratello si indurì, ma non disse nulla. Andava bene così. Ares non si aspettava certo che lui… Non c’era proprio niente da dire.

Si chiese se le urla lo avrebbero trovato anche nella morte.

***

“Ho bisogno di un favore.” Disse Efesto quando Atena lo venne a trovare la volta successiva, e si contorse le mani, ansioso in un modo che di solito non lasciava vedere a nessuno.

Atena inclinò il capo verso la spalla. “Ti ascolto.”

***

Ares riposava, la luna era alta nel cielo e lui si era steso nel mezzo del campo di battaglia, cercando di acquietare le urla nella sua testa per dormire almeno un’ora.

“La guerra non è fatta solo di combattimenti, sangue e scontri.”

Aprì gli occhi di scatto e si guardò intorno, notando Atena seduta accanto a lui. Si mise a sedere, cauto. “Che vuoi dire?”

“Dovresti fare più attenzione ai generali,” disse lei, “la guerra non si vince col sangue. Si vince con la strategia. Con un’accurata pianificazione, con le tattiche.”

“Non ne so granché,” ammise lui, “è già tanto stare dietro ai soldati.”

Il volto di lei si addolcì. “Lo so. Ecco perché sono qui. Nessuno si aspetta di vincere le guerre da solo, Ares.”

E fu così che Atena, dea della conoscenza e della tessitura, divenne una dea della guerra. Era un’abile stratega, pianificava campagne, assicurava che una vittoria sul campo di battaglia rimanesse una vittoria anche in patria.

Alcuni dei tributi di Ares andarono a lei. Alcune persone ora pregavano Atena invece che lui.

Sentiva ancora le urla. Non riusciva comunque a dormire.

Ma parte della pressione che sentiva svanì e gli sembrò di poter respirare di nuovo.

***

Ares e Atena non erano gli unici nomi che venivano invocati nei campi di battaglia.

Il nome di Ade era costantemente sulle loro labbra. Auguravano ai loro nemici una vita straziante negli Inferi, che il dolore e la sofferenza che provavano sul campo di battaglia venissero triplicati.

Lui cercava di ignorarli. Ma più li sentiva e più si sentiva ferito. Gran parte di quelle persone erano soldati. Maledire i generali era una cosa, ma molti soldati non sceglievano di essere lì. Lui non aveva scelto di essere lì.

Ares non era mai stato negli Inferi. Era l’unico posto dove sua madre gli aveva proibito di avventurarsi.

Sapeva che la scelta più saggia sarebbe stata quella di andare da suo fratello e chiedergli di parlare con Ecate, la donna che lo aveva cresciuto. O perfino con Ade in persona – non sapeva quanto Efesto conoscesse il dio degli Inferi. Per quanto fosse stato cresciuto lì, non ne parlava molto.

Ma se la furia di Ade doveva ricadere su qualcuno, Ares preferiva che fosse su di sé.

Fu abbastanza facile seguire le anime dei soldati appena morti fino al Fiume Stige. Caronte gli premette una mano contro la spalla e gli domandò: “Cosa vi porta qui, Dio della Guerra?”

“Conoscevo una ragazzina chiamata Kore,” rispose lui, e non si aspettava che funzionasse, ma ci sperava, “vorrei parlare con la donna che si fa chiamare Persefone.”

Non riusciva a vedere il volto di Caronte, ma l’aria che lo circondava si fece pensierosa. “È estate. La Signora è con sua madre.”

Oh.

Se ne era dimenticato.

“In questo caso, richiedo udienza con suo marito.” Disse, e portò le mani dietro la schiena cosicché Caronte non vedesse che stava tremando. Non poteva permettersi di mostrarsi a quel modo. Le persone urlavano nella sua testa, ma non poteva permettersi di fargli avere la meglio, non se voleva che lo prendessero sul serio, non se voleva aiutare i soldati come lui invece che far loro del male.

“Non siete morto, e dunque non posso traghettarvi al di là dello Stige.” Disse Caronte, quasi con tono di scuse. “Ma… aspettate.” Si rivolse al fiume: “Dea Stige, potreste venire qui?”

Una ragazzina dalla pelle ancora più scura di quella di Efesto e con occhi e capelli grigio chiaro apparve di fronte a loro. “Sì?”

Caronte indicò Ares. “Desidera parlare col nostro signore.”

Stige puntò i suoi occhi grigi su di lui, e Ares non poté fare a meno di sentirsi nervoso. Lei gli girò intorno, squadrandolo dall’alto in basso, come se stesse guardando dentro di lui. “Molto bene.” Disse lei, alla fine. Portò le braccia vicine e poi le allargò. Il fiume prese a scorrere in due versi opposti rivelando una lingua di terra asciutta del letto del fiume. “Attraversa svelto. Più tengo diviso il mio fiume e più entità dietro di te potrebbero intrufolarsi negli Inferi.”

“Ti ringrazio.” Le rivolse un vago inchino e attraversò di corsa il letto del fiume. Gli ci volle più tempo del previsto – il fiume non era così largo, e avrebbe dovuto metterci poco, ma gli sembrò di aver corso quasi un’ora per raggiungere l’altra sponda. Si issò sulla riva, ansante, e non appena ebbe finito la traversata le acque del fiume si infransero unendosi di nuovo, riprendendo a scorrere nel verso giusto.

***

Giunse al palazzo di Ade ma, ancora una volta, gli ci volle più tempo del previsto. Ci mise troppo, era rimasto lontano dal campo di battaglia troppo a lungo e gli effetti si facevano sentire. Cercò di riprendersi, era arrivato troppo lontano per arrendersi adesso, ma i suoi sforzi sembrarono vani. Le urla delle persone che invocavano il suo nome erano assordanti e non riusciva a sentire nient’altro, e lo paralizzavano, non riusciva a muoversi, a sentire, i suoi muscoli erano tesi fino allo spasmo perché doveva rispondere a chi lo invocava, ma non poteva, non c’era modo di uscire dagli Inferi in fretta quindi era bloccati lì…

Improvvisamente, si ridusse tutto a un boato sommesso, e Ares boccheggiò ritornando in sé, chiudendo gli occhi per impedirsi di piangere. Sentì mani incorniciargli il volto e pollici callosi asciugargli le lacrime dalle guance. “Tu devi essere Ares,” disse una voce dolce, “Caronte mi ha detto che saresti arrivato. Stai bene?”

Ares si costrinse ad aprire gli occhi e mise a fuoco Ade, Re dei Morti. “Come ci riesci?”

“Come riesco a fare cosa?” Aggrottò le sopracciglia. “Perché sei qui?”

Ares gli afferrò le mani e le allontanò dal volto, ma lasciò che le loro dita rimanessero intrecciate insieme. Fortunatamente, Ade non si ritrasse. Ares non sapeva che cosa sarebbe potuto succedere se l’avesse fatto. “So… so che ti invocano per punire i loro nemici, sul campo di battaglia. Rivolgono alcune delle loro preghiere a te e ti chiedono di bruciare i loro nemici nella morte, per l’eternità.”

“Li sento,” disse lui, “so cosa dicono.”

“Non farlo.” Lo supplicò, e poteva ancora sentire le urla, non riusciva a smettere di tremare e voleva mostrarsi forte mentre stava per chiedere un favore al dio della morte, ma riusciva a malapena a reggersi in piedi. “So che te lo chiedono, so che ci offrono tributi e che dobbiamo rispondere quando invocano i nostri nomi, ma non sono persone cattive. Sono… voglio dire, alcuni di loro lo sono, ma non… cerca di non farlo… ti prego.” Terminò, e non era affatto giusto che dei soldati dovessero combattere anche dopo la morte. Gran parte di loro non aveva neanche voluto combattere quando erano in vita.

Ade sembrava ancora confuso, e Ares lo avrebbe supplicato se necessario, sapeva quanto era difficile opporsi alle richieste dei fedeli, ma era per una causa importante. Stava per provarci di nuovo quando Ade gli disse: “Io sono il dio della morte, signore degli Inferi. Ares, sento le loro grida ma non ne sono vincolato. Sono io che regno sui morti. Non sono i morti a regnare su di me.”

Lui lo fissò. Non… non aveva mai sentito qualcosa del genere prima. Rispondeva al richiamo della guerra perché doveva, sua madre era ristretta dalle catene del suo matrimonio perché era la dea della famiglia. Il potere di Demetra derivava dalla terra ed era la terra stessa, e quando questa soffriva ne soffriva anche lei; perfino Poseidone non era immune al temperamento del mare. I loro poteri erano una lama a doppio taglio, in parte benedizione e in parte maledizione.

“Oh.” Si decise infine a dire. “Kore… Voglio dire, Persefone?” Si narravano storie sulle punizioni che infliggeva a coloro che l’avevano fatta infuriare. La conosceva da quando era una bambina ed era rimasto meno sorpreso degli altri da cosa era diventata.

“Mia moglie fa ciò che le aggrada e niente più.” Rispose Ade. Ares non capiva. Lei era Regina della Vita e della Morte, come poteva non esserne vincolata, come era possibile che non la distorcesse in una forma che non riconosceva come propria?

“Va bene.” Disse, e doveva andarsene, ma almeno non doveva più preoccuparsi dei soldati caduti. “Mi scuso per l’intrusione. Devo andare.”

Ade fece scivolare le mani lungo le sue braccia, posandole sulle sue spalle, e oh, Ares si distrasse a tal punto al sentire quelle mani su di lui che per un attimo la sua testa era quasi silenziosa. “Se è ciò che desideri. Puoi anche restare. Sembra che un po’ di riposo ti potrebbe fare bene.”

Lasciò ciondolare il capo in avanti sulla spalla di Ade, e gli piaceva quanto fosse stabile, la forza e il potere sotterranei che emanava. Non lo aveva mai incontrato prima, era del tutto inappropriato, ma quando le mani di Ade si fermarono sui suoi fianchi non desiderò altro che accoccolarsi tra le sue braccia e ignorare la guerra ancora per un po’.

Per lui, Ade era pace. Si era dimenticato cosa significava. “Non posso restare.”

Il dio dei morti gli posò un bacio al limitare della mascella che accese qualcosa in Ares che era presente da prima che venisse proclamato dio della guerra. Si domandò cos’avrebbe fatto Ade se l’avesse baciato, si domandò se Ade avrebbe toccato la sua pelle bollente se si fosse tolto i vestiti sporchi e pregni di sangue della battaglia. “In tal caso, esigo che torni.” Disse il dio della morte.

Non dovrebbe. Il tempo che riusciva a trascorrere lontano dal campo di battaglia avrebbe dovuto dedicarlo a sua madre o Efesto. Spostò il peso in modo da premere le loro fronti insieme. Guardò Ade nei suoi occhi scuri e disse: “Tornerò.”

Ares tornò nel furore della battaglia sentendosi leggero come non lo era da molto tempo.

***

Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuta!

Sentitevi liberi di seguirmi/tormentarmi su Tumblr, dove potete sempre trovare queste storie all’inizio del mio blog.

   
 
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