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Autore: artemide88    12/02/2021    2 recensioni
Isabella Black frequenta la più importante scuola della Virginia e non solo ha ottimi voti, ma sta per diplomarsi con un anno di anticipo. Vuole andarsene, da quella scuola e quella città, il prima possibile perché odia i bulli che la perseguitano. Potrebbe però avere vita più facile se rivelasse un piccolo dettaglio sulla sua vita...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Buona lettura


CAPITOLO 12

Casa Hale era stupenda. Non c’erano altre parole per definire quella maestosa e moderna dimora dalle linee pulite e spigolose. Ogni mobile era lucido e senza un solo granello di polvere. Sui pavimenti in marmo ci si poteva specchiare, mentre la scalinata che portava al piano superiore era di metallo e vetro. 
Rosalie mi condusse sul retro della casa, dove grandi vetrate si aprivano su un patio delimitato da delicate colonne bianche scanalate. Il tavolo di legno, coperto da una candida tovaglia ricamata con pallide rose, era già apparecchiato con piattini e dolcetti. La cameriera ci servì il tè mentre io mi sentivo ogni minuto di più fuori posto. Rosalie, invece, era rilassata e abituata a quella opulenza. Inspirai l’aria frizzante che proveniva dall’oceano: era quasi ottobre, ma l’estate si stava pigramente trascinando rendendo l’aria mite. 
“Siediti e dimmi che cosa succede davvero. Non prendiamoci in giro, Swan.”
Forse non dovevo stupirmi di averla trovata nel mio bagno, non era la delicata ragazza che tutti credevano.
“È un’idea assurda di Cullen e Whitlock. Vogliono che noi due facciamo una specie di alleanza contro la Stanley.”
Lei non rispose e strinse la tazza nelle mani. 
“Però si può davvero parlare solo di letteratura.”
Finalmente Rosalie parlò. “Il loro piano è rovesciare la Stanley.” Storsi il naso. “E insediare te sul trono.” Tagliare la testa alla regina con un’ascia molto affilata non era nei miei piani per il futuro. “Posso sapere perché io?”
“Whitlock pensa che tu possa essere la mia carta vincente. Non so perché, ma lo pensa.”
“Perché anche io andrò al ballo delle debuttanti e anche io voglio che lo strapotere di Jessica finisca.” Posò la tazza e si fece ancora più seria, se possibile. “Odio Jessica Stanley e quella pettegola di sua nonna. Dovrebbe spettare a mia madre il compito di preparare il ballo. O meglio, le dovrebbe essere riconosciuto il suo ruolo, ma è la nonna di Jessica che formalmente detiene quel titolo per una questione di anzianità.”
Zia Sue aveva parlato con la nonna di Jessica, in effetti. Mi sembrava una motivazione piuttosto blanda, ma non dissi niente se potevo avere la mia prima alleata.
“Quindi mi aiuterai a detronizzarla?” Chiesi sarcastica.
“Sì, ma voglio qualche garanzia.” Tornò a soffiare sul suo tè, il volto girato verso l’oceano, con un’eleganza d’altri tempi che io potevo solo sognare.
“Ovvero?”
“Mai più allusioni ai bagni femminili.”
“Concesso, sempre che tu non usi più i bagni femminili.” Storse il naso e annuì. “La prossima volta potresti non essere così fortunata.” Le feci notare. “Non voglio essere moralista, ma so che i tuoi sperano in un buon matrimonio con i King.” Assottigliò le labbra, ma promise che avrebbe interrotto qualsiasi attività extrascolastica con Jasper.
“Secondo, Alice Brandon sarà dei nostri. È più piccola di noi e può essere una volontaria nella preparazione del ballo. L’anno prossimo io e te le faremo da sponsor per farle fare il debutto.”
Alice Brandon. Scartabellai mentalmente la mia personale rubrica dove catalogavo ogni studente della White Swan.
“Alice Brandon. Secondo anno. Orfana, borsista. Giocatrice di scacchi.”
Rosalie tradì la sorpresa. “Non pensavo la conoscessi così bene...ah, già, essere la figlia del preside ti da accesso ai fascicoli personali.”
Non proprio. Il caso di Alice era molto particolare e papà aveva parlato a lungo con la mamma di questa alunna prima di concederle la borsa di studio e ovviamente mi era stato impossibile non ascoltare qualche stralcio di conversazione. Alice era una ragazzina abbandonata ancora in fasce e cresciuta all’orfanotrofio cittadino senza sapere chi fossero i suoi genitori. Aveva un talento innato per gli scacchi, sembrava predire le mosse dell’avversario e alla nostra scuola una giocatrice così formidabile avrebbe portato gloria.
“Penso proprio che abbiamo un problema. Io non farò il ballo, né quest’anno, né un altro anno, quindi non so quanto ti possa essere d’aiuto.” Rosalie scoppiò a ridere. 
“Oh, ti prego, Isabella. Non essere anticonformista in tutto e per tutto. Qui è fondamentale essere presentate in società e non credo che la tua famiglia ci rinuncerà facilmente.”
Ignorai il commento, ma promisi lo stesso di aiutare Alice, magari presentandola a zia Sue. 
Trascorremmo l’ora successiva ad ascoltare il mare e a parlare di letteratura inglese. Fu una conversazione stranamente piacevole.
La nostra appena nata amicizia venne interrotta dalla madre di Rosalie, Lilian. Sembrava la mia compagna di scuola, solo una versione più avanti con l’età e con qualche peso in più sulle spalle. Rosalie da brava ragazza del Sud fece le presentazioni.
“Oh, Isabella, sono felicissima di conoscerti, finalmente, e di sapere che stai diventando amica di mia figlia.” La mia faccia e quella della bionda al mio fianco dicevano tutto il nostro sconcerto. “Sono una grande amica di Renèe e non sai quanto si è tormentata l’anima perché tu prendessi il cognome di famiglia.” Adesso qualche peso in più sulle spalle lo avevo io. “State parlando dell’abito per il ballo?” Ritenni inutile specificare ancora una volta che non sarei andata a quello stupido ballo e mi congedai.
Una volta a casa, scappai a fare i compiti. Ma il tarlo che mia madre avesse come amica Lilian Hale mi fece andare in cucina, con la scusa di un bicchiere di latte potevo fare qualche domanda a mamma.
Come previsto, lei era in cucina che sfogliava un catalogo di abiti da sera che mise subito da parte quando feci il mio ingresso.
“Ehi tesoro, una pausa dai compiti?” Il mio mutismo la spinse a chiedere se andasse tutto bene.
Mi ripresi e schiarii la voce. “Volevo da bere.” Rimasi con il bicchiere vuoto tra le mani, senza muovermi. “Hai parlato di me con la signora Hale?”
“Con Lilian?” Mamma sembrò sorpresa. “Certo, è una delle mie migliori amiche.” Il bicchiere restava sempre vuoto e le mie gambe ferme. Mamma si alzò, prese il latte dal frigo e me lo versò. “Non credi che sia difficile nascondere l’esistenza di una figlia a tutta la città?”
“Ma se tutti sapevano...”
“Le madri, e forse qualche padre, sapevano.” Renèe mi sorrise. Scossi la testa perché proprio non capivo. “Il Figth Club deve aver preso spunto dal circolo femminile.” 
La regola più importante del Fight Club? Non parlare mai del Fight Club. Seconda regola del Fight Club: non parlare mai del Fight Club. L’insana ossessione di mamma per Brad Pitt e quel film era una delle poche stranezze di Reneè Swan che altrimenti incarnava alla perfezione l’ideale di donna del Sud.
“Quindi sanno tutti che sono la pecora nera della famiglia?” Guardai il latte senza davvero vederlo.
“No, sanno tutti che sei la mia bimba meravigliosa.” Mamma mi baciò tra i capelli. “Nessuna del circolo avrebbe mai detto ai figli che Isabella Black era Isabella Swan perché era un segreto del circolo. Tutto quello che ci diciamo resta tra di noi.”
“Un Fight Club.” Lei annuì solo.
“Sei diventata amica di Rosalie?” Anche io mi limitai a un cenno del capo, inutile rivelarle gli estremi del nostro accordo. Stavo gettando le basi del mio Fight Club. “Ne sono felice. È una brava ragazza.”
“Vuole che partecipi con lei al ballo delle debuttanti.”
“Mi sembra un’ottima idea. Stavo giusto guardando le ultime tendenze...”
“Mamma, io voglio solo diplomarmi e andare all’università.”
“La Brown a Providence?”
Annuì di nuovo. Il mio progetto di diventare una Yankee aveva come punto di partenza l’università.
“Potresti sempre andare a Georgetown. Non sarebbe l’università di Richmond, ma...”
Ma restava comunque al Sud. Conclusi mentalmente per lei. 
“Oh, beh, né la Brown né Georgetown mi hanno risposto.” Posai il bicchiere, perché sentivo la mano che vibrava. “Mamma...” Deglutii a fatica, mentre il latte si inacidiva e mi risaliva la gola. “Come sai della Brown e di Georgetown? Non vi ho mai detto che ho fatto domanda.”
Renèe non ebbe nemmeno la decenza di fingersi colpevole. Estrasse da sotto il cassetto delle posate due spesse buste. 
“Sono arrivate un mese fa. Non trovavo mai il momento giusto per dartele.” Finsi di credere alla sua bugia. “Complimenti, sei stata accettata in entrambe.” Dalle sue parole trapelò una nota di risentimento, ma nessun senso di colpa per aver aperto e sbirciato il contenuto. 
Quindi quella in errore ero io e una ridda di sensi di colpa primordiali mi assalì. Eva in confronto era una principiante, io avevo colto tutto l’albero di mele.
Come avevo scelto di essere una Black, così avevo scelto di essere una Yankee e niente mi avrebbe fatto cambiare idea.
“Scusa se non te l’ho detto, ma so che non avresti approvato.” Mi sarei scusata solo per la mia omissione. Tesi la mano per farmi consegnare le mie buste e mamma me le diede stizzita. Le mani mi tremavano per la gioia di essere stata accettata in entrambe le università.
Dovevo assolutamente dirlo a Edward. Lui dove sarebbe andato a studiare l’anno prossimo? Non avevamo parlato molto negli ultimi giorni. Mi morsi le labbra al dolce ricordo di come erano state baciate.
“Dovrai dire a tuo padre quale sceglierai. Ti prego di considerare Richmond.”
Certo, perché volevo farmi perseguitare da mio fratello al college. 
Corsi in camera senza salutare mamma, dovevo assolutamente parlare con Edward e magari assaporare di nuovo i suoi baci.
Ma lo chiamai almeno quattro volte, senza ottenere risposta. Sulle mie spalle comparvero il diavoletto e l’angioletto dei catoni animati. L’angioletto diceva, razionalmente, che era impegnato e che mi avrebbe chiamato il prima possibile o che avremmo parlato a scuola. Il diavoletto, invece, insisteva sul fatto che mi fossi fatta abbindolare da uno sguardo dolce e da capelli arruffati, ma che il mascalzone non sarebbe cambiato tanto facilmente. 
Edward non mi richiamò.
Vinse il diavoletto. 

La mattina dopo uscii di casa con il morale sotto le scarpe. Edward non aveva richiamato e papà aveva fatto una scenata per le lettere dell’ammissione. Visto che stavo già male, tanto valeva far sprofondare nella merda anche la relazione padre-figlia. Meglio affrontare lo sconforto tutto in una volta sola.
Ero decisa a prendere il pullman fino scuola con il mio autista disperso nelle prime nebbie autunnali, mio padre che a mala pena mi parlava e la mia macchina ancora fuori uso. In realtà sapevo bene che era nella rimessa della scuola con quattro nuove gomme scintillanti, ma se l’avessi presa di nuovo, non avrei avuto più la scusa per passare del tempo a baciarmi con il mio nuovo amico autista. 
Borbottai insoddisfatta di come stavano trascorrendo i giorni, tra alti e bassi in casa, e a scuola. Inoltre, non sapevo come definire il mio rapporto con Edward. Non avevo una vera relazione con lui, più che altro ci limitavamo a baciarci in macchina e a mantenere un freddo decoro nei corridoi.
Mi incamminai verso la fermata, la mente persa nei miei pensieri.
“Ehi! Bella Addormentata!” Sentii qualcuno che mi chiamava e un clacson suonare impazzito. Una Maserati che conoscevo fin troppo bene accostò e ne discese il mio personale dio greco. Sussultai quando mi sbarrò il passo. Non avevo voglia di vederlo quella mattina e glielo avevo scritto quando, come al solito, mi informava che mi sarebbe venuto a prendere.
“Capisco che per te il cellulare sia un optional, signor Cullen. Ma ogni tanto prova ad usarlo.” Lo scostai infastidita. Continuai a camminare imperterrita, senza un’altra parola. 
“Ehi.” Mi afferrò il braccio e finii sul suo petto muscoloso. La sola vicinanza mi fece perdere nel suo calore e desiderai abbracciarlo. “Mi vuoi dire che succede, piccola?”
Strinsi i pugni sul fianco per non lasciarmi avvolgere dalle sue braccia, troppo simili a spire di serpente.
“Ieri sera non hai risposto al telefono e non mi hai nemmeno richiamata.” Sembravo un’adolescente con squilibri ormonali che si lamentava che il suo ragazzo fosse uno stronzo. Uno stronzo con un profumo delizioso.
“Scusa.” Borbottò lui, stringendomi più forte a sé. “Hai ragione avrei dovuto richiamarti, ma stavo...avevo da fare e quando sono tornato a casa, ho avuto qualche problema con mio padre.”
La ragazzina innamorata che era in me provò tanta gelosia da diventare un mostro verde. Ma non potevo di certo fare una scenata in mezzo alla strada al mio...amico?
Scivolai lontano dalla sua stretta e ripresi a camminare, il mio pullman sarebbe passato tra pochi minuti. 
“Dai Bella, non essere arrabbiata. Scusa, davvero ero impegnato.” A far cosa? Avrei voluto chiedergli, ma temevo di espormi troppo.
“Nessun problema, Cullen. Ci vediamo a scuola.” Peccato che proprio in quel momento vidi scivolare via il mio pullman, proprio oggi in anticipo. “Oh, no!”
“Temo proprio che dovrai accettare il mio passaggio.” Edward era già alla sua macchina, la portiera del passeggero aperta, un sorrisetto da stronzo in faccia.
Mi chiusi in un assoluto mutismo, ma Edward non si scoraggiò.
“Cosa dovevi dirmi ieri sera?” Alzai le spalle con noncuranza. “Ti prego, parla con me. Mi stai facendo morire.” Edward fermò la macchina alla stessa rotonda dove mi ero fatta lasciare qualche tempo prima e ancora una volta chiuse le sicure. Sembrava passato un secolo. “Non andremo a scuola finché non mi dirai che succede. Sono serio, Bella. Posso restare qui tutto il tempo che vuoi.” Passarono i minuti, ma lui non si decideva ad accendere di nuovo il motore. Sganciò la cintura di sicurezza e assunse una posa rilassata.
Le lancette dell’orologio si stavano spostando pericolosamente vicino alle nove.
“Come sei infantile.” Borbottai sconfitta. “Sono stata ammessa a Georgetown.”
Lui sussultò dalla felicità e mi abbracciò nello stretto spazio dell’abitacolo. Mi persi nel bacio che mi diede. “Sei fantastica, signorina Swan.”
“Beh, papà non la vede proprio così. Anche perché...sono stata ammessa anche alla Brown.” Questa volta scoppiò a ridere. 
“Paura che non ti paghino la retta?” Scrollai le spalle, perché quella era davvero l’ultima delle mie preoccupazioni. Se anche non mi avessero fatto accedere al fondo fiduciario, avrei sempre avuto la possibilità di chiedere il prestito universitario. Mai mi sarei fatta sconfiggere dai pregiudizi dei miei genitori.
“Tu...tu dove andrai?” Chiesi in un sussurro.
“UC Berkeley o Stanford, credo.” Ah, California. “O forse Harvard, chi lo sa.” Boston?
“E poi sarei io la Yankee.” 
“Ricorda che nel mio sangue sorre puro sangue newyorkese.” Gli chiesi di mettere in moto, perché era tardi e la mia confessione ormai era stata fatta. 
Il parcheggio era pieno. Di solito, quando arrivavamo, era semideserto. Edward non si fece scoraggiare a trovare un buco e puntò dritto all’ingresso, dove c’era il posto riservato al Cigno Bianco.
“Sei un privilegiato viziato.” Lui mi sorrise e io tentai di sfuggire a quegli occhi magnetici, ma le sicure erano ancora abbassate. “Davvero, Edward, farò tardi. E poi chi lo sente il preside.” Tentai di ridere della mia battuta, ma mi uscì un penoso latrato. 
“Ancora non mi hai detto tutto quello che ti passa nella mente, piccolo Anatroccolo.”
“Non è importante.”
“Per me lo è.”
“Perché? Tanto l’anno prossimo tu andrai sull’altra costa. Io tonerò il meno possibile in questa città e ci perderemo di vista. Siamo amici e...” Eravamo amici che si baciavano a ogni occasione, per la verità.
Edward fece scattare la sicura, ma prima che potessi anche solo aprire la mia portiera, lui era al mio fianco. Mi tese la mano in un gesto davvero galante e io, stupida affascinata, gliela porsi. Mi attirò a sé e mi sussurrò all’orecchio se ero pronta.
“Pronta?” Sussurrai anche io, spaesata. Le sue labbra intrappolarono le mie prima che potessi chiedere altre spiegazioni. Sul parcheggio calò il silenzio, esistevamo solo noi che ci baciavamo vicino al portone d’ingresso.
“Noi non siamo solo amici.” Mi disse quando si staccò da me. Mi sentivo un’assetata nel deserto. Non mi bastavano mai i suoi baci e fui io a baciarlo quella volta.
“Ci stanno guardando tutti, vero?” Lui si voltò per perlustrare la popolazione studentesca. 
“Hanno la bocca spalancata, in realtà.”
La campanella suonò e tornai con i piedi per terra. Edward mi prese la mano ed entrammo a scuola come una coppia di reali, la folla che si apriva in due al nostro passaggio.



p.s. dell'autrice: Sono molto felice di essere tornata con tempi accettabili a postare questa storia (il che vuol dire che tutti gli impedimenti sono per fortuna spariti)
Angioletto o diavoletto? chi avreste seguito? Io il secondo, sicuro come l'oro. Bella non vuole fidarsi ancora totalmente di Edward, certa che prima o poi la sorpresa sia dietro l'angolo. Ma ormai la loro relazione ha fatto altri passi in avanti...
alla prossima
Sara


   
 
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