Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Segui la storia  |       
Autore: Alyeska707    12/02/2021    4 recensioni
una vecchia palazzina
arte, musica, agape ed eros, sentimenti e nostalgie
qual è il prezzo del successo?
dove conduce l'amore?
ma esiste davvero, la purezza?
♒︎
─ dal testo: ❝ Piccola. Stretta. Letteralmente a pezzi. Duncan aveva affittato una topaia, non una casa. Però era la sua topaia, ed era a pezzi esattamente come lui: un bordello, il disordine, una grezza anti-eleganza… ma non è affascinante, la distruzione? Agli occhi del punk, eccome: la distruzione era il suo riflesso specchiato.❞
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 8
 
Gwen era tornata da sola al locale di Owen e Noah tre giorni dopo la prima visita con Duncan. Aveva mostrato ai due le foto scattate ai suoi ultimi lavori e Noah non si era risparmiato dal commentare: «Delle fotografie? Pensi davvero che delle fotografie siano sufficienti per giudicarti?» Ma poi aveva accettato, perché se dare corda alla gotica si sarebbe rivelato il modo più rapido per liberarsi di lei, l’avrebbe fatto più che volentieri. E chissà che il Signor Io-sono-un-punk non si sarebbe sentito vagamente grato verso di lui accettando di tornare ai suoi vecchi lavoretti; Noah ci sperava. Duncan andava alla grande in quello che faceva, prima di sparire senza un vero motivo e non farsi più sentire, fino al giorno in cui si era portato dietro la dark.
Gwen era anche riuscita a pattuire con Owen, decisamente più incline a discutere cordialmente con lei, la data in cui avrebbe potuto esibirsi Trent: «Il prossimo venerdì, per forza! I venerdì sera sono sempre affollati! Ci sarà un sacco di gente a sentirlo!» Poi aveva congiunto le mani per esclamare sognante: «Musica dal vivo… che cosa fighissima!», ed era tanto perso tra i film mentali delle sue aspettative, da non sentire nemmeno l’ennesimo lamento di Noah: «Un sacco di gente a sentirlo? Un sacco di gente a pentirsi di essere venuta, ecco cosa succederà!»

Quel venerdì era arrivato in uno schiocco di dita, come se i giorni precedenti della settimana fossero tesi unicamente a quella sera. Quando Trent non era a “fare gli straordinari al negozio di Chef”, a suonare con la band o a lavorare davvero da Chef, non faceva che strimpellare la chitarra. Agli occhi di Gwen, il ragazzo sembrava essersi riacceso. Appariva completamente travolto dalla sua creatività, era sempre di buon umore e sapeva soltanto di speranza. Non che prima Trent fosse caratterizzato da un pessimismo di fondo, però era spesso, troppo spesso, attorniato da un alone di preoccupazione tanto denso da minare la sua sicurezza e far emergere le sue fragilità. Sebbene Gwen fosse consapevole del fatto che vivere significa essere deboli, non sopportava di vedere quei tratti manifestarsi nel suo ragazzo così apertamente. Negli ultimi giorni, però, Trent sembrava così rilassato! A Gwen piaceva pensare che quel piacevole mutamento fosse dovuto a lei, alla sua grande trovata di proporre Trent al locale; magari era la leggera spinta che gli serviva, quella consapevolezza che ci fosse qualcuno a credere in lui. Gwen ci credeva, e molto.
Da parte sua, Trent non poteva che bearsi dell’influsso positivo che Heather stava portando alla sua pace mentale. Gli incontri con lei avevano il potere di ricaricarlo completamente e non si trattava di un effetto semplicemente fisico, no: era soprattutto mentale. Trent non si sentiva più minacciato da niente, da nessuno; Duncan? E chi era, Duncan? Nemmeno ci pensava. Certo, questo non significava che l’avrebbe salutato con il sorriso trovandolo davanti alla porta. Fortunatamente, però, non gli era più capitato di incrociarlo; evidentemente avevano orari diversi. A Gwen invece era capitato di vedere Duncan, ma solo per un saluto o un paio di parole, il tempo di finire una sigaretta sul balcone o sul pianerottolo. Duncan non si era più presentato in biblioteca, non le aveva più domandato con malizia di fare un salto nel suo appartamento e non l’aveva più provocata rispolverando frammenti della notte trascorsa insieme; che non si sentisse bene? Gwen se lo chiese diverse volte, ma no: il punk stava benone; lo comprendeva puntualmente sul fare della sera, quando veri e propri versi, più che voci, cominciavano a risuonare dal suo appartamento: la compagnia di una ragazza – di Courtney, si ritrovava a ipotizzare Gwen –, che evidentemente lo appagava più di quanto non avesse fatto lei. Come la faceva sentire questo pensiero? Insensibile: nonostante la curiosità verso le vicende del punk, Gwen non si sentiva affatto schernita. Forse ciò che provava era addirittura sollievo, sì perché se Duncan si stava dimostrando incline ad archiviare la loro vicissitudine, che motivo aveva di riviverla lei, di sentirne il pungente fastidio in compagnia di Trent? Quella notte non era mai accaduta, Duncan era solo un nuovo vicino con uno spiccato senso dell’umorismo e Trent era il suo Trent, che amava e dal quale era amata: una grande interpretazione.
A Gwen era capitato spesso di incrociare il punk, tuttavia non le era mai capitato di ringraziarlo per l’idea dello speakeasy; sentiva come un freno in gola ad impedirle di mostrarsi grata. Allo stesso modo, non gli aveva mai riferito dell’accordo con Owen riguardo all’esibizione di Trent. Non fino a quello stesso venerdì.

Duncan le aprì la porta salutandola quasi amichevolmente: «Ma che piacere, la bellezza della porta accanto è venuta a farci visita?»
Dietro di lui, sul divanetto del soggiorno, Geoff amoreggiava con Bridgette. Alla vista del loro garbuglio di braccia e lingue, Gwen si sentì un po’ in imbarazzo e sì, anche disgustata. Duncan li presentò ugualmente, in un tentativo di richiamarli all’ordine. Riuscì nell’intento solo per qualche secondo, giusto per scandire: «Oh ciao! Io sono Geoff!» «E io sono Bridgette!»
Nemmeno il tempo della sua risposta: «Io sono Gwen, piac-» che la coppietta si era avvinghiata di nuovo, tornando a far parte del loro piccolo ed esclusivo universo.
«-ere mio… immagino» finì con la stessa espressione con la quale era entrata: scettica, disgustata, confusa. «Sono venuti qui soltanto per limonare in un posto diverso?»
Duncan scrollò le spalle. «In teoria doveva venire soltanto Geoff. In pratica Geoff vive incollato a Brid da quando l’ha conosciuta. Ciliegina sulla torta, a quanto pare oggi è il loro anniversario di fidanzamento. E se ne sono ricordati dopo essere arrivati qui. A volte la vita è davvero nauseante.»
Gwen fissò gli occhi su Duncan per cercare di ignorare i due poco lontani. «Mi dispiace.»
«Non quanto dispiace a me. Insomma, guardali: sembrano due lumache bavose in simbiosi! E stanno contaminando il mio divano!»
Gwen ruotò gli occhi inevitabilmente. «Perché prima era tanto puro, no?»
Un sorrisetto nacque sulle labbra del punk. Si portò una mano sul fianco e si appoggiò al muro. «Nostalgia?»
«Stai scherzando, vero?»
Duncan rise. Disse: «Forse», ma no, la risposta sincera sarebbe stata senza dubbio un chiaro e tondo, anzi sferico: no. «Allora, vuoi bere qualcosa? Parlare di qualcosa? Fare qualcosa? Perché sei qui?»
Gwen sperava di avere più tempo per formulare quanto aveva da dire: riteneva giusto informare Duncan dei nuovi piani dato che, anche se indirettamente per Trent, il merito era suo. Tuttavia l’astio tra i due si dipinse nella mente di Gwen in quell’esatto istante, insieme al pensiero che, probabilmente, Duncan non avrebbe gradito la notizia. Lo disse d’un fiato: «Trent suonerà stasera.»
Duncan alzò un sopracciglio. «Perché dovrebbe fregarmene?»
«Al locale di Noah e Owen» specificò allora, accorgendosi di essere stata troppo vaga. Lo sguardo di Duncan mutò leggermente, come diventando più rigido. «Ci tenevo a dirtelo perché, insomma… il merito è tuo, alla fine.»
Lui sbuffò. «Wow, non desideravo altro che fare un favore allo sfigato.»
«Duncan…»
«Che vuoi?»
Gwen abbassò gli occhi. Fare la gentile e permissiva con lui era l’ultima cosa che voleva. Doveva risultare davvero patetica. Accartocciando le labbra in segno di fastidio per le parole che avrebbe detto, mormorò: «Speravo potessi fare un salto, potrei offrirti da bere per sdebitarmi.»
Duncan le rise in faccia, concretizzando i suoi presagi: sì, doveva esser risultata incredibilmente patetica.
«Sai quanti altri modi avresti per sdebitarti con me, bellezza? E l’unica cosa che ti viene in mente è invitarmi a sentire il tuo fidanzatino mentre canta le stupide canzoncine che vanno di moda quest’anno? Non farmi ridere, Gwen.»
«Non potreste sforzarvi di accantonare questa insulsa antipatia reciproca?!»
Duncan incrociò le braccia sul petto. «Ha cominciato lui.»
«Certo, e tu ti sarai sempre dimostrato così carino invece! Dio, è talmente difficile essere gentile con te!» Si voltò per afferrare la maniglia della porta e uscire, ma Duncan la bloccò per un polso suggerendole di rimanere.
«Non fare la bambina, Gwen… Dai, resta un po’. Divertiamoci.»
La dark lo guardò con disprezzo. «Chiama la tua Courtney se vuoi divertirti, non contare su di me!»
Duncan avrebbe dovuto sentirsi irritato, deluso dal suo distacco, e invece si sentì soltanto appagato.
«Tagliente… quasi come… la gelosia?»
«Certo, come no! Oggi ti senti simpatico, vedo.»
Duncan ridacchiò. «La mia simpatia aveva predetto la tua visita, si vede. Allora, a parte la stronzata di prima: c’è qualcos’altro che posso fare per te?»
Gwen incrociò le braccia. «La stronzata di prima.»
Duncan sbuffò. «Sentiresti così tanto la mia mancanza?»
Gwen: «Ti ho già spiegato come vedo le cose.»
Il punk ruotò gli occhi. «Questo è un tormento, non un favore…»
«… Due drink?» azzardò Gwen. Non sapeva nemmeno lei con chiarezza perché desiderasse tanto la presenza di Duncan, perché era chiaro: il tutto non girava semplicemente intorno a uno stupido debito della coscienza. Che si sentisse vagamente minacciata dallo sguardo iperpolemico di Noah? Sì ma… no, l’atteggiamento tutto rigido di quel tipo smilzo era irritante ma, sotto sotto, anche ilare; di certo non intimidatorio… e allora per quale motivo continuava a richiedere la presenza del punk? Forse sperava che, in veste di amico, avrebbe potuto tenerle compagnia mentre Trent intratteneva la clientela o forse, dalla profondità della sua claustrofobia, temeva che il locale si sarebbe riempito di gente ammassata e sconosciuta tramutandosi nel tipico ambiente che detestava… Erano tutti motivi egoistici, Gwen lo sapeva. Allo stesso tempo, però, voleva davvero dimostrare al punk la sua riconoscenza.
Duncan sorrise. «Due a mia scelta.»
Gwen gli strinse la mano. «Andata.»
«E a che orario, questo patibolo?»
«Inizierà alle nove.»
«Mh» farfugliò Duncan. «Va bene, si può fare. Ci becchiamo lì.»
Gwen annuì sorridendo, prima di tornarsene nel suo appartamento. I due erano tanto immersi nella loro discussione, che non si erano neppure accorti che, a pochi metri da loro, Geoff e Bridgette avevano smesso di sbaciucchiarsi per assaporare tutta la tensione di quell’esilarante spettacolino. Come Gwen richiuse la porta alle spalle, Bridgette sospirò con dolcezza: «Lei è così perfetta per te!» e Geoff, subito dopo: «Ce l’hai in pugno, amico!» ; poi ricominciarono a sbaciucchiarsi e Duncan, per evitare un conato alla loro vista, si spostò in bagno per una doccia.
Quello che Gwen non sapeva era che lui, in quel locale, i drink non aveva mai dovuto pagarli.
 

***
 
La sera, Gwen arrivò al locale insieme a Trent, che come al solito aveva premuto per arrivare con sufficiente (inutile) anticipo.
Ordinarono qualcosa da bere per ingannare il tempo. Noah, già infastidito, non diede peso a nessuno dei due. Intanto Owen, sforzandosi di non pronunciare ad alta voce i suoi pensieri, non faceva che chiedersi che idea di relazione avesse in mente la gotica per frequentare contemporaneamente il chitarrista e il suo amico Duncan. Più tardi lo chiese a Noah e la risposta che ricevette fu: «No, lei non sta con Duncan, ma è stata con Duncan. Capito?» Owen annuì ma no, non aveva capito un bel niente. 
Pochi secondi dopo fecero ingresso Scott, Heather e Alejandro. Il sorriso della dark si spense in un millisecondo.
«Guarda guarda, la nostra pittrice del cuore…» Heather la squadrò scettica. Preoccuparsi di non risultare spiacevole non rientrava nel podio dei suoi propositi, filtrare i suoi personali giudizi nemmeno; Heather amava pensarsi totalmente trasparente e, al tempo stesso, un’abile simulatrice.
«Anche per me è un grande piacere incontrarti, Heather.» Gwen rivolse un’occhiataccia a Trent, sguardo che lui raccolse senza davvero afferrare; ce l’aveva con lui adesso? E per quale motivo? Era stata proprio Gwen a trovargli la serata! E sì, era vero: ma la proposta della ragazza valeva per il fidanzato, che avrebbe fatto una grande figura anche da solista, non per il suo insopportabile gruppo: Heather e Gwen non si potevano vedere; Scott era così rozzo invece, e puzzava costantemente, come se vivesse in una fattoria, e poi c’era Alejandro, che ci provava con tutte, come se fosse in vita soltanto per andare a caccia di prede ed esibirle in giro. Aveva tentato di sedurre anche Gwen. Lei, però, non si era mai potuta definire una vera conquista: Alejandro l’aveva notata una volta in un bar, persa a disegnare un angolo del locale. Era rimasto intrigato dal suo talento, aveva subito intuito che doveva trovarsi di fronte a una ragazza ben particolare. Si era seduto al suo tavolo e, tra i vari complimenti che avevano lasciato Gwen decisamente turbata, l’aveva invitata all’esibizione programmata del suo gruppo; avrebbero suonato in un bar lì vicino, la dark non avrebbe proprio potuto trovare giustificazioni per assentarsi! Alejandro le aveva proposto di ritrarli mentre suonavano e si era mostrato perfino incline a darle un compenso nel caso di un bel risultato. Gwen era rimasta acciecata dall’occasione offerta dallo spagnolo; aveva accettato, certo, e la personalità accogliente di Alejandro era quasi riuscita a fregarla. Ma poi, dopo l’esibizione, non aveva esitato a portare Gwen sul retro del locale con la scusa di una sigaretta veloce, con l’unico fine di trovarsi completamente solo con lei. L’aveva bloccata contro alla porta e aveva iniziato a far scorrere le sue viscide mani lungo il suo corpo, mentre i complimenti si rincorrevano tra le sue labbra passando progressivamente dal disegno alla sua persona, al suo viso, la sua pelle diafana, il suo corpo sottile… L’aveva anche baciata. La forza di Gwen, schiacciata da quella decisamente maggiore di lui, non le aveva permesso di scostarlo immediatamente. Ricordava quella scena come uno dei momenti più squallidi della sua vita. Ma poi aveva conosciuto Trent: era andata a sbattere contro di lui mentre correva via da Alejandro, dopo averlo allontanato con un calcio ben assestato. Il suo sorriso l’aveva subito mandata in tilt. Avevano parlato per un po’: Gwen gli aveva raccontato di come «Uno stronzo di nome Alejandro» l’avesse indotta a presentarsi lì per un fine totalmente fittizio; aveva sorvolato su quel bacio, concentrandosi invece sulla scusa del ritratto. Trent si era dimostrato incredibilmente interessato alla sua arte, aveva pure proposto di pagarglielo lui, quel disegno che raffigurava i quattro intenti a suonare. Gwen però non gliel’aveva permesso, perché in realtà era lei a sentirsi in debito con Trent per via della sua gentilezza disinteressata. Il disegno, alla fine, gliel’aveva regalato. Quella sera, ascoltando Gwen, il chitarrista l’aveva sempre assecondata sull’amico, dando pareri severi ma bilanciati: «Tende ad essere un po’ precipitoso, ma non è una merda come vuole far credere. È solo un amante di merda. Però è un bravo amico.» Trent l’aveva calmata, l’aveva addolcita, aveva fatto sì che Alejandro si scusasse con lei pagandole un drink nel dopo-serata. Grazie a Trent aveva passato del tempo piacevole con loro. Da parte di Heather, però, soltanto freddezza; da quella di Scott, soltanto tanfo di sudore.
Adesso l’ostilità della gotica nei confronti di Alejandro si era raffreddata, ma niente era stato dimenticato: il suo sorrisetto idiota col tempo non aveva smesso di disgustarla e di certo Heather non era diventata sua amica.

Trent si aggiunse subito ai compagni di band per aiutarli nella sistemazione degli strumenti. Soltanto poco prima dell’inizio della performance, notando gli altri allontanarsi, Gwen si avvicinò nuovamente al fidanzato. Si sforzò di deglutire il nervosismo provocato dalla presenza degli amici di lui e gli disse soltanto: «Rimarranno tutti a bocca aperta. Sarai perfetto.»
Trent le sorrise. Si sentì sciolto sotto quell’incoraggiamento. Gwen era il centro del suo mondo, era il suo sole… un sole importantissimo, incredibile, fondamentale, ma anche un sole che sapeva rivelarsi scostante, un sole che spesso si nascondeva dietro alle nubi di un cielo grigio; in quelle giornate storte, Trent si faceva consolare dalla luce artificiale di una stanza chiusa: dov’era finita Heather? Trent si guardò in giro: Scott stava sorseggiando un drink, gli altri due compagni, però, sembravano spariti. Trent sentì la mascella serrarsi e uno strano fastidio concretizzarsi alla bocca dello stomaco. Diede un bacio veloce a Gwen e subito dopo corse fuori scusandosi: «Devo controllare una cosa in macchina!», ma Heather e Alejandro non erano neppure sul marciapiede lì fuori. Trent si sentì d’impulso ancora più nervoso. Poi distinse nel buio le sue supposizioni: sui sedili anteriori dell’automobile sportiva dello spagnolo, Heather e Alejandro si stavano baciando con tanto ardore da non sentire gli occhi di Trent addosso, Trent che rientrò nel bar sentendosi un vero stupido, davanti all’evidenza che tutte le storie raccontate dal suo bassista erano vere eccome; era Heather ad essere una bugiarda, e Trent pendeva dalle sue menzogne. Rassicurò Gwen: tutto a posto in macchina, poi si avvicinò a Scott e gli disse di fare uno squillo ai due compagni assenti.
Scott: «E non puoi farlo tu?»
Trent: «Ho il telefono spento.» Balla. D’altro canto, aveva imparato a raccontarle dalla migliore.
Alejandro ed Heather rientrarono dopo pochi minuti riprendendo il loro consueto teatrino d’odio reciproco e, dopo aver ricordato per un’ultima volta la scaletta dei brani, presero tutti i loro posti per iniziare a suonare.

***
Duncan parcheggiò la sua Harley Davidson di fronte all’entrata del bar. Dall’esterno riconosceva chiaramente il suono della musica: così drammaticamente country e piatto e pulito e femminile e Dio, che noia! Scendendo dalla moto, si chiese per la trilionesima volta come facesse Gwen a trovare attraente quel chitarrista fallito; forse non lo trovava davvero attraente, forse stava con lui semplicemente per abitudine, per convivere con qualcuno, per non sentirsi sola… Forse la loro storia era nata analogamente al rapporto che aveva lui con Courtney: forse il chitarrista (così come la perfettina nei confronti del punk) aveva frainteso la disponibilità di Gwen e lei si era ritrovata nella prigione di una relazione seria con lui… In questo caso, Duncan la compativa. No, in realtà non la compativa solo in questo caso; la compativa in ogni caso: come diamine faceva a stare con quello? A preferirlo a lui? Doveva essere davvero malata, o cieca! Andiamo, tra lui e il chitarrista effemminato c’era un vero abisso! Raggiunse l’entrata del locale con questa conclusione in testa: Gwen non era certamente innamorata di Trent. Ma poi, proprio sulla soglia, l’aveva intravista: era nell’ala laterale del bar, seduta da sola a uno dei tavolini più vicini ai musicisti. Duncan riusciva a vederla soltanto di profilo, ma la sua espressione era fin troppo chiara: un sorriso imbambolato, stupido, talmente stupido, e rapito, incollato su una sola, precisa e stupida figura, che strimpellava in modo esasperato e, per Duncan, patetico e stupido, le stupide corde di una stupida chitarra. Gwen guardava Trent come Owen avrebbe guardato una montagna di muffin. No, quella non era per niente somigliante all’espressione sollevata dal punk davanti a qualche bella ragazza; quelli di Gwen non erano occhi da “ti spoglierei in questo esatto istante”, erano occhi… diversi. Sforzandosi di leggervi dentro, probabilmente Duncan avrebbe ipotizzato che celassero ammirazione, sollievo, forse addirittura… amore? Duncan non sapeva cosa fosse l’amore. Non avendone esperienza, si rifiutava di trovarvi una definizione. Tuttavia l’espressione dipinta sul volto di Gwen sembrava sospirare una sola parola: amore, in ogni singolo segmento inclinato del suo vago sorriso.

Trent stava suonando. Gwen amava Trent. Che cavolo ci faceva lui lì, allora? Senza nemmeno entrare per ordinare un drink, Duncan si voltò deciso a tornare alla sua moto. Quello non era il suo posto, non per quella sera. L’atmosfera che aveva appena colto non gli piaceva per niente. Era rivoltante. Quella musica era rivoltante. Tutto il locale col virus di quella band era rivoltante. Gwen con quel sorriso era rivoltante. E anche intensamente fastidiosa. No, Duncan non sarebbe mai entrato lì dentro. Si stava già sistemando in sella alla moto quando Owen, precipitatosi fuori alla vista dell’amico, gli gridò: «Ehi, Dunc! Te ne vai di già? Ma sei appena arrivato, ti ho visto!»
«Le atmosfere piatte non fanno per me» Duncan voleva soltanto liquidarlo in fretta. Tuttavia Owen, nella sua estrema semplicità, il motivo dietro al suo comportamento l’aveva intuito:
«È per la ragazza, vero?»
«Non so a quale ragazza tu ti stia riferendo.»
«Massì dai, sì che ce l’hai in mente… Quella con cui sei venuto l’altro giorno, la fidanzata del chitarrista che suona in modo assurdo …» Duncan strinse le mani attorno al manubrio e Owen comprese di non averla presentata nel modo più adatto.
«Forse è meglio dire… la sventola coi capelli blu? Va… meglio?»
Duncan sospirò. Il ragazzone era un vero imbecille.
«Perché dovrebbe fregarmi di Gwen?»
«Ecco come si chiamava! Gwen! Le sta proprio bene come nome, non credi Dunc?»
Ci pensò su. In effetti sì, Gwen era un nome con personalità: breve ma deciso, sapeva il fatto suo, proprio come lei. Inavvertitamente sorrise, ma si riprese in fretta. «Sì, ma è solo una delle tante, niente di speciale.»
«Perché le hai parlato di noi se non è niente di speciale?»
«Perché…» Duncan si fermò vedendosi in un vicolo cieco. «… Perché pensavo le avrebbe fatto piacere...»
«E quando si ragiona così di solito non è perché si tiene a una persona?»
Owen parlava con ingenuità. Probabilmente non sapeva nemmeno lui dove volesse andare a parare e si limitava a sfornare le prime parole che gli venivano in mente sperando avessero senso in una frase. Eppure era appena riuscito a bloccare Duncan. Il punk non poteva rispondere, non poteva negare: fine del gioco. Quindi teneva a Gwen, forse? No, lui non poteva avere a cuore nessuno. Quel cuore era congelato. Non avrebbe mai sentito calore.
«No» rispose quindi a Owen, evitando di incrociare il suo sguardo. «Le cose stanno esattamente come ha detto Noah l’altro giorno, ricordi? Mi interessa solo il suo corpo. Se farle un piacere è il prezzo per averlo, l’accontento più che volentieri.»
La bocca di Owen si aprì in una grande O in segno di realizzazione. Duncan era proprio un grande calcolatore per queste cose, eh? Lui non ci avrebbe mai pensato! Tuttavia non si poteva certo considerare un grande conoscitore dell’altro sesso: Owen non aveva mai avuto una ragazza e l’unico amore che conosceva era quello per il cibo. Una volta aveva chiesto a Noah come dovesse essere l’amore vero, quello per un altro essere umano e non per una tavola riccamente apparecchiata. Inizialmente l’amico aveva storto il naso e risposto “Una fregatura?”, ma poi Owen aveva insistito e alla fine l’altro aveva optato per “Non lo so… come… la gioia che provi tu quando mangi una torta al cioccolato ma amplificata, forse?” Da quel momento Owen aveva maturato un nuovo desiderio: una fidanzata. Così disse a Duncan: «Un giorno devi insegnarmi a rimorchiare, Dunc! Lo sai fare troppo bene, hai proprio capito tutto…»
Il punk gli sorrise. Owen era come un fratellino fesso e curioso.
«Quando vuoi, ragazzone. Ma ora me la filo.» Duncan lo salutò con la mano e accese il motore. Voleva solo scordarsi al più presto delle sue parole e, ancora più rapidamente, dell’immagine di Gwen in contemplazione di quello stupido chitarrista. Era insopportabile.

***
Heather cantava come se non esistesse niente se non la sua voce, che esigeva di risuonare, di sentirsi gridata, di esprimere ciò le parole dei testi da sole non dicevano.

*There’s nothing less than true romance
Or am I just making a mess?!

Era l’ultima canzone composta da Trent: dolce, ma al tempo stesso più tagliente del solito. L’aveva scritta dopo il grande risveglio: il merito era soltanto di Heather, quindi; le piaceva pensare che tutto dipendesse da lei, nel suo gruppo. Si voltò appena verso Alejandro: pizzicava le corde del suo basso e nel frattempo si divertiva a guardarla di sottecchi. Heather odiava la perfezione di quel ragazzo, odiava l’effetto che le faceva. Si avvicinò a Trent per cantare il verso:  … I’m ready to die holding your hand!
Alejandro non si lasciaò sbilanciare da Heather, però: voleva farlo ingelosire? Con Trent? Per favore! L’autostima di Alejandro gli impediva di interpretare qualsiasi altro uomo come minaccia. Heather, in fondo, era soltanto sua, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Se Heather fosse stata meno-Heather, era convinto, avrebbe gridato di amarlo ogni giorno ad ogni ora; l’avrebbe supplicato di amarla, l’avrebbe pregato di farla sua. Ma la vera Heather era troppo orgogliosa per aprirsi tanto. Preferiva atteggiarsi da stronza, quindi. Preferiva mostrarsi insensibile, come se davvero lo fosse… Infondo Heather ribolliva di rabbia verso Gwen dalla sera in cui si erano conosciute per un semplice motivo: l’aveva vista appartarsi con Alejandro. Col suo Alejandro. Gwen, quindi, non poteva essere altro che una sgualdrina. Non poteva meritare niente. Sotto questo punto di vista, Trent sembrava cieco.
Così quando Heather raggiunse il ritornello: You’ll be my bloody valentine , Alejandro optò, al posto di ripetere la sua frase, di cambiarla in: I’ll be your bloody valentine babe , e Heather dovette sforzarsi per non ringhiargli contro.

***
Gwen si girava ogni due minuti verso la porta d’ingresso, ogni volta invano: la cresta verde di Duncan non era mai apparsa, nemmeno dopo la fine dell’esibizione musicale.
«Stai aspettando qualcuno, Gwen?» Trent l’abbracciò con dolcezza da dietro e lei non poté che negare; ammettere che a) stesse cercando Duncan e che b) fosse stato proprio suo il merito di portarla in quel posto, avrebbe fatto perdere il senno al fidanzato. Sarebbe stato meglio coprire la verità, quindi; nasconderla. Forse era quello che anche Duncan aveva pensato, forse proprio per questo aveva deciso di non presentarsi al locale… Ma era davvero così altruista, Duncan? No, il punk pensava soltanto a sé stesso. Ma allora perché non era lì? Gwen non riusciva a trovare una risposta.
Quindi si intromise Heather: «Starà aspettando il suo ragazzo, no? Oh, scusa! Ma sei tu il suo ragazzo! Mi sono confusa!»
Trent avrebbe voluto detestarla per quell’uscita, ma non ci riuscì. Con la testa appoggiata sulla spalla di Gwen, si limitò a sorridere davanti all’ostilità della sua cantante; che fosse un po’ gelosa, forse? Gwen la odiava eccome invece, ma non per quella affermazione. Non le rispose nemmeno. Dopo aver parlato un po’ con Trent, tra un drink e qualche bacio, Gwen si allontanò con la scusa di andare a ringraziare i proprietari del locale. Raggiunto il bancone bar però, trovatasi davanti a un Noah stanco e annoiato, al posto di un "Grazie" articolò in fretta: «Duncan non è ancora arrivato?»
«Perché ti interessa, tipa-del-chitarrista?»
«Mi aveva detto che sarebbe passato…»
«E ti sembra una risposta alla mia domanda?»
Owen prese posto sullo sgabello di fianco a Gwen; sugli sgabelli in verità: il suo lato B non sarebbe di certo stato comodo su soltanto uno di quei dischetti rigidi; il suo lato B esigeva un certo confort.
«Parli di Dunc, vero? Era qui fuori prima, io l’ho visto! Però è rimasto così poco, non è nemmeno entrato… Io sono uscito per chiedergli il motivo, ma non mi ha risposto!»
Noah ruotò gli occhi. «Ecco un altro che non sa rispondere alle domande… Avete sempre più tratti in comune, quante qualità condivise…»
«Sei proprio sicuro Owen? Perché avrebbe dovuto venire fin qui per non entrare nemmeno a salutare?»
Owen aprì le braccia mostrando i palmi. «Boh?»
Noah sbuffò, riempiendo l’ennesimo bicchiere. «Non è ovvio? Il tuo tipo stava suonando, tu ami il tuo tipo e il tuo tipo ama te: per che cavolo di ragione Mr. Piercing avrebbe dovuto trovare sollievo in questa situazione? È un tipo storto, ma non è così masochista da provare piacere nel vedere le sue donne tra le braccia di altri, nel caso non l’avessi intuito.»
Gwen: «Quante volte devo ripeterti che siamo soltanto amici?»
Noah: «Come no, e io e Owen siamo fratelli, non lo sapevi?»
Owen: «COSA?!»
Noah si sbatté una mano in viso, poi tornò a parlare con Gwen: «Forse non l’hai ancora capito, o magari non lo vuoi capire, ma il fatto è: Duncan non ha amiche, non come le intendi tu, quindi non considerarci degli idioti, ok?»
Sospirò, Gwen: nessuno sarebbe mai stato disposto a crederle, giusto? Se ne domandava il motivo: era davvero tanto assurdo immaginare l’esistenza di un sano rapporto di amicizia tra una ragazza fidanzata e un originale punk un po’ donnaiolo? Le supposizioni di Noah non la turbavano: lei sapeva di non provare sentimenti amorosi per Duncan. Certo, l’esser andata a letto con lui non andava sicuramente a favorire la sua posizione, ma era stato solo un momento di debolezza, un errore. Forse era proprio quel particolare a rendere Noah tanto restio; evidentemente aveva una visione molto ristretta dell’amore.
Così Gwen gli chiese: «Ma tu ti sei mai sentito innamorato, Noah?» Lui abbassò il volto in imbarazzo.
«Ma che domanda eh? Stavamo parlando di te e Mr. Piercing, non provare a deviare il discorso!»
Gwen alzò gli occhi al soffitto. «Il punto è che fai tanto l’esperto in fatto di relazioni e sentimenti… Sono soltanto curiosa.»
«E ti terrai questa tua curiosità!»
Owen ridacchiò e, sporgendosi verso Gwen, sussurrò al suo orecchio: «In realtà è andato dietro a una pupa per un sacco, ma lei non si è mai ricordata nemmeno il suo nome!»
«Owen!»
«Bene bene…» Gwen si sentiva decisamente più divertita, ora. «E proprio tu vorresti classificare il mio rapporto con Duncan? Mi fai davvero ridere, Noah!»
«Duncan, eh?» Heather si appoggiò al banco di fianco a Gwen. «Il nuovo vicino? Mi è giunta voce che sia un gran figo, sei d’accordo anche tu, Gwen?»
Gli occhi della dark si strinsero a fessure. Avrebbe voluto risponderle col suo stesso tono provocatorio, dirle “Perché non fai un salto da lui per risponderti da sola? Sono certa che gradirebbe la tua compagnia” oppure “I miei gusti non ti riguardano”, ma si sentì mordere la lingua al pensiero del punk e riuscì soltanto a esclamare: «No!»
Heather: «Certo…»
Owen: «Ma scusa ma allora perché sei - AHIA!» Gwen lo colpì con un calcio prima che potesse finire la frase. Solo sotto al dolore Owen comprese di trovarsi sulla strada sbagliata. Tentò di correggersi dicendo: «Volevo dire… io sono convinto che Dunc sia un gran figo!» Sorrise in un tentativo di dimostrarsi credibile. Gwen lo guardò alzando un sopracciglio. Gli risultava tanto difficile tenere la bocca semplicemente sigillata?
Il sorriso di Heather si allargò. «Sei cosa, Gwen? Innamorata di lui?»
«Non essere ridicola, Heather.»
«Senti ma… se ami un altro, perché ti ostini a tenere Trent nella tua gabbia? Non mi pare molto corretto… Sei così egoista?»
Gwen sentì una risata acerba pizzicarle la gola. «Tu vuoi parlarmi di correttezza? Per favore!»
Heather alzò le spalle. «Era una semplice considerazione. Vedi, a differenza tua, io ho molto a cuore Trent.» Si liquidò così, senza ulteriori spiegazioni. Noah si riavvicinò subito per chiedere: «Sicura che non abbia una tresca col tuo ragazzo, quella?»
Gwen sogghignò. «Ti prego! Vuoi soltanto distrarmi dal discorso di prima! Parlami di questa ragazza!»
«Mai!»

***
Duncan raggiunse velocemente la casa di Courtney. Dopo aver fermato la moto vicino al cancello, rimase per un po’ in sella con gli occhi rivolti verso le stelle: non aveva voglia di vedere la ragazza, però aveva bisogno di distrarsi. Il sesso era sempre una distrazione e Courtney non aveva mai opposto resistenza a farsi scopare da lui. Era proprio un tipo strano, Courtney: all’apparenza così rigida e precisa, ordinata, puntigliosa… al tempo stesso, però, così disperatamente bisognosa di non sentirsi pulita, così accesa, così fuori di sé. Era un binomio che intrigava decisamente il punk; gli piaceva l’ottica di portare una perfettina sexy sulla cattiva strada, lo faceva sentire potente, virile, importante. Avrebbe potuto plasmare quella ragazza in ogni sua fantasia e lei non si sarebbe mai opposta: l’avrebbe soltanto desiderato, sempre di più; perché una volta che ti avvicini al male, allo sbagliato, allo sporco, poi non sei più capace di tornare indietro. L’influenza di Duncan su Courtney suonava come una grande nostalgia. L’arroganza di lui la faceva sognare. Sprizzava sicurezza da tutti i pori. I suoi piercing non facevano che ribadire “nessuno è come me ed è per questo che sono migliore di loro”. Anche a Courtney piaceva sentirsi migliore, ma solo sull’estremità positiva della scala. Duncan invece aveva un debole per il versante opposto.
Alla fine scese dalla moto. Stare lì a pensare al da farsi era ancora più noioso dell’ascoltare le insulse chiacchiere di Courtney. Andò a citofonarle e lei aprì immediatamente: l’imprevedibilità di Duncan la faceva imbestialire, impazzire… allo stesso tempo, però, la faceva davvero impazzire.
«Quando ti deciderai ad avvisare prima di precipitarti qui?»
Duncan sogghignò. «Mai.»
Courtney si lanciò su quel sorrisetto beffardo per spegnerlo con un bacio. Non le piaceva la versione che assumeva ogni volta che appariva il punk: si sentiva totalmente incontrollabile e Courtney amava sentire il controllo di ogni cosa stretto nelle mani. Però quelle emozioni così intense si accendevano ogni volta come un immenso falò. Soltanto Duncan era capace di soddisfare quell’ardore. Rimasero qualche minuto a baciarsi sulla porta. A Duncan, però, il gioco di lingue non bastava: lo sfigato chitarrista continuava a dargli fastidio. Allora tentò di sfilare la maglietta attillata di Courtney, ma lei gli colpì subito le mani staccandosi.
«Andiamo Court, lo so che lo vuoi…»
A Courtney piaceva Duncan, molto. Le piacevano le emozioni che sprigionava in lei: nervosismo, sollievo, desiderio… Però detestava sentirsi un oggetto: comprendendo subito il fine della visita di Duncan, già intento a spogliarla ancora sulla porta d’ingresso, prima ancora di un saluto, si sentì ferita. E come esprimeva il dolore, Courtney? Nel modo in cui esprimeva qualsiasi tipo di emozione: esibendo un’incredibilmente seccante irritazione.
«Perché devi sempre essere tanto rozzo?! Smettila!»
Duncan alzò gli occhi, annoiato dalla reazione. «La principessa tira fuori le palle?»
«Non chiamarmi in quel modo!»
«Beh mi perdoni, principessa, ma questa sera è talmente altezzosa che -»
«Io altezzosa? Sei tu ad essere un depravato!»
Duncan rise. Quel confronto si sarebbe rivelato più che divertente. Scontrarsi con le ragazze non gli dispiaceva affatto, in realtà; era una bella sfida e ovviamente, alla fine, sarebbe stato lui ad averla vinta.
«Depra- che?»
«Un porco! Arrivi così, senza preavviso, e non mi chiedi nemmeno come sto! Sono una persona, lo sai? Ed è stata una giornata snervante, Duncan! Ma perché ti ho aperto la porta?! Sei solo un delinquente, sembri appena uscito dalla galera!»
«Non puoi avere la certezza di essere in errore, tesoro.»
«Smettila di usare nomignoli! Non ti sopporto! Sei esattamente come vuoi sembrare!»
«…Attraente?»
Courtney sbattè un piede a terra, frustrata. «NO!» Però…
Duncan si avvicinò a lei, notando come le sue barriere stessero iniziando a vacillare. «…Eccome invece.»
«N-No…» Courtney non voleva perdere il confronto, ma non poteva che riconoscerlo: era lui ad avere in pugno la situazione e per quanto lei si atteggiasse da tosta, pendeva dalle sue labbra, labbra incredibilmente ipnotiche e che, Dio, desiderava ogni secondo di più. Quando il punk le scostò i capelli dal volto per baciarle l’orecchio sentì un brivido e riuscì soltanto a mormorare: «Non fermarti.»

Così il solito copione si ripeté invariato anche quella notte e Duncan, stretto a Courtney tra le sue lenzuola, riuscì a liberarsi da tutti i fastidi che si erano accumulati durante la serata.

***
Dopo aver esaurito gli ultimi barlumi di adrenalina, esplosa come dinamite durante il concerto, Trent tornò a casa con Gwen. Sì, due bicchieri li aveva bevuti, aveva anche accettato di fare qualche tiro dallo spinello di Scott, ma si sentiva lucido per la guida, anzi: più di quanto avrebbe voluto. Lo spettacolino che aveva intravisto di Heather e Alejandro gli picchiettava nella testa dandogli fastidio. Non era gelosia: Trent amava soltanto Gwen e le condizioni degli appuntamenti con Heather erano segnati dalla trasparenza: no sentimenti. Ad irritarlo era soprattutto l'evidenza che quelli che considerava amici lo ritenessero un idiota; o meglio, di come Heather lo ritenesse un idiota, dato che Alejandro non aveva mai fatto giri di parole sulla questione. Questo lo faceva innervosire.

«Tutto a posto, Trent?»
Ammorbidì il sorriso senza deconcentrarsi dalla strada, per rispondere: «Certo Gwen, perché?»
«Sei silenzioso…» ridacchiò. «Insomma, non dovresti sprizzare euforia da tutti i pori, dopo tutti quegli applausi?»
Anche Trent rise. «Pensavo desiderassi un po' di calma, dopo tutto il fracasso che c’era nel locale… Ma posso mostrarti come si sente una rockstar dopo un concerto mettendomi a urlare di gioia, se vuoi.»
«Mi conosci troppo bene…» Gwen appoggiò la fronte sul finestrino. «Sento ancora il chiasso rimbombarmi nelle orecchie…» Chiuse gli occhi: la macchina che sobbalzava leggermente sulla strada, la tranquillità della notte, il filo d’aria che filtrava dalla fessura aperta del finestrino; così rilassante…
«Però mi sono divertita.»
«Menomale... Sai, mi è dispiaciuto lasciarti sola a quel tavolo durante l’esibizione. Dopo qualche pezzo ho sentito l’impulso di levare la chitarra e venire a sedermi con te, o di trascinarti con noi, anche.»
«Non ci sarei mai venuta!» esclamò Gwen ridendo. «Sarebbe stato imbarazzante!»
«Sì, ho pensato che non avresti voluto… è per questo che mi sono limitato a lanciarti qualche occhiolino.»
«Dieci» soffiò Gwen.
«Cosa?»
«Dieci occhiolini. Dopo aver annunciato il titolo di ogni canzone.»
«Wow! Eri proprio attenta, eh?»
Gwen richiuse gli occhi. «Soltanto a te. Degli altri non mi fregava un granché.»
Trent accarezzò il ginocchio di Gwen con una mano. “Ti amo” avrebbe voluto dirle, “Sei tutto”; lo pensava davvero, ma le corde vocali si rifiutarono di vibrare.
 
Entrati nell’appartamento, Trent fece notare alla ragazza che aveva tenuto la sua catenina portafortuna per tutta la performance. Gwen si sentì commossa: era talmente dolce…
Si addormentarono abbracciati prima ancora di cambiarsi per la notte.

 
Anche Heather dormì abbracciata a qualcuno, e quel qualcuno aveva il più fastidiosamente intenso ma irresistibile profumo che Heather avesse mai sentito, perfettamente abbinato alla sua persona: Alejandro. Trascorsero la notte in un motel fuori città: la febbricitante scarica di energia che li aveva animati durante l’esibizione non voleva abbandonarli, avevano voglia di avventura, di abbandonare in città il controllo esercitato su loro stessi. Dopo i tre calici di Martini al locale di Owen e Noah e qualche sorso del Rhum che lo spagnolo si portava sempre appresso, arrivati in quella camera di motel, biascicando tra le labbra dell’altro, Heather si lasciò sfuggire le parole in cui credeva meno dell’intero vocabolario: «Ti amo.» Alejandro fece finta di non sentirla: niente che già non sapesse, niente che la ragazza, consciamente, avrebbe mai ammesso.
Ma quando Heather si svegliò sul fare dell’alba a causa delle tapparelle avvolgibili orientate appena verso la luce, realizzò di ricordare davvero poco della serata: la memoria riusciva a farle rivivere solo i momenti passati cantando, poi qualche frammento del tragitto in macchina con Alejandro; dopo, soltanto immagini: lui che la guida in stanza con le chiavi in mano, lui senza maglietta, lei che cade sul materasso. Notando Alejandro ancora addormentato al suo fianco, sentì un’ondata di ribrezzo investirla: e no, non verso di lui, ma verso sé stessa. Perché si era lasciata trascinare di nuovo? Era così debole, quindi? Dannazione… Tuttavia, alla vista del ragazzo così beato nel sonno, inevitabilmente sorrise. Accoccolò di nuovo la testa sul suo petto, pensando che il loro antagonismo non dovesse per forza ricominciare subito, e presto si riaddormentò.
 

Sul fare della stessa alba che aveva rubato e presto restituito il sonno ad Heather, Gwen si alzò dal letto. Si spostò nella zona giorno senza far rumore e preparò una tazza di tè. Non voleva svegliare Trent, ma non riusciva nemmeno a riprendere sonno. Stare a letto da sveglia non faceva che ricordarle le mille cose che avrebbe dovuto fare durante la giornata: troppe per perdere tempo tra le braccia del ragazzo dormiente.
Sorseggiando la sua bevanda fumante, cominciò a leggere quegli appunti che, a distanza di mesi dalla loro scrittura, erano diventati incredibilmente simili a geroglifici. Tuttavia Gwen lo sapeva: il titolo di studio in storia dell’arte, senza una buona dose di impegno, non le sarebbe di certo venuto incontro.

Anche Trent si svegliò presto. Mentre faceva colazione in silenzio accanto a Gwen, per non deconcentrarla dallo studio, fu lei a uscirsene con: «Guarda questo quadro, non sembra Heather? Una megera che si allunga su tutto e lo divora! È proprio lei!» Trent rise, ma nella testa imprecava. Il volto della cantante schiacciato contro ad Alejandro si risvegliò nella sua memoria frantumando la sua pace mattutina. Si vestì in fretta e si liquidò accusando i turni speciali da Chef.
«Vuole davvero fartela pagare, questa riassunzione!»
«E come dargli torto? A dopo, piccola.»
Trent si richiuse la porta alle spalle e tirò un sospiro di sollievo, un sospiro da “anche questa menzogna è andata”, perché no: Trent non doveva andare così presto in negozio; doveva andare da Heather per chiarire la situazione. Quante altre bugie gli aveva raccontato? Perché non si fidava di lui? Cosa c’era tra lei e Alejandro? Le domande gridavano nella testa di Trent senza promettere di affievolirsi.

***
Il campanello.
Duncan: «Ma che ore sono? Che palle!»
Courtney si alzò dopo essersi stropicciata gli occhi. Indossò una vestaglia per raggiungere la porta.
Davanti all’inaspettato visitatore, per un attimo rimase sorpresa, senza parole; la stessa fu la reazione di Trent alla vista di lei, ma amplificata.
«Ciao! Mi ricordo di te! Cosa ci fai qui?»
«In realtà…» Trent iniziò a farfugliare in imbarazzo: cosa gli conveniva dire? Ma perché lei era lì? «… sto cercando Heather, non ho sbagliato indirizzo, no?»
Courtney scosse la testa in segno negativo. «Io sono sua cugina, vivo qui con lei.»
«Oh, bene.» Merda. «Lei è anche la cantante della mia band, avrei delle cose da dirle… sulla nostra musica.»
«Ora non è in casa, mi dispiace. Non ho idea di dove sia, ma le farò sapere che sei passato! Sempre che non la veda prima tu!»
Trent si sforzò di ridacchiare per coprire l'amaro, perchè ci avrebbe scommesso: era ancora con Alejandro.
«Già… Beh grazie comunque, Courtney.»
«Figurati, e buona giornata!»
Tornò in camera dove un punk ormai amaramente sveglio premeva la testa sul cuscino nel tentativo di riprendere sonno.
«Quanto è piccolo il mondo, non smetterò mai di stupirmi… Riesci a indovinare chi era alla porta?» Si mise a sedere su un angolo del letto.
Duncan soffocò contro al cuscino: «Perché dovrei indovinarlo?» 
«Era Trent! Il tuo vicino Trent, quello del film horror!»
Duncan si sentì di colpo sveglio ma no, doveva essere ancora perso nel sonno; quello doveva per forza essere solo un fastidioso incubo.
«Che cavolo ci faceva qui?»
«Stava cercando mia cugina Heather, a quanto pare fanno parte della stessa band! Riesci a crederci?»
Duncan avrebbe preferito sbattere la testa da qualche parte, al posto di scoprire quella notizia. Sentì l’impulso di dare un pugno a qualcosa, o meglio qualcuno: Trent, per puro esempio. Dovette sforzarsi per non lasciar trasparire il nervosismo.
«E perché diamine dovrebbe cercare la sua compagna di band a quest’ora?»
Courtney sollevò le sopracciglia. «Non me l’ha detto… Ma a te cosa interessa, scusa? Non sono affari tuoi, non puoi intrometterti!»

Ah no?
Se Courtney gli diceva che non poteva, l’avrebbe sicuramente fatto.
 
 





Ciaoo a tutti! Che bello poter dire, anche questa volta: È UN PIACERE ESSERE PUNTUALE NELL’AGGIORNAMENTO! (anzi, in anticipo ^^) – puntualità alla quale non sono per niente abituata tra l’altro, o almeno, sicuramente non nella everyday life xD
Arrivando al capitolo: e anche oggi la nostra storiella sale su un nuovo gradino di intrigo! Ahiahiahi, incauto Trent! Per il resto possiamo notare i classici damn di contesto: Trent infastidito da Heather, Duncan infastidito da Gwen, ma Duncan è con Courtney, ma Trent è con Gwen, ed Heather... con Al! E così anche il nostro Burromuerto è entrato in scena, era anche ora ^^
Quali saranno le prossime mosse dei nostri cari tipelli? Restate sintonizzati per scoprirloo! *mood McLean off*

Come da solito copia-incolla: spero che il capitolo vi abbia intrattenuto, intrigato e fatto sorridere! Io, devo dire, mi sento molto soddisfatta!
In generale sono davvero contenta di come stia procedendo la storia: solitamente per me è molto facile abbandonare progetti, soprattutto per le montagne russe su cui si diverte la mia ispirazione: a volte sale ai picchi con idee che trovo molto ad effetto, in altri punti solitamente va in letargo: la costruzione di trame mi consuma xD In questa long però (STRANO ma vero) sento l'ispirazione accompagnarmi in ogni capitolo, se non credere! Anche per lo stile mi sento sempre più soddisfatta! Spero non sia solo una soggettiva impressione in quanto autrice ^^”” per giudicare questo, dovrete aiutarmi voi!
E qual è stata la scenetta che avete preferito?? Io ho adorato scrivere il dialogo tra Owen e Duncan! Rileggendolo mi ha suscitato un senso di tenerezza *.*

Se siete arrivati fino a qui e avete potuto apprezzare quanto la mia testa storta ha partorito per questo capitolo, fatemelo sapere! Il mio sforzo per sfornare (pardon per la cacofonia) intrighi e scrivere decentemente necessita di piccole ricompense xD se no l’ispirazione diventa più altezzosa di Courtney U.U 
(ovviamente scrivetemi anche se qualcosa vi lascia turbati! Insomma, datemi un segno di vita se il tutto non vi ha lasciati indifferenti xD Sono sempre a caccia di indizi per migliorarmi! – essenzialmente pubblico qui proprio per questo, lol)

Dulcis in fundo: ultimamente ho notato un incremento più rapido di visualizzazioni, quindi grazie a tutti voi che vi state appassionando alla storia! Questo mi rende molto felice!

*la canzone cantata da Heather in realtà non l’ha scritta Trent (lol) e men che meno io: si tratta di Bloody Valentine di Machine Gun Kelly, i suoi versi mi sono venuti in mente a caso proprio mentre delineavo la scena e allora “hei! Ma ci sta troppo bene!” e quindi via così

(la descrizione del quadro di cui parla Gwen invece, della megera-Heather, l’ho improvvisato io. Se proprio volete immaginarlo, vi proporrei un ibrido tra i colori di Vampiro di Munch e lo stile tagliente di Schiele… molto random, insomma)

Grazie per l'attenzione,
Ciaociao!
 
Alyeska707
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: Alyeska707