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Autore: Parmandil    14/02/2021    1 recensioni
Approfittando della Guerra Civile federale, lo Stato Imperiale Romulano esce dal lungo isolamento. Guidato da un’ambiziosa Imperatrice e forte di vascelli potenziati dalla tecnologia Borg, si appresta a ristabilire l’antico Impero Romulano. Solo una fragile alleanza tra le fazioni in lotta potrebbe fermarlo, posto che tutti lo trovino conveniente.
È la prova più dura per Terry, l’Intelligenza Artificiale che per quarant’anni si è sforzata di diventare più umana, ma ora deve partecipare a una guerra truculenta. Nel momento in cui la salvezza comune dipende da lei, l’IA dovrà chiedersi che significa avere un’anima, e se è disposta a perderla pur di salvare i suoi cari.
Ma la rovina incombe anche sullo Spettro, che si trova braccato dalla sua nemesi, uno spietato cacciatore di pirati al servizio dell’Unione. Pur di arrivare a lui, l’Esecutore non esiterà a fargli il vuoto attorno, colpendolo negli affetti più cari. Solo l’aiuto degli androidi del pianeta Coppelius potrebbe salvarlo, posto che sappia di quale fidarsi. Tra macchine che vogliono diventare persone e persone degradate a macchine, la Guerra Civile mostra il suo volto più atroce.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Nuovo Personaggio, Romulani, Sela
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 10: ... tutti i diavoli sono qui
 
   Il tempo pareva congelato nel centro di comando dell’impianto minerario di Sokar. Ritto davanti alla poltrona di comando, l’Esecutore reggeva trionfante la testa mozzata di Jaylah, per la disperazione dello Spettro. Ai lati erano ammucchiate le sue altre vittime: da una parte i corpi, dall’altra le teste. Erano tutti corsari esperti, ma non avevano potuto opporsi al sicario, piombato su di loro mentre la Stella del Polo era in ricognizione. Ora questi si apprestava a prendersi un’altra testa, l’unica che gli interessava veramente: quella di Jack.
   «Bene, vecchio mio, ora ti restano tre possibilità» disse l’Esecutore. Gettò il suo macabro trofeo, che rotolò fino ai piedi dello Spettro. «Puoi tentare la fuga, nel qual caso t’inseguirò e ti ucciderò. Puoi lottare con tutte le tue forze e soccombere, com’è accaduto a lei. Oppure puoi rassegnarti all’inevitabile e lasciarti giustiziare senza opporre resistenza. Sentiti libero di scegliere l’opzione che preferisci: tanto il risultato non cambia».
   Devastato, Jack fissò gli occhi spenti della sua amatissima Jaylah. Lei era stata il suo unico raggio di sole in una vita tenebrosa; l’unica speranza che un giorno sarebbero vissuti normalmente, lontani da guerre e orrori. Ora quella speranza era definitivamente tramontata. Non gli restava più nulla, salvo che un’ardente sete di vendetta. Dopo un lungo silenzio, il corsaro alzò lo sguardo e fissò l’imperscrutabile visiera dorata del suo avversario. «Lotterò... e giuro che ti ammazzerò» disse.
   «Sono già morto una volta. È stata un’esperienza istruttiva» rispose l’Esecutore, criptico. Prima che Jack potesse ribattere, alzò il braccio e apri il fuoco. Il corsaro si sfasò appena in tempo: il raggio phaser gli attraversò la testa e colpì la parete dietro di lui. Fu così che gli ultimi due visitatori di quel mondo morto ingaggiarono lo scontro.
 
   La Stella del Polo attendeva nell’orbita del pianeta di carbonio. In plancia regnava il silenzio, da quando lo Spettro se n’era andato. «Notizie dal Capitano?» chiese Graush.
   «Nessuna» rispose Siall, sconsolato.
   «Se l’Esecutore era là ad attenderlo, staranno già combattendo» disse Soji. Per un attimo tornò il silenzio. «Basta, io scendo!» sbottò l’androide, che vestiva già la tuta da Banshee.
   «Non ci provare! Gli ordini dello Spettro sono chiari» si oppose il Letheano. «Tu resterai qui, o ti sbatteremo di nuovo in cella».
   «Dovete solo provarci!» reagì Soji in tono minaccioso. Avendo la tuta, poteva sfasarsi in ogni momento, diventando imprendibile.
   Per un attimo i due si fissarono con ostilità. Il conflitto fu evitato da un violento scossone della nave.
   «È l’Hydra! Cioè, i due moduli superstiti» disse Siall. «Sono usciti dall’occultamento e ci attaccano a poppa». Fortunatamente la Stella teneva gli scudi alzati, o quel primo attacco sarebbe stato fatale.
   «Manovre evasive, rispondere al fuoco. Coordiniamoci con la nave appoggio» ordinò Graush.
   In un attimo l’orbita di Sokar divenne teatro di una feroce battaglia. I due moduli dell’Hydra, agilissimi ma con difese limitate, sferravano rapidi assalti e poi si ritiravano per rigenerare gli scudi. La Stella del Polo era più stazionaria, mentre la sua nave appoggio si azzardava talvolta a inseguire i moduli per assestare qualche altro colpo. In quello scontro altalenante vi era una sola certezza: finché i corsari tenevano alzati gli scudi, non potevano recuperare lo Spettro. Dunque non potevano salvarlo, se la sua situazione fosse volta al peggio.
 
   Sebbene lo Spettro avesse giurato di uccidere l’avversario, sapeva che non avrebbe avuto scampo in uno scontro frontale. Decise quindi di lasciarsi inseguire, aspettando il momento opportuno per volgersi e contrattaccare, o per nascondersi e tendere agguati. Fortunatamente le miniere di Sokar erano un labirinto che offriva infinite possibilità del genere. Per un po’ i contendenti s’inseguirono per corridoi e gallerie. Ognuno dei due sparava quando ne aveva l’occasione e poi tornava a sfasarsi per sfuggire alla reazione. Non c’erano più parole tra loro, solo i sibili delle armi e gli schianti dei colpi andati a vuoto. Era la prova finale delle loro abilità combattive e nessuno dei due intendeva mollare, quale che fosse il prezzo.
   D’un tratto Jack sbucò in un salone molto più vasto dei precedenti. Era colmo di enormi macchinari, dai contorni appena intuibili nella semioscurità. «Computer, luce!» ordinò.
   Malgrado i decenni di abbandono e i numerosi danni subiti, il computer della base era ancora attivo ed eseguì il comando. Il salone s’illuminò, rivelando una gran quantità di apparecchi industriali, che componevano una catena di raffinazione. Una fitta rete di passerelle, disposte su più livelli uniti da montacarichi, permetteva di seguire il processo dall’inizio alla fine. Lo Spettro riconobbe la raffineria in cui i minerali erano depurati e l’annessa fonderia in cui erano trasformati in lingotti pronti per lo smercio. C’era ancora in deposito una notevole quantità di minerale grezzo, che giaceva lì dal giorno in cui gli operai erano morti.
   «Ebbene, non dicevi di volermi affrontare?» disse l’Esecutore, sbucando da un altro lato del salone. «Finora non hai fatto che scappare! Dov’è la tua grinta, dov’è la tua vendetta?» lo provocò.
   «Ora vedrai» mormorò lo Spettro, raggiungendo una consolle. Era impolverata, ma i comandi funzionavano ancora. Bastarono pochi attimi per riattivare l’impianto. I vecchi ingranaggi cigolarono e sbuffarono, non essendo oliati a dovere, ma poco alla volta entrarono in funzione. Il rullo scorrevole su cui si trovava il minerale grezzo si mosse dapprima a scatti, ma poi sempre più regolarmente. Le macine sminuzzarono il minerale, i crogioli lo fusero, gli altiforni lo depurarono dalle ultime scorie. Una serie di meccanismi colò il titanio fuso nelle forme, da cui sarebbero stati estratti i lingotti. In pochi minuti il salone si riempì del frastuono di tutti quei macchinari all’opera. Il metallo fuso gettò la sua luce calda sulle pareti e la temperatura aumentò sensibilmente. Per adesso la catena di raffinazione funzionava, ma senza la dovuta supervisione degli operai era facile che s’inceppasse, con esiti catastrofici.
   L’Esecutore si aggirò in quella confusione, guardandosi attorno. I movimenti rapidi dei macchinari gli rendevano più difficile cogliere la presenza della sua preda. Il rumore copriva i passi dello Spettro, mentre gli altiforni e le colate di metallo fuso accecavano il suo visore termico. Individuare il corsaro in quelle condizioni era arduo, tanto che la ricerca si protrasse per parecchi minuti, infruttuosa.
   «Non puoi nasconderti per sempre, vecchio mio» disse l’Esecutore. «Presto la scorta di minerale grezzo si esaurirà. Allora questi macchinari si fermeranno definitivamente».
   D’un tratto il corsaro si materializzò a metà di un balzo e gli fu addosso. Lo colpì con un calcio sul volto celato dal casco, gettandolo all’indietro, sulla catena di raffinazione. Mentre cadeva, l’Esecutore gli afferrò la caviglia e lo trascinò con sé. Finirono entrambi sul rullo scorrevole, in mezzo ai blocchi di minerale sgrossato. Il rullo li portava verso il primo strumento di raffinazione, una grossa macina cilindrica.
   «Ah ah! Ora sì che ci divertiamo!» rise l’Esecutore, rallegrato dalla situazione letale. «Cerchiamo di arrivare fino agli altiforni, così dopo averti ucciso potrò placcarti nel metallo!».
   «Tu sei pazzo» mormorò Jack.
   «No, il pazzo sei sempre stato tu» corresse il sicario, con voce stranamente familiare. «Io sono quello che ti segue».
   All’Umano parve di avere già udito queste parole, ma non ebbe il tempo di pensarci, perché l’avversario attaccò. Si scambiarono alcuni colpi, finché il rullo li portò contro la macina; allora si sfasarono per attraversarla senza essere maciullati. Appena giunti dall’altra parte ripresero a combattere, finché dovettero sfasarsi di nuovo per sfuggire al pericolo, e così via. Se nessuno fosse riuscito a prevalere, avrebbero attraversato la raffineria dall’inizio alla fine: dalle macine per minerali alle presse per lingotti, passando per le fornaci. Nessuno dei due pensò di saltar giù dal rullo, pur avendone occasione, grazie alle passerelle che lo bordavano. Nessuno voleva cedere.
 
   I due moduli dell’Hydra fecero l’ennesimo passaggio ravvicinato, sparando a tutto spiano contro la Stella del Polo. La nave corsara rispose al fuoco, concentrandosi su un solo modulo, come faceva dall’inizio della battaglia.
   «Scudi di babordo al 60% in diminuzione» avvertì Skal’nak. «Però anche gli scudi nemici vacillano».
   «Ehi, per un attimo ho avuto una lettura dell’interno!» esclamò Siall. «L’equipaggio è composto di androidi, come previsto. Però c’è anche un segno vitale umanoide».
   «Uno solo? Fammi vedere!» s’interessò Soji, affiancandosi a lui. Vedendoli chini a parlottare sulla consolle, anche Graush si unì a loro.
   «Può essere...?» fece il Letheano.
   «È possibile» disse Siall. «Ma le letture sono incomplete».
   A quelle parole, Graush tornò a sedere in poltrona. «Concentrate tutto il fuoco su quel modulo e dite alla nave appoggio di fare altrettanto. Dobbiamo abbattere gli scudi, ma senza distruggerlo» ordinò. Dopo di che si rivolse a Soji: «Sei pronta a entrare in azione?».
   L’androide attivò il casco, che si richiuse con uno scatto metallico. «Affermativo» disse, mentre il visore azzurro s’illuminava. «Mandatemi più vicina che potete a quel segno vitale».
   «Dovrai affrontare gli androidi» avvertì il Letheano. «Te la senti?».
   «Il vostro capo mi ha insegnato a usare la tuta» rispose Soji.
   «Intendo dire: te la senti di combattere la tua specie?» chiarì Graush, fissandola con sospetto.
   «L’Universo non si divide in Organici e Sintetici, ma in chi segue la coscienza e chi segue gli ordini» ribatté la nuova Banshee. «Oggi seguirò la coscienza».
   «Allora ti servirà questo» disse Virrikek, consegnandole l’elettro-chiarificatore. Il Roylano stentava a reggere l’arma, grossa quanto lui. «Dovrebbe stendere tutti gli androidi davanti a te in un raggio di venti metri. Ricorda però che, non essendo integrato nella tuta, non può sfasarsi con essa. Quindi se dovrai sfasarti ti cadrà di mano».
   «Lo terrò a mente. Comunque non avrò bisogno di attraversare le pareti, se mi manderete abbastanza vicina all’obiettivo» disse Soji, impugnando l’arma. Salì sulla pedana di teletrasporto e si tenne pronta a entrare in azione.
   I due moduli dell’Hydra erano già in picchiata per eseguire un altro passaggio. La Stella del Polo sussultò e i suoi scudi s’indebolirono, ma il suo fuoco concentrato riuscì a penetrare le difese nemiche. Uno dei moduli sbandò e il suo scafo fu intaccato. Batterono entrambi in ritirata, incalzati dalla nave appoggio dei corsari. Nello stesso attimo la Stella abbassò gli scudi per eseguire il teletrasporto. Ci riuscì appena prima che l’Hydra fosse fuori portata.
   Materializzata in un corridoio, la Banshee fu subito assalita dagli androidi, ma si aprì un varco con l’elettro-chiarificatore. «Non tutto il male viene per nuocere. Se non fosse stato per Sutra, non avrei quest’arma» si disse. Procedette spedita, quasi correndo. Si lasciava dietro una scia di androidi disattivati, caduti a terra in pose scomposte, con gli occhi gialli spalancati in un’espressione di vago stupore. Finalmente giunse al luogo che la interessava: le prigioni. Non ebbe difficoltà a riconoscere quella giusta, dato che ce n’era solo una occupata.
 
   Soli nella raffineria, lo Spettro e l’Esecutore continuavano a battersi, sfasandosi di frequente per sfuggire sia agli attacchi nemici che ai macchinari. I colpi andati a vuoto danneggiarono tuttavia alcuni apparecchi, tanto che la catena automatica cominciò a incepparsi. I contendenti però ne erano a malapena consapevoli, assorbiti com’erano dallo scontro. Oltrepassate le macine e gli altri strumenti di depurazione, giunsero alle fornaci. Qui il metallo veniva fuso e riversato in grandi crogioli, dai quali si eliminavano le ultime scorie. Dopo di che era versato negli stampi, per solidificarsi in lingotti.
   Balzato da un livello all’alto dell’impianto, per disimpegnarsi dallo scontro, lo Spettro si aggirò presso l’imboccatura di un crogiolo. Accanto a lui c’era una colata di titanio incandescente, simile a una cascata dorata. Vapori roventi gli turbinavano attorno, rendendo l’aria irrespirabile; solo la tuta gli permetteva di resistere. Guardò sopra di sé, ma non riuscì a vedere l’Esecutore. Che fosse saltato anche lui?
   «Dove sei?» si disse il corsaro, guardandosi attorno in cerca dell’avversario. I vapori offuscavano la luce visibile e il calore intenso accecava gli infrarossi, quindi provò altre lunghezze d’onda, ma senza esito. Forse l’Esecutore si era di nuovo sfasato. In ogni caso era meglio allontanarsi. Cercando una via d’uscita, Jack valutò a che altezza si trovava dal suolo. Concluse che era ancora molto in alto. Troppo, per saltar giù.
   In quella il sicario emerse dalla cascata di titanio. Piombò addosso al corsaro prima che potesse sfasarsi: gli afferrò il phaser innestato nel bracciale e glielo strappò via. In un colpo solo Jack fu disarmato e messo nell’impossibilità di sfasarsi. Cercò di mettersi fuori tiro, ma si trovò a vacillare sull’orlo del crogiolo. Sotto di lui ribolliva il titanio fuso. Se ci fosse caduto con la tuta danneggiata, sarebbe arrostito come un’aragosta nel suo guscio.
   «Bella battaglia, vecchio mio; ma è finita» sentenziò l’Esecutore. «La tua leggenda muore adesso». Afferrò il corsaro per il collo e fece per gettarlo nel metallo incandescente.
   «Le leggende non muoiono mai... vecchio Nick» ribatté lo Spettro.
   «Come mi hai chiamato?!» si meravigliò il sicario. Tale fu lo stupore che la sua presa s’indebolì e lo Spettro ne approfittò per liberarsi.
   «Oh scusa, dimenticavo che non ti piace quel diminutivo» disse Jack, in tono beffardo. «Allora ti chiamerò col tuo nome intero, Nicrek».
   Per qualche attimo i due avversari si fissarono senza parlare, anche se non si può dire che vi fosse silenzio, dato che i macchinari attorno a loro erano in piena attività. La cascata di titanio fuso si arrestò e il crogiolo fu spostato dal suo alloggiamento, per lasciar posto a un altro. I contendenti però si trovavano sulla struttura di sostegno e qui rimasero, avvolti dai vapori incandescenti.
   «Come l’hai capito?» chiese infine l’Esecutore.
   «È stata quella frase che hai detto prima, sul fatto che io sarei il pazzo e tu quello che mi segue. Ci dicemmo la stessa cosa, quando trovammo il relitto dell’Eta Carinae» spiegò Jack.
   «Hai buona memoria» riconobbe il Remano.
   «Tutti i dettagli di quella giornata mi sono rimasti impressi nel cervello» confermò l’Umano. «Del resto fu il giorno decisivo per le sorti di entrambi. Io fui accusato ingiustamente, il che mi ha indotto a divenire lo Spettro. Tu d’altro canto mi tradisti, facendomi condannare; e ora cerchi ancora di distruggermi, nei panni dell’Esecutore. Sì, tutto ciò che è accaduto in questi anni non è che la conseguenza di quel giorno».
   «Allora saprai che il finale è già scritto» disse Nicrek. «All’epoca mi fu facile distruggerti la vita; e ora mi sarà altrettanto facile strappartela definitivamente».
   «Perché?!» chiese Jack, sovrastando il fragore di una nuova colata. «Perché mi tradisti? E perché sei così ossessionato da me? Sembra quasi che tu voglia vendicare un torto, quando in realtà sono io che devo raddrizzarne molti».
   «Tu non hai idea!» ringhiò il Remano. La sua voce, che in precedenza aveva un timbro metallico, apparve ora carica di rancore.
   «Allora spiega» lo esortò Jack, un po’ per curiosità, un po’ per prendere tempo mentre pensava a come cavarsela.
   «Sì, ti spiegherò; così saprai quant’è meritata la tua sorte!» disse Nicrek. «Devi sapere che quando ti accompagnai in cerca del relitto non c’era malizia in me. Ti consideravo un amico e volevo aiutarti a metterti il cuore in pace. Inoltre volevo rendere giustizia a quelle vittime, nel caso tu avessi ragione e la verità fosse stata insabbiata. Ma quando tornammo sulla Garuda con le prove, il Capitano Garm mi richiamò nel suo ufficio dopo che te n’eri andato. Mi spiegò che conosceva già la sorte dell’Eta Carinae e delle altre navi del convoglio. Sapeva cioè che erano stati i Breen ad attaccarle, anziché il Fronte Temporale. Ma per ordini superiori, doveva tacere».
   «Gli ordini di Rangda!» ringhiò Jack. «All’epoca era Senatrice; non aveva l’autorità per nascondere quel massacro».
   «Il silenzio era il prezzo che i Breen volevano per non unirsi al Fronte. Un prezzo modesto, dopotutto» ribatté il Remano. «Anche in seguito, per mantenere le buone relazioni con loro, la verità doveva restare occultata. Così concordai con Garm la versione della storia che raccontai al processo e che ti fece condannare. Speravamo d’esserci liberati di te, garantendo la pace. Ma no, tu non potevi uscire di scena! Dovevi rimanere una spina nel fianco! Così sei evaso, diventando lo Spettro. Abbiamo capito subito che eri tu, ma non potevamo gridarlo ai quattro venti, per non riaprire il caso. Perciò Garm ti diede la caccia con la sua nuova nave, la Keter. Ma siccome era uno stupido pallone gonfiato, si fece ammazzare, e la verità venne a galla. Così ci siamo definitivamente inimicati i Breen».
   «Sarebbe accaduto comunque, prima o poi. Ma tu non eri sulla Keter» notò Jack.
   «No, io fui trasferito sulla Juggernaut del Capitano Gulnar» rivelò Nicrek. «Avevo intuito che collaboravi con quelli della Keter – soprattutto con Jaylah – ma non potevo dimostrarlo. Così ho atteso, mentre i giorni dell’Unione erano sempre più cupi. Ho visto l’Ammiraglio Chase e gli altri reazionari opporsi in ogni modo alle sacrosante riforme di Rangda. Ho visto te diventare sempre più famoso e potente nei mondi di frontiera, anziché marcire in galera come meritavi. E quando i Voth hanno reclamato la Terra, e Rangda li ha accontentati... ancora una volta per mantenere la pace... le sono stato leale. Ero io l’Ufficiale Tattico che ha distrutto l’Enterprise-J. È stato il momento più esaltante della mia vita, distruggere l’astronave che capeggiava la ribellione!» rivendicò, levando le mani in segno di trionfo.
   «C’erano tremila persone a bordo» disse Jack, con la gola secca.
   «Tremila nemici della pace!» ribatté il Remano. «Ma nella battaglia successiva, a Elba II, tu aiutasti la Keter a distruggere la nostra nave. Il mio coraggioso Capitano si sacrificò restando a bordo e molti altri perirono nella battaglia. Io non fui così fortunato» disse cupo. «Mentre mi attardavo per accertarmi che i superstiti si mettessero in salvo, fui travolto dall’esplosione di un giunto di potenza. Sentii il fuoco che mi divorava la carne. Sentii i brandelli del mio corpo maciullato che si staccavano, mentre i compagni mi trascinavano sullo shuttle medico. Poco alla volta il dolore si attenuò, finché scivolai nel nulla.
   Mi affidarono alla Sezione 31, che da tempo aveva elaborato un programma per ricostruire gli agenti mutilati e trasformarli in macchine per uccidere. Non conosco i dettagli di ciò che mi fecero. Tuttavia so per certo che rimasi clinicamente morto per ore, prima che mi rianimassero con le nanosonde Borg. Per la cronaca, non ho alcun ricordo del tempo in cui sono stato morto. Non ho visto niente... non credo ci sia niente da vedere. Ricordo solo che al risveglio il mio corpo non c’era più. I chirurghi avevano buttato via un pezzo dopo l’altro, finché era rimasto solo il cervello. Quel cervello ora si trova qui dentro» disse picchettandosi il casco con l’indice «ed è tutto ciò che rimane del tuo amico Nicrek. Tutto il resto è meccanico. Capisci, vecchio mio? La mia vita è finita. Non ho più un volto da mostrare ai miei cari. Non ho più un naso per sentire i profumi e papille per gustare i sapori. Non ho neanche più sesso, frell! Tutto ciò che mi resta è la speranza di farti soffrire almeno un decimo di quanto ho sofferto io. E credo d’essere sulla buona strada per riuscirci» disse, malignamente compiaciuto.
   Lo Spettro aveva ascoltato il monologo senza interrompere e rifletté qualche secondo prima di esprimersi. «Sei vittima della guerra, come ne abbiamo avute tante anche noi» disse. «Ma è stata la Sezione 31 a trasformarti in una macchina, contro il tuo volere. E sono stati i Pacificatori a usarti come arma da allora. Continueranno a sfruttarti anche dopo che mi avrai ucciso. Quindi chiediti chi sono i tuoi veri nemici. Siamo noi... oppure sono loro?».
   «Ah ah, non ci provare!» rise la cosa che un tempo era stata Nicrek. «I miei guai sono cominciati con te, e fu la tua nave a smembrarmi. Non mi fermerò finché non avrò fatto lo stesso a te e a tutti quelli che ti seguono. Solo allora mi sentirò così in pace con me stesso da potermi finalmente togliere la vita». Così dicendo estrasse il phaser e mirò al petto di Jack. Un colpo e il corsaro sarebbe caduto all’indietro, scomparendo nel metallo fuso.
   «Sai, credo di sapere perché non hai visto niente, quand’eri morto» mormorò lo Spettro.
   «Ma davvero? Dimmi!» fece l’Esecutore, sarcastico.
   «Perché l’Inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui» rispose lo Spettro, ricordando le parole scritte da Shakespeare quasi mille anni prima. Mai come allora gli erano parse così veritiere.
 
   Fu allora che si udì un acutissimo fischio, capace di risuonare alto e chiaro anche in mezzo al fragore della fonderia. Qualcosa di dorato scese in picchiata contro l’Esecutore, alla velocità di una meteora. Gli afferrò il phaser e lo strappò dall’alloggiamento, per poi ripartire verso l’alto quasi alla stessa velocità. Schizzò verso un camminamento che correva lungo la parete, molto più in alto. Solo quando l’ebbe raggiunto rallentò e aprì le ali, rivelandosi Goldie, il falcone cestiano che da un anno era la mascotte dei corsari. Jack ricordò che Jaylah, a cui la bestiola era fedelissima, l’aveva portata con sé nella base, così che avesse più spazio per volare. E com’era solita fare, Goldie si posò sul polso teso della mezza Andoriana, dopo averle consegnato il suo bottino.
   A quella vista, Jack restò come fulminato. Aveva visto con i suoi occhi la testa mozzata della sua amata. L’Esecutore gliela aveva mostrata, reggendola beffardamente per un’antenna, prima di gettarla ai suoi piedi. Eppure Jaylah era lì, viva e vegeta, con la testa ben attaccata sulle spalle. E accanto a lei vi era la Banshee, ovvero Soji. Il corsaro non osò credere che fosse vero, perché non avrebbe retto all’eventuale smentita. Attese semplicemente che qualcuno parlasse, svelando l’arcano.
   Come in risposta al suo desiderio, la mezza Andoriana prese la parola. «Stai bene, Jack?» chiese commossa.
   «Io... credevo che tu fossi morta» rispose l’Umano. «Ho visto la tua testa recisa, in mano a questo mostro».
   «Era un inganno. Forse un ologramma. Sono proprio Jaylah, e sono viva!» proclamò la mezza Andoriana.
   Jack sentì che era vero. Le sue energie, ridotte al lumicino dal lungo scontro, si ridestarono. D’un tratto aveva di nuovo una ragione per vivere e lottare.
   «L’Esecutore mi ha presa viva, perché Rangda voleva interrogarmi. Quindi mi ha rinchiusa sull’Hydra mentre ti tendeva questa trappola» proseguì Jaylah. «Per fortuna il nostro equipaggio mi ha rilevata e la Banshee ha abbordato la nave, liberandomi. Mi spiace che tu abbia creduto il peggio, ma ora siamo qui con te».
   Udito questo, lo Spettro si rivolse all’Esecutore. Non gli disse nulla, ma dalla postura del corpo appariva molto più minaccioso.
   «Sapevo che era meglio ucciderla... maledetti ordini!» mugugnò il Remano. «Se t’interessa saperlo, non c’era alcun ologramma in sala comando. I corpi dei corsari sono veri, li ho uccisi tutti. E la testa di Jaylah l’ho creata col replicatore della mia nave. Contavo sul fatto che la disperazione ti rendesse più facile da uccidere. Beh, pazienza. Ti ucciderò comunque e poi mi sbarazzerò anche di loro» promise.
   «Non sarà facile, ora che la tua tuta è danneggiata» notò lo Spettro.
   «Come la tua» ribatté l’Esecutore.
   «Già, ma la Banshee invece è in ottima forma. Scommettiamo che ti prende a calci in culo?» fece Jack, il ghigno intuibile dalla voce.
   «Può darsi» concesse Nicrek. «Ma se mi succede qualcosa, la mia nave vaporizzerà questa base a suon di siluri. Come vedete, io vinco in tutti i casi». Ciò detto si scagliò contro lo Spettro, con una furia perfino superiore a prima. Il corsaro reagì a sua volta con energia rinnovata. Si avvinghiarono e caddero di nuovo su un rullo mobile, scomparendo tra i macchinari sbuffanti e le colate di metallo incandescente.
 
   Ora che le tute erano compromesse, e quindi non potevano più sfasarsi, la lotta divenne ancora più pericolosa. I contendenti avevano infatti raggiunto le presse che davano forma ai lingotti, ancora caldi e malleabili dopo la fusione. Gli enormi macchinari si muovevano con impressionante rapidità e precisione. La loro forza d’urto era immane: se uno dei contendenti fosse rimasto schiacciato, la tuta corazzata non lo avrebbe salvato. Così Jack e Nicrek dovettero interrompere la lotta e concentrarsi sulla sopravvivenza. Scattarono tra le presse nel momento in cui si aprivano, scavalcando i lingotti incandescenti, per poi sostare negli interstizi mentre si richiudevano.
   Lo Spettro era più avanti e cercava di distanziare l’Esecutore, che però continuava a tallonarlo. Mentre l’Umano scattava per superare l’ultima pressa, il Remano gli si tuffò dietro e lo afferrò per una gamba, facendolo cadere in avanti. Jack fece appena in tempo a respingerlo con un calcio e rotolarsi in avanti, prima che la pressa lo schiacciasse.
   Ora che il massiccio blocco metallico li aveva divisi, lo Spettro corse in avanti, cercando di guadagnare un po’ di distanza. Ma si avvide di essere giunto in fondo al salone. I lingotti sagomati sparivano in una fessura nel muro, troppo sottile per passarci a sua volta. Di certo finivano in un deposito attiguo, dov’erano impilati; ma per lui era la fine della corsa. Girandosi, vide l’Esecutore che attraversava a sua volta la pressa nel momento in cui si riapriva.
   Trascinato verso la parete, Jack si guardò rapidamente attorno, in cerca di una via di fuga. Se fosse saltato giù, sarebbe precipitato per un lungo tratto prima di toccare il fondo del salone. Non sapeva di preciso quanto, perché laggiù non c’erano luci, tanto che il pavimento era immerso nell’oscurità. In ogni caso gli pareva un salto eccessivo. Osservando l’altro lato, però, notò una passerella di servizio che correva appena un metro più sotto. Vi balzò appena in tempo e Nicrek fece altrettanto. Il corsaro era ancora con le spalle al muro, ma almeno non si trovava più su un rullo scorrevole.
   «Sei mio!» disse l’Esecutore, avventandosi contro di lui. In quella però la Banshee piombò dall’alto, atterrandogli davanti e costringendolo a fermarsi. Lei e Jaylah avevano seguito lo scontro dalla passerella superiore, anticipando i due contendenti, in quanto non dovevano sostare tra una pressa e l’altra. Ora Soji era scesa per aiutare il corsaro, mentre Jaylah – che non aveva la solidità dell’androide né indossava la tuta – era rimasta sul camminamento.
   «Questo è per Coppelius» disse Soji, e aprì il fuoco. Con sua grande sorpresa, il raggio phaser attraversò l’Esecutore senza nuocergli. Solo allora l’androide si accorse che il sicario era riuscito a richiudere lo scomparto nel braccio, ripristinando lo sfasamento.
   Rapido come il pensiero, l’Esecutore attivò la vibro-lama e disarmò la Banshee. Stavolta non si limitò a privarla del phaser: le tranciò l’avambraccio. L’arto di Soji cadde sulla passerella e l’androide si accasciò con un grido strozzato. Anche se non era fatta di carne e sangue, aveva dei recettori elettronici del dolore. Quella mutilazione era il peggior danno che le capitava da tempo e la rendeva del tutto indifesa. Il Remano stava per finirla, ma dovette tornare a sfasarsi, perché Jaylah lo bersagliava dall’alto con un phaser. Ignorando i colpi che lo attraversavano, Nicrek oltrepassò l’androide accasciata e marciò contro Jack, deciso a chiudere i conti.
   Dato che i suoi attacchi erano inefficaci, Jaylah corse avanti e si sporse dalla passerella. «Prendi!» gridò, gettando il phaser a Jack, che aveva più probabilità di cogliere l’attimo in cui l’avversario si rendeva tangibile. Fu un tiro ben calibrato e il corsaro a sua volta scattò con precisione. Afferrò il phaser a mezz’aria e sparò al nemico, ma di nuovo il raggio lo attraversò senza danneggiarlo.
   «Fatica sprecata!» lo irrise l’Esecutore. «Ora mi prendo la tua testa». Ciò detto spiccò un gran balzo, che lo avrebbe portato addosso a Jack.
   Come al rallentatore, il corsaro vide l’avversario che gli piombava contro. Il primo impulso fu di colpirlo a mezz’aria, ma si trattenne. Lo aveva visto fare la stessa mossa contro Jaylah, a Coppelius, e sapeva che sarebbe tornato tangibile solo nell’istante in cui colpiva. Perciò fece un’altra cosa. Non ci fu tempo per ragionare: agì d’impulso e solo a cose fatte se ne rese conto.
   Anziché colpire direttamente il nemico, Jack balzò all’indietro, tanto da urtare il muro con la schiena. Nello stesso attimo sparò a piena potenza contro la passerella, nel punto in cui l’Esecutore sarebbe atterrato. Il metallo si disintegrò in un lampo accecante e il ponticello tremò. Con un ringhio animalesco di rabbia e sconfitta, il sicario volò attraverso lo squarcio apertosi sotto i suoi piedi e scomparve nel buio. Qualche secondo dopo ci fu un clangore metallico, segno che aveva colpito il pavimento. Poi il silenzio.
 
   Ripresosi in fretta, Jack corse da Soji e l’aiutò a rimettersi in piedi. «Ce la fai?» le chiese.
   «Io... credo di sì» disse l’androide, riuscendo a reggersi sulle gambe. Il dolore stava passando e non rischiava certo di morire dissanguata. Con l’arto superstite raccolse quello reciso, nella speranza che i tecnici glielo riattaccassero. In quella però si udirono dei suoni poco rassicuranti che provenivano dai macchinari.
   «Jack, la raffineria sta andando in pezzi!» avvertì Jaylah, che dalla sua posizione soprelevata aveva una visione migliore dell’insieme. I danni provocati dallo scontro si erano accumulati e ora i macchinari iniziavano a cedere. Uno degli enormi crogioli s’inclinò e cadde, inondando il pavimento di metallo fuso. Alcuni apparecchi andarono fuori tempo, facendo cadere i semilavorati, mentre le strutture di sostegno cigolavano sinistramente.
   «Via di qui» disse Jack. Lui e Soji percorsero la passerella per un lungo tratto, mentre i danni a cascata squassavano l’impianto, finché trovarono una scaletta a chiocciola che li portò al livello di Jaylah. Finalmente l’Umano e la mezza Andoriana si riabbracciarono.
   «Tesoro, credevo di averti persa» le mormorò Jack all’orecchio, stringendola forte.
   «Anch’io ero in pena per te» disse Jaylah, quasi singhiozzando. «Andiamocene da questo inferno».
   «Spettro a Stella, teletrasporto per tre, se potete» ordinò il corsaro, ricordando la minaccia dell’Esecutore riguardo a ciò che avrebbe fatto la sua nave, se lo avessero ucciso. Non ci fu risposta; evidentemente l’Hydra disturbava le comunicazioni. «Seguitemi, l’hangar è vicino» disse allora l’Umano. I tre si affrettarono lungo il camminamento, fino a raggiungere l’uscita. Dietro di loro la raffineria era ormai in preda alle esplosioni e ai crolli.
   «Goldie!» chiamò Jaylah, sostando brevemente sulla soglia.
   Il falcone cestiano, che stava volando in cerchio sopra al punto in cui era caduto l’Esecutore, la udì nonostante il frastuono. Forse era più che la voce, si disse lo Spettro; forse Jaylah riusciva a esercitare un richiamo telepatico. Fatto sta che il volatile rispose, volando a zig-zag per evitare i crolli. Le venne al polso e poi seguì il trio lungo i corridoi e le scale di sicurezza che portavano ai livelli superiori dell’impianto.
 
   Dopo una battaglia lunga e piena d’incertezze, la vittoria pareva arridere ai corsari. Privato degli scudi, uno dei moduli dell’Hydra era stato abbordato dalla Banshee, che aveva liberato Jaylah e se n’era andata con lei. Per un po’ il modulo era riuscito a tenersi fuori tiro, grazie alla maggior velocità, e ne aveva approfittato per rigenerare gli scudi. Ma ora la Stella e la sua nave appoggio lo avevano preso nel fuoco incrociato. Il vascello oblungo si scosse, perdendo plasma dalla gondola.
   «L’ho privato della cavitazione quantica, ora non può sfuggirci!» esultò Skal’nak.
   «Continua a far fuoco. Non fermarti finché non sarà distrutto!» ordinò Graush, vedendo l’occasione di prevalere.
   «Ha cambiato rotta» avvertì Siall. «Punta contro la nave appoggio». Lo inquadrò sullo schermo. Il vascello nemico sfrecciava contro la nave corsara, senza cercare di schivare i colpi.
   «Oh, no» si disse il Letheano, intuendo l’intenzione degli androidi. «Raggio traente, dobbiamo deviarlo! E dite ai nostri di levarsi, prima che...».
   Non riuscì nemmeno a finire la frase. Il modulo dell’Hydra entrò in collisione con la nave corsara e la tranciò in due. Continuò la sua folle corsa, squassato dalle esplosioni, finché una raffica di siluri della Stella lo disintegrò completamente. I due tronconi della nave corsara esplosero in successione, mischiando i loro detriti a quelli degli avversari.
   «Siamo rimasti soli» pensò Graush, sconfortato. In pochi giorni avevano perso tutte le loro navi appoggio. Per fortuna la Stella era ancora in buone condizioni; ma sarebbe stato difficile persuadere altre bande a unirsi a loro, dopo questa debacle. «Dov’è l’ultimo modulo dell’Hydra?» chiese il Letheano.
   «Dirige verso il pianeta» rispose Siall. «Ehi, ha abbassato gli scudi!».
   «Fuoco a volontà!» ordinò Graush, sorpreso da quest’azione, ma deciso ad approfittarne.
   I potenti disgregatori della Stella intaccarono lo scafo dell’Hydra. Nello stesso attimo anche l’Hydra aprì il fuoco, indirizzando una salva di siluri quantici contro il pianeta. Subito dopo partì a cavitazione, per sottrarsi ai colpi che altrimenti l’avrebbero distrutta.
   «È andata, Comandante» mugugnò Skal’nak. «Ma i siluri colpiranno la base tra venti secondi».
   «Localizzate i nostri e teletrasportateli!» ordinò Graush, guardando con apprensione lo scuro pianeta.
   I siluri azzurri calarono nell’atmosfera tenue ed esplosero in successione sulla superficie, scavando un cratere sempre più profondo. Di per sé erano abbastanza potenti da distruggere l’impianto minerario. Ma ciò che un tempo era stata una miniera, adesso ospitava anche la santabarbara dei corsari. I magazzini erano colmi di armamenti d’ogni genere: siluri transfasici, mine subspaziali, persino armi isolitiche illegali. Parte di queste scorte era stata imbarcata dai corsari nell’ultima visita, ma più della metà era ancora lì. Travolte dall’esplosione dei siluri quantici, detonarono simultaneamente.
   L’effetto fu devastante. Una porzione della crosta planetaria fu strappata, mettendo a nudo il mantello di carburi e grafite. Visto dallo spazio, sembrava che un immane gigante avesse morsicato il pianeta, asportandone un pezzo e lasciando un cratere dall’orlo slabbrato, ribollente di lava. Le rocce che non si erano vaporizzate finirono nello spazio: alcune sarebbero ricadute come meteore, le altre avrebbero formato un sistema di anelli.
   «Oh, Capitano...» mormorò Graush, fissando quella scena infernale.
   «Riposo, ciurma» disse una voce familiare alle sue spalle.
   Il Letheano si voltò, emozionato. Lo Spettro era sulla pedana di teletrasporto, assieme a Jaylah e a Soji; quest’ultima reggeva il suo braccio destro amputato. C’era anche Goldie, che tornò al suo trespolo come se nulla fosse accaduto. Il loro ritorno fu salutato dai corsari, anche se nel complesso il clima era mesto: la battaglia aveva avuto un costo troppo elevato per considerarla una vittoria. Graush riferì come si erano svolti i fatti, senza tacere alcun dettaglio. «Non so perché l’ultimo modulo dell’Hydra abbia abbassato gli scudi» concluse.
   «Lo so io» disse Siall, che negli ultimi minuti aveva esaminato le letture dei sensori. «L’Hydra ha eseguito un teletrasporto. Il segnale era in entrata, quindi ha imbarcato qualcuno».
   «L’Esecutore» disse Jack in tono asciutto. «Dunque è sopravvissuto». In fondo lo sapeva già; se lo sentiva nelle ossa che la loro sfida non era finita.
   «Almeno ha perso due terzi della sua nave!» disse Skal’nak. «Forse ce lo siamo levati di torno per un po’. Quel che gli resta non è abbastanza per darci battaglia».
   «Se l’Hydra è fedele al suo nome, non ci metterà molto a sostituire le parti mancanti» disse lo Spettro, corrucciato. «Dobbiamo approfittare della pausa per far perdere le nostre tracce».
   «E come la mettiamo con gli ostaggi a Deep Space 4?» chiese Soji, ricordando la sua missione iniziale.
   «È una grande stazione ed è in allerta. Senza le navi appoggio, non abbiamo la forza per espugnarla» sospirò Jack. «Dovrà pensarci la Flotta Stellare, sempre che la guerra glielo permetta».
   «Sono d’accordo, ma è meglio fare un’ultima ricognizione, nel caso che gli ostaggi siano trasferiti» consigliò Jaylah. «Se l’Esecutore è sopravvissuto, informerà senz’altro la stazione che ce la siamo cavata anche noi».
   «E va bene» acconsentì lo Spettro. «Occultiamoci e facciamo rotta per Deep Space 4». Stava per sedersi sulla poltrona di comando, ma decise di lasciar perdere. Era troppo stanco e scosso per sobbarcarsi un altro turno; voleva solo andare nel suo alloggio a riposarsi. Ed era certo che anche Jaylah fosse nelle stesse condizioni. «Graush, a te la plancia» ordinò. Dopo di che se ne andò con la compagna a braccetto. Anche Soji lasciò la plancia, diretta al laboratorio di cibernetica, dove i tecnici l’avrebbero rimessa in sesto.
 
   Il giorno dopo la Stella del Polo era di nuovo presso Deep Space 4. La nave occultata si tenne a una certa distanza dalla stazione, che pareva in fermento. Alcuni caccia la pattugliavano, come aspettandosi un attacco. C’era anche un vascello di classe Horus, la Rukh, che lasciò gli attracchi e si allontanò a metà impulso.
   «Rilevo quattrocento segni vitali, in gran parte Umani, ammassati nelle stive» disse Siall. «Devono essere gli ostaggi: i duecento del Dagon e altrettanti del Chemosh».
   «Li stanno trasferendo, come temevo» commentò Jaylah. «Seguiamoli per vedere dove li portano». In quella, tuttavia, l’astronave svanì dallo schermo. Non era balzata a cavitazione; si era semplicemente dissolta.
   «Rapporto sensori!» ordinò lo Spettro.
   «Non si sono occultati» disse Siall, in affanno. «Credo piuttosto che abbiano usato il propulsore cronografico per trasferirsi altrove. Se è così, non possiamo tracciarli».
   «Frell!» imprecò Soji, affiancandolo alla postazione sensori. I tecnici le avevano già riattaccato il braccio, con tale perizia che la saldatura era invisibile. «È così, li abbiamo persi» ammise di lì a poco. «I Pacificatori hanno voluto cautelarsi, nel caso li stessimo osservando».
   «Hai idea di dove potrebbero aver trasferito gli ostaggi?» chiese Jack.
   «No» rispose l’androide in un soffio. «Ma temo per le loro vite. Sono tutti testimoni... e l’Unione non può permettere che la verità venga a galla».
   Vi fu un lungo silenzio. Le implicazioni erano chiare: le vite dei prigionieri erano appese a un filo, i Pacificatori potevano sbarazzarsene in qualunque momento. Ma i corsari non avevano più una pista da seguire.
   «Allora è finita» sospirò infine Jack. «Andiamocene prima d’essere rilevati. Dobbiamo riorganizzarci».
   Mestamente, la Stella del Polo si allontanò dalla stazione. In plancia il morale era basso e gli ufficiali parlavano sottovoce. Vedendo che anche Jack e Jaylah erano afflitti, Soji gli si avvicinò. «Avete fatto tutto il possibile» disse per rincuorarli. «Ora però devo tornare a Nuovo Romulus, per fare rapporto alla Flotta Stellare. Potete darmi un passaggio, o altrimenti prestarmi una navetta?».
   «Andremo tutti a Nuovo Romulus» decise lo Spettro. «Se il pianeta è ancora minacciato dagli Imperiali, ci uniremo alla difesa. Ma prima torniamo a prendere Sutra».
 
   Dopo tre giorni passati a vorticare nello spazio interstellare, Sutra stava perdendo ogni speranza d’essere salvata. Aveva confidato che i corsari tornassero a prenderla, se non altro per interrogarla; ma se l’Esecutore li aveva distrutti, ecco che la sua punizione non avrebbe avuto fine. Essere isolata da ogni contatto e da ogni informazione, in compagnia solo dei propri cupi pensieri, era una tortura. Il suo cronometro interno l’avvertiva con esattezza del trascorrere del tempo, mentre un Organico ne avrebbe perso cognizione; ma ciò non le era di alcun conforto. In quanto androide, non rischiava di morire per la prolungata esposizione allo spazio. Ma questa resistenza, che un tempo la inorgogliva, si era trasformata nella sua condanna. Avrebbe preferito essere un’Organica e perire, piuttosto che vegliare nel buio fino alla consumazione dei secoli. «Che ironia: non posso vivere e non posso morire...» si disse.
   D’un tratto lo spazio si accese del bagliore di un’astronave. Per un attimo l’androide esultò, pensando che Jack fosse tornato a prenderla. Ma il suo entusiasmo si raffreddò nel riconoscere le linee aggressive dell’Hydra. Dunque era stato l’Esecutore a vincere... o no? Mentre ancora se lo chiedeva, fu teletrasportata a bordo.
   Materializzatasi riversa sulla pedana, Sutra si levò i capelli scompigliati dal volto, alzò gli occhi e lo vide. Imponente nella corazza cremisi, l’Esecutore incombeva su di lei. «Comoda?» le chiese nel suo tono gutturale.
   L’androide scattò subito in piedi, con le giunture un po’ dolenti per la brusca escursione termica. «Mi dispiace, ma posso spiegare. È tutta colpa di mia sorella Soji. È salita sulla Stella del Polo e mi ha smascherata...».
   «Dovevi sbarazzarti di lei» ribatté il sicario, glaciale.
   «Ci ho provato, ma erano tutti contro di me!» protestò Sutra. «Il nostro accordo non prevedeva una situazione del genere».
   «Non invocare il nostro accordo» ammonì l’Esecutore. «Per quanto ne so, potresti avermi tradito, dando informazioni ai corsari per salvarti la vita».
   «Ma non hai visto che mi hanno abbandonata nello spazio?!» s’indignò l’androide. «Se non fosse per te, sarei rimasta là fuori in eterno. Sporchi corsari... ma che ne è di loro?».
   «Li ho sorpresi su Sokar, infliggendogli danni considerevoli, ma lo Spettro e la Banshee l’hanno scampata» rivelò il sicario. «Ora mi dirai tutto ciò che hai appreso mentre eri sulla loro nave. La composizione dell’equipaggio, gli armamenti, i loro piani... voglio sapere ogni cosa. Se mi darai informazioni rilevanti, ti lascerò andare. Altrimenti resterai al mio servizio finché avrai saldato il tuo debito».
   «Come vuoi» deglutì Sutra, sapendo che non poteva contrattare con lui. Andarono nella sala degli interrogatori, dove l’androide descrisse per filo e per segno la sua esperienza sulla Stella del Polo, aggiungendovi le sue considerazioni. Infine restò in attesa, sperando che l’Esecutore la congedasse.
   «Hai detto molto, ma speravo di più» la gelò il Remano. «Non mi hai fornito dettagli sui loro sistemi tattici, né mi hai detto dove si trovano gli altri rifugi».
   «Perché non lo so! I corsari non si fidavano completamente di me, quindi hanno ristretto il mio accesso al computer» spiegò l’androide. «E siccome c’era sempre qualcuno a tenermi d’occhio, non ho potuto sabotare il sistema».
   «E io dovrei fidarmi della tua parola» notò l’Esecutore.
   «Che motivo avrei di mentire?!» sbottò Sutra, esasperata. «Senti, mi sono infiltrata tra loro e ti ho aiutato a decimarli, a rischio della mia vita. Poi ti ho riferito tutte le mie scoperte. La mia parte di accordo è rispettata, ora lasciami andare». Fece per abbandonare la sala degli interrogatori, ma il sicario tese il braccio a bloccarle il passo.
   «Poiché lo Spettro e la Banshee sono ancora vivi, si rende necessario un nuovo accordo» disse. «Tornerai a Coppelius, ma non ti muoverai da lì e resterai a mia disposizione se dovessi richiamarti. Una guarnigione di Pacificatori si stabilirà sul pianeta, per accertarsi che nessuno lo lasci. Le vostre vite saranno la nostra garanzia».
   «Questo è inaccettabile!» protestò l’androide. «Tutto ciò che ho fatto è stato per mantenere la nostra indipendenza!». I suoi occhi gialli si colmarono di rabbia, ma anche di paura.
   «Nessun sistema entro i confini dell’Unione può essere indipendente» ammonì l’Esecutore. «Tutti, presto o tardi, saranno annessi. Ringrazia che vi lascio un po’ di guinzaglio. Potrebbe andarvi molto peggio. Potreste essere coscritti in massa e costretti a servirci, come le macchine che siete».
   «Noi non siamo macchine!» ringhiò Sutra. «E tu di certo non sei il mio padrone». Così dicendo gli afferrò il casco, serrandolo tra le mani. I suoi occhi dorati si arrovesciarono all’indietro mentre concentrava le proprie facoltà telepatiche su di lui.
   «Cosa credi di fare?» chiese l’Esecutore, afferrandole le mani nel tentativo di staccarsele.
   «Sarai anche un cyborg, ma il tuo cervello è organico» disse l’androide. «Questo è un handicap, quando hai a che fare con me». Rafforzò la presa, sia fisica che mentale.
   Il sicario comprese che l’avversaria stava cercando di paralizzarlo con un attacco telepatico. Se fosse riuscita a renderlo incosciente avrebbe potuto procurarsi un’arma e ucciderlo, oppure fuggire. Non poteva permetterlo. Si concentrò a fondo, respingendo Sutra dalla sua mente. Al tempo stesso le serrò i polsi. L’androide era forte, ma il cyborg lo era ancora di più. Lentamente ma inesorabilmente la costrinse a staccare le mani dalle sue tempie.
   «Ma come fai?!» gemette Sutra.
   «Se ti riferisci alla mia resistenza mentale, sappi che ero un Remano. Alcuni di noi hanno facoltà telepatiche» rivelò Nicrek. «Non è nulla di eccezionale, ma è abbastanza per respingerti. E ora, mia cara, è tempo di lasciarci». Ciò detto scaraventò Sutra contro la parete di fondo.
   L’androide colpì la paratia e da lì cadde in piedi, ma non ebbe il tempo di contrattaccare. Il sicario aveva già estratto il phaser e le sparò in pieno petto, come aveva fatto a Coppelius. Il raggio la trapassò da parte a parte, intaccando la parete retrostante. Sutra cadde in ginocchio, ansimando mentre eseguiva l’auto-diagnostica. Capì subito che il danno era grave, tanto da impedirle di proseguire la lotta.
   «Perdonami. Posso ancora... esserti utile...» boccheggiò. «Dammi un’altra... occasione...».
   «Nessun perdono per i ribelli. Nessuna seconda occasione per i traditori» sentenziò l’Esecutore. «Sappi che, a causa della tua sconsideratezza, i tuoi fratelli e sorelle androidi subiranno un trattamento assai più duro da parte dei Pacificatori». Così dicendo il sicario la prese ancora di mira; stavolta puntava alla testa. «Volevi somigliare agli Organici, giusto? Bene, ora scoprirai cosa proviamo a morire» infierì.
   «Uccidimi pure... ma non ucciderai Jack» ansimò Sutra, fissandolo con sconfinato disprezzo. «È più furbo... di te. Sarà lui... ad ammazzarti!».
   «Se anche fosse, tu non lo saprai» disse l’Esecutore, e aprì il fuoco.
 
   «Ancora una volta siamo arrivati tardi» disse lo Spettro, contemplando i resti fracassati di Sutra. Li avevano trovati alla deriva nello spazio, non lontano dal luogo in cui l’androide era stata espulsa. Subito li avevano imbarcati, portandoli nel laboratorio di cibernetica per vedere se l’androide era recuperabile.
   «Il cervello positronico è stato colpito in pieno» disse Jaylah, che stava eseguendo la diagnostica. «Il 90% della sua massa è distrutto e non rilevo alcuna attività nel resto. Però mi risulta che siano già stati fatti dei recuperi d’emergenza. Dicono che basti una manciata di neuroni per ricostruire lo schema cerebrale di un androide Soong. Non è così?». Si rivolse a Soji, in cerca di conferma.
   «Corretto» annuì l’androide. «Io e le mie sorelle fummo costruite dal dottor Maddox che si era basato, in parte, sulla traccia neurale di Data. Ma in questo caso preferirei che non eseguiste la procedura».
   «Non vuoi riavere Sutra?» si meravigliò Jack. «Io personalmente la detesto per come ci ha venduti, ma credevo che tu tenessi ancora a lei».
   «È così» confermò Soji, con lo sguardo remoto. «Ma mia sorella, al pari di me, si considera una persona e non una macchina. Le macchine si possono riattivare, i computer resettare, i programmi riscrivere. Per le persone non è così. Lasciala riposare in pace» sussurrò, contemplando un’ultima volta il viso di Sutra, così simile al suo.
 
   L’Hydra viaggiava ad alta cavitazione verso il sistema solare, dove i due moduli distrutti sarebbero stati rimpiazzati per ripristinarne l’originale potenza. Ma la Presidente Rangda non era tanto paziente da aspettare il suo arrivo, così l’Esecutore le fece rapporto su un canale criptato. Prima di entrare nella sala di trasmissione, ordinò ai suoi androidi di non disturbarlo per alcun motivo.
   La Zakdorn si manifestò sotto forma di ologramma. Era assai più grande del normale, tanto da torreggiare sul pur alto sicario. Questi le s’inginocchiò prontamente innanzi. «Riverisco Vostra Eccellenza» disse. «I vostri ordini sono stati eseguiti. Ci siamo sbarazzati degli ostaggi e ho personalmente eliminato la traditrice Sutra».
   «Torna al sistema solare, così rimetteremo in sesto la tua nave» ordinò la Presidente. «Inoltre discuteremo delle tue strategie. Sai, sono molto delusa da te. Avevi grandi risorse a disposizione per sgominare i corsari; invece te li sei fatti scappare!» lo rampognò.
   «Li ho feriti» corresse il sicario. «Ho dimostrato che sono vulnerabili come chiunque altro. Quando i loro alleati lo sapranno li abbandoneranno, mentre i rivali vedranno l’opportunità di distruggerli. Lo Spettro era una leggenda, ma io l’ho fatto sanguinare, e ora le acque s’intorbideranno, attirando gli squali».
   «Tu devi fare ciò che ti dico, come te lo dico!» rimbeccò la Presidente. «Altrimenti ti rimpiazzo con un nuovo modello. I volontari non ci mancano... sapessi quanti Pacificatori a brandelli abbiamo, dopo due anni di guerra».
   «Non ne dubito» disse il Remano. «Ma quest’esperienza mi ha insegnato molto sullo Spettro, e anche sulla Banshee. Al prossimo scontro sarò assai più preparato».
   «La Banshee, già!» rimuginò Rangda. «Sembrava che fosse Jaylah, ma poi le hai viste assieme. Come lo spieghi?».
   «Ritengo che in origine Jaylah fosse la Banshee, ma quando l’ho catturata i corsari l’hanno rimpiazzata subito con qualcun’altra dei loro» rispose l’Esecutore. «Questo è il vero problema. Vede, Eccellenza, io posso anche uccidere Jack Wolff e Jaylah Chase, ma non lo Spettro e la Banshee. Loro ormai sono divenuti delle idee. Se gli interpreti originali muoiono, altri ne prenderanno il posto» avvertì.
   «Difficilmente i sostituti saranno altrettanto pericolosi» obiettò la Zakdorn. «Ma anche se lo fossero... la morte di quei due seccatori mi darà ugualmente una gran gioia. Quindi appena riavrai l’Hydra in sesto riprenderai a dargli la caccia. E non preoccuparti per il fatto che ormai lo Spettro e la Banshee siano delle idee. Anche le idee muoiono, sai? Succede quando sono sostituite da idee migliori. E il nostro modello di società è il migliore di tutti. Alla fine anche i ribelli lo ammetteranno» disse, sorridendo fiduciosa.
   «A quel giorno, Vostra Eccellenza» augurò il Remano. «Che giunga al più presto».
   «Diciotto mesi: tanto ci vorrà per schiacciare gli ultimi resti della Flotta Stellare» disse la dittatrice, e chiuse il canale.
 
   Dopo una settimana di viaggio ad alta curvatura, la Stella del Polo raggiunse Nuovo Romulus. Trovò un pianeta provato dalla battaglia e circondato da astronavi in riparazione nei cantieri spaziali, ma nel complesso salvo. I corsari inviarono il codice di riconoscimento e furono scortati nell’orbita. Con sollievo riconobbero la Keter tra i vascelli in riparazione. Di lì a poco Jack e Jaylah si trasferirono sulla Constellation, dove furono ricevuti dal Commodoro Lantora. Con loro venne anche Soji, che doveva fare rapporto.
   «Benvenuti a bordo. È un sollievo vederti, figliola!» disse lo Xindi, salutando calorosamente la mezza Andoriana. «Saluti anche a te, Jack Wolff» aggiunse in tono più formale. «E bentornata, agente Asha. La sua missione?».
   «È fallita, purtroppo» disse l’androide, mortificata. «Ho localizzato gli ostaggi terrestri presso Deep Space 4, ma non ho potuto salvarli, nonostante l’aiuto dei corsari. I Pacificatori li hanno trasferiti di nuovo, temendo che tornassimo coi rinforzi, e stavolta abbiamo perso la traccia».
   «Infausta notizia. Beh, sono certo che ha fatto il possibile; leggerò il suo rapporto quanto prima» disse Lantora. Dopo di che si rivolse di nuovo ai corsari. «Grazie comunque per l’aiuto. Da tempo non avevamo vostre notizie, salvo quella spazzatura del Federal News. È superfluo dire che non ho mai creduto che ci foste voi, dietro quei rapimenti. Vi avrei cercati, ma come avrete notato, abbiamo avuto altre gatte da pelare. L’attacco imperiale è stato duro; e purtroppo non è ancora finita».
   «Anche noi siamo decimati» disse Jack. «E abbiamo altre cattive notizie da riferire».
   «Ne parleremo nel mio ufficio» disse lo Xindi, facendogli strada.
   Il colloquio con il Commodoro fu lungo. I corsari riferirono le loro disavventure con l’Esecutore e Sutra, avvertendo che la perdita delle navi appoggio e del rifugio su Sokar comprometteva le loro capacità belliche. In cambio Lantora li informò su quanto accaduto con i Romulani Imperiali e i Borg.
   «Per adesso gli Imperiali si sono ritirati oltre la Nebulosa Azzurra, sotto l’autorità del Pretore Oren. Hanno interrotto l’avanzata per paura dei Borg, ma stanno fortificando i sistemi conquistati. Un contrattacco nelle attuali condizioni è impensabile. Temo che quei sistemi siano perduti» sospirò lo Xindi.
   Jack e Jaylah si scambiarono un’occhiata cupa. La perdita di gran parte dei mondi romulani poteva segnare il crollo del Fronte Orientale, in precedenza il più saldo dei due. Ormai restavano solo i Klingon a opporsi alla marea incalzante dei Pacificatori.
   «Avete più avuto notizie dei Borg?» chiese Soji.
   «No, ma se hanno assimilato l’Imperatrice, com’è praticamente certo, temo che li rivedremo presto» rispose il Commodoro. «Stiamo allestendo una task-force con il compito di approntare un piano difensivo».
   «In tal caso chiedo d’essere riassegnata a quella squadra» disse l’androide. «Ho già avuto a che fare coi Borg» aggiunse.
   «Lo so bene; lei è un’esperta della Collettività» riconobbe il Commodoro. «Pertanto la riassegno con decorrenza immediata. Scenda al più presto alla capitale, nel nostro presidio. È lì che stiamo radunando la task-force». Dopo di che si rivolse ai corsari: «Se avete dei danni, vi aiuteremo a ripararli. Potete passare qui qualche giorno, mentre informiamo la Flotta Stellare dell’Esecutore. Dato che la sua nave ha un mascheramento olografico, dovremo innalzare le misure di sicurezza e aggiornare i codici di riconoscimento. Non possiamo permettere che s’infiltri in una delle nostre basi, o peggio ancora nel Quartier Generale su Kronos».
   «Se lui ci dà la caccia, noi la daremo a lui» promise Jack. «E per favore, rendete noto a tutti che in realtà è il traditore Nicrek, trasformato in cyborg dopo la Battaglia di Elba II. Già questo gli leverà l’aura di mistero e d’invincibilità».
   «Consideralo fatto» promise Lantora.
 
   Di lì a poco Soji dovette scendere a terra, per assumere il nuovo incarico. Ciò significò dire addio ai corsari. Fu un saluto commosso, perché l’androide era molto benvoluta, pur avendo trascorso solo una decina di giorni con loro.
   «Arrivederci e grazie di tutto» disse Jack, stringendole la mano. «Senza il tuo aiuto non ce la saremmo cavata».
   «Grazie di avermi liberata dall’Hydra» aggiunse Jaylah, salutandola a sua volta. «Spero che ci rivedremo. Sarai sempre la benvenuta sulla Stella del Polo».
   «Arrivederci, allora» disse Soji, sorridendo per la prima volta da quando aveva perso sua sorella. «Mi terrò informata sulle vostre missioni. E grazie per avermi fatto indossare la tuta da Banshee! È stata la cosa più emozionante che abbia fatto da quando viaggiavo con Picard. Quindi vi saluterò a modo suo: au revoir, mes amis!». E scomparve nel bagliore azzurro del teletrasporto.
   Jack e Jaylah rimasero per qualche attimo in silenzio, poi lasciarono la sala. «Bene, la Stella è in riparazione, quindi abbiamo alcuni giorni per tirare il fiato» disse l’Umano. «Ti andrebbe di trascorrerli su Nuovo Romulus? Non ci sono mai stato, ma ho sentito dire che è un bel pianeta».
   «Vorresti che ci prendessimo una licenza?!» si stupì la mezza Andoriana, che dopo l’aggiornamento bellico a tutto pensava fuorché a quello.
   «Certo! Saremo anche in guerra, ma non dobbiamo scordarci di vivere, finché siamo vivi» argomentò lo Spettro. «Allora, che ne dici?».
   «Per me va bene, ma non saprei dove andare di preciso» ammise Jaylah, che non era mai stata un tipo “da vacanza”.
   «Lascia fare a me» propose il corsaro. «Troverò un posticino tranquillo, dove passare qualche giorno in santa pace».
   «Affare fatto» acconsentì la mezza Andoriana. «Basta che non sia una spiaggia; non le ho mai sopportate».
 
   Il giorno dopo, di buon mattino, Jack e Jaylah si teletrasportarono su Nuovo Romulus. Si trovarono sul ciglio di una strada che attraversava una densa foresta. In lontananza si ergevano delle montagne, tinte di azzurro dalla foschia. L’aria era fresca e frizzante, carica degli aromi del bosco.
   «Siamo nella foresta di Isha» spiegò l’Umano. «Quelli laggiù sono i monti Vastam, alle cui falde scorre il fiume Atlai. Sull’altro lato ci sono le rovine di Hwael e il cratere Paehhos».
   «Bello!» approvò la mezza Andoriana, guardandosi attorno. «Ma credevo che prima ci saremmo fermati in albergo».
   «I nostri bagagli sono già là» spiegò Jack. «Noi però dobbiamo andarci come si faceva una volta, prima che inventassero le astronavi e il teletrasporto. In fondo il gusto dell’esperienza sta nel viaggio» ammiccò.
   «Ah, e come ci arriviamo?» chiese Jaylah.
   «Lo vedrai. Spettro a Stella, energia!» ordinò l’Umano, premendosi il comunicatore.
   Teletrasportata dall’astronave, apparve la sua vecchia overbike, riparata dai danni subiti a Coppelius. Era così lucida che scintillava alla luce del doppio sole. C’erano anche delle giacche in pelle da motociclista e i caschi regolamentari. «Che ne dici?» fece Jack, sprizzando orgoglio da tutti i pori. «Viaggeremo per gran parte della giornata, in una delle regioni più belle del pianeta. Saremo solo tu, io e lei» disse, rimirando la sua adorata overbike.
   «Dico che è una splendida idea» sorrise Jaylah, prima che si baciassero con passione. Solo pochi giorni prima era infastidita dall’attenzione che il compagno riversava su quella moto. Ma dopo averci riflettuto, era lieta che volesse andarci con lei e con nessun’altra.
   Indossarono le giacche e si allacciarono i caschi. Poi Jack si mise alla guida e Jaylah si pose sul sedile del passeggero, aggrappandosi a lui.
   «Tieniti forte, dolcezza!» raccomandò il corsaro, facendo ruggire il motore. E sfrecciarono attraverso il paesaggio mozzafiato. 
 
   
 
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