Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Martin Eden    15/02/2021    1 recensioni
Ciao a tutti! Dopo anni di latitanza, mi è venuta voglia di tornare su questo Fandom, che ho tanto amato...e lo faccio con una vecchia storia LOTR che ho ripreso in mano ultimamente, dopo aver rivisto i film della trilogia de Lo Hobbit...mi è venuta voglia!
Scommetto che molti di voi, come me si sono posti questa domanda: ma Legolas e Aragorn dove si saranno conosciuti?! :D
Questa fanfiction cercherà di dare una risposta...allora voi leggete e commentate! :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Legolas

 

Da troppo tempo zoppicavo.

All’inizio era solo una macchia confusa di dolore, mescolato all’altro, quello alla spalla, e per questo probabilmente il mio corpo non aveva lanciato alcun segnale allarmante. C’erano state così tante emozioni, così tante cose, nel giro di poche ore, che la mia mente non aveva potuto fare altro che cercare di assorbire il più possibile, senza riuscirci. Ora le emozioni diventavano ricordi, per quanto vividi, non del tutto integri. Si aggiungevano dettagli rimasti dapprima in secondo piano. Come quel dolore. Quel dolore non esisteva nel mio passato. Ma lo avvertivo eccome nel mio presente.

Resistetti ancora un poco. Ormai dovevo aver percorso sufficiente distanza, avrei dovuto essere abbastanza lontano da quell’uomo. Non immaginavo fosse uno di loro: avevo pensato a un elfo, vista la sua alta statura e la destrezza nella spada. In mezzo alla polvere della battaglia, non avevo posto sufficiente attenzione.

Quell’atto di generosità non premeditata mi era costato molto caro.

Finalmente, osai fermarmi. Le gambe cedettero da sole e caddi contro una corteccia, rovinando sull’erba che le mie ferite sporcavano di rosso cremisi. Mi sentii sfinito.

Con estrema fatica mi girai su un fianco, portando la mano sulla coscia. I brividi mi scuotevano e la mente sembrava annebbiata, quasi ragionavo più per inerzia che per forza di volontà.

Avvertivo sotto le dita la solidità di un crampo; o forse era un livido che si stava gonfiando.

Cosa aveva potuto colpirmi? E quando?

Non riuscivo ad essermene accorto.

Provai a muovere la gamba, prima lentamente, poi di scatto. Non si rivelò una brillante idea.

Soffocai un gemito nella terra fresca, mentre il dolore pareva rimbalzare ovunque nel mio corpo, dalla spalla al cuore, dal cuore alle costole, dalle costole agli arti inferiori.

Ero uscito vincitore dalla battaglia?

Non ricordavo.

E l’uomo, dove era andato l’uomo?

Come faceva quell’uomo a conoscere la lingua elfica?! Mi aveva spaventato.

Ero scappato come un vile, o cosciente di non poter fare nulla se non soccombere? Ero riuscito a mettere sufficienti leghe tra me e lui?

Per quanto tempo avevo camminato, saltato, corso?

Ma poi la mia mente si bloccò. Era davvero così importante?

Pensavo alla freccia, a quel rumore sordo quando aveva penetrato i miei vestiti e si era andata a conficcare dritta nella mia pelle, poco sopra al cuore. Per un attimo non avevo sentito alcun male. Poi era scoppiato tutto insieme, e quell’ondata di malvagità era stata tale da lasciarmi senza fiato.

Dovevo aver perso molto sangue, ne avevo i vestiti ormai inzuppati.

Avevo freddo. Ero mortalmente stanco. Mi si chiudevano gli occhi.

Orchi maledetti! Imprecai senza voce. Avrei voluto alzarmi e andarli a riprendere nell’aldilà per decapitarli di nuovo uno ad uno, godendomi la loro faccia mentre si sorprendevano a morire una seconda volta, e più atrocemente.

Ma ora non potevo fare nulla. Avevo ferite profonde e forse qualcosa di più viscido che si muoveva al ritmo del mio sangue, e mi soffocava, mi serrava le vene e i polmoni. Non volevo ammetterlo a me stesso, ma forse stavo morendo e non c’era niente che potessi fare per cambiare questa realtà. Stavo perdendo di vista il mondo, ogni secondo di più.

Prima di affondare in un sonno ubriaco e senza sogni, pensai che probabilmente quella freccia era stata avvelenata, come era d’abitudine per molte armi nemiche. Ed ad un tratto capii.

La prigione sarebbe stato un supplizio più sopportabile.

Ebbi paura, per la prima volta nella mia vita.

 

Non so per quanto tempo rimasi lì sull’erba, in stato di semi-incoscienza, ma quando riaprii a fatica gli occhi, era ormai buio. Era stato il freddo, a risvegliarmi. Qualcosa dentro di me si era ribellato alla morsa pressante della natura e adesso ero di nuovo vigile. Per fortuna mia.

Mi tirai su a fatica, colto dagli spasimi. Mi trascinai verso alcuni cespugli, benchè questi offrissero un ben misero riparo nella notte. Mi buttai letteralmente contro di essi e di nuovo il dolore si fece sentire, sempre più lacerante. Era come un urlo muto che mi graffiava le orecchie e mi faceva diventare pazzo.

Forse lo ero. Il mondo aveva perso i suoi contorni sfumati e quello che vedevo erano solo linee decise e dai colori fin troppo intensi, come se tutto passasse attraverso dei vetri colorati.

Immaginavo fossero i primi effetti del probabile veleno che mi aveva trasmesso la freccia degli orchetti. Magari ero già morto e nemmeno lo sapevo.

Ma un morto poteva provare così tanto dolore?

Mi appoggiai a un sasso che spuntava da terra. Il contatto della pietra contro la mia testa fu esasperante: ne sentivo tutta la ruvidezza e la freddezza, come una lama. Stavo male, ma ero vivo, incredibile a dirsi. Non dovevo sprecare quel dono. Non volevo arrendermi.

Dovevo fare qualcosa, lo dovevo fare per me, dovevo farlo con tutte le energie che mi erano rimaste.

Pensai alla ferita. Mi sforzai di scoprirla e esaminarla.

Era orribile a vedersi: un cerchio palpitante di carne e sangue dai bordi strappati, che emanava un odore a dir poco disgustoso. Distolsi immediatamente lo sguardo, colto dalla nausea. Faticavo a comprendere, a rendermi conto che quello era il mio corpo, quella era la mia carne e che dovevo fare qualcosa per preservarli.

Con il braccio sano mi strappai un lembo della veste e con un gemito di rabbia più che di dolore avvolsi strettamente la spalla piagata, sperando di riuscire a tenermi stretta almeno un po’ di vita. La sentivo fluire via, come il calore, quello vero. Al tempo stesso, però, mi sentivo come se bruciassi vivo da dentro il mio corpo.

Vicino a me c’era una pozzanghera d’acqua e di bruma. Arrancai faticosamente fino a buttarmici dentro, con la faccia, il collo e tutto il mio braccio inerme. Mi sembrò di avere un po’ di sollievo, ma subito vidi l’acqua tingersi di rosso e seppi che era una vittoria fin troppo passeggera.

Quanto sangue avrei avuto ancora in corpo? Non si era ancora esaurito?

Quante ore erano passate, quante me ne sarebbero servite per morire?

Mi scoppiava la testa.

Avevo davanti agli occhi la cima delle colline e una lunga notte dalla quale non sapevo se sarei più uscito. Le brughiere riposavano in un silenzio ovattato tra una fetta di luna, lo sgocciolio regolare degli acquitrini e un odore di fresco, come se fosse già primavera, invece che la soglia dell’inverno.

Poi, un ululato lamentoso squarciò il mio mondo. Proveniva da dietro alberi lontani, o almeno, così mi parve. Era tutto così confuso, assurdo, che non sapevo cosa fare.

L’unica cosa di cui potevo essere sicuro era che dovevo muovermi.

In quel momento, pensai a Tauriel. Mi chiedevo dove fosse, se stesse bene; se l’avrei mai più rivista. Non era facile ricordarla in un momento del genere, ma solo i Valar sanno quanto ho desiderato avere la sua mano posata sulla nuca, anche solo una volta nella vita, per sapere che impronta avesse il suo calore.

Poi tornai alla realtà.

Mi tirai su a fatica. Lì disteso avrei potuto essere facile preda per chiunque, anche per un miserrimo animale notturno. Avrei dovuto trovare un luogo più sicuro e meno scoperto, in attesa che il mio corpo mi suggerisse le possibilità ad esso rimaste.

Mi alzai e mossi qualche passo barcollante. Rischiavo di incespicare a ogni movimento; mi rifiutai di fermarmi. Avrei trovato una soluzione, l’importante era non indugiare troppo a lungo nell’immobilità, per quanto difficile fosse.

Avevo percorso ben poco spazio, quando mi resi conto che non ero più solo.

C’era un altro respiro oltre al mio, in quel lembo di terra dimenticata; c’era almeno un altro essere che divideva con me quell’esistenza malconcia, la stessa volontà di essere lì e di essere vivo.

Era alle mie spalle e io sapevo che mi stava fissando.

Mi voltai lentamente, cercando di trattenere l’ennesimo spasimo che mi squassava.

Erano in due. Due paia di occhi gialli che ora avevano di che guardare e lustrarsi in vista di un’opportunità di sopravvivenza in più. Due brutti musi che annusavano l’aria e l’erba, pregustando già l’odore di una vittoria semplice e di una lauta ricompensa per quella che poteva essere l’unica caccia della giornata. Due rostri di denti affilati che potevo intravedere dardeggiare ogni volta che mi ringhiavano contro.

Quella coppia di lupi neri del Nord stava puntando me.

Probabilmente attratti dal mio sangue, dovevano aver ripreso le mie tracce fino ad arrivare all’origine di quello che sicuramente consideravano un colpo di fortuna; e di certo non erano venuti soli.

Presto potei notare almeno altre tre paia di occhi che mi osservavano nel buio: il branco arrivava a dar manforte al loro capo.

Credere di poter scappare era impensabile. Non mi restava altra scelta che affrontarli.

Sguainai i pugnali, senza abbassare lo sguardo.

Uno dei lupi ringhiò minacciosamente, avanzando di un passo. Subito mi misi in posizione di difesa. Non potevo permettermi una mossa falsa, un’occhiata di traverso, o ero morto.

Improvvisamente, un altro lupo alla mia sinistra tentò di balzarmi addosso. Lo evitai faticosamente, sentendo le sue fauci schioccare nell’aria a un soffio dal mio braccio; approfittai del suo momento di sorpresa per menare un fendente dritto al suo collo, che quasi tranciai in un unico colpo.

Come videro il compagno cadere a terra esanime, le altre bestie cominciarono ad agitarsi e a grugnire. L’odore di sangue fresco inebriava le loro narici frementi e, sapevo, li rendeva ciechi a ogni pericolo, ma anche più letali che mai.

Due di loro partirono all’attacco, abbaiando come cani. Mi saltarono addosso e per me fu impossibile schivarli. Finii a terra.

Scalciai come un ossesso, beccando in pieno lo stomaco dell’uno e il muso dell’altro; aiutandomi con i pugnali, li ferii alle zampe e potei rimettermi in piedi, in tempo per affondare la lama nel collo di uno di loro, mentre l’altro mi azzannava la spalla sana.

Gridai per il dolore, attutito solo dal mantello. Poi gli sferrai un pugno sul naso e quello mollò la presa, stordito. Lo affrontai con cattiveria, lottando contro i miei stessi occhi , che mi tradivano sempre di più; finché riuscii a costringerlo a terra ed affondare un pugnale nel suo torace.

Rotolai di lato mentre esalava gli ultimi uggiolii e mi preparai al prossimo attacco, che non tardò ad arrivare. Un altro lupo mi addentò il mantello e tirò, facendomi di nuovo cadere e saltandomi addosso. Roteai i pugnali per fargli paura, così che non si potesse avvicinare mentre cercavo di ristabilirmi, ma a poco valsero i miei sforzi; bastò un attimo di distrazione e mi si avventò di nuovo contro, trascinandomi per il cappuccio.

Lo ferii, costringendolo a mollarmi. Ma quello ritornò alla carica senza neanche farmi riprendere fiato, e l’unica cosa a me concessa fu coprirmi con la mia arma prima che fosse troppo tardi.

Per fortuna mia, la sua foga lo tradì e puntò dritto su di me senza un secondo di ripensamento, finendo con le fauci attorno al prezioso filo della mia lama. Il freddo metallo gli trapassò agilmente bocca e cervello, facendolo morire in men che non si dica davanti a me.

Con un rantolio raccapricciante, crollò da un lato, trascinandosi dietro il mio pugnale. Ma prima che riuscissi a recuperarlo, l’ultimo lupo mi travolse, senza lasciarmi il tempo di reagire.

Era il più grosso e probabilmente il più feroce di tutti, a giudicare dal latrato che cacciò balzandomi addosso. Non mi aspettavo tutta quella furia e mi ritrovai disarmato, di nuovo incollato al terreno, con l’altro pugnale che intanto era volato lontano a causa dell’impatto.

Evitai per miracolo le sciabolate del lupo, che si andarono a conficcare nel terreno a poche dita dal mio orecchio. Le sue zampe mi pesavano addosso, con tutti gli artigli affondati nella mia pelle, a un passo dal cuore.

Lo tenevo a bada a mani nude, stringendo la sua bocca e cercando di allontanarla dal mio collo, pericolosamente scoperto. La bestia tentava di liberarsi mordendomi e provocandomi, evitando i pugni e ringhiando.

Sbavava dall’irrefrenabile voglia di distruggermi e mangiarmi, per vendicare i compagni e dare un senso a tutti i sacrifici. Avevo i suoi occhi a meno di un braccio dal viso, ed erano occhi rossi di brace, incastonati nel manto cupo come la notte.

Cercai di disarcionarlo ma fu impossibile. Calci e pugni non erano sufficienti a fermarlo. Cercavo di arrivare al pugnale più vicino, lottando ogni centimetro contro quella bestia, ma quella sembrava aver compreso il mio gioco e non mi permetteva neanche di strisciare.

Ce l’aveva quasi fatta, ormai. Non mi restava molto tempo per tentare di sopravvivere. Ero certo che il lupo sapesse delle mie ferite e anche delle mie debolezze; per quello gioiva e insisteva. Intendeva prendermi per sfinimento.

Ma non aveva fatto i conti con la mia testarda voglia di vincere.

Finalmente, riuscii a sorprenderlo sbattendogli rapidamente una pietra contro il muso. Il colpo fu piuttosto forte: sentii gocce di sangue non mio che mi cadevano sul viso mentre il mostro lasciava per un attimo la presa e guaiva per il dolore. Il tempo necessario per allungarmi faticosamente verso un pugnale, afferrare l’elsa e riportarmi verso di lui.

Fu allora che me lo vidi addosso. Il tempo di voltarmi ed era di nuovo su di me, ma stavolta non c’erano le mie mani a fermarlo. Non ero stato abbastanza veloce. Non abbastanza astuto. Non abbastanza forte.

Urlai dalla disperazione, compiendo un ultimo sforzo, veramente l’ultimo, prima che la sua bocca si chiudesse su di me.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Martin Eden