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Autore: Elsira    16/02/2021    1 recensioni
Gli antichi greci credevano che un tempo l’essere umano fosse un essere perfetto e, soprattutto, completo. Era formato da quattro braccia, quattro gambe, due volti. Ma un giorno, Zeus, temendo la perfezione umana, lo divise in due, rendendolo così imperfetto… Incompleto. Da quel momento, l’uomo cerca disperatamente la sua metà, per tentare di tornare al suo stato originario. Per tornare a essere completo.
Questa è la storia di Camilla e di Arkin, e del loro tentativo di metterla in tasca a Zeus.
Quand'ero piccola, mio padre e mio nonno mi dicevano sempre che non c'era nulla che non potesse essere risolto. Ci si può ammalare, si può perdere il lavoro, si può litigare con una persona cara... Ma le malattie si curano, i soldi si riguadagnano, i rapporti si ricuciono. A tutto c'è rimedio, tutto può essere affrontato serenamente e superato. Tutto. Tranne la Morte.
E come tutte le mie storie, anche questa comincia ad essere interessante dalla metà in poi. Giusto per non far perdere tempo.
Genere: Angst, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Pagina 11.

(How would you feel, if I told you I loved you?
It's just something that I want to do
I'll be taking my time, spending my life
Falling deeper in love with you
So tell me that you love me too)
 
Come ti sentiresti, se ti dicessi che ti amo?
È solo una cosa che voglio fare
Mi prenderò il mio tempo, passando la vita
a innamorarmi sempre più di te
Quindi dimmi che mi ami anche tu
 
How would you feel, Ed Sheeran
 
 

«Stamani ho una magnifica sorpresa!» Esclamò entusiasto Mattia appena mi vide, alzandosi per farmi andare al mio posto al finestrino. Lo guardai interrogativa, non nascondendo un piccolo sorriso. 

Lui tornò al mio fianco, un sorriso a trentadue denti a illuminargli il volto: «Chiudi gli occhi.» Ubbidii e lo sentii armeggiare allo zaino, come alla ricerca di qualcosa.

«Apri!» Non feci in tempo a sollevare le palpebre che i miei occhi si illuminarono all’istante, nel vedere i due pezzi di carta che teneva in mano. «Tadaaan! I biglietti per “Chi è di scena”! Firenze, questo sabato alle 21h00.» Distolsi lo sguardo dai biglietti e lo posai sui suoi occhi verdi. Un sorriso mi prese il possesso del volto, mentre un’ondata di gioia mi invadeva il petto tanto da farmi sembrare che esplodesse. Colma di euforia, non potei controllarmi e gli avvolsi il collo in un abbraccio, ringraziandolo mille volte per il meraviglioso regalo.

Esitò un attimo, forse colto di sorpresa da quel mio scatto di affetto, dopodiché cinse la mia schiena. «Figurati, grazie a te per aver accettato.» 

Potei percepire il suo rossore anche se non lo vedevo.

«Però adesso mi devi dare il tuo numero.» 

 

«Prossimo!»

«Uffa!» Sbuffai con le braccia al cielo, dopo il quinto outfit che Aurora mi bocciava. La mia amica era seduta sulla poltrona all’interno della cabina armadio che avevo a casa di mio padre, le gambe incrociate e il volto poggiato sul palmo della mano. «Non è mica colpa mia se non hai nulla da metterti.»

Mi misi le mani sui fianchi, esclamando: «Si può sapere cosa avresti in mente te, come abito idoneo? Altrimenti non usciamo più dall’ampass.»

Vidi gli occhi di Aurora stringersi appena, segno che la sua mente diabolica era al lavoro a pieno regime. Alzò un attimo l’indice, muto cenno di attendere, dopodiché si alzò e andò a mettere le mani tra i miei vestiti.

Tempo due minuti, me la ritrovai davanti con l’abito che mio padre mi aveva comprato per il diciottesimo. «Elsa.»

«Sì?»

«Sto andando a teatro a vedere uno spettacolo del Benvenuti, non in discoteca a ballare sul cubo.» 

Alla mia amica cedettero le braccia. «Beh, di certo non puoi andarci vestita come tu andassi al bowling!» Esclamò, indicando ciò che indossavo. 

«E allora che dovrei…», mi interruppi, a causa degli occhi di Elsa che brillavano in maniera inquietante. «Sho…» 

«No.»

«...pping!» Trillò tutta entusiasta lei, aggrappandosi al mio braccio come avesse ricevuto la notizia più bella del mondo.

Fu così che mi ritrovai scarrozzata in tutti i negozi del corso, a meno di otto ore dall’appuntamento. Elsa mise sottosopra nove negozi, fece venire una crisi isterica a dodici commesse e mi fece provare un centinaio di abiti, finché, a meno di tre ore dall’ora x, fu soddisfatta di ciò che mi vedeva addosso. Un abito abbastanza semplice, color smeraldo: la gonna arrivava appena sopra il ginocchio, il bustino dotato di scollatura a cuore aveva un tocco di luce, dovuto ai brillanti che splendevano sui fianchi.

Io, sinceramente, a quel punto ero talmente stanca che volevo solo che quella tortura finisse. Ero pronta ad andare all’appuntamento anche in mutande, ma provate a dirlo voi alla ragazza che avevo di fronte, la quale aveva gli occhi che le brillavano come diamanti e un’espressione di pura estasi in volto che nemmeno una principessa Disney. 

Per pagare usammo la carta che mi aveva dato mio padre tempo addietro e, finalmente, riuscii a tornare a casa per finire di prepararmi. 

«Ti vuoi muovere?» La voce di Elsa mi arrivò che ero ancora in doccia, sotto l’acqua tiepida, leggermente scocciata. Mi scappò un sorriso divertito. Vidi l’adorabile broncetto indispettito che aveva in volto ancora prima di averla nel mio campo visivo. Era palese la sua voglia di giocare, e litigare amorevolmente un po’ come me. Stetti al gioco, ovviamente. Quale miglior modo di allentare la tensione prima di un appuntamento a teatro, se non discutere un po’ con la tua migliore amica?

«Sei tu che mi hai trascinato per tutti i negozi del corso. Preferivi che non mi facessi proprio la doccia e andassi all’appuntamento che puzzavo come dopo un allenamento?»

«Esagerata! Addirittura un allenamento! Siamo solo andate a fare un po’ di shopping. Ne avevi bisogno.»

«Eh sì, certo. Perché infatti io non ho niente da mettermi…» Risi, indossando il vestito nuovo e indicando la cabina armadio che ci circondava grande quanto una sala, mentre lei mi spingeva per mettermi a sedere alla stazione di trucco.

Storse la bocca nel tentativo di non ridere e non darmela vinta. «Lo sai, ci sono paesi in cui ci si sveglia alle 4 del mattino per andare a scuola e si pelano patate.»

«Sì certo… e i buchi alle orecchie portano a top e minigonne, che portano alla biancheria sexy, che porta a sesso selvaggio. Quindi perché vorresti farmi indossare questi?» Mi voltai appena verso di lei, mostrandole nel palmo della mano gli orecchini a ciondolo che aveva scelto come match per l’outfit di quella sera.

Elsa rimase in silenzio qualche secondo, poi mi rispose con sogghigno malizioso: «Perché tu hai bisogno della biancheria sexy, visto che stai andando ad un appuntamento.»

Mi caddero le spalle, ma aveva acceso il phon e quindi dovetti aspettare che finisse di asciugarmi i capelli per poter ribattere. «Elsa. È solo un’uscita a teatro, non ci sto andando a letto.»

«Idra.» Mi mise entrambe le mani nei capelli per aumentare un poco il volume, mi forzò a guardarmi allo specchio e mi osservò attraverso il riflesso dello stesso, con un sorriso cosciente in volto. «È un appuntamente a teatro

«E quindi?»

«E quindi chi cavolo va a teatro come primo appuntamento? È ovvio che questo ragazzo è cotto di te.»

«Oppure magari è solo un buon amico a cui piace il teatro e la recitazione del Benvenuti e Marchino, e vuole passare una serata con una persona che non gli da del vecchio noioso solo perché vuole andare a vedere uno spettacolo.»

«Non si chiamava Paolo Cioni?»

«Vabbe’, ormai per me è Marchino.»

«Seh, okay…» Prese un po’ di forcine che si mise tra le labbra per tirarmi su i capelli. Il fatto di avere la bocca per metà bloccata non le impedì comunque di dire la sua. «Comunque per me, questo qui vuole qualcosa di più dell’amicizia. E da come me lo hai presentato si dir…»

«Ahio!»

«Sssh, successo nulla.»

«Ma come successo nulla? Mi hai infilzato la forcina nel cervello!»

«Hanno le punte arrotondate, smetti di lamentarti.»

«Anche le forbici hanno le punte arrotondate, ma non significa che non possano essere armi letali!» Feci per portarmi le mani alla nuca, non riuscendo a trattenere le risate.

«Finito!» Alzò le mani al cielo, per poi riappoggiarle sullo schienale della sedia, un sorriso che le attraversava il volto da parte a parte. «Contenta?» 

Alzai lo sguardo verso il mio riflesso sullo specchio. Sì, stavo bene, ma quello che mi faceva davvero sentire bene era il sorriso pieno di soddisfazione e affetto che Aurora aveva sul volto. Mi guardava come fossi la sua creatura più bella, lo sguardo di un artista a lavoro completato. 

Sorrisi, sentendomi amata tanto come poche volte in vita mia, anche se mi rendevo conto essere un sentimento estremamente stupido da provare. Ciononostante, non lo volli ricacciare indietro e mi ci aggrappai con forza, quasi per paura che svanisse nel nulla.

La ringraziai con un bacio sulla guancia leggero e indossai la giacchetta a metà busto di finta pelliccia nera. In quel preciso momento, manco a farlo apposta, il telefono iniziò a squillare. Il nome sullo schermo era quello di Mattia e, con gli occhi a cuoricino, Elsa mi porse il cellulare. Tirai un lieve sorriso e risposi, dandogli le ultime indicazioni per arrivare all’entrata principale e dicendogli che scendevo subito.

«Vuoi seriamente accompagnarmi fino alla porta?» Chiesi in un sorriso, mentre scendevamo le scale. 

«Ti aspetti seriamente che io non veda che tipo è questo Mattia dal vero? In che mani ti sto lasciando?» Rispose lei, come fosse la cosa più ovvia del mondo. Non sapevo se adorare o detestare quel suo lato da mamma super appiccicosa, ma visto che mi stava aiutando ad attraversare i corridoi di casa di mio padre senza avere l'impellente bisogno di scappare e nascondermi, l'ago puntava decisamente in posizione positiva.

Quel filone di pensieri mi fece di colpo venire in mente che Mattia non era mai stato a casa di mio padre e non aveva idea del quasi castello - praticamente l'unica cosa che mancava per definirlo tale erano fossato, ponte levatoio e una torre con una principessa imprigionata dentro - che si sarebbe trovato di fronte. D'altra parte, invitarlo a casa di mia madre avrebbe allungato il viaggio verso il teatro di più di quaranta minuti, rendendo il carburante utilizzato inutile, oltretutto visto che lui abitava a due minuti da casa di mio padre. 

Aprii la porta con il terrore di trovare nei suoi occhi lo sguardo che avevo visto in - quasi - tutti coloro che avevano messo piede in quella proprietà, ma quelli che trovai furono due occhi che avevano in loro la meraviglia per tutt'altro.

«Sei… uno splendore.» Disse, in tutta sincerità, quasi senza parole. Si fosse trattato di qualche d'un altro, avrei subito pensato a un'esagerazione voluta, uno di quei complimenti che si fanno giusto per fare colpo e aiutarti ad arrivare all'obiettivo di portarti a letto la ragazza. Ma con lui no. Non lo pensai nemmeno per un attimo e, a giudicare dalla leggera gomitata incoraggiatrice tra i miei polmoni da parte di Elsa, anche lei era dello stesso parere. 

«Stai benissimo anche tu.» Ed era vero. Indossava una camicia bianca con le clip al posto dei classici bottoni e dei jeans scuri, sopra la giacchetta di un completo con tanto di orologio al polso destro, visto che era mancino. Si era pettinato i ricci castani e si era curato anche la leggera barba. Stava benissimo, davvero.

Si portò una mano ai capelli e scostò lo sguardo, rosso in volto, sussurrando un flebile ringraziamento. Poi, come se lo fosse ricordato di punto in bianco, mi porse una rosa bianca che aveva tenuto fino a quel momento dietro la schiena. Stava per dire qualcosa, ma venne interrotto dal trillio di euforia alle mie spalle, proveniente da Elsa. Mi schiarii la gola, feci un passo di lato e presentai la mia amica: «Mattia, questa è Aurora. Lei è l'incarnazione dell'entusiasmo.» Elsa salutò velocemente con la manina, prima di riportarla vicino all'altra, intenta a tapparsi la bocca per evitare che ne uscissero altri gridolini. Fece un respiro profondo per ricomporsi, dopodiché iniziò a spingermi verso Mattia e l'esterno. «Okay, ora dovete andare, altrimenti farete tardi.» Prima di darmi l'ultima spintarella, facendomi finire addosso a lui, la sentii sussurrarmi nell'orecchio: «Mi piace, avete la mia benedizione.»

Feci appena in tempo a voltarmi giusto per vedere la mia amica che si sbracciava e, prima di chiudere il portone di casa, esclamava: «Divertitevi! Buona serata!»

“Caspiterina Elsa, non starai esagerando? È solo una serata a teatro…”

«Allora…» Alzai lo sguardo e i miei occhi si incontrarono con quelli color smeraldo di Mattia. Un sorriso morbido come il burro si distese sul suo volto. «Andiamo?»

Riuscii solo ad annuire, come ipnotizzata. Mattia doveva essersene accorto, mi prese delicatamente per mano e ci dirigemmo verso la sua macchina, a pochi passi da noi. Mi aprì la portiera del passeggero e mi invitò all'interno della vettura con gesto elegante, degno del gentleman che era. «Milady.»

Riuscì a strapparmi un sorriso timido, mentre salivo sulla Yaris nera. Sorridevo, eppure dentro sentivo che c'era qualcosa che non andava. Stavo bene, ma avevo la sensazione che ci fosse qualcosa di irrevocabilmente sbagliato in quello scenario.

Ma non mi venne in mente nulla, perciò cercai di annullare quella spiacevole sensazione e concentrarmi sul resto della serata, sul resto delle magnifiche emozioni che mi stava invece offrendo.

 

«E chi se lo aspettava un finale del genere?» Uscita dal teatro, avevo ancora gli occhi che brillavano. «Mi sono chiesta per tutto il tempo che caspita ci facesse quella donna dormiente lì in fondo.»

«Ti sei divertita?» Mi chiese Mattia, un paio di passi dietro a me, che sembravo avere le ali ai piedi dal livello di buonumore che avevo. «Tantissimo! Il Benvenuti è il migliore!» 

«Sono felice.» 

Mi fermai e feci una giravolta, per guardarlo meglio. «Tu sei stato bene?»

«Decisamente.» Il sorriso sul suo volto si distese ancor di più, mostrando appena i denti bianchi. Quella visione mi fece sciogliere qualcosa nel petto. “È bellissimo”, feci appena in tempo a pensare, mentre Mattia riapriva lo sguardo e mi chiedeva a cosa stessi pensando con uno sguardo che trasudava affetto. Per togliermi dall'imbarazzo, dissi la prima cosa che mi venne in mente: «Davvero però, secondo te Gesù si depilava?»

La risata cristallina del mio accompagnatore mi riempì piacevolmente le orecchie, facendomi ridere di risposta, mentre una delle scene d'apertura dello spettacolo si riproduceva dietro ai miei occhi. 

Dopo qualche istante, Mattia mi offrì il braccio. «Sei pro a una tazza di cioccolata calda after teather?»

«Super pro!»

 

L’iniziale rivolo di fumo si disperse in piccole volute nell’aria. Inspirai, tenendo il filtro tra le dita, riempiendomi i polmoni di nebbia calda, prima di espirare con un lungo soffio nel cielo color ossidiana di Arendal. 

Da quando ero tornato a casa, avevo preso l'abitudine di fumarmi una sigaretta ogni volta che uscivo da lavoro. Non avevo mai fumato prima, non regolarmente almeno, perché sapevo che faceva male e non avevo mai avuto intenzione di morire di cancro ai polmoni all'età di trent'anni. Ma le cose erano cambiate. In tutta sincerità, non me ne poteva fregare di meno di come sarei arrivato a trent'anni, o oltre. Se il destino avesse voluto che non ci arrivassi proprio, avrebbe trovato il modo, che io mi fumassi quella sigaretta o meno. Quindi perché privarmi di quella piccola piacevole compagnia di pochi minuti.

Un nuova voluta di fumo uscì dalle mie labbra, spaccate dal freddo. Novembre era quasi al termine, Dicembre era alle porte e con lui il freddo del nord iniziava a farsi sentire seriamente. Non ho mai temuto il freddo, anzi, l'ho sempre sentito far parte di me. L'ho sempre accolto a braccia aperte, anche letteralmente. Come in quel momento, appena uscito di doccia, seduto sul terrazzo ad osservare la quiete delle acque del mare del Nord, con il vento gelido che mi dava lievi schiaffi sulla pelle. E solo. Beh, non proprio solo: avevo la sigaretta con me.

Ma in fondo, che avevo da lamentarmi? Avevo un lavoro che non mi dispiaceva affatto, una bella casa in un posto che adoravo, vivevo l'età più bella della mia vita e potevo fare quello che più desideravo, senza legami che mi bloccassero. Vent'anni capitano una volta sola, perché avrei dovuto spenderli dietro a una fantasia? Perché ne ero conscio, lo ero sempre stato, che un rapporto con Cam sarebbe stato solo una fantasia.

Mi scappò un sorriso amaro, mi portai la mano libera ai capelli. Ecco, c'ero ricascato. Un momento di libertà e pensavo a lei. Che imbecille.

Un ultimo elegante passo di danza da parte della densa nebbia e finì, la canula tra le mie labbra giunse al termine. E mi ritrovai di nuovo solo. 

Forse non sarebbe stato male accendersene un'altra.

 

«A che pensi?» La domanda mi venne spontanea, forse un tono un poco più preoccupato di quello che avrei voluto usare, vedendolo con espressione un poco cupa bere dalla tazza di ceramica. Infondo, come si può essere cupi mentre si beve cioccolata calda? Non è tipo… impossibile? 

«È che… sono in un gran casino…» Mattia tirò un sospiro preoccupato, cercando di celarlo con una risata forzata, senza successo. Scostò gli occhi dal liquido scuro e lo puntò nei miei, per dire, quasi disperato: «Credo di essermi davvero innamorato di te.»

Silenzio. Interrotto dal tintinnio del cucchiaino che mi scivolò di mano e andò ad impattare con il bordo della tazza, cadendo poi rovinosamente a terra, il tutto macchiando, nel suo percorso, tovaglia, il mio vestito e il pavimento.

Ma non me ne importava nulla. Non me ne accorsi neanche. Tutto quello che c'era nella mia testa era il vuoto più assoluto.

Quella era una dichiarazione, vero? Che avrei dovuto rispondere? Che anch'io ero innamorata? Ma che lo ero? Di certo mi piaceva, ma… amore? Non era una parola un po' grossa da spendere con qualcuno che conosci da poco più di un mese? Alla prima uscita poi? Non dovevamo almeno prima baciarci per capire se ci fosse stata chimica tra noi, prima di parlare di amore

Ma poi, lui che intendeva per amore? Quello del colpo di fulmine? Dell'attrazione fisica? O del "per sempre felici e contenti" delle fiabe? 

E soprattutto, il quesito più importante di tutti: ma perché cazzo mi stavo facendo tutte queste domande?

Ripresi coscienza di ciò che mi accadeva attorno quando con la coda dell'occhio mi accorsi di Mattia ai miei piedi, che stava pulendo il cioccolato a terra con dei tovagliolini di carta. Mi riscossi quel tanto che bastava per poggiargli le mani sulle spalle e fare per spostarlo: «Faccio io…» Ma lui mi guardò con quegli smeraldi sinceri e mi sorrise semplicemente: «Figurati, ho già fatto.»

Rimasi inchiodata al mio posto, mentre andava a buttare i tovagliolini sporchi e a pagare senza che nemmeno me ne accorgessi.

«Ti riporto a casa?» 

Gli occhi mi scivolarono sulla sua mano tesa, la presi senza riflettere e non risposi, ancora incapace di formulare frasi più complesse di monosillabi. Quasi senza accorgermene, nel tragitto per arrivare alla macchina, strinsi la sua mano nella mia, come se ne dipendesse la mia salute mentale. Mattia doveva essersi accorto dello sballamento emotivo che mi aveva procurato, non era scemo, e non ne approfittò in nessun modo. Quando sentì la mia stretta farsi più forte, rigirò la mano nella mia per intrecciare le nostre dita e la accolse. Senza dire nulla, senza chiedere nulla. 

A un certo punto mi venne spontaneo di guardarlo e la sua espressione mi sorprese: sorrideva, mentre guardava avanti a sé. Era quel tipo di sorriso di qualcuno che si era tolto un peso dalle spalle, di chi era pienamente soddisfatto di sé. Di chi era pronto a prendersi cura di un'altra persona, aspettarla se ce ne fosse stato bisogno, farla andare avanti e osservarla per tenerla con premura sott'occhio all'occorrenza. Il sorriso di qualcuno il cui più grande desiderio era quello di far star bene l'altro, anche a discapito di se stessi. Pareva quasi il sorriso di un genitore e, dovetti ammettere con amarezza a me stessa, che in quel momento mi sentivo veramente come una bambina indifesa al suo fianco. 

Ma, stranamente, non avevo paura. 

Era come se avessi la certezza di poter contare su di lui, che potevo fare completamente affidamento su Mattia. Lui era il giusto capitano in grado di far attraversare alla mia nave il mare in tempesta che erano state fino a quel giorno le mie emozioni, portandola dritta in porto, sana e salva.

Mi arrestai che eravamo quasi arrivati alla macchina, fermando anche lui mediante il collegamento delle nostre mani. Mi guardò un attimo interrogativo, io feci un passo in avanti, il corpo che si muoveva come fosse già Mattia ad avere il timone in mano, e lo baciai.

 

 

 

Questo capitolo non lo commento, non ora. Voglio parlare del rapporto tra Cam e Mattia ma non ne sono in grado senza spoilerare quel che accadrà (che poi che spoiler saranno mai, è palese come andrà a finire 'sta storia) quindiiii… le lascio in bianco a tempo determinato. Tornate una volta letto il capitolo 15.

Credo sia il 15… devo ancora dividerli in modo definitivo gli ultimi… ma penso proprio sarà il 15. Tanto ve lo scriverò poi alle note di quando sarà il momento di tornare (se vorrete, ovvio, non vi punto mica una lama al collo) a dare un’occhio qua. 

Le scriverò qua perché all’adesso cap 15 ci sarà altro di cui vorrò parlare e soffermarmi, e rischierei di far diventare le note troppo lunghe e dovermi ritrovare a fare lo stesso lavoro fatto con Michelangelo e Leonardo e non ne ho davvero voglia lol 

E non guardate lo schermo con quello sguardo confuso, tanto ve l’avevo già detto no? Autrice io, regole mie. 

Bacini <3
 

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