Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: Ksyl    17/02/2021    4 recensioni
La storia prende spunto dalla fine della 8x08, ma le cose non sono andate esattamente come nel telefilm.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

19 - Castle


La perse di vista. Il tempo di darle le spalle, per riaversi dal colpo ricevuto a tradimento e raccogliere i pensieri per decidere il da farsi e, quando si voltò, non la trovò più accanto a lui. Fu così sconcertato dall'improvvisa assenza, che per qualche prezioso istante rimase a fissare come un ebete il posto vuoto che fino a qualche minuto prima era stato occupato da Kate.

Si ridestò in fretta dal torpore perché non poteva permettersi di perdere altro tempo. Si precipitò in mezzo alla folla vociante, dando spintoni alle persone che lo intralciavano, rischiando di farli finire a terra, chiedendo scusa a mezza voce mentre proseguiva la sua corsa disordinata, sapendo che doveva apparire all'esterno come un pazzo.
Il numero già cospicuo di persone presenti nella piazza in un giorno ordinario si era moltiplicato a causa del progressivo aumentare degli invitati al matrimonio e questo creava un problema in più.
Dove poteva essere andata? Cercò di mettersi nei suoi panni e di ragionare secondo i suoi schemi mentali. Dopo tanti anni trascorsi vicino a lei, studiando il suo comportamento, doveva sapere a menadito come funzionava la sua mente. Più o meno, ammise a malincuore. Spesso meno. Riusciva sempre a coglierlo di sorpresa. Proprio come era appena successo.

Preso da un pensiero che lo atterrì appena ne colse il senso, infilò le mani nella giacca, tastandosi affannosamente per accertarsi che le chiavi dell'auto fossero ancora lì. Si diede dello stupido, appena il metallo liscio sfiorò le sue dita. Kate era certo in grado di sottrargli qualcosa dalle tasche come una ladra provetta, ma non lo avrebbe abbandonato lontano da casa, senza un mezzo di trasporto.
E questo lo faceva tornare al problema principale: dove era fuggita? Soprattutto considerando che non aveva un'idea precisa di dove fossero. Non era mai troppo attenta alla loro destinazione giornaliera, anche se lui gliela spiegava nel dettaglio. Lasciava che la trascinasse in giro, lamentandosi solo quando lui le proponeva qualche meta troppo impervia.
Aveva pensato che fosse diventato una specie gioco tra di loro. Lei rideva nel dirgli: “Non ce la farò mai ad arrivare fin lassù” e lui credeva si divertisse a farlo, senza mai porsi il problema di valutare se fosse in grado o meno di salire tutti quegli scalini o arrivare in cima a una collina.
Via, era Beckett. Lei correva dietro ai criminali. Non l'aveva mai vista stanca da quando la conosceva. Provata, esausta, perfino prostrata. Stanca fisicamente, no.

Sorrise con amarezza. Il motivo era uno e molto semplice, si stupiva di non esserne reso conto prima. Non si vantava forse di conoscere alla perfezione il corpo della moglie? Non lo aveva ammirato e desiderato in silenzio per anni? Forse gran parte della sua mente poteva rimanergli ancora celata, ma non il suo corpo. Eppure non si era accorto del segreto che lei gli aveva tenuto nascosto. L'ennesimo.

Corse ovunque e setacciò l'intera cittadina. Tutti i negozi, bar, ristoranti, la farmacia (forse si era sentita male?), perfino i bagni pubblici, chiedendo alle donne che uscivano, spaventandole con quell'aria spiritata che doveva avere, se avessero incontrato una donna americana all'interno. Se ne erano andate in fretta, lanciandogli occhiate impaurite.
Controllò più volte, irrompendo nei locali come uno squilibrato. Tornò al ristorante dove avevano pranzato. Sì, ricordavano la donna che era con lui, certo. Sua moglie, li corresse ansioso, come se fosse importante che lei venisse definita in relazione a lui, e non come una persona qualunque. No, erano molto spiacenti, ma non l'avevano vista. Se fosse passata di lì l'avrebbero informato attraverso il numero di cellulare che aveva cacciato in mano al proprietario. Qualche problema, signore? Sembrava che andasse tutto bene, solo qualche ora prima.

Castle non si curò di rispondere, precipitandosi fuori. Valutò l'idea di informare la polizia.
Sapeva per esperienza che nessuno si sarebbe allertato per una persona scomparsa da quanto? Controllò l'orologio. Un paio d'ore. Gli avrebbero chiesto se ci fossero stati problemi tra loro, se avessero discusso e lui avrebbe dovuto ammettere che era andata proprio così. Gli avrebbero consigliato di andare a casa a controllare che non fosse già tornata, suggerendo di rimanere ad aspettarla lì. Queste cose si risolvono spesso da sole, avrebbero aggiunto, con aria formale e un po' annoiata. Per loro si sarebbe trattato solo di un litigio tra coniugi.
Sarebbe stata una perdita di tempo e, inoltre, sarebbe stato difficile spiegarsi al meglio, se gli altri non avessero parlato almeno un po' di inglese. Lui non padroneggiava l'italiano fino a quel punto.

Tornò al parcheggio fuori dalle mura, dove quel mattino avevano lasciato l'auto. Il passo era lento, il cuore pesante Continuava a guardarsi in giro. Si aspettava forse di vederla stesa in un angolo, svenuta? L'immagine gli fece accelerare i battiti. Era incinta. Poteva aver avuto un malore, un abbassamento di pressione o un calo di zuccheri.
Doveva chiamare tutti gli ospedali, partendo da quelli più vicini, anche se fossero stati dei semplici presidi per piccoli centri abitati. Avrebbe scaricato una mappa. Sarebbe andato di persona implorando di controllare i registri. Era un suo diritto. Per fortuna erano sposati e non c'era privacy che tenesse.
Ma doveva tornare a casa, prima. Doveva accertarsi che lei, in qualche modo, non fosse riuscita a raggiungere il casale.

Aprì lo sportello dell'auto, lasciandosi cadere pesantemente sul sedile. Diede un'occhiata a quello vuoto vicino a lui. Dove sei, Kate?
Era ancora arrabbiato. Ma era anche preoccupato e, soprattutto, addolorato.
Viaggiò sulle stesse strade che solo qualche ora prima gli erano sembrate tanto diverse. Avevano riso. Si erano tenuti per mano. Sapeva che la realtà avrebbe fatto presto irruzione nelle loro vite, imponendo il suo prezzo, e aveva voluto godersi gli ultimi giorni insieme, fingendo che si trattasse della loro luna di miele.
E poi era successo questo.

Guidò imponendosi di andare piano, perché sapeva di doversi dominare o avrebbe superato i limiti, rischiando di finire fuori strada.
Continuò a esaminare ogni tratto di strada, solo per scrupolo, controllando che non stesse vagando disorientata da quelle parti. Gli sembrò di vederla in tutte le donne che incrociò, anche quelle diverse per corporatura e scelte estetiche. Per lui erano tutte Kate.
C'era molto più traffico del previsto o forse era lui a essere molto impaziente. Si trattenne dal premere il clacson numerose volte.
Fu solo quando svoltò nella stradina secondaria segnalata da due enormi pini marittimi cresciuti a dismisura, ormai diventati il loro punto di riferimento per riconoscere la svolta giusta che altrimenti si sarebbe confusa con la vegetazione circostante, che rallentò.
Fino a quel punto era stato spinto dalla necessità di ritrovarla. Era un'emergenza vera e propria, che non gli aveva dato il tempo di pensare ad altro. Adesso era diverso. Se era riuscita effettivamente a tornare a casa, forse prendendo un taxi, che era l'unica cosa che gli venne in mente per giustificare la sua assenza... che cosa le avrebbe detto?
E se, peggio ancora, avesse avuto tutto il tempo di preparare le valigie e andarsene, mentre lui girava come una trottola cercandola dappertutto? Al pensiero sentì propagarsi nel torace un dolore acuto che si irradiò dal centro del petto. Poteva essere arrabbiato con lei, ma non voleva che se ne andasse. Non un'altra volta. Ti prego, Kate, no. Non poteva permetterle di abbandonarlo di nuovo. Durò solo qualche attimo straziante, poi si risvegliò dalla disperazione e il dolore scomparve.

Fermò l'auto sul ciglio della strada. Scese. Aveva bisogno di aria. Quello che lo aspettava a casa poteva attendere ancora qualche minuto, prima doveva decidere come affrontare la situazione.
Prese una stradina sconosciuta, piena sassi e buche, senza avere la minima idea di dove conducesse. Doveva schiarirsi le idee. Camminò a lungo, finché riuscì a smaltire la rabbia e il cervello gli si snebbiò.
Si sedette su un tronco, incurante del fatto che si sarebbe sporcato, o perfino strappato, i pantaloni.

Perché non gli aveva detto di essere incinta? L'interrogativo che lo stava tormentando da ore balzò fuori dall'angolo in cui l'aveva relegato, come se non stesse aspettando altro.
Quale donna tiene nascosta una cosa del genere al proprio marito? Per quale motivo?
La risposta si formulò in fretta nella sua mente ed era molto semplice. E, quindi, per la sua esperienza del mondo, doveva essere quella vera.
Perché non aveva voluto dirglielo. Ecco tutto. Perché doveva continuare con la sua battaglia segreta contro LokSat. Contro i suoi demoni interiori. Sapeva che lui non glielo avrebbe permesso, perché avrebbe avuto voce in capitolo e avrebbe fatto valere i suoi diritti di padre. Diritti. Che brutto modo di descrivere l'arrivo di un bambino.
Non solo si era macchiata della colpa di averlo tenuto all'oscuro, ma aveva messo in pericolo suo figlio, nel farlo. Poteva accettare che non glielo avesse detto, per qualche assurdo motivo, poteva perfino capire che non avesse avuto voglia di precipitarsi da lui a comunicarglielo. No, non era vero, non ne comprendeva la logica, ma per amore di dibattito poteva sorvolare sulla questione. Ma niente la giustificava per non essersi fermata nella sua caccia all'uomo. Niente.
Avrebbe accettato la separazione, forse perfino il divorzio, ma non questo.

Andò indietro nel tempo, cercando di indovinare quando potesse averlo scoperto. Di quanto doveva essere? Era andata via dal loft il primo giorno del suo nuovo incarico. Trentasei ore dopo, per l'esattezza. Fine settembre. Quanto era passato? Nove, dieci settimane. Lei doveva saperlo da almeno metà del tempo. Diede un colpo secco con il palmo aperto sul tronco dietro di lui, provocandosi qualche escoriazione.
Non era possibile. Forse era lui che non voleva accettare la realtà, sperando, contro ogni evidenza, che fosse rimasto ancora qualcosa da salvare nel loro matrimonio.

Si sforzò si riallineare ancora una volta i fatti, senza scartare nessuna ipotesi. Non poteva essere successo in Italia, nonostante le numerose occasioni. Semplicemente, non c'era stato il tempo perché il bambino desse prova di sé. Non conosceva in modo preciso la biologia del corpo femminile, ma due conti sapeva farli.
Né si poteva ricondurre l'evento alla sera del loro anniversario, perché era successo solo poco tempo prima che partissero per il loro viaggio in Italia. Annuì. Esatto. Troppo presto. Infatti. Si sentì un po' idiota a darsi ragione nel mezzo della campagna deserta. Ma era così, giusto? Poteva essere rimasta incinta solo prima di piantarlo in asso.
Qualcosa si muoveva rapido tra i suoi pensieri, senza che lui riuscisse ad afferrarlo. C'era qualcosa che non tornava. Ma che cosa? Doveva per forza essere andata così.

Era possibile che non se ne fosse davvero accorta fino a quella rivelazione improvvisa in mezzo alla folla? Provò a riflettere sulla questione senza pregiudizi. Quando Beckett era impegnata in un caso molto importante e faticoso capitava che si dimenticasse perfino di mangiare per giornate intere, figurarsi se poteva accorgersi di un ritardo.
Magari l'aveva attribuito alla stanchezza, allo stress, quel genere di cose che si tirano sempre in ballo. No, era impossibile. Non poteva essere passata sopra a tante settimane di assenza di qualcosa che accadeva secondo scadenze tanto regolari.
E quindi si tornava da capo. Non glielo aveva detto.
Eppure qualcosa di fastidioso e molesto continuava a giocare a nascondino con lui. Continuava a sfuggirgli un punto importante.

Prese il cellulare, lo accese. Nessuna chiamata. Non provò nemmeno a controllare se lei fosse rintracciabile. Se la conosceva almeno un po', era sicuro che non avrebbe risposto. Scorse le varie schermate, fino ad arrivare al calendario. La data odierna era segnata in rosso. Non aveva bisogno di ricordare il giorno del loro anniversario.
Tornò al mese precedente. La data incisa dentro al suo anello nuziale lo fissò muta. Proprio come pensava. Troppo presto. Gli venne un colpo quando sembrò che il numero scritto all'interno della casella bianca si trasformasse in una faccina che gli faceva la linguaccia. Aveva forse le allucinazioni?
Tornò a oggi. Tornò indietro. Contò con le dita, proprio come un bambino che ha appena imparato a fare le addizioni.
No, no, no, no, no, no.
Non ci volle molto a capire quello che il suo cervello aveva tentato di dirgli per tutto il tempo. Si era sbagliato. Era successo il giorno del loro anniversario. I tempi combaciavano perfettamente. Anche lo stato d'animo spensierato, a dirla tutta. Ed era passato l'esatto numero di giorni perché lei se ne rendesse conto solo ora.
Era stato un idiota. Il cuore tornò a martellargli nel petto. Si sarebbe preso volentieri a calci. L'aveva accusata ingiustamente solo perché aveva sbagliato a fare una semplice somma. Solo perché non sapeva contare. Era lui il primo ad aver perso il senso del trascorrere del tempo, lì in vacanza, e, per questo, aveva imbastito una sentenza senza appello contro sua moglie. Che lo aveva davvero appena scoperto e glielo aveva detto subito, appena l'ipotesi le era affiorata alla mente. E si era mostrata felice.
Tornò di corsa alla macchina, mise in moto sgommando per immettersi sulla carreggiata. Meritava di finire i suoi giorni dentro in una grotta umida e buia. Ma prima doveva farsi perdonare. Se lei avesse avuto un cuore abbastanza grande.


 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: Ksyl