Capitolo
16 -
Roots -
Quando
riaprii gli occhi, non c’era traccia della bionda che mi
aveva portato via da
villa Sakamaki.
Mi
guardai intorno: mi trovavo in una campagna, circondata dal nulla, solo
immensi
prati verdi e qualche albero qua e là.
Il
sole stava sorgendo all’orizzonte, scacciava le tenebre della
notte e donava
nuove sfumature al firmamento.
Non
ero certa di trovarmi ancora a Tokyo.
Proseguii
con lo sguardo e notai che, al di là di quel rivolo
d’acqua, si ergeva una
modesta casetta, ma aveva l’aria di essere
un’abitazione abbandonata, poiché
delle erbacce crescevano intorno ad essa, e la porta di legno era di un
marrone
ormai sbiadito dal tempo; mentre le finestre, completamente serrate,
erano
macchiate da muschio verdastro.
Ma attesi: perché la vampira aveva deciso di portarmi
lì, in quel posto
sconosciuto e, per qualche motivo, anche familiare?
Sfortunatamente
per poter rispondere a quei dubbi avevo un’unica scelta.
Non
che quel fiumiciattolo fosse profondo, ma non avevo intenzione di
bagnarmi il
vestito che avevo scelto con tanta cura.
Sebbene,
al momento, fosse già macchiato dal sangue che mi era
colato, mentre Karl Heinz
mi mordeva ovunque.
Quel
bastardo…
Possibile
fosse tutto un suo piano?
E
quella constatazione mi diede i brividi: questo stava a significare
che, con
tutto probabilità, c’era qualcun altro che aveva
degli interessi nei miei
confronti.
Girai
il pomello della porta di ingresso e questa si spalancò.
Avevo
guardato in faccia la morte così tante volte che, se si
fosse presentata,
l’avrei accolta dignitosamente.
Mi
addentrai nella casa e storsi il naso: doveva essere rimasta chiusa
molto a
lungo, se puzzava in quel modo.
Osservai
il salotto ristretto, ora che la luce del sole inondava la camera, e
passai un
dito sul divano collocato di fronte ad un camino: era ricoperto da
strati e
strati di polvere, così come i mobili.
Continuai
nella stanza accanto, che si rivelò essere una cucina, anche
questa dalle
dimensioni ridotte, composta semplicemente da un tavolo quadrato, due
sedie, e
l’angolo cottura.
Accanto
ai fornelli un piccolo spazio vuoto: seppi con certezza che
lì si trovava un frigo,
e la cosa mi turbò, poiché non lo avevo intuito,
io lo ricordavo.
Alla
sinistra della cucina, una scala a chiocciola portava ad un piano
superiore.
Iniziai
a salire i gradini, facendo attenzione a non cadere.
Sbucai
in una camera da letto, qui la finestra era già aperta, e
potei osservare la
stanza: le lenzuola bordeaux erano sfatte e polverose;
l’armadio aveva le ante
aperte e numerose ragnatele al suo interno.
Avvicinandomi,
notai che dietro esso si nascondeva una culla, avvolta in un telo
bianco: il
cuore iniziò a battere innaturalmente, le orecchie mi
fischiavano.
Una
copertina giaceva arrotolata all’interno della culla: la
presi, intimorita da quello
che avrei potuto scoprire.
In
fondo, il mio incoscio già lo intuiva.
La
rigirai tra le dita e deglutii a vuoto, leggendo il nome cucito sulla
piccola
coperta.
Mi
strinsi la copertina al petto.
Io
ero nata lì.
Valanghe
di ricordi mi riempirono la testa: io e la mamma che ci rincorrevamo
nel
giardino; lei che mi preparava torte al cioccolato ed io che provavo ad
imitarla, combinando solo dei pasticci.
Ma
d’altronde ero una bambina.
Ricordai
le storie che mi leggeva, prima che andassimo a dormire, storie di
cavalieri e
principesse.
Ma
per quanto mi sforzassi di ricordare il suo volto, questo sfuggiva
dalla
memoria.
Rimasi
pietrificata, al suono di una voce maschile.
Quella
voce che mi aveva parlato, quando Karl Heinz si era finto Raito.
I
suoi occhi erano dorati, simili a quelli di Karl Heinz, e tuttavia
diversi.
Anche
perché le sue pupille erano più sottili del
normale, quasi feline.
Indossava
un completo scuro e una sciarpa nera, con alcune linee bianche e
simmetriche.
“Carla
Tsukinami.”
Il
nome non mi dava alcuna indicazione utile ma, nel profondo, sapevo
benissimo
chi fosse.
E
quando parlò, confermò i miei sospetti.
“Sono
tuo padre.”
Il
silenzio regnava da qualche minuto ormai.
Tuttavia,
un Kanato ancora un po’ indolenzito e furente, seduto sul
divano, ne era la
prova.
E
in più, Kou aveva assistito alla scena coi suoi occhi, non
aveva motivo di
mentire al riguardo.
La
maggior parte di loro pensava che Karl Heinz l’avesse rapita
proprio per
questo.
Ma
ad una cerchia ristretta, che comprendeva Ruki, Reiji e Shu, i conti
non
tornavano.
Perché
assoldare i Mukami, se il suo scopo era sempre stato averla tutta per
sé?
Perché
mandare i Cacciatori ad ucciderla?
Perché
assoldare una Predatrice e non usare immediatamente il suo esercito di
Ghoul?
Reiji
inarcò un sopracciglio, indignato più per il
linguaggio colorito che per la
proposta in sé.
Subaru
l’appoggiò e, sorprendentemente, anche Yuma.
“Perché
siamo suoi amici.”, inaspettatamente fu Azusa a rispondere.
“Questo
significa che ti vuole bene.”
Il
vampiro col peluche rimase interdetto.
“No
Azusa, ne abbiamo già parlato, non è con la
violenza che si dimostra affetto.”
“Oh…”,
si limitò a mormorare il fratello.
“Ma
questo non significa che Mitsuko sia cattiva.”
Ayato
gli tirò un colpetto sulla spalla e ignorò il suo
sguardo omicida.
“Non
ti sei fatto niente, siamo vampiri.”
Ricordava
come l’avevano trattata loro inizialmente, ma il loro sadismo
era niente, se
paragonato a quello di Karl Heinz.
“Nostro
padre ha un esercito a disposizione. –, iniziò a
spiegare, – siamo forti ma
decisamente pochi rispetto ai suoi.”
“Ha
ragione.”, dichiarò Ruki.
I volti altrui parvero rabbuiarsi.
Reiji
parve riflettere qualche istante, aveva avuto un’idea, ma
ancora non aveva
deciso se fosse saggia o meno.
Ayato e Yuma protestarono in coro, nessuno dei due si sarebbe rivolto a
quegli
esseri senza scrupoli.
“Hanno
tentato di uccidere Mitsuko e ci sono riusciti con Raito.”,
gli ricordò Subaru.
Reiji
annuì.
“Potrebbe
tornare utile, farebbe di tutto pur di salvare la figlia.”
Proprio
mentre si preparava ad uscire, dei rumori esterni catturarono la sua
attenzione.
Qualcuno
bussò alla porta e fu il maggiore dei Sakamaki ad aprire.
Aveva
il labbro spaccato e dei lividi sul corpo.
Reiji
affiancò il fratello.
“Che
ti è successo?”
“Oh,
sto bene Rei, dovresti vedere com’è conciata l’altra.”
Puro
stupore si dipinse nel volto dei presenti, quando trascinò
ai suoi piedi la
vampira bionda che aveva attaccato Shu.
Anche
lei era coperta di lividi ed aveva il vestito lacerato, sembrava priva
di sensi.