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Autore: Ksyl    18/02/2021    4 recensioni
La storia prende spunto dalla fine della 8x08, ma le cose non sono andate esattamente come nel telefilm.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ci mise solo pochi minuti per tornare a casa. Parcheggiò in mezzo al cortile, spense il motore e si precipitò fuori senza chiudere lo sportello dell'auto.
Non c'era nessun segno di vita che potesse far pensare a una presenza all'interno, le persiane erano chiuse, proprio come le avevano lasciate prima di uscire e la facciata esterna aveva un'aria desolata, nonostante gli ultimi raggi del sole a illuminarla.

Il portone d'ingresso era chiuso a chiave. Il suo cuore diede un colpo a vuoto. Se non era qui... dove poteva essere? Era stata la sua ultima speranza. Rassegnato a non trovarla, forzò la chiave dentro alla serratura difettosa, come d'abitudine. Una volta dentro lo accolse il silenzio totale.
Diede un'occhiata al tavolo della cucina, per vedere se fosse per caso passata di lì e gli avesse lasciato un biglietto. Era vuoto. Non trovò indizi della sua presenza nemmeno in salotto.
Guardò verso l'alto, ormai convinto di essere da solo in casa. Gli rimaneva soltanto di controllare la loro stanza al piano superiore. Si aggrappò al corrimano, senza il coraggio di procedere. Pensò di fare un tentativo, prima, per rintracciarla al telefono. Si rese conto che erano tutti modi con cui cercava di ritardare il momento della verità.

La loro camera era immersa nell'oscurità. Non c'era nessuno. Si sentì gelare quando si rese conto che il mobiletto dalla parte di Kate, sempre pieno di cianfrusaglie abbandonate in un disordine caotico così poco da lei, era perfettamente in ordine, senza nessuna traccia dei suoi oggetti personali. Si guardò in giro in preda al panico e si accorse che non c'era nient'altro che le appartenesse.
Se ne era andata. Si appoggiò allo stipite della porta, cercando di calmarsi. Avrebbe voluto lasciarsi cadere sul pavimento e rimanere lì a vegetare finché gli fosse tornata la forza di tornare a far parte del mondo dei vivi.
Era tornata a casa e, mentre lui la cercava come un pazzo tra le stradine affollate sperando di riconoscerla tra facce sconosciute, aveva avuto tutto il tempo di fare i bagagli e andarsene.
Diede un colpo alla porta per sfogare la frustrazione. Non si curò del dolore.

Dannazione, Kate. Non hai lasciato nemmeno che mi spiegassi.
Sapeva che se la stava prendendo con il bersaglio sbagliato. Era lui quello da colpevolizzare, non lei. Se solo avesse smesso per un attimo di essere così idiota e non l'avesse accusata senza motivo. Non la biasimava. Con ogni probabilità, se ne sarebbe andato anche lui di fronte a un attacco del genere. La sua reazione era stata immotivata ed eccessiva, se ne rendeva perfettamente conto. Per questo voleva che lei almeno sapesse che lo aveva capito quasi subito.

Imboccò il lungo corridoio su cui si affacciavano le altre camere da letto, deciso a scendere di sotto, quando qualcosa destò la sua attenzione. Con la coda dell'occhio vide del tessuto colorato appallottolato nell'angolo di una delle due poltrone collocate in fondo al letto. Si avvicinò per guardare meglio. Si trattava di uno dei foulard di Kate, quello che aveva indossato fino a qualche ora prima. Se lo ricordava, perché era di una tonalità diversa rispetto a quelle che si metteva di solito.

Si sentì riempire di speranza, forse troppo precipitosamente. Magari era solo uscita a fare una passeggiata per schiarirsi le idee, proprio come aveva fatto lui. Si era cambiata, si era messa una sciarpa più pesante, sbarazzandosi di quella che adesso era stretta nel suo pugno. La annusò. Il suo profumo era ancora forte. Suo.
Andò di corsa verso l'armadio e aprì le ante con violenza. Si sentì quasi accasciare per il sollievo. I vestiti di Kate erano ancora tutti lì.
Non se ne era andata per sempre. Ma dove era?
Controllò in bagno. Lo specchio era ancora coperto in parte dal vapore. Significava che, a meno che qualcuno non avesse fatto irruzione e avesse colto l'occasione di farsi una doccia, lei non era uscita da molto.
La considerazione ebbe il potere di calmarlo. Valutò se uscire a cercarla, o darle un po' di spazio. La sua natura fremente l'avrebbe indotto a battere la campagna per rintracciarla, ma non era l'ipotesi migliore. Se era fuori a riflettere sulla situazione, lui doveva rispettare i suoi tempi.
Decise di attendere al piano inferiore il suo ritorno, ed era già sul punto di scendere il primo gradino delle scale, quando una luce fioca che filtrava da sotto la porta di una delle altre camere lo fece fermare.
Nessuno era mai entrato lì dentro, da quel che ricordava.
Abbassò piano la maniglia, aprendo lentamente. Fu proprio lì che vide sua moglie.
Era seduta sul letto, girata di spalle, la schiena eretta, fissando la finestra buia di fronte a lei.

Castle non perse tempo a farsi invadere dalla gioia di per il fatto di averla infine trovata: senza pensarci due volte si precipitò all'interno, urtando con forza contro il letto e finendo la sua corsa inginocchiato davanti a lei.
La prese tra le braccia, oscillando avanti e indietro.
"Kate. Mi dispiace. Perdonami".
Kate non reagì. Castle si rese conto con spavento che stava trattenendo un fantoccio privo di vita. Non si era ritratta, non lo aveva spinto via, non aveva parlato. Gli sembrò assente, volata in un punto lontano, inaccessibile.
La lasciò andare. Lei non si ribellò. Non si mosse nemmeno. Quando la guardò negli occhi, gli sembrarono solo delle pozze vuote.
Si era cambiata, proprio come aveva supposto, e adesso indossava una maglietta a maniche corte. Era senza trucco e si era legata i capelli in un nodo basso dietro la nuca.
L'apprensione che Castle aveva iniziato a provare divenne qualcosa di molto più serio.
"Kate... ?", la chiamò esitante. Stava bene? Doveva insistere o lasciarla in pace?

Le sfregò con forza le braccia, accorgendosi che erano fredde. La temperatura in casa era troppo bassa per potersene andare in giro vestiti leggeri, almeno finché non avesse acceso il fuoco. Lo fece più che altro per farla reagire, ma da lei non provenne nessun segno di vita.
Kate voltò la testa verso il cuscino. Castle, sorpreso dal movimento e speranzoso che significasse che aveva registrato la sua presenza, seguì il suo sguardo. Vide il braccialetto, quello che le aveva regalato solo poco tempo prima, appoggiato sopra alla trapunta bianca. Preso da una paura insensata, controllò se si fosse tolta anche la fede. Per fortuna la trovò ancora al suo posto.
Sapeva che si era trattato di un pensiero irrazionale, ma fu felice di vedere l'anello sul suo anulare. Lei lo portava sempre, se se lo fosse sfilato sarebbe stato un gran brutto segno, si disse. Fu una consolazione di breve durata, ma gli infuse un po' di coraggio.
Kate si allungò per prendere qualcosa dal comodino accanto al letto. All'inizio non capì di cosa di trattasse, ma poiché glielo stava porgendo con aria decisa, fu costretto a prenderlo in mano.
Era un test di gravidanza. Si sentì morire.

"È il primo che ho fatto, oggi. È l'unico che calcola le ipotetiche settimane di gestazione. So che non è un dato certo, ma è l'unica cosa che ho trovato".
Castle si sentì molto più che morto. Kate aveva parlato con una voce meccanica, senza mostrare nessuna emozione. Sembrava, era, assente, come se la cosa non la riguardasse.
Stette male al pensiero che lei si fosse sentita in dovere di provare la sua innocenza. Che razza di disastro aveva combinato?
Non guardò il risultato del test, non era necessario.
Kate si era quindi recata in farmacia, mentre lui la cercava come un disperato. C'era stato anche lui, ma non gli era venuto in mente di chiedere se fosse per caso entrata una donna straniera a comprare un test di gravidanza.
Il motivo era semplice e amaro al tempo stesso. Non ci aveva pensato perché era stato convinto che lei avesse fatto tutte le analisi molto tempo prima. Si insultò con diversi epiteti poco generosi.
"Non mi serve, Kate". Appoggiò piano l'oggetto sul letto, pensando che, in qualsiasi altra circostanza, sarebbe stato felice ed euforico mentre attendeva il responso di quella finestrella. Adesso aveva questioni molto più importanti da affrontare, prima di concedersi il lusso di sognare il loro bambino. Non sapeva nemmeno se aveva ancora una moglie.
"Oh, quindi adesso non ti serve?". La voce sferzante della moglie in questione lo fece sobbalzare.
"No".
Castle cercò di controllarsi per mantenersi calmo e non trovarsi a scuoterla per convincerla della bontà delle sue nuove intenzioni.
"Kate". Nessuna risposta. "Guardami".
Lo sguardo che gli rivolse gli fece venir voglia di andarsene in giro per il mondo a frustarsi con un bastone affilato.
"Ho sbagliato. Mi dispiace. È stupido da dire ma... ho fatto un errore di calcolo".
Kate arcuò un sopracciglio perfetto.
"Un errore di calcolo?", ripeté con una sfumatura di derisione nella voce.
"Sì. In senso letterale. Ho fatto male i conti...".
Il silenzio lo indusse a proseguire, sapendo già in partenza che più avesse tentato di spiegarsi, più avrebbe dato adito a fraintendimenti. Ma che altro poteva fare, di fronte al muro che lei, giustamente dal suo punto di vista, gli stava opponendo?
"Non pensavo che potesse essere successo la sera del nostro anniversario. Mi sembrava troppo presto...".
Kate lo guardò incuriosita, come se si fosse trattato di uno strano esemplare di insetto ripugnante.
"Troppo presto?", ripeté con un tono freddo che non prometteva niente di buono. Castle annuì, insicuro.
"Quindi non ti sembrava fosse trascorso un intervallo di tempo utile", ripeté, come se volesse essere certa di aver capito bene.
Castle mosse di nuovo la testa, sempre più incerto. Le cose non si stavano mettendo bene, se doveva dar retta al suo istinto.
"E hai trovato naturale pensare che fossi rimasta incinta più di due mesi fa, che l'avessi scoperto da sola e non te lo avessi detto, per chissà quale motivo. Anzi, per farmi i fatti miei, giusto?".
Detta in quel modo suonava molto male, ma era andata proprio così.
"Kate...", cercò di prenderla con le buone.
"Perché allora non sospettare un tradimento? Perché non accusarmi in grande, già che ci sei? Vuoi un test di paternità, Castle? Magari il bambino non è tuo".
Si sentì ferito dal suo sarcasmo, anche se sapeva di meritarselo.
Appoggiò la testa sulle sue gambe. Sperò di sentire la sua mano tra i capelli, ma fu presto disilluso.
"Kate. Scusami. Ti prego. È che... non sei sembrata sorpresa...". Se aveva pensato di migliorare la sua situazione, capì presto di aver commesso un altro sbaglio.
"Certo che sono stata sorpresa", sbottò. "Non me lo aspettavo, proprio come te! O stai insinuando che quella sera ti ho incastrato?"
No, no, no. Dovevamo fermarsi. Nello stato d'animo in cui si trovavano potevano continuare a incolparsi di ogni misfatto e nefandezza, incluse guerre e la fame nel mondo, solo per ferirsi a vicenda.
Non era così che voleva che andasse. Doveva fermare la spirale che li avrebbe trascinati verso il basso. Sempre che non ci fossero già.
"No. Non lo penserei mai. Lo sai".
"No, Castle. Non lo so", la sua voce si era di nuovo spenta. Aveva perso la forza battagliera che l'aveva fin lì sostenuta. Kate fissò le piastrelle ai suoi piedi.
"So solo che era l'ultima cosa che mi aspettavo", continuò. "Ma quando l'ho capito...". Sorrise. Un sorriso timido e gioioso che gli fece venire nostalgia di un passato che sentiva di aver perso per sempre. Quando era stato lui il fortunato destinatario. "Sono stata felice. Anche se so che non è il momento giusto, ma che importa? E te l'ho detto subito. Non avevo quasi finito di rielaborare il concetto io stessa, che già te lo stavo comunicando".
Lo guardò lacerata. Castle si sentì scivolare sempre più in basso, nel girone dantesco delle persone che, per la propria enorme e ingiustificata stupidità, avevano combinato danni irreparabili.
Le passò una mano tra i capelli.
"Esci", gli ordinò lei duramente. La mano si fermò a mezz'aria. Non si aspettava quel brusco cambio di atmosfera.
"Kate...".
"Sono stanca. Devo riposare". Si raggomitolò sul letto, lontana da lui.
Castle capì solo in quel momento, dando un'occhiata più approfondita alla camera, che lei si era trasferita lì. I suoi oggetti, quelli di uso quotidiano, erano appoggiati sul pesante cassettone di legno. Si sentì il protagonista di un numero da circo di lancio di coltelli che, invece di evitarlo, lo stavano centrando in pieno. Tutti. Si alzò in piedi. Le gambe si erano intorpidite. La tristezza gli appesantiva le spalle, era un macigno troppo pesante da sostenere. Prese una coperta dall'armadio che profumava di sacchettini di lavanda lasciata a essiccare in estate e gliela drappeggiò intorno al corpo.
Avrebbe voluto dirle tante cose. Che l'amava. Che era dispiaciuto. Voleva sapere come si sentiva. Voleva parlare del loro bambino.
Invece fece silenzio e uscì dalla stanza senza fare rumore.

   
 
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