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Autore: arabesquessence    19/02/2021    0 recensioni
Capitolo III.
Luciano si presenta con una sorpresa per la sua famiglia. Nel frattempo Carlo vive il suo primo giorno nella nuova scuola e una svolta lavorativa è in arrivo per Clelia.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La nuova vita dei Cattegaris'
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21 febbraio 1962
 
Carlo se ne stava seduto sullo sgabello del bar della pensione con le gambe penzoloni nel vuoto facendo spesso la spola tra il bancone e la finestra. Accanto a lui Clelia aggiornava minuziosamente la sua agenda con gli impegni dei prossimi giorni. Venne distratta solo da Rosa che le posò accanto la tazza di thè caldo che aveva ordinato.
 “Il signor Cattaneo lavora anche oggi che è domenica?”
“Grazie Rosa. In realtà doveva solo recuperare alcuni documenti, dovrebbe essere di ritorno tra poco.”
Posò la penna e, sorseggiando pensierosa il suo thè, si girò a guardare fuori dalla finestra. L’orologio alla parete segnava quasi le sei della sera, i faretti illuminavano il cortile e il buio iniziava ad avere la meglio avvolgendo il paesaggio nella foschia della nebbia e tingendolo di una luce bluastra.
“Mamma, quando arriva Lucianone?”
“Sarà qui a momenti.” Carlo sbuffò e Clelia gli fece una carezza in viso, tornando poi a fissare l’agenda.
Fu nuovamente interrotta, questa volta dal suono di un clacson e da due fanali che lampeggiarono nel cortile della pensione.
Carlo corse alla finestra.
“Mamma! Mamma! È arrivato!”
Clelia confusa chiuse l’agenda. Si aspettava di vederlo rientrare dall’ufficio scendendo dal tassì come faceva ogni giorno da una settimana, più precisamente da quando era stato assunto come ragioniere addetto alla contabilità in una importante fabbrica automobilistica torinese in zona Mirafiori, non di certo alla guida di un’auto.
Carlo si precipitò all’ingresso della pensione, troppo euforico per prestare ascolto all’imposizione della madre di mettere la giacca per uscire, e spalancò la porta uscendo.
Clelia si affrettò a indossare il cappotto e afferrò quello del figlio quasi rincorrendolo nel vialetto ghiaiato. Mentre il bambino osservava Luciano fare inversione e parcheggiare nel cortile, lo obbligò ad indossarlo rimproverandolo per la sua sconsideratezza.
“Vuoi prenderti un malanno proprio oggi? Domani inizi la scuola!”
Ma la discussione passò in secondo piano quando Luciano spense il motore togliendo la chiave, aprì la portiera e uscì dall’auto con la sua ventiquattrore.
“Sorpresa!” allargò le braccia mostrando la vettura, una Millecento come quella color grigio metallizzato che aveva lasciato a Milano, ma verniciata di un rosso carminio.
Clelia la scrutò perplessa per qualche secondo mentre Carlo saltellava attorno come un grillo.
“È nostra papà?”
“Sì Carlo, è tutta nostra. Ti piace?”
“Sì! È più bella rossa!” gli occhi del bambino, che aveva una predilezione speciale per quel modello di auto che tante volte aveva visto durante il Carosello e che associava all’idea di famiglia, brillavano sotto la luce dei faretti.
“Luciano, cosa significa?” Clelia era visibilmente stupita.
“Non ti piace?”
“No, cioè è bellissima, sono solo molto sorpresa, ecco. Non sapevo avessi intenzione di comprare un’auto.”
“Lo so che avevamo detto di risparmiare per la casa ma è stata un’occasione imperdibile. L’ho vista un paio di giorni fa nel deposito della fabbrica e ho pensato fosse perfetta per noi. Con lo sconto per i dipendenti sono anche riuscito ad ottenerla ad un prezzo davvero vantaggioso.”
Nel frattempo Carlo scalpitava. “Posso salire? Posso provarla?”
Luciano gli aprì la portiera anteriore e il bambino prese posto sul sedile del guidatore. Impugnò il volante fingendo di guidare e imitando con la bocca il rumore delle sgommate.
Clelia rimase ancora in silenzio a contemplarla e il ragioniere si strinse nel cappotto infilando una mano in tasca.
“Sono stato troppo avventato?”
Clelia si voltò a guardarlo e si rese conto di averlo tenuto troppo sulle spine.
“No amore, ha fatto benissimo. Anche il colore mi piace molto.”
“Sicura? Ho immaginato di partire per le vacanze estive tutti insieme con quest’auto, costeggiare il mare con i finestrini abbassati, le valigie sul portapacchi…ah, ovviamente ci sta anche la carrozzina. O il passeggino.” aveva l’aria sognante, al di fuori dei rigidi schemi della sua razionalità. Ma del resto, quando mai era stato del tutto razionale se si trattava della vita insieme a Clelia?
Si interruppe notando che la donna lo stava fissando negli occhi sorridendo.
“Perché mi guardi così?” inarcò un sopracciglio.
“Perché sei straordinario.”
Luciano sorrise a sua volta e arrossì leggermente. Si tolse gli occhiali appannati e Clelia gli si avvicinò cingendogli la vita con un braccio e appoggiando la testa alla sua spalla. Lui le circondò le spalle e rimasero a guardare Carlo che fingeva di essere un pilota del Gran Premio di Monaco.
“Così domani andiamo a scuola con la Millecento rossa fiammante!” esclamò il bambino.
Luciano rise. In cuor suo sapeva di averlo reso felice. Aveva deciso di lasciare a Milano la sua vecchia auto con l’augurio che avrebbe portato a suo figlio Federico la stessa fortuna che era toccata a lui e, nonostante i bei ricordi legati ad essa, non vedeva l’ora di crearne di nuovi.
 
***
 
22 febbraio 1962
 
“Buongiorno amore.”
Clelia entrò in bagno mentre Luciano si tamponava il viso fresco di rasatura con un asciugamano e gli depositò un bacio sul collo alzandosi in punta di piedi.
“Buongiorno.”
Luciano si voltò per rispondere al bacio ma quando la donna si staccò dalle sue labbra, impallidì barcollando leggermente e si aggrappò a lui stringendo in un pugno il lembo della sua canottiera.
Luciano si allarmò. “Clelia, va tutto bene?!”
“Sì. È stato solo un capogiro.” Allentò la presa sulla canottiera e poggiò l’altra mano sul petto del ragioniere cercando si stabilizzare l’equilibrio. Luciano, che la sorreggeva con entrambe le braccia, sembrava poco convinto e Clelia se ne accorse. “Mi succedeva anche quando aspettavo Carlo, e poi hai visto anche tu che le analisi sono a posto. Ho solo bisogno di fare mangiare qualcosa.”
“Sei sicura? Non è meglio che tu rimanga qui a riposare stamattina? Posso chiedere a Rosa di portarti la colazione in camera.” Non accennava ad allentare la presa sui suoi fianchi, anzi la strinse più saldamente, quasi come se avesse paura che potesse svenire da un momento all’altro.
“Luciano sto bene, davvero. Non voglio perdermi il primo giorno di Carlo nella nuova scuola, gliel’ho promesso. E poi, adesso che lui ricomincia le lezioni, io ho intenzione di iniziare a guardarmi attorno per trovare un lavoro.”
Il ragioniere pareva dubbioso. “So quanto tu tenessi al tuo posto al Paradiso delle Signore e sarei felice per te se trovassi un altro lavoro che ti faccia sentire ugualmente appagata. Però non vorrei che ti stancassi troppo nelle tue condizioni.”
Clelia gli avvolse le braccia dietro al collo fissandolo negli occhi.
“Sono incinta, non malata.” Lo rassicurò. “Ma se ti può far stare più tranquillo, oggi pomeriggio consulterò il dottore per questo calo di pressione. E ti prometto che cercherò un lavoro adatto alle circostanze.”
Nel frattempo la mente di Luciano sembrava lavorare febbrile. Iniziò a fare rapidi calcoli aiutandosi a conteggiare con le dita di una mano e facendo riferimento ai dati sulle analisi che Clelia gli aveva mostrato.
“Tre mesi e…dodici giorni. Abbiamo superato il primo trimestre. Hai già programmato la prossima visita di controllo?” esordì infine.
Clelia scoppiò a ridere. “Perché mi ostino a tenere un’agenda quando potrei chiedere direttamente a te?”
“Lo sai che sono nel mio co-” ma Clelia completò la frase al posto suo cantilenando “Con i numeri. Sì lo so. Ragioniere, la sua precisione mi affascina sempre.”
“E poi certe date non si dimenticano. E il mal di schiena per tre giorni. Mi chiedo perché Vittorio abbia scelto di mettere quei divanetti così piccoli e scomodi. A finire sul pavimento ci vuole un atti-” ma Clelia gli tappò la bocca con una mano. Da pallida che era, avvampò e le sue guance riacquistarono colore al ricordo di quella sera nello spogliatoio.
“Va bene, va bene. Basta così. Comunque pensavo di occuparmene oggi stesso quando sentirò il medico. Così saprà indicarmi un ginecologo qui a Torino. E poi sono stata recentemente dal dottore, prima che lasciassimo Milano. Non hai nulla di cui preoccuparti.” Lo rassicurò accarezzandogli il viso liscio.
“Dici che sono troppo apprensivo?”
“Un pochino, ma ti amo anche per questo. Ammetto che mi piace sentirmi coccolata e riempita di attenzioni.” Gli stampò un bacio sulla bocca. “Vado a svegliare Carlo ora, o faremo tardi.”
 
***
 
Luciano scese dall’auto parcheggiata e raggiunse il marciapiede aprendo le portiere a Clelia e Carlo. Prese la cartella del bambino e lo aiutò ad infilarla in spalla. La madre si accucciò per sistemargli il fiocco del grembiule e un ciuffetto di ricciolini ribelli in fronte che spuntava dal berretto. Lisciò infine il cappotto da pieghe immaginarie e gli strinse meglio le cinghie della cartella di pelle.
Si inumidì il pollice per eliminare l’ultima traccia di dentifricio dal mento di Carlo. “Ecco, ora sei perfetto.”
Il bambino si incamminò saltellando e fermandosi qualche metro più avanti. “Mamma, papà, andiamo o arriveremo in ritardo!” esclamò impaziente voltandosi verso di loro.
Luciano scoppiò a ridere. “Tutto sua madre.” Prese Clelia per mano e si incamminarono verso l’edificio.
 
 
 
Dopo essere stati nell’ufficio della direttrice dell’istituto per le ultime pratiche burocratiche, Clelia e Luciano scesero la scalinata consultandosi su come organizzare i turni settimanali per andare a prendere Carlo a scuola.
“L’ho visto molto sereno per questa scelta.” Il ragioniere pensò al sorriso del bambino quando lo affidarono alla madre superiora per accompagnarlo in classe. Non vedeva l’ora di conoscere i suoi nuovi compagni e i maestri. “E la scuola è ancora più bella di quanto la ricordassi dalla prima volta in cui siamo stati qui.”
Luciano si guardava attorno particolarmente euforico, accompagnato dal sottofondo del vociare degli studenti. L’ampio istituto era in realtà un ex convento rimodernato e riadattato ad accogliere allievi ed insegnanti. Si estendeva su tre cortili, ognuno dei quali ospitava le elementari, le classi medie e il liceo, e su due piani accessibili da scalinate in marmo grezzo e contornati da porticati sorretti da colonne.
Clelia si voltò verso di lui e notò che gli brillavano gli occhi. “Sei più emozionato di lui.”
“I primi giorni di scuola di Nicoletta e Federico sono tra i ricordi più cari che ho. Non credevo che sarei stato così fortunato da poterli rivivere ancora. E ancora.”
Clelia gli sorrise. Arrivarono agli ultimi gradini. “Stamattina pensavo di passare anche in libreria a prendere l’occorrente per Carlo.” Affermò lanciando un’occhiata ai libri di testo e al materiale segnati sulla lista che aveva rilasciato loro la direttrice.
“Mi sarebbe piaciuto accompagnarti, ma ho detto al mio superiore che tra mezz’ora al massimo sarei stato in ufficio. Non ti stancare troppo, mi raccomando.”
Clelia mise il foglio con la lista sottobraccio e si avvicinò per sistemargli la sciarpa.
“Non preoccuparti, faccio volentieri due passi in centro. Io e Carlo torneremo alla pensione col tassì.”
“Va bene amore, allora ci vediamo stasera. E buon fortuna per la ricerca del lavoro.”
Clelia lo attirò a sé dal bavero del cappotto e gli stampò un baciò sulle labbra. “Buona giornata, a stasera.”
Luciano impugnò la ventiquattrore e lasciò l’edificio.
Il cielo delle nove e mezza del mattino si era tinto di un azzurro intenso e la nebbia aveva lasciato il posto ad un sole splendente che attenuava il freddo pungente di febbraio, facendo luccicare le goccioline della brinata sulle panchine dei cortili.
Borsetta al braccio, Clelia si avviò per le vie del centro storico costellate di eleganti boutique, negozi e caffetterie storiche. Inebriata dal profumo di brioches appena sfornate, cacao e caffè che le porte in vetro tintinnanti aperte dal viavai di clienti diffondevano in strada, socchiuse gli occhi inspirando per poi entrare proprio in una di quest’ultime.
Ne uscì con il sapore della spremuta di arancia ancora sulle labbra, il gusto della crema al gianduia del croissant che le pervadeva il palato e un sacchetto di baci di dama con l’intento di farli trovare a Carlo all’uscita da scuola e conservane qualcuno per Luciano, voglie permettendo. O più probabilmente sarebbe invece finita a smangiucchiarli passeggiando in attesa di andare a prendere il figlio.
La tappa successiva fu la libreria dall’essenza antiquaria e un’elegante insegna in caratteri corsivi all’angolo della via. Si sfilò i guanti e fu avvolta all’istante da un buon odore penetrante di carta e inchiostro. Rimase sorpresa. Viste da fuori, quelle due piccole vetrine colme di libri esposti ingannavano, il negozio era ben più ampio. La parte antecedente era costituita dalla libreria vera a propria mentre nella restante area si stagliavano lunghi scaffali in legno massiccio colmi di vecchi volumi polverosi e ingialliti dai titoli ricercati o poco noti, destinati al prestito bibliotecario, alcuni dei quali impilati anche sul pavimento in assenza di posto sugli scaffali.
Il libraio, un uomo sulla settantina, canuto, dalla barba incolta e con andatura gobba, fece capolino da dietro una pila di manuali che reggeva tra le mani strascicando i piedi.
Avvertito della presenza della donna dal campanello tintinnante della porta d’ingresso esordì con “un attimo e sono subito da lei”.
Inciampò maldestramente su uno scatolone incustodito sul pavimento e tentò di destreggiarsi per non perdere l’equilibrio depositando i libri sul bancone.
“Maledizione Giovanni! Quante volte ti ho detto di spostare questa scatola?” L’uomo urlò in direzione di una zona imprecisata in fondo al negozio. “Mi scusi eh, a mio nipote bisogna ripeterle mille volte le cose. E poi siamo noi anziani quelli duri d’orecchi. Ma prego, mi dica, come posso aiutarla?”
“Avrei bisogno di questi libri per mio figlio.” Clelia gli porse la lista. “Sono testi delle elementari. E poi, gentilmente avrei bisogno anche di due quaderni a quadretti e uno a righe col margine largo.”
L’uomo inforcò gli occhiali sul naso e scrutò la lista riflettendo per qualche istante. “Sì, si può fare.” Sfilò i quaderni da uno degli scaffali destinati agli articoli di cancelleria dietro al bancone. “Intanto prenda questi, ora le cerco i libri. Giovanni vieni qua!”
Un ragazzo sui vent’anni, alto, magro e con i riccioli impomatati dal gel comparve dal fondo del negozio. Posò la sua copia nuova di zecca de Il giardino dei Finzi-Contini, un romanzo diffusosi da poco nelle librerie italiane, nella quale aveva piegato diverse orecchie durante la lettura e si arrotolò le maniche della camicia mentre le bretelle abbassate sui pantaloni a vita alta ricadevano scomposte lungo le cosce. “Sì nonno?”
“Aiutami a cercare questi libri.” I due si avvicendarono per l’intero negozio e il magazzino finché l’intera richiesta di Clelia fu davanti a lei sul bancone venti minuti dopo.
“Perdoni l’attesa. Mio nipote mi dà una mano quando non è all’università ma dovrei decidermi ad assumere qualcuno ad aiutarmi a tenere questo posto in ordine. Non si trova mai nulla.”
Clelia sorrise. “A volte un semplice inventario aggiornato è quello che serve. Comunque complimenti per il posto, vedo che è ben fornito. Sono libri molto antichi quelli?” indicò l’area della biblioteca.
Il libraio le lanciò un’occhiata di sottecchi mentre incartava la spesa di Clelia.
“Sono libri che ho raccolto in giro per il mondo. Diversi luoghi, diverse lingue, diversi secoli... sa, da giovane ho viaggiato molto. Mi piaceva l’idea che qualcuno li apprezzasse almeno quanto li ho apprezzati io ma non volevo separarmene. Così ho deciso di aprire una biblioteca d’antiquariato.”
Clelia lo guardò ammirata. “Vuol dire che ha letto tutti questi libri?”
“Esatto. Però gli affari non andavano troppo bene così ho deciso di tenere anche un angolo libreria con testi contemporanei. Ma mi dica una cosa, lei lavora nel settore? L’ho vista interessata.”
“Il mio è più un passatempo. Mi piace molto leggere e quando abitavo a Trieste avevo una libreria preferita che frequentavo spesso. Era antiquaria e il suo negozio me l’ha ricordata.”
“Lei è di Trieste? Città d’arte e di cultura straordinaria.”
“Sì, ma in questi ultimi anni ho viaggiato anche io prima di arrivare a Torino con la mia famiglia due settimane fa. Però nulla di paragonabile ai suoi viaggi per il mondo.”
“Oh mia cara, tutti intraprendiamo dei viaggi, non è importante la meta, conta ciò che si acquisisce strada facendo. La vita stessa è un viaggio.”
“Non sa quanto ha ragione…” Clelia si lasciò andare ad un lungo sospiro colmo di ricordi e infine sorrise pensando a ciò che aveva conquistato dopo tanta sofferenza.
“Allora. Se non ha già un impiego, le interesserebbe il posto?”
“Dice sul serio?” Clelia rimase piacevolmente sorpresa dalla proposta. Era partita con l’idea di guardarsi attorno per trovare un lavoro ma a quanto pare era stato il lavoro a trovare lei.
“Sicuro, lei mi sembra la persona adatta per aiutarci a mandare avanti questo posto.”
“Sarebbe magnifico, però io non ho famigliarità con l’ambiente. Ho lavorato per un paio d’anni come capocommessa in un atelier di Milano, ma mai con i libri. Comunque posso farle avere le mie referenze.”
“Lasci perdere le referenze, gli unici requisiti che occorrono sono precisione e organizzazione, qualità che sono mancate per un bel po’, come può notare da sé. E lei mi è sembrata subito affidabile. Accetta?”
   
 
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