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Autore: Elsira    19/02/2021    2 recensioni
Gli antichi greci credevano che un tempo l’essere umano fosse un essere perfetto e, soprattutto, completo. Era formato da quattro braccia, quattro gambe, due volti. Ma un giorno, Zeus, temendo la perfezione umana, lo divise in due, rendendolo così imperfetto… Incompleto. Da quel momento, l’uomo cerca disperatamente la sua metà, per tentare di tornare al suo stato originario. Per tornare a essere completo.
Questa è la storia di Camilla e di Arkin, e del loro tentativo di metterla in tasca a Zeus.
Quand'ero piccola, mio padre e mio nonno mi dicevano sempre che non c'era nulla che non potesse essere risolto. Ci si può ammalare, si può perdere il lavoro, si può litigare con una persona cara... Ma le malattie si curano, i soldi si riguadagnano, i rapporti si ricuciono. A tutto c'è rimedio, tutto può essere affrontato serenamente e superato. Tutto. Tranne la Morte.
E come tutte le mie storie, anche questa comincia ad essere interessante dalla metà in poi. Giusto per non far perdere tempo.
Genere: Angst, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Questo capitolo è un po' più lungo dei precedenti.
Sì, avrei potuto tagliarlo in modo differente e rendere tutto un po' più omogeneo.
No, non ho intenzione di farlo. 
Però è molto... discorsivo, quindi non dovrebbe essere una palla totale da leggere. 
Il fatto è che l'ultimo pezzo è stato praticamente il primo che ho scritto e mi rifiuto di cambiargli capitolo solo per un fattore di lunghezza. E' colpa di Aurora, che è arrivata decisamente dopo, che mi ha mandato tutto a bip. E poi ci sono un sacco di doppi-dialoghi a causa delle traduzioni... Sì. In realtà il chappy ha una lunghezza ragionevolissima, non fosse per questi due piccoli e insignificanti dettagli. 
... Lasciatemici credere, vi prego. Ne ho bisogno.


Un'altra nota che tengo a fare è che da qui in avanti ci saranno pezzetti di Arkin dove il ragazzo e chi lo circonda parla in norvegese e, quindi come avvertito dall'inizio, ci saranno "doppi-dialoghi". Se non vi piace, vi attaccate amorevolmente <3
No dai scherzo, ho messo di grandezza diversa le traduzioni perché almeno sono più facilmente individuabili e, chi vuole, si salta la parte in lingua e si legge direttamente la parte in italiano.

PS: No, non sarebbe stato meglio mettere la parte in lingua con la riduzione, perché quella è quella effettiva e quindi ssssh, cuccia.

E anticipo scuse forse dovute, perché diventa anche un po' volgare, quantomeno rispetto a come io sono abituata a scrivere, però... Oh bimbi, quando ce vo', ce vo', eh!

E dopo questo ultimo avvertimento, buon proseguimento cari!

 



Pagina 12.

Tell me why are we wasting time
On all your wasted crying
When you should be with me instead?
I know I can treat you better
Better than he can
 
(Dimmi perché stiamo perdendo tempo
Su queste tue lacrime sprecate
Quando invece dovresti stare con me?
So che posso trattarti meglio
Meglio di lui)
 
 
Treat you better, Shawn Mendes
 
 

“È stato tutto solo una splendida bugia...”

«Vi sees i morgen. (A domani.)»

«Vær mer forsiktig med takeaway-bestillinger! (Stai più attento agli ordini da asporto!)»

«Ja sir! (Sìssignore!)»

«Hei gutt, hvor er du? (Hey ragazzo, a che punto sei?)»

Alzai il capo a sentire la voce di mio zio che si rivolgeva, evidentemente, a me. Mi guardai un attimo spaesato intorno, il panno per pulire il banco ancora in mano, ma la mano immobile, accorgendomi solo in quel momento che i miei collaboratori erano già andati tutti via. «Har du det bra?  Det er siden du kom tilbake at du virker rart for meg. (Stai bene? È da quando sei tornato che mi sembri strano.)»

Mio zio mi guardò perplesso, un'espressione quasi paterna. Non avevo da meravigliarmi, era da quando mi ero trasferito che quell'uomo si prendeva cura di me come fossi suo figlio.

Il più grande errore dei miei genitori era stato quello di regalarmi un viaggio di andata e ritorno per Arendal come regalo del 18esimo; peccato che il biglietto di ritorno io lo avessi fatto finire nel fuoco. Mi ero innamorato, non c'era molto da spiegare. Arendal mi aveva catturato il cuore e non aveva intenzione di lasciarlo andare. Appena avevo messo piede nella cittadina norvegese, mi ero sentito a casa; quando sentivo chiamare il mio nome nella sua lingua madre, era una delle sensazioni più belle del mondo.

Casa mia era la Norvegia, non potevo negarlo a nessuno, tanto meno a me stesso. Non era stato affatto arduo decidere di venire a vivere qui in pianta stabile, la parte difficile era stata convincere i miei. Ma appena finite le superiori, non avevano avuto molta scelta se non assecondare la mia. Tanto sarei partito comunque, con o senza il loro consenso.

Mentirei se dicessi che un poco di nostalgia per “mamma Italia” non si faceva sentire ogni tanto, ma più che per l'Italia in sé, se ci ragionavo a mente lucida, era per le persone e i legami che lì avevo. Per questo tutti gli anni tornavo da lei, un paio di settimane di ferie, non di più. Non me ne servivano di più. Eccetto quest'anno, per lei, per il passato che era tornato a fare capolino... Per tutte quelle questioni irrisolte che mi ero lasciato dietro, che avevo lasciato in Italia.

«Arkin!»

Mi riscossi e sbattei gli occhi più volte per tornare presente a me stesso, dopodiché guardai mio zio e cercai di fargli il sorriso migliore del mio repertorio. «Alt er bra. (Tutto benissimo.)»

«Er du distrahert, sikker på at du har det bra? (Sei distratto, sicuro di star bene?)»

«Helt sikkert, onkel. (Sicurissimo, zio.)» Oltrepassai il muretto basso che divideva la zona del forno a legna dalla sala con un salto e gli mostrai le braccia aperte e un sorriso. «Ser du? I god form! (Visto? In formissima!)»

Lui rispose storgendo le labbra. «Begynte du å røyke ved en tilfeldighet? (Hai iniziato a fumare per caso?)»

Scrollai le spalle. «Bare noen ganger, så mye for. Det er egentlig ikke noe alvorlig. (Solo qualche volta, così tanto per. Non è niente di serio, davvero.)»

«Stopp mens du fortsatt har tid til å redde deg fra vanen, gutt. Ikke gjør feilen til mange. Røyking er dårlig. Og så ødelegger det luktesansen og smaken din, du vil ikke lenger kunne smake på pizzaen. (Smetti finché sei ancora in tempo da salvarti dal vizio, ragazzo. Non fare l'errore di molti. Fumare fa male. E poi ti rovina olfatto e gusto, non sarai più in grado di assaporare la pizza.)»

«Ikke bekymre deg, jeg sa deg. Det er en triviell sak. (Stai tranquillo, te l'ho detto. È una cosa da nulla.)» Mi avviai verso l'uscita con passo svelto, camminando all'indietro e voltandomi solo arrivato alla porta.

Una volta fuori, mi affrettai a svoltare l'angolo e lì mi fermai. Chiusi gli occhi e inspirai a fondo per qualche secondo prima di riaprirli, concentrandomi solo sull'aria gelida di dicembre che mi riempiva i polmoni. “Sono distratto... Beh, in effetti sì... Non so come ho fatto a non bruciare ancora nulla...” Mi avviai verso casa, restando con lo sguardo sulla punta delle scarpe. “Sono distratto perché non riesco a non pensare a lei... A ciò che avrei voluto creare con lei...” Le mani si mossero in automatico, andando a cercare, trovare e accendere la sigaretta. Quasi non me ne accorsi di star assaporando la sua nebbia bianca. “Non è niente di che... solo un vizio temporaneo... Appena mi sarò dimenticato di Cam, smetterò anche di fumare. Già, dimenticarmi di lei… Ci riuscirò mai…”

Guardai in alto, il cielo notturno invernale di Arendal che mi aveva sempre un poco confortato quando la nostalgia di mamma Italia si faceva sentire. Ma non quella volta. Quella volta ebbi come la sensazione che le stelle mi stessero prendendo in giro, che la Luna fosse un sorriso malefico, divertito dai miei sentimenti a pezzi.

“Sono distratto un cazzo... Devo togliermi di testa questa bugia assurda di cui mi sono convinto.” Finii la sigaretta e la buttai fuori con un ultimo sospiro colmo di frustrazione, irritato dal sorriso doppiogiochista della Luna di quella sera.

 

«Al retone? A Febbraio?»

Inclinai la testa, confusa. Aurora mi rispose attraverso il cellulare con un sorriso che probabilmente le attraversava la faccia da orecchio a orecchio. «Sì, dai! È un’occasione per stare tutti insieme! Nella giornata vengono i parenti di Leo e i loro amici, ma dopo cena abbiamo la casa tutta per noi. Non sarebbe bello fare una bella pescata notturna a quattro?»

«Non sarebbe meglio se tu e Leo ne approfittaste per stare un po’ da soli, una volta tanto…» Chiesi, titubante.

«Ma no, figurati! Non ne abbiamo bisogno, il tempo per noi lo troviamo sempre in un modo o nell’altro, e poi a Marzo casa sarà pronta, passeremo tanto di quel tempo insieme che lo sveglierò alle 3 del mattino per farlo andare a pescare e togliermelo di torno per qualche ora. Mentre io e te ultimamente non riusciamo più a passare del tempo di qualità assieme.»

«Beh, quello è vero…» Mi grattai la testa, ancora indecisa. «Sento Mattia che ne pensa e ti richiamo, okay?»

«Ti ho dato due mesi di anticipo apposta. E semmai dovesse dire di no, convincilo con tutte le armi che hai!» Lo schiocco di un bacio mi arrivò dall’altra parte del microfono, prima che la chiamata terminasse. Appoggiai il telefono sul comodino accanto al letto e mi stirai, ancora leggermente indolenzita, quando Mattia rientrò in camera con due tazze di cioccolata in mano. 

Si mise a sedere sul letto accanto a me e mi porse una mug, mentre sorridevo godendomi il profumo della bevanda. 

«Mh… scotta!» Feci uscire la punta della lingua dalla bocca, cercando di farla freddare, facendole vento con la mano, quando sentii la risatina del ragazzo al mio fianco. «Guarda che brucia davvero!» Risi. Lui, per tutta risposta, portò le labbra a sfiorare la mia lingua e vi soffiò cauto. La sensazione del suo respiro fresco sulla lingua rovente mi fece attraversare il corpo da un’ondata di calore, e quegli occhi verdi mi incatenarono per un istante a loro. «Meglio ora?»

“Dio, quanto è sexy quando fa così.”

Annuì, chiudendo la bocca e distendendo le labbra in un piccolo sorriso. «Di un po’, ma sarà sempre così?»

«Così come?»

Alzai lo sguardo per riposarlo nei suoi occhi sinceri, la tazza ancora stretta tra le mani che tremavano appena. «Tutte le volte che abbiamo finito di fare sesso, mi porterai una cioccolata calda a letto?»

“Nemmeno quella istantanea, ma fatta sul momento da te… Sei troppo perfetto, dovresti essere illegale.”

Lui storse un attimo le labbra, facendo finta di riflettere: «Beh, dopo il sesso no. Però…» Bevve un sorso, posò la tazza sul comodino al mio fianco e unì le sue labbra cioccolatose alle mie. «Dopo aver fatto l’amore… in una fredda giornata di dicembre… perché no?»

“Confermo. Sei illegale.”

«Ah, prima che mi dimentichi... Ti va di andare a passare una notte al retone a pescare con Elsa e Leo l'8 Febbraio?»

«Certamente, volentieri.»

Lo guardai, non poco stupita della velocità con cui mi aveva risposto. «Davvero?»

«Ovvio. Mi piace un sacco passare il tempo con loro e, se a loro non da noia avermi tra i piedi per una nottata di pesca, io vengo più che volentieri.»

“Ma sei reale o un sogno?” Ebbi quasi voglia di piangere dalla gioia che provavo nel sentirgli dire che stava bene coi quelli che per me erano una sorella e un fratello. “Dio, se questo è un sogno, ti prego… Non farmi più svegliare.”

«Perché mi guardi così sorpresa?» Mi chiese, con un sorriso divertito.

«Io...» Posai la mug sul comodino, accanto la sua, non trattenendo un sorriso. «Elsa aveva detto di convincerti con tutte le armi che avevo in caso tu non fossi voluto venire.»

La sua espressione mutò per un attimo, guardò in basso, una mezza imprecazione sulle labbra che mi strappò una risata. Si buttò sul letto, mise un cuscino a coprirgli gli occhi e allargò le braccia. 

«Che stai facendo?» 

«Non voglio venire al retone. Nulla che tu possa dire o fare potrà farmi cambiare idea.» Esclamò, quasi offeso. Alzò il cuscino con una mano quel tanto che bastava per mostrarmi l'occhio e il sorriso giocoso che lo accompagnava: «Fai del tuo meglio per convincermi.»

Non potei fare a meno di ridere. Buttai il cuscino dall'altra parte della stanza e mi chinai su di lui, che sorrideva felice sotto di me.

Continuammo a baciarci, le nostre lingue che parevano non averne abbastanza dell’altro e continuavano a cercarlo, come fosse una gara ad acchiapparella. 

La cioccolata freddò all’interno della tazza ma, per quanto potesse essere confortevole la sua dolcezza, non mi importava. La dolcezza che mi offrivano le braccia di Mattia, era mille volte superiore.

 

Inclinai svogliato la testa e lo sguardo mi cadde sul calendario che avevo alla parete. 

Giovedì, 8 Febbraio 2019. 

E io ero a letto che non avevo nemmeno voglia di farmi una sega. Il mio pensiero più impellente al momento era che quello fosse il mio primo giorno libero da non sapevo quanto e non avevo la più pallida idea di come passarlo. Ironia del cazzo.

Presi annoiato la sigaretta dal comodino e mi avviai alla finestra aperta, accendendola nel breve percorso. E la vista di Arendal innevata per un attimo mi fece sentire in pace con il mondo.

A quel punto dell’anno, solitamente, avevo già acquistato il biglietto per tornare da mamma Italia. D’altronde, da me le ferie si decidono nel mese di Gennaio. 

Giusto qualche giorno prima avevo segnato due settimane solo perché mi ero ritrovato praticamente costretto a farlo, o mio zio mi avrebbe troncato il mattarello in testa. Diceva che da quando ero tornato stavo lavorando troppo. Non che avesse torto, ma non era colpa mia; il lavoro mi aiutava a non pensare.

E in quel momento, se c’era una cosa a cui non volevo pensare, era proprio il tornare in Italia. 

Avevo segnato i giorni, più o meno sempre i soliti, ultima settimana di Marzo e prima di Aprile, ma non avevo davvero idea se sarei partito nel 2019.

Probabilmente li avrei spesi a sonnecchiare a letto, fumare un po’, bere un goccio o due… Visto dall’esterno, il programma che mi si prospettava era davvero triste. Ma non avevo né la voglia né le energie di divertirmi. Sarei potuto uscire, vedere di conoscere gente nuova, ma i fantasmi che mi venivano a trovare la notte non mi avrebbero più dato pace. 

«Arkin, frokosten er klar! Beveg deg rumpa og gå av! (Arkin, la colazione è pronta! Muovi il culo e scendi!)»

Mi scappò un sorriso a sentire la voce di Svein salire per le scale. Era raro che fosse lui a preparare la colazione, evidentemente era di buon umore. “Ah già… Oggi è l’anniversario con Gersemi” Gersemi era il nome del suo jet.

Entrai in cucina e, ancora prima che potessi dire buongiorno, Svein storse la bocca. «Du har røkt. (Hai fumato.)»

«En. (Una sola.)» Gli rubai la mela di mano. Lui sospirò, accigliandosi e mormorando cupo: «Rommet ditt blir en skorstein… Kan du ikke virkelig kontrollere deg selv? Bytt i det minste til den elektroniske sigaretten. (Camera tua sta diventando una ciminiera… Non riesci davvero a controllarti? Quantomeno passa alla sigaretta elettronica.)»

«Jeg trenger ikke den elektroniske sigaretten, jeg stopper når jeg vil. (Non ho bisogno dell'elettronica, smetto quando voglio.)»

Un altro sospiro, sguardo truce. «Stopp så nå. (Allora smetti adesso.)»

«Jeg sa “når jeg vil”. (Ho detto “quando voglio”.)»

«Gjør det vondt. (Ti fa male.)»

«Gud hva en bummer… Hva gjør du, klarer dere alle den vanlige ødelagte rekorden? Jeg bryr meg ikke, ok? Drikke er også ille. (Dio che palle… Ma che fate, vi passate il solito disco rotto tutti quanti? Non mi interessa, okay? Anche bere fa male.)»

«Ja, snakker om å drikke… Vi må ha en tale om det også. (Sì, a proposito di bere… Abbiamo bisogno di fare un discorso anche su quello.)»

«Alvor? Når ble du mamma? (Seriamente? Da quand’è che sei diventato mia madre?)» Sbottai, a quel punto davvero stufo di quella storia. Non ero il primo ventenne a cui piaceva fumare una sigaretta ogni tanto e bere un goccio dopo il lavoro. «Pokker, alle behandler meg som om jeg stadig røyker, eller jeg er så full at jeg ikke kan jobbe. Eller narkotika. Jeg er helt klar, ok? (Diamine, mi trattate tutti come se fumassi costantemente, o fossi tanto ubriaco da essere incapace di lavorare. O drogassi. Io sono perfettamente lucido, okay?)»

«Nei, det er ikke "ok". Kanskje du ikke skjønner det, men bare fordi du takler alkohol, betyr ikke det at du må tømme en flaske vodka hver natt. Og lungene dine er lei av røyk. Og hvis vi alle forteller deg det samme, tror du ikke det er en god grunn? Jeg bor sammen med deg, jeg ser deg ødelegge helsen din den ene dagen etter den andre. Og ansiktet ditt har en dritfarge! Du har mistet 10 kg på mindre enn et år. Men sover du i det minste? (No, non è “okay”. Forse te non te ne rendi conto, ma solo perché sei in grado di reggere l’alcool non significa che devi svuotare una bottiglia di vodka tutte le sere. E i tuoi polmoni non ne possono più del tuo fumo. E se tutti ti diciamo la stessa cosa, non pensi ci sia un buon motivo? Io vivo con te, ti sto vedendo rovinarti la salute un giorno dopo l’altro. E la tua faccia ha un colorito di merda! Avrai perso 10kg in meno di un anno. Ma stai quantomeno dormendo?)» Ribatté lui, del tutto serio, incastrando la punta del coltello nel tagliere. 

«Se, gjør det begge ødelegger seg selv. (Guarda che a fare così si rovinano entrambi.)» Mugolai io, ma lui non mi ascoltò nemmeno. Si appoggiò sul tavolo davanti a me, ma io scostai lo sguardo di lato per non vederlo. «Når vil du godta vår hjelp, Arkin? Det er tydelig at du har noe galt siden du kom tilbake. Det har gått måneder, vil du bestemme deg for å snakke, eller må jeg slå ham ut? (Quand’è che accetterai il nostro aiuto, Arkin? È palese che hai qualcosa che non va da quando sei tornato. Sono passati mesi, ti vuoi decidere a parlare o te lo devo tirare fuori a pugni?)»

Silenzio, pesante. 

Mi alzai senza dire niente, lasciando il caffè non toccato freddare nella tazza. 

Mormorai qualcosa quando ero già sulla porta. «Jeg går ut. (Io esco.)»

 

«Hey… Cami…»

«Mh? Ti sei svegliata?» Distolsi lo sguardo dal castello di carte di fronte a me, il lavoro della mia ultima ora e mezza abbondante, e lo posai sulla mia amica. «Secondo te…» Strinsi gli occhi, nella luce fioca della stanza, notando la voce spezzata e l’espressione di profonda tristezza dipinta sul suo viso. «I genitori di Leo sono tanto delusi?»

«Delusi?»

“O questa? Da dove viene?”

«Dal fatto che lui stia con me, e non con Giulia…»

«Ma di che diamine stai parlando?» Quasi saltai dalla sedia, ma la sua domanda mi aveva presa talmente di sorpresa che non riuscii a controllarmi. «Elsa, che ti passa per la testa?»

«È che… Leo e Giulia si conoscono sin da bambini, sono cresciuti insieme… Anche se poi si son persi di vista alle medie… Loro l’hanno vista crescere, la reputano come una figlia, dicono sempre che brava ragazza sia, di quanto sia bella… Dovevi vederli oggi… Mentre io sono un’estranea che è piombata in casa loro, così, dal nulla…»

La mia amica aveva la voce ferita, gli occhi colmi di lacrime, anche se queste ultime non avevano ancora cominciato a bagnarle le guance. Lasciò cadere il volto tra le braccia poggiate sul tavolo. «Forse… anche Leonardo sarebbe più felice con Giulia…» 

«Aurora, ma che stai dicendo?» 

“Tesoro mio, okay che hai bevuto una birra stasera, ma non è abbastanza per ridurti in queste condizioni.” 

«Da dove vengono improvvisamente tutti questi dubbi? Ti hanno detto per caso qualcosa? Chi è stato?»

«Io… Non lo so… Nessuno mi ha detto nulla, è un’idea che mi sono fatta io… Riflettendoci…» Ed eccole, le lacrime. «I suoi genitori sono sempre stati angeli con me… Lo sai, li adoro… Però non riesco a fare a meno di pensare che avrebbero preferito che ci fosse Giulia al mio posto...» Aurora si portò i polsi ad asciugarsi gli occhi, tremante, quasi con rabbia. «Non lo so perché… Ma ho paura…» 

Le gambe finalmente mi ubbidirono, facendomi alzare e trovarmi ad abbracciarla. «Paura di perdere Leonardo…»

La osservai lasciarsi andare a un pianto silenzioso e sofferto tra le mie braccia, incapace di trovare le parole per consolarla. “È assurdo… Che tu abbia questi dubbi, è assurdo… Ma da dove saltano fuori? Chi te le ha messe queste idee in testa… Davvero ci hai pensato da sola?”

Non mi era mai sembrata così fragile come in quel momento. Avevo la sensazione che si sarebbe spezzata se solo avessi provato ad accarezzarla. Persino uno sguardo sarebbe riuscito a mandarla in frantumi, in quel momento, perciò lo distolsi subito. 

“Questa non è Elsa… Elsa è sempre solare, sorridente, ha un’energia capace di muovere le montagne… Questa ragazza, invece… Potrebbe rompersi con un semplice soffio di vento…”

E in quel momento, realizzai qualcosa che mi colpì come uno schiaffo in piena faccia: quella era Aurora. La ragazza che stava piangendo tra le mie braccia, quella persona così fragile e bisognosa di sicurezze… era la stessa che si alzava prima del sole per andare ad allenarsi, la stessa che si emozionava per un’immagine di un coniglietto random su internet, la stessa che a fine di una gara aveva l’energia di gridare al cielo e ridere ma non quella di riuscire a reggersi in piedi durante la premiazione. La stessa che viveva da anni una relazione che era il sogno di molti nostri coetanei e non.

Ed ebbi paura. Una paura folle che idee cretine come quella che mi aveva appena raccontato potessero davvero minare alla felicità che provava insieme alla sua anima gemella. 

Aprii la bocca, per dire qualcosa, ma fui costretta a richiuderla subito, incapace di andare avanti.

«Se lo lasciassi e passassero del tempo insieme, allora col tempo lui potrebbe innamorarsi di lei e stare bene… Però…»

“Questo è autosabotaggio in piena regola…”

«Cami, devo essere una persona orribile, lo voglio per me… Io non lo voglio perdere…»

Mi morsi con forza il labbro, mentre sentivo qualcosa dentro crescere. Non riuscii a dargli un nome, era una sensazione che mi fece tendere i muscoli, desiderare disperatamente di riuscire a far passare quelle paure assurde alla mia migliore amica.

“Egoismo?” 

Il suo dolore, quello che la stava tormentando in quel momento, lo volevo io. Volevo provarlo io, solo io, volevo che la lasciasse in pace e non le si avvicinasse mai più. Volevo che non la sfiorasse nemmeno. 

“Forse avarizia…”

Non potevo permetterle di farsi questo. Non me lo sarei mai perdonato. Utilizzai quell’emozione senza nome per darmi la forza di far uscire la voce: «Sai, un tempo gli uomini credevano che l’essere umano fosse un essere perfetto e, soprattutto, completo. Era formato da quattro braccia, quattro gambe, due volti. Ma un giorno, Zeus, temendo la perfezione umana, lo divise in due, rendendolo così imperfetto… Incompleto. Da quel momento, l’uomo cerca disperatamente la sua metà, per tentare di ritornare al suo stato originario. Per tornare a essere completo.»

Aurora aveva smesso di piangere, ascoltando la mia storia. Strinsi un altro poco l’abbraccio, ora sicura che non l’avrei fatta andare in frantumi. «Non dirò a Leo quello che mi dai detto stanotte, ma tu credi davvero che lui possa voler stare con un'altra donna? Con un'altra persona? Leo?» Le sfiorai i capelli con un bacio leggero. «Leonardo darebbe qualsiasi cosa per te, e so benissimo che tu faresti altrettanto. Io credo davvero che voi siate due di quegli essere umani un tempo completi che sono riusciti a ritrovarsi, mettendola in tasca persino a Zeus.»

La percepii sorridere, e non potei che sorridere di rimando. Aurora si scostò leggermente e mi guardò negli occhi, con quelle sue due gemme color miele che scintillavano ancora a causa delle lacrime versate. «Grazie…»

In quel momento la porta della casetta si aprì, facendoci voltare entrambe. Era Leonardo, una mano dentro la tasca dei jeans, l’altra ancora poggiata sulla maniglia della porta. L’espressione non lasciava dubbi: aveva sentito. Non sapevo quanto, ma lessi nei suoi occhi la richiesta di lasciarli soli. 

Lanciai un breve sorriso a Elsa e mi alzai, dirigendomi all’uscita. «Beh, io vado a vedere se abbiamo preso qualcosa.» Arrivata al fianco del mio “cognatino preferito”, gli diedi un piccolo pugno sul petto: «Non farla mai più piangere così, chiaro?» Non avevo bisogno che rispondesse, davvero, ma mentirei se dicessi che il suo sguardo tenero e il sorriso colmo d’affetto che mi regalò non mi fecero sentire più sicura.

Mi chiusi la porta alle spalle e feci per dirigermi al piccolo pontile, ma una forza invisibile mi inchiodò al mio posto, impedendomi di muovermi. “Diamine… Davvero, Idra? Vuoi seriamente essere così impicciona?” Senza rendermene pienamente, quasi, conto, mi ritrovai a nascondermi sotto la finestra aperta della casetta sul mare, a origliare i due piccioncini.

«Allora? Niente da dirmi?»

«È... Quanto hai sentito?»

«Abbastanza, direi… Più o meno da quando hai detto che se mi avresti lasciato, avrei vissuto una vita migliore con un'altra.»

«Quindi anche la storia di Zeus…»

«Pensi davvero che starei meglio con Giulia? Con una qualsiasi altra donna?»

«Oggi sì… poco fa l'ho pensato…»

«Lo sai che, se io e te ci lasciassimo, rischierei di diventare pazzo e mi metterei a tagliare ad accettate ogni albero del monte dietro casa mia per cercare di sfogarmi?»

«Mi dicesti che avevi fatto una cosa del genere una volta che eri stato mollato, prima di conoscere me…»

«Non è paragonabile a quello che potrei fare se fossi tu a lasciarmi. Aurora, mi dici chi ti ha messo quest’idea in testa? Sono stati i miei genitori? Mia madre? Mia sorella? Chi?»

«Nessuno, sono stata io.»

«Smetto di frequentare Giulia se ti fa creare tutti questi filmini mentali.»

«Cosa? No! No, non voglio! Adoro Giuli, mi piacciono le nostre uscite a tre! Mi piace andare a prendere il gelato in piazza e passare un po’ di tempo tutti e tre insieme.»

«Allora… cercherò di essere più freddo nei suoi confr… E non farmi quel broncino! Dimmi cosa devo fare per farti stare tranquilla, dico davvero.»

«Io… Tu non devi fare nulla, non voglio assolutamente che cambi, ti amo così come sei… Sono io che devo correggermi, questi sentimenti sbagliati sono i miei.»

«Okay… Sono i tuoi sentimenti e io non posso, e non devo voler, controllarli. E fin qui siamo d’accordo. Però ci deve pur essere qualcosa che posso fare per dimostrarti che sei tu la donna della mia vita… Che non voglio nessuna, ma te. Cazzo amore mio, stiamo per andare a vivere insieme, non posso permettere che tu entri in casina nostra con questi pensieri in testa. Dovrebbe essere uno dei momenti più belli della nostra vita, non posso lasciare che tu te lo rovini così, lo capisci, vero?»

Silenzio. 

“Non promette bene, perché c’è silenzio? Perché Elsa non gli dice nulla?”

Attesi un’altra manciata di secondi, poi la situazione si fece davvero troppo pesante e mi feci coraggio per alzarmi quel tanto che bastava per spiare all’interno. Feci appena in tempo a intravedere con la coda dell'occhio il castello di carte, ancora eretto in tutta la sua magnificenza sul tavolo di legno, manco fosse fatto di pietra. Per fortuna, poco prima di avere i due nel campo visivo, riuscii a sentire la voce colma d’amore di Elsa: «Fammi sentire completa…»

“Completa? Intende per la storia di Zeus?” Strizzai gli occhi per impedirmi di vedere ancor prima di voltarmi, dando le spalle ai due. “Ooookay, questo è il segnale per darmela a gambe.” Mi mossi il più silenziosamente e velocemente possibile, dando ai due la privacy di cui avevano bisogno, e mi diressi alla cima del retone. 

“Certo che Elsa non perde tempo…”

Lo scricchiolio delle assi del pontile sotto i miei piedi era l’unico suono che si udiva nella notte, accompagnata dalla melodia malinconica delle onde che accarezzavano gli scogli. 

Sorrisi.

«Siete davvero fortunati ad esservi incontrati, bimbi…»

Alzai lo sguardo, ricordandomi solo in quel momento di Mattia. Era seduto al buio, rivolto verso il mare, la Luna pareva accarezzare i suoi ricci con la sua luce argentea. Non l’avevo mai visto così bello, ebbi improvvisamente voglia di dipingerlo. 

Scossi la testa, rifiutando quel pensiero e ricacciandolo lontano ad ogni passo che mi avvicinavo a Mattia. Quando gli fui al fianco, mi accorsi che stava dormendo.

Inclinai la testa e avvicinai le labbra alle sue, sfiorandogliele appena.

«Non era il principe che svegliava la bella addormentata con un bacio?» Mi chiese in un sorriso, ancor prima di aprire gli occhi.

«Non sai che chi dorme non piglia pesci?» Risposi io, sorridendo e voltandomi verso l’acqua, verso la rete. Mi avvicinai al limite del pontile e mi appoggiai coi gomiti al recinto. «Letteralmente, in questo caso.»

Per un attimo, tutto quello che riuscivo a vedere e sentire era il rumore delle onde che si rifrangevano sugli scogli. “Nonostante sia pieno inverno, non fa troppo freddo per essere al mare… Stanotte anche il vento è calmo.”

Sarei potuta restare ad ammirare il movimento delle onde per ore. Amavo il mare d'inverno, ancor più che d'estate, quando era pieno di gente. E amavo il fatto che distanziava meno di un'ora da casa mia, così come la montagna, e le mie città d'arte Rinascimentali preferite. “Vivo davvero nel posto più bello del mondo…” 

Una stretta mi attorcigliò lo stomaco. “Dannazione… ancora?” Mi portai la mano tra il giacchetto e la maglia, stringendo la stoffa. “Ho… voglia di dipingere…” Non sapevo bene perché, ma temevo il momento in cui avrei preso il pennello in mano, di vedere quello che mi avrebbe mostrato la tela. C’era una parte di me, cui mi rifiutavo con tutte le mie forze di dar spago, che voleva tornare ad emergere e prendere il possesso della mia vita da quando avevo rincontrato quel coglione di mezzosangue di vichingo. E io non gliela volevo dare vinta, cascasse il mondo. Forse perché avrebbe significato che non potevo essere felice con nessuno che non fosse lui, e mi rifiutavo di accettarlo.

Strinsi i denti, nel tentativo di convincermi ancora che non volevo, che dovevo farmi passare quel desiderio di intingere le dita nei colori, quando percepii le braccia di Mattia cingermi da dietro. “Se Zeus ha davvero diviso l’essere umano in due, la mia metà deve essere una persona che sappia come gestire le sue e le mie emozioni, mantenere sempre la calma e farmi stare bene… e far mantenere la calma a me… Qualcuno capace di regalarmi una vita in dolci tonalità pastello.” Chiusi gli occhi un istante, il nodo allo stomaco si sciolse pian piano e portai le mani alla sua nuca, come fosse la cosa più naturale del mondo. “E quella persona è ora al mio fianco.” Le sue labbra si intrufolarono nell’incavo tra il mio collo e la spalla, sfiorando appena la pelle. 

«Sei stanco?»

«No, affatto. Potrei stare sveglio tutta la notte.» Sussurrò, lasciandomi una scia di baci leggeri sulla spalla. Sorrisi, godendomi i brividi che le sue labbra e il suo respiro mi procuravano, finché non si arrestò. Alzò una mano e la portò sulla mia guancia, facendomi voltare verso di lui, verso la Luna. «Sei bellissima. Non te lo dico abbastanza, ma è vero.»

Distolsi lo sguardo, imbarazzata, ma lui mi costrinse a riposarli nei suoi, prima di azzerare la distanza tra le nostre labbra.

 

Il turno quella sera era stato sfibrante, aumentato dal fatto che la notte precedente l’avevo passata in bianco a camminare per Arendal senza meta. Ero tornato a casa solo per farmi una doccia prima di attaccare a lavoro, stando attento a far coincidere il momento con il turno di lavoro di Svein, per evitare di incrociarlo.

Mi chiusi la porta alle spalle, lasciai cadere con noncuranza il giacchetto a terra e andai a buttarmi a peso morto sul letto, chiudendo gli occhi ancor prima di affondare nel materasso. Ero talmente distrutto che non ce la feci nemmeno a spogliarmi, addormentandomi in una manciata di secondi.

Il suono del telefono mi destò dal mio sonno affatto ristoratore, facendomi mugolare imprecazioni metà in italiano e metà in norvegese prima ancora di aprire gli occhi. Persi la chiamata 4 volte, prima di portare malvolentieri la mano alla tasca dei jeans e sollevare il cellulare fino all’orecchio, biascicando assonnato, con il volto sempre immerso nel materasso: «Hallo… (Pronto…)»

«Arkin, porca miseria sarà la decima volta che ti chiamo! Lo so che è presto e tu sei stanco, ma è importante. Lavati la faccia, svegliati e ascoltami!» Dall’altro capo del telefono, riconobbi a stento la voce di mia sorella maggiore, ma ero troppo sfatto per comprenderne al volo la sua preoccupazione.

Rotolai sul letto, mettendomi a pancia in su e lasciandomi andare in uno sbadiglio stanco e annoiato, mentre mi passavo la mano libera sullo stomaco. «Gemma… Ma che cazzo c’è… Sono stanco, non entro in casa da due giorni… Non ho voglia di stronz…»

«Si tratta di Camilla.»

Gelo.

D’improvviso, tutta la stanchezza svanì nel nulla e fui completamente sveglio. Mi tirai su a sedere con un colpo di reni, ma non feci in tempo a chiedere nulla che Gemma mi precedette: «È stata coinvolta in un incidente d’auto questa notte. È all’ospedale di suo pad…» Non la lasciai concludere, chiusi la chiamata; presi chiavi, portafoglio e uscii di casa a corsa. Non appena aprii la porta, mi ritrovai Svein davanti agli occhi, che rientrava da un turno notturno. 

«Du er endelig tilb… vel? Hva er ansiktet? Ser ut som du så et spøkelse. (Finalmente sei torn… beh? Che è quella faccia? Sembra tu abbia visto un fantasma.)» 

«Jeg må gå til henne. (Devo andare da lei.)»




 


Allora, un paio di appunti. 

Il retone è questo: 

Oltre che sugli scogli, la casina può benissimo essere sulla terra ferma, in riva al mare, e il retone è una decina di metri più in la su un pontile per essere usato. Praticamente uno lo affitta per un giorno o mezza giornata e, con un limite di persone che possono entrare nella piccola proprietà, tutto quel che vien fuori dalla rete è suo. E si mangia lì sul posto, o si porta a casa... indifferrente. Quel che pigli è tuo. Ovviamente ci sono di diverse tipologie, esempio con o senza giardino, il prezzo varia anche a seconda di quanto sia pescoso quel partiolare punto (ex. quelli in mezzo al mare come in foto costano MOLTO di più rispetto a quelli a riva, ma perché lì pigli roba seria, però solitamente non hai nemmeno il wc e devi arrivarci in barca, che non sempre è compresa nel prezzo... dipende uno che vuole fare).
Solitamente, almeno per come sono abituati nel mio nucleo di amici, il retone si prende più come scusa per passare una giornata al mare una volta l'anno con amici e parenti, con il pro di avere i bimbi piccoli divertirsi come matti a premere il bottone per tirarlo su e vedere i pesci che saltano. Ovviamente anche la stagione ne compromette il prezzo, d'estate hanno cifre assurdamente alte, legge domanda-offerta.

Gersemi (il nome che Svein ha dato al suo jet) deriva dalla mitologia norrena. Era la figlia di Freia e Óðr, e sorella di Hnoss. Come la sorella, era nota per la sua incredibile bellezza, che ricordava quella della madre, tant'è che tutte le cose preziose venivano chiamate con il suo nome. Svein ha un attacamento (giustamente) morboso per il suo jet e il suo paese (un po' in effetti, ora che ci penso, come tutti i pg di questa storia... forse li ho resi troppo patriottici), perciò gli ha dato il nome della divinità.

Un ultimo lo giuro appunto sullo "scoppio" di Elsa.
Quando una persona vive tutte le proprie emozioni in modo autentico e al 100% come la ragazza in questione, c'è il "rischio" che ogni tanto queste vadano fuori controllo e abbiano bisogno di "essere rimesse in bolla". Non è colpa di nessuno, il fatto che per un istante abbia avuto qualche dubbio sulla sua relazione non significa che volesse troncarla. Aveva solo bisogno di ritrovare il giusto equilibrio e dare il giusto peso alle cose, è questo il "compito" di Leonardo e, nel suo piccolo, anche di Camilla. Perché sono le due persone che la ragazza si è scelta da avere più vicino, che hanno accettato di starle accanto, anche se in modi differenti. 
Se vi state chiedendo se allora non sia meglio non provare nulla, o far finta che i propri sentimenti siano inesistenti (come ad esempio Cam), allora... beh, qui non posso che dire la mia opinione super personale. Le emozioni devono essere vissute, non si può far finta che non esistano o non riconoscerle, perché tanto prima o poi queste saltano fuori. Ed è bene saperle riconoscerle e trattarle quando sono ancora "piccole" o comunque di una giusta intensità, anziché aspettare di... beh, esplodere, letteralmente. Io sono dell'idea che sia meglio aver provato e aver perso, piuttosto che non aver provato (o essersi convinti di non averlo fatto) per nulla. Come tutto, c'è solo bisogno di equilibrio. E quest'equilibrio è davvero difficile da trovare, sono super d'accordo, però... Poi la vita è fantastica, finalmente piena


Aaah.... Era da Tra le belve che non facevo più così tante note... Sarò sincera, un po' mi era mancato.
Bella sensazione, liberato



 

 

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