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Autore: Ksyl    19/02/2021    3 recensioni
La storia prende spunto dalla fine della 8x08, ma le cose non sono andate esattamente come nel telefilm.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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23

Castle si incamminò fuori dal pronto soccorso sentendosi leggero ed euforico, come se tutte le angosce delle ultime ore si fossero dissolte istantaneamente senza lasciare traccia. Era così bendisposto verso il prossimo da salutare e ringraziare medici e infermieri che solo qualche ora prima aveva voluto denunciare.

Rimanevano ancora diversi nodi da risolvere tra di loro, ma era sicuro che, dopo tutto quello che avevano passato, si trattasse di questioni di minore importanza. Di fronte alla prospettiva di avere un bambino si sentiva fiducioso che avrebbero trovato il modo di appianare le loro divergenze, per il bene della loro famiglia. Non credeva di peccare di eccessivo ottimismo: loro si amavano, e quello non poteva essere cambiato in poche ore. In più sarebbero diventati genitori di lì a qualche mese. Sì, il loro mondo era un bel posto in cui vivere.

Kate era rimasta silenziosa, ma Castle l'aveva attribuito al calo di tensione e alla stanchezza. Di quello si sarebbe occupato lui, amava prendersi cura di lei.
Non si aspettava però, voltandosi nella sua direzione, con l'intento di prenderla tra le braccia per gioire delle notizie appena ricevute e magari farla volteggiare, sempre nel rispetto delle sue condizioni, di trovarsi davanti una Kate molto distaccata, quasi scostante. Senza rivolgergli la parola si allontanò per andare a sedersi su una panchina lungo le mura, da cui si dominava la vallata.
Castle rimase sconcertato dalla mancanza di qualsiasi reazione, come se fosse indifferente a quanto appena successo, ma la giustificò pensando che fosse ancora sotto shock per lo spavento provato. Lo era anche lui.
Non doveva dimenticare gli ormoni, che potevano già aver iniziato a scombussolarla e rendere il suo comportamento più imprevedibile del solito, anche se sarebbe stato meglio tenere per sé considerazioni di questo tipo nei prossimi mesi, per non finire con qualche vaso in testa.

All'improvviso l'idea di nausee e sbalzi d'umore gli sembrò meravigliosa e desiderabile. Si ripromise di essere il perfetto interlocutore di ogni lamentela e pretesa; le avrebbe preparato pasti nutrienti e tisane tonificanti e le avrebbe massaggiato la schiena, tutte le volte che voleva. La pienezza della nuova vita che si prospettava davanti a loro lo inebriò.
Mise da parte il suo entusiasmo, per avvicinarsi a lei con cautela. Spiò con apprensione i segni sul suo volto. Non si poteva dire che avesse un bell'aspetto. Non si allarmò, dopotutto era appena stata visitata e non correva nessun rischio, anche se era necessario che si riposasse, dopo tutto il trambusto. Lui non intendeva causarle ulteriore malessere, ma, anzi, avrebbe fatto di tutto per aiutarla e assecondarla. Sarebbe stato il perfetto marito e futuro padre.

Quando l'ebbe raggiunta le mise una mano sulla spalla mormorando un sommesso: "Stai bene?"
Lei trasalì, ma si ricompose subito e annuì, chiudendo gli occhi. Castle sospettò che lo stesse facendo per tenerlo a distanza.
Li aprì subito dopo affermando, in modo risoluto, di avere fame. Castle si sentì sollevato. Cibo. Poteva farcela. Finalmente qualcosa di concreto di cui potersi occupare e reperire con facilità. Inoltre, era un buon segno che fosse affamata, significava che la tensione si stava dissolvendo.
"Tutto quello che vuoi", le rispose sollecito, ansioso di soddisfarla. "Cerchiamo un ristorante? O preferisci magiare a casa? Rubo qualcosa nei campi e te lo cucino?"
Sperò di farla almeno sorridere – non era tempo di raccolto e la terra era brulla non offriva niente di commestibile.
Kate reagì con un gesto infastidito, con il quale, secondo il loro sistema comunicativo, gli chiedeva con fermezza di smetterla di parlare a vanvera. Castle si zittì. Da quando si conoscevano Kate aveva finto che le sue corbellerie la irritassero in più occasioni, ma sotto sotto si era sempre divertita. Il fatto che rimanesse seria significava che ne aveva abbastanza di lui e che aveva superato il suo limite di tolleranza. Sospirò. Era stato troppo fiducioso sulle possibilità di mettersi alle spalle in un colpo netto le loro divergenze. Era triste però che, tornando indietro con il pensiero a quel giorno, i loro ricordi non sarebbero stati pieni di gioia, ma solo di tristezza e lontananza.

"Gelato", annunciò con decisione.
Castle si stupì della richiesta. Non era meglio una bistecca, magari? Più proteica e fortificante? Come poteva aver voglia di gelato con quelle temperature? Dove l'avrebbero trovato, innanzitutto? Sudò freddo. Era l'inizio delle voglie? Vide se stesso uscire in piena notte a scovare cibi improbabili, cosa che sarebbe stata molto più facile a New York che non lì dove si trovavano.
La ricerca si rivelò infruttuosa, in buona parte, anche per via delle richieste perentorie. No, certo che non andava bene qualcosa di confezionato, il gelato doveva essere artigianale e con gusti precisi. Gli venne il dubbio che lo stesse facendo apposta, per tiranneggiarlo come un tempo. Lui non si sarebbe tirato indietro, anzi, ne sarebbe stato felicissimo.
All'ultimo risolse la questione affidandosi rete

+senza farsi notare. Trovò finalmente una gelateria aperta, dove l'accompagnò di corsa, sentendosi molto fiero di se stesso.
Si rilassò solo quando la vide affondare con voracità il cucchiaino in una coppa di dimensioni ragguardevoli che, dal suo punto di vista, le avrebbe almeno fornito il quantitativo di calorie necessario ad arrivare al giorno successivo. E magari lo zucchero l'avrebbe ammorbidita nei suoi confronti.
Purtroppo, fu presto deluso.

Kate resistette a ogni suo tentativo di fare conversazione. Si limitò a mangiare, molto concentrata, come se non fosse nemmeno consapevole della sua presenza. Castle si trattenne a stento dallo scuoterla, o inginocchiarsi e pregarla di parlargli, anche insultandolo se così preferiva. Ma non riusciva a sopportare tanta freddezza e distacco.
Al colmo dell'avvilimento le prese una mano. Kate alzò gli occhi a dargli un'occhiata fugace e silenziosa, prima di tornare a fissare il vuoto, ma lasciando la mano inerte abbandonata nella sua, come se non le appartenesse. Castle non capì se fosse un buon segno.
Le accarezzò piano il dorso, impensierito. Non sarebbe mai finita quella lunga giornata estenuante? Quando avrebbe smesso di stare in allarme?
Fino a quel punto, sforzandosi, aveva trovato normale il suo comportamento, che aveva attribuito al contraccolpo emotivo. Non era però naturale quell'assenza di reazioni, una sorta di apatia che non sembrava in grado di scrollarsi di dosso.
Lui avrebbe voluto condividere con lei il suo stato d'animo, anche solo per buttar fuori tutte le energie nefaste causate dall'ansia dell'attesa del verdetto.
Lei appariva invece molto controllata, in grado di badare a se stessa e molto serena. Diffondeva una calma innaturale che gli faceva percepire un'oscura sensazione di pericolo. Si diede del visionario. Dovevano solo tornare a casa e riposare. L'indomani avrebbero affrontato il tutto con un'altra disposizione d'animo.

Kate rimase immobile, e all'apparenza ancora ignara del mondo circostante, anche per tutto il viaggio di ritorno. Una bambola che sedeva composta e ordinata con le mani in grembo e il volto inespressivo. Pensò con orrore che forse stava aspettando l'occasione giusta per drogarlo e trascinarlo in un luna park deserto per ucciderlo e seppellirlo in una buca poca profonda, in modo da attirare i topi che avrebbero banchettato con il suo corpo. Per quanto riconoscesse di avere una tendenza al melodramma, l'inquietudine che iniziò a provare era tangibile.
Appena entrati in casa, uscendo così dalla trance in cui si era rifugiata, Kate annunciò che avrebbe fatto una doccia e poi sarebbe andata a letto. Buonanotte.
Buonanotte? Chi erano? Due sconosciuti che alloggiavano nella stessa pensione sulla riviera mediterranea?
Lasciò correre. Prima avesse chiuso gli occhi e prima sarebbe tornata in sé. Le sorrise incoraggiante, augurandole buon riposo. Se qualcuno li avesse registrati sarebbe stato divertente, di lì a qualche tempo, riascoltare i loro scambi cortesi. Avrebbero riso fino alle lacrime, giudicandosi molto ridicoli. Peccato che adesso nessuno stesse trovando la situazione spassosa.

Quando sentì scorrere l'acqua nel bagno di sopra si concesse di rilassare le spalle. Non aveva avuto idea di quanto fosse teso fino a quel momento. Il collo gli faceva male, aveva difficoltà a ruotarlo.
Si tolse la giacca con gesti stanchi, come se le forze lo avessero abbandonato di colpo. La appoggiò sullo schienale della sedia più vicina, aggiustandola con cura.
Si accorse che gli tremavano le mani quando aprì la vetrinetta dei liquori per versarsi qualcosa di molto forte, e faticò a reggere il bicchiere, che oscillò pericolosamente.
Cercò di fermare il tremito, stringendole con forza intorno al cristallo.
Si sentì un po' in colpa per indulgere in quel tipo di consolazione, mentre lei doveva trovare un altro modo di calmarsi i nervi, ma risolse il suo dilemma di coscienza bevendo solo un paio di sorsate del liquido che gli bruciò la gola. Appoggiò il resto sul tavolino davanti a sé.
Quando si sdraiò sul divano, coprendosi gli occhi stanchi con un braccio, fu come se il suo corpo avesse deciso che era il momento di rilasciare tutta la tensione accumulata. Si sentì svuotato.
Le tempie presero a pulsare di un dolore acuto che aumentò rapidamente di intensità. Sarebbe stato saggio alzarsi e prendere un antidolorifico, prima che il mal di testa diventasse insopportabile, ma non aveva la forza di farlo. Gli bruciavano gli occhi, sotto le palpebre sempre più pesanti. Il suo cervello non era in grado di dare semplici ordini al suo corpo. Si ripromise di rilassarsi solo qualche minuto, e poi di alzarsi.

Scivolò molto presto nella fase precedente al sonno vero e proprio. Immagini confuse e rapide affollarono la sua mente in modo disordinato, passando da una all'altra senza nessuna logica. Erano per lo più frammenti spaventosi e terrorizzanti. Lottò per tornare cosciente, senza riuscirci. Era come se un macigno lo stesso obbligando a rimanere disteso.
Si tirò su di colpo, il cuore tachicardico che batteva a mille, quando si disegnò nella sua mente, prigioniera di un mondo onirico terrificante, il volto di Kate, proprio come quando l'avevano trovata dopo essere stata costretta a uccidere la chirurga psicopatica. Ricordava perfettamente quello sguardo smarrito e gli occhi sbarrati. Il suo cervello doveva aver fatto un collegamento secondo un meccanismo di consequenzialità che ignorava.
Guardò l'orologio appeso sopra al camino, passandosi una mano sulla fronte sudata e cercando nello stesso tempo di riemergere dalle ragnatele angoscianti dell'incubo in cui si sentiva ancora immerso.
Aveva dormito per qualche tempo, ma l'acqua di sopra stava continuando a scorrere. La percepiva nel silenzio altrimenti assoluto della casa. Non aveva ancora finito di fare la doccia? A quel punto doveva essere già a letto da qualche tempo.
Eppure non si stava sbagliando. Kate doveva essere ancora in bagno. Al pensiero che ci fosse, ancora, qualcosa che non andava, si sentì infinitamente stanco. Aveva bisogno di una tregua, solo di qualche ora di pace. Il dolore alla testa gli rendeva faticoso vedere gli oggetti in modo nitido.

Si impose di alzarsi. Come stava lui non era importante in quel momento. Doveva andare a vedere cosa le fosse successo nell'intervallo in cui lui, del tutto irresponsabilmente, si era addormentato.
Ipotesi sempre più allarmanti gli chiusero la gola, impedendo che la quantità di ossigeno adeguata arrivasse alla suo cervello: quando si mise in piedi risoluto ad andare da lei, ebbe un violento capogiro, che lo costrinse a rimettersi a sedere.
Si impose di fare dei respiri profondi e lenti, prima di riprovarci. Questa volta andò meglio. Sentendosi di nuovo stabile corse sulle scale, senza perdere ulteriore tempo, fermandosi solo di fronte alla porta chiusa.
Doveva bussare? Non lo faceva dall'inizio della loro relazione, quando il pudore impediva loro comportamenti che, con il tempo, erano diventati più naturali. Provò ad annunciarsi con discrezione, ma non ricevette nessuna risposta.
Forse stava esagerando. Magari Kate aveva solo desiderato farsi una lunga doccia. Chi era lui per decidere quanto tempo potesse passare sotto l'acqua bollente? Poteva aver avuto bisogno di lavarsi via tutti gli eventi della giornata. Il fatto che di solito fosse più rapida non significava nulla, doveva smettere di essere iperprotettivo.
Decise che le avrebbe chiesto se andava tutto bene. Alla sua successiva risposta, che sperò di tutto cuore sarebbe arrivata, si sarebbe ritirato nella sua camera a dormire per conto suo, lasciandola in pace.
"Kate?", chiamò a voce alta.
Silenzio.
"Kate?", chiamò di nuovo, aprendo piano la porta e infilando la testa nella stanza piena di vapore.
Quando non ebbe nessun riscontro decise che c'era indiscutibilmente qualcosa che non andava.

   
 
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