Jamil annaspò per la sorpresa, gli occhi scuri strabuzzati e le braccia ancora in aria, in quello che era un tentativo a metà di difendersi da quell’attacco così semplice, così poco elaborato. Forse, abituato a tessere trame e intrighi, tutto concentrato a scovare inganni articolati ai suoi danni, aveva sottovalutato la parte più naturale dell’essere umano, ovvero quella che provava sentimenti di rivalsa e di rabbia con la capacità di trasformare proprio davanti a lui un semplice coltello da dolce in un’arma mortale.
Ace Trappola, il suo ospite venuto da lontani luoghi dove la terra era sempre verde anche senza bisogno della magia e un ciclo di acqua continuo, si allontanò da lui altrettanto meravigliato, ancora incolume. Guardò il suo petto macchiarsi di rosso sangue; forse si stava chiedendo se davvero il Tiranno del Deserto – perché in quel modo ormai Jamil veniva chiamato da diversi decenni – potesse persino morire e soffrire come un qualsiasi altro essere umano.