Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ice_chikay    23/02/2021    4 recensioni
MikasaxLevi
A due anni dalla fine della guerra, Mikasa e Levi si ritrovano insieme ad affrontare le cicatrici e le ferite che la guerra ed i giganti hanno lasciato nelle loro vite. Mentre l'inverno è alle porte, il loro rapporto cambia per sempre... In un mondo popolato di memorie di amici caduti, riusciranno a guarire insieme?
Una storia introspettiva sui miei due personaggi preferiti, ideata e in larga parte scritta prima dell'uscita del capitolo 131, quindi ormai in parte off canon.
Contiene spoiler per chi segue solo l'anime.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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IV


Passarono altri quattro giorni. La mattina, Levi e Mikasa lavoravano per preparare il cottage all’arrivo dell’inverno, mentre il pomeriggio si dedicavano al registro della Legione Ricognitiva. Levi aveva raccolto moltissimo materiale con l’aiuto di Hange da Mitras e le pagine da riempire erano fin troppe. Mikasa, che aveva dimostrato di avere una calligrafia sorprendentemente chiara ed elegante, si era completamente gettata a capofitto nel lavoro, dopo i suoi dubbi iniziali. Il ritmo delle loro giornate era calmo, ma non pigro. I due non parlavano molto, ma entrambi trovavano la presenza dell’altro in qualche modo rassicurante.

A Mikasa sembrava di essere tornata a far parte di un ingranaggio ben oliato nel quale le diverse rotelle si muovevano in sincronia senza sforzo. La mattina, Levi la svegliava con la colazione già pronta sul tavolo, a pranzo mangiavano carne essiccata e pane, mentre a cena lui cucinava le verdure dell’orto. La quantità di tè che veniva preparata ogni giorno era piuttosto considerevole, così come quella del liquore ambrato che consumavano dopo cena, prima che lei si ritirasse nella camera da letto. La ragazza aveva cominciato a dormire serenamente, come non le succedeva da anni. Ogni mattina si risvegliava completamente riposata, senza ricordarsi neanche di un incubo. Era quasi un miracolo. Sapeva che per Levi non era lo stesso: le occhiaie scure onnipresenti sotto i suoi occhi erano il segno lampante che come al solito lui non riuscisse a dormire per più di un paio di ore, ma era una condizione talmente radicata per lui che non ne parlava mai.

Il freddo era diventato sempre più pungente. Due giorni prima, Levi le aveva dato uno dei suoi maglioni spessi di lana, stanco di vederla tremare nella sua giacca di pelle autunnale. Mikasa ormai sapeva bene che in breve avrebbe perso la sua scommessa e si aspettava di veder apparire la neve da un momento all’altro. Quasi ogni giorno, si ritagliava un’oretta di tempo per andare a immergersi nella fonte termale: era il momento che preferiva della giornata.
Stare con Levi era rilassante: non doveva riempire i silenzi di parole vuote, entrambi erano liberi di essere le persone taciturne che erano.

Ogni tanto lo sorprendeva a fissarla con il suo sguardo impassibile. Non sapeva perché lui lo facesse, se la stesse studiando in cerca di qualche sintomo di follia, se la osservasse come si osservano incuriositi gli animali selvatici che si incontrano inaspettatamente in un bosco o se semplicemente non si fosse ancora abituato ad una presenza discreta ma costante nella sua vita solitaria. Anche lei si accorgeva di guardarlo, quasi sovrappensiero. Dopo la prima volta in cui l’aveva sorpresa mentre tagliava la legna, lui non aveva più commentato quando se ne rendeva conto. Era diventata quasi un’abitudine per lei, i suoi occhi lo cercavano continuamente, quasi in cerca della rassicurazione che lui fosse ancora lì intorno. Quando per esempio spariva per andarsi a lavare, Mikasa non poteva evitare di lanciare continui sguardi fuori dalla finestra, nell’attesa di vederlo ricomparire. Era completamente assuefatta alla sua presenza, la sua figura gli trasmetteva una sicurezza e fiducia incontrastate.

Anni prima, aveva visto molte persone guardarlo in questo modo: la sua prima squadra, la seconda - di cui aveva fatto parte -, Eren, Armin, l’intero Corpo di Ricerca, la gente comune che incrociavano per strada…persino Erwin Smith, lo guardavano così. Lo sguardo di completa certezza che se il Capitano Levi fosse presente, non sarebbero mai stati sconfitti. Per lei era sempre stato diverso: innanzitutto ci aveva messo molto tempo a fidarsi davvero di lui e poi la loro somiglianza, le sue capacità fisiche così simili a quelle di lui, l’avevano sempre fatta sentire quasi sul suo stesso piano. Era sempre riuscita a vedere al di là di quella ostentata sicurezza che alimentava la speranza dell’intero corpo di Ricerca e probabilmente dell’intera umanità dentro le mura.

Adesso la situazione era capovolta: la gente comune probabilmente lo vedeva come un vecchio eroe di guerra, non aveva più bisogno di affidargli tutte le sue speranze. Mikasa al contrario sentiva che la sua presenza, il suo volto, i suoi capelli, le sue braccia, persino le sue cicatrici erano l’unica cosa a cui potesse appoggiarsi per non sbriciolarsi e scomparire. Aveva deciso di smettere di analizzare queste sensazioni, la situazione era quella che era, niente di più e niente di meno. Tutto ciò che doveva fare era lasciare che le giornate continuassero a questo modo, pregando che il tempo di dover andare via fosse il più lontano possibile. Lei si sentiva fatta di sabbia, lui ai suoi occhi era diventato una roccia, infrangibile e forte.
 



La mattina del sesto giorno, quando si svegliò non sentì nell’aria l’ormai classico profumo di tè nero. L’immediata paura che lui non fosse lì le fece comparire istantaneamente un groppo in gola. Si fiondò fuori dalle coperte come un fulmine, senza indossare il maglione sulla camicia da notte o le scarpe e corse nell’altra stanza. Il bollitore era poggiato sul piano della cucina accanto alle due tazze, ma la stufa era spenta. Di Levi nessuna traccia.

Si voltò così velocemente verso la finestra dall’altro lato della stanza che il collo quasi le fece male. Lui era fuori in giardino. Un’ondata di sollievo la travolse. Poi si accorse di cosa stesse facendo: stava allargando la stalla, per far sì che anche il suo cavallo potesse stare al coperto. Aveva già smontato la parete in fondo ed ora stava costruendo la nuova struttura con filagne e lunghi chiodi.

Senza neanche tornare nella stanza per infilarsi gli stivali, corse fuori. Scese le scale del portico e proseguì sulla nuda terra infischiandosene del freddo. Gli arrivò alle spalle e lo abbracciò d’impeto, tuffando il viso tra le sue scapole, senza dargli tempo di accorgersi del suo arrivo. Lo sentì irrigidirsi per la sorpresa, poi le sue mani afferrarono i suoi polsi e li allontanarono dal suo petto.

«Ma che fai, sei impazzita?» esclamò «Toglimi le mani di dosso!» continuò, sciogliendo l’abbraccio ed allontanandosi. Le lanciò uno sguardo corrucciato, ma senza guardarla negli occhi, poi si voltò di nuovo verso la stalla.

«Lo sto facendo per il cavallo, non certo per te…» borbottò, le guance leggermente colorite.

Mikasa non riusciva a smettere di sorridere.


«Torna dentro, prima di congelarti» proseguì lui con tono burbero, incrociando le braccia al petto «Continua da sola coi registri…io oggi penso a finire questo.»

«Levi?»

«Hm»

«Grazie»

Il colore sulle sue guance si fece leggermente più intenso, prima che facesse un cenno col capo verso la casa. «Fila via, forza»
La ragazza non se lo fece ripetere e tornò sui suoi passi, il sorriso sempre stampato sul volto. Si sentiva come se avesse appena ricevuto un regalo.
 


La mattinata trascorse tranquilla. Il rumore ritmico del martello e della sega accompagnarono Mikasa mentre proseguiva con il lavoro dentro casa. A metà mattina aveva preparato il tè e lo aveva portato fuori al capitano, che aveva afferrato la tazza senza nemmeno degnarla di uno sguardo. La ragazza non poteva fare a meno di sorridere nel vederlo comportarsi così: cercava di darsi un tono pur di non ammettere che stava facendo qualcosa di carino per lei. Mikasa sapeva che era inutile sprecare parole, entrambi sapevano bene qual era la verità.
Tornata dentro, infilò qualche ciocco nella stufa e nel camino, si sistemò il pesante maglione celeste sulle spalle e riprese a scrivere. Il celeste non era un colore che avrebbe immaginato su di lui, si chiese come gli stesse. Immaginarlo nel maglione che lei stessa stava indossando in quel preciso istante fece accelerare impercettibilmente il suo battito.

Lavorare in casa di mattina era inusuale per lei in quella nuova routine, ma leggere e scrivere con la luce naturale del sole, anziché con quella delle lampade ad olio era molto piacevole. Si chiese se questo sarebbe stato quello che avrebbero fatto entrambi, una volta arrivata la neve. Con la mente ancora distratta, sfogliò le pagine del registro dei soldati dell’Armata Ricognitiva e quello delle relazioni dei Comandanti e degli ufficiali, arrivando all’anno 844. In quel periodo il Comandante era ancora Keith Shadis.

Scorse rapidamente i nomi dei cadetti che erano entrati nel corpo di Ricerca, poi qualcosa attirò la sua attenzione come una calamita: tre nomi erano stati aggiunti in seguito, a distanza di un paio di mesi dagli altri. Farlan Church, anni 21. Isabel Magnolia, anni 17. Levi, anni circa 20.

Il primo impulso fu quello di chiamare il capitano a gran voce, poi Mikasa si bloccò con all’ultimo. Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra: Levi stava ancora lavorando con le assi, in camicia a causa del caldo dello sforzo fisico. Sentendosi quasi in colpa, come se stesse origliando segreti dietro una porta, la ragazza riprese a leggere.

Ogni tanto nel quartier generale aveva sentito storie sull’arrivo del Capitano nell’esercito, ma lei non era tipo da ascoltare pettegolezzi ed inoltre non le interessava poi molto. Sapeva che era cresciuto nella Città Sotterranea e che era stato arruolato da Erwin Smith in persona, il resto non le era mai sembrato rilevante. Fino ad ora.

Si concentrò sul registro delle relazioni degli ufficiali, dove trovò vari appunti:
Tre nuove reclute scovate personalmente da Erwin Smith. Tre ladri e assassini della Città Sotterranea. Arrestati da Erwin e Mike, barattata loro libertà in cambio di ingresso nella Legione. A detta di Erwin e Mike e basandosi sui rapporti della Gendarmeria – che non è mai riuscita a catturarli – hanno una ottima tecnica di uso del movimento tridimensionale (rubato). Ad esclusione di Church, analfabeti. Sprovvisti di addestramento militare. KS”

Mikasa lanciò un altro sguardo verso la finestra, a questo punto pressoché certa che quello che stava leggendo dovesse restare privato. Lui continuava a dargli le spalle, mentre segava le ultime assi.

12 Marzo 844. Caposquadra Flagon Turret: il Comandante Shadis ha affidato alla mia squadra i tre criminali del sottosuolo, nonostante le mie remore sul loro ingresso nel Corpo di Ricerca. Erwin Smith e Mike Zacharius ne sono stati esonerati. Le tre reclute non hanno il minimo rispetto per il Corpo di Ricerca, non conoscono neanche il nostro saluto. Magnolia e Church tentano di mantenere un comportamento civile e, sbruffonaggine a parte, sembrano volersi inserire nella squadra. L’ultimo, Levi, che sembra essere tra i tre il capo, ha un carattere irrispettoso e insopportabile, che gli altri due cercano visibilmente di contenere”

Mikasa sorrise. Certe cose non cambiano mai, eh…

20 Marzo 844. Caposquadra Flagon Turret: Prima prova per le tre nuove reclute nel percorso di allenamento nel bosco. La loro abilità col movimento 3D è molto elevata. Levi è molto dotato con le lame, probabilmente per la sua esperienza come delinquente. Impugna la lama destra al contrario, mi duole ammettere che funziona. Il suo temperamento, tuttavia, non migliora. È schivo e restio. Magnolia e Church si stanno integrando meglio nella squadra. I tre sono molto legati tra loro, inseparabili. Erwin e Shadis intendono portarli nella prossima missione fuori le mura, io mi sono opposto.”

Isabel Magnolia e Farlan Church…Mikasa non aveva mai sentito questi nomi. Eppure erano entrati nell’esercito insieme a Levi, per di più conoscendolo da prima. Le loro abilità sembravano essere interessanti. Come mai nessuno dei veterani che erano già nel Corpo allora li aveva mai nominati?

D’improvviso un brivido le percorse il corpo. Attratta da un presentimento, aprì il registro delle missioni fuori le mura ed arrivò alla ventitreesima. Senza mettersi a leggere i resoconti, sfogliò le pagine finché non trovò quello che stava cercando: la lista dei caduti. 

La lista era incredibilmente lunga. La spedizione doveva essere stata un disastro. 

Erano morti entrambi.

 I loro nomi erano tracciati in bella calligrafia sotto quelli degli altri componenti della squadra di Flagon Turret, morto anche lui. A quanto pareva, Levi era l’unico della squadra ad essere sopravvissuto. 

Mikasa si sentì stringere un nodo in gola. Rimase immobile a fissare quei nomi sulla pagina. Erano morti alla loro prima spedizione fuori le mura e lo avevano lasciato solo. Si chiese se Levi fosse stato con loro quando erano stati uccisi, se fosse rimasto ferito nel tentativo di difenderli. Si chiese se fossero cresciuti insieme fin da piccoli, come avevano fatto lei, Eren ed Armin. Se Eren ed Armin fossero morti quel giorno lontano a Trost, cosa ne sarebbe stato di lei, da sola nell’esercito?

Mikasa non sapeva nulla della vita di Levi nella Città Sotterranea, adesso d’improvviso scopriva che prima di unirsi all’armata ricognitiva non sapeva neppure leggere e scrivere e probabilmente non conosceva neanche la sua vera età. Come mai Erwin si era interessato di tre criminali del sottosuolo? Mikasa si chiese come fossero quei due: che aspetto avessero, quale fosse il loro rapporto con lui. Sentì che gli occhi le pizzicavano: alzò lo sguardo verso il soffitto per impedire alle lacrime di formarsi. Anche lui aveva perso i suoi due amici d’infanzia. 

Fece un respiro profondo e si ricompose. Tornò indietro alla prima pagina su quella spedizione e cominciò a leggere i resoconti. Il giovane e brillante Erwin Smith aveva ideato una nuova formazione da testare in una missione di diversi giorni. La prima giornata era stata positiva ed i soldati avevano raggiunto senza problemi la loro base fuori le mura. Levi, Farlan e Isabel si erano già messi in mostra per aver ucciso da soli un paio di giganti senza alcun aiuto. Alla missione aveva partecipato anche Hange, a quei tempi semplice soldato. Il disastro era avvenuto il giorno dopo: una nebbia fittissima, forte pioggia e vento avevano praticamente azzerato la visibilità, sfilacciando la formazione ed isolando diverse squadre, lasciate in balia di moltissimi giganti, di cui un paio anomali. Uno di questi anomali era il responsabile dello sterminio della squadra di Turret. Era stato Levi da solo ad ucciderlo, facendolo letteralmente a pezzi. 

Un rumore improvviso la fece sobbalzare sulla sedia. Si voltò di scatto per guardare la figura di Levi che si stagliava sul profilo della porta. Era così assorta nella lettura che non si era accorta del suo arrivo. Lui rimase a guardarla con la mano ancora sulla maniglia, con la fronte corrugata. 

«Oi, cos’hai da fissarmi, non ti sei accorta dell’ora?»

Mikasa balbettò qualcosa in risposta, accorgendosi solo in quel momento che era giunta l’ora di preparare il pranzo. 

«Che diavolo hai, si può sapere?» rispose lui, senza muoversi di un millimetro dalla porta. 

«Levi» La ragazza sollevò di nuovo lo sguardo verso di lui, la voce ora più calma e misurata. Qualcosa nel suo sguardo lo mise in allarme. «Sono arrivata alla ventitreesima spedizione oltre le mura.»

L’effetto delle sue parole fu immediato: Levi si pietrificò sul posto, mentre un lampo di emozioni si affacciava sul suo viso, prima di tornare imperscrutabile come sempre. Mikasa continuò:

«Penso che questa parte dovresti scriverla tu»

Lui abbassò lo sguardo ed andò verso la cucina, dove iniziò a tagliare il pane dandole le spalle. 

«Ok» 

La sua voce era neutra come al solito, ma a Mikasa non la dava a bere. 


Il capitano preparò il resto del pranzo in silenzio, poi la precedette sul portico e si sedette sulla panca alla destra della porta d’ingresso. La ragazza lo seguì e gli si mise accanto. Lui le passò il pane e companatico, mentre iniziava a mangiare la sua porzione. 

«Mi dispiace…» mormorò lei, dopo qualche minuto «Per Isabel Magnolia e Farlan Church»

Levi rimase con lo sguardo sui campi, l’espressione del viso neutrale come sempre. «È stato tanto tempo fa» rispose poi.

Mikasa si strinse tra le spalle. «Lo so, ma…»

Lui la interruppe, indicandole la stalla con un cenno della mano destra. «Finisci tu di sistemare la stalla. Restano da inchiodare un paio di assi e passare la vernice.»
La ragazza annuì, continuando a mangiare in silenzio per il resto della pausa. 

 
Quando quella sera rientrò in casa, la stalla era completata ed i due cavalli vi riposavano dentro, finalmente entrambi protetti dal vento. Levi stava riponendo con cura i fogli e registri nella cassa di latta, mentre una pentola sobbolliva sulla stufa, spandendo nell’aria un profumo di zucca e rosmarino. Fu lui a parlare per primo, il che la sorprese: 

«Ho quasi finito con la ventitreesima spedizione. Mi mancano pochi nomi. Continuo dopo cena.»

«Ok» rispose lei mentre prendeva le stoviglie ed apparecchiava la tavola.  Non era giusto chiedergli altro, Mikasa sapeva bene quanto potesse essere doloroso scavare nel proprio passato. Lei non aveva nessun diritto per fargli domande, anche se avrebbe voluto potergli dire quanto lo capisse. 

Cominciarono a mangiare in silenzio come al solito, solo che quella sera l’atmosfera era molto diversa. A Mikasa sembrava di camminare in equilibrio sul filo di un rasoio: avrebbe voluto dire qualcosa, ma sentiva di non avere abbastanza confidenza per farlo. Fu di nuovo lui a parlare per primo:

«Smettila di fissarmi come se fossi un cucciolo abbandonato» sibilò con aria seccata «Non la voglio la tua pietà. Le persone muoiono, è inevitabile.»

Mikasa abbassò la testa, lo sguardo sulla propria mano che rimestava la minestra col cucchiaio. Annuì.

«Quindi stai bene...»

«Certo che sto bene. Se dovessi piangere ogni persona che ho visto morire...o che ho ucciso...» si strinse nelle spalle «...non avrei più lacrime né forze»

Mikasa si voltò di scatto verso di lui, incredula. «Non ti ho mai visto piangere!» esclamò, con gli occhi spalancati per la sorpresa. Quell’espressione la faceva sembrare una ragazzina.

«Beh sai, Ackermann...» l’estremità destra delle sue labbra si incurvò in una sorta di ghigno «...sono una persona riservata».

La ragazza arrossì e distolse lo sguardo. Non riusciva proprio a pensare che il capitano potesse piangere, era come immaginare che le fiamme del camino improvvisamente diventassero fredde, anziché brucianti.
 
«Tu, Jaeger e Arlett mi ricordavate noi» la sua voce la fece voltare di nuovo. Levi si stava stiracchiando, poi si alzò col piatto in mano. «Forse è per questo che non volevo moriste»
Mikasa sentì il proprio battito accelerare. Levi si versò un’altra mestolata di minestra, poi si strinse nelle spalle. «Non è che abbia fatto proprio un bel lavoro...» aggiunse con sarcasmo.

«Beh, io sono viva...»

La sua voce leggera lo fece voltare. I loro sguardi si incrociarono. Levi era diventato di nuovo serio, la fissava con tutta la sua intensità, come soppesando il significato delle sue parole.

«Sì, tu lo sei...»

Restarono in silenzio, gli occhi negli occhi. Levi ancora in piedi davanti alla cucina, lei seduta col cucchiaio in mano. Poi, un ciocco di legno schioccò nel camino e fu come se quel suono li avesse risvegliati. Il capitano distolse lo sguardo e andò a sedersi di nuovo. 

«Sai...» riprese Mikasa mentre lui continuava a mangiare «...puoi parlarmi di qualsiasi cosa, se vuoi». Arrossì.

«Ah sì?» le rispose, con tono canzonatorio «Cos’è, Connie e Hange ti hanno insegnato come essere socievole?»

Mikasa non si riuscì a trattenere e gli mollò uno scappellotto sul braccio «Smettila! Sono seria...» Avrebbe voluto mantenere un tono offeso, ma non riuscì a trattenersi dal sorridere. Levi abbozzò un sorriso a sua volta, dopo aver spostato il braccio ed averle lanciato un’occhiataccia per il colpo ricevuto.

«Lo so. Grazie.» aggiunse poi. 

«Domani andiamo in paese. Devo fare rifornimento di diverse cose. Ricompreremo anche il liquore, visto che ti sei finita tutta la bottiglia» Non degnò di uno sguardo l’espressione indignata della ragazza e continuò a parlare «La distilleria è proprio lì. I proprietari sono alcune famiglie della Città Sotterranea, molti si sono trasferiti fuori le mura, dopo che Historia ha assegnato loro diversi appezzamenti.»

Mikasa annuì. «Sì, Hange ci ha tenuto al corrente durante il viaggio. Ci ha detto che sei stato tu ad occuparti dell’evacuazione della Città Sotterranea...»

«Già. Il mio ultimo compito nell’esercito»

«È stato strano?» Levi la guardò con aria interrogativa, così la ragazza riprese a spiegarsi: «Intendo...tornare lì. C’eri mai tornato da quando eri andato via?»

«È stato strano per te tornare a Shiganshina?»

Mikasa annuì. «Voglio dire…è tornata alla vita, somiglia alla città che era. Però...non è più casa mia»

«No, non ero mai tornato là sotto. E sì, è stato strano...più o meno» Levi si alzò e prese il liquore ed i bicchieri. Ne era rimasto poco, così lo versò interamente. 

Mikasa allungò il braccio per raggiungere il proprio bicchiere, poi all’ultimo cambiò idea inaspettatamente. Senza pensare alle conseguenze di quello che stava per fare, poggiò la propria mano sinistra sulla destra del capitano. Levi abbassò lo sguardo senza dire niente, ma senza scostarsi. Un istante dopo, ruotò il polso, così da far toccare il proprio palmo con quello di Mikasa. Poi le strinse la mano, il tutto senza mai distogliere lo sguardo dalle loro dita, ora intrecciate.

Mikasa si sentiva il cuore in gola ed allo stesso tempo era calmissima. Sentiva il calore della mano di Levi che si irradiava in tutto il suo braccio. Proprio come quella notte…

«A volte provo questa strana sensazione… Ti capita mai di sentirti in colpa? Per essere ancora viva, intendo…»
La voce di Levi era quasi un sussurro. La sua presa era salda, nonostante l’assenza di indice e medio. Mikasa annuì, senza distogliere lo sguardo dalle loro mani.

«Ogni istante»

«Già. È la condanna dei sopravvissuti.»

«Levi…com’erano Isabel e Farlan?» Lui prese fiato per interromperla, ma lei fu più veloce e riprese a parlare: «Tu conosci tutto di Armin e di… io non so niente di loro, invece»

Levi bevve un grande sorso, poi le lanciò uno sguardo. Un lieve sorriso triste gli passò sul viso, ma lei non lo vide, perché aveva gli occhi bassi.

«Perché ti importa? Sono morti tanti anni fa…» nella sua voce c’era una sincera curiosità.

Mikasa alzò lo sguardo e lo incrociò col suo. Strinse la presa sulla sua mano, percependo i suoi calli e le cicatrici. Forse era per l’alcool, forse per il vento freddo che soffiava fuori dalla finestra, forse era per la stalla…ma quella sera le sembrava di non avere più paura di parlargli schiettamente, col cuore in mano.

«Perché mi importa di te…» mormorò, senza timidezza.

Levi spalancò gli occhi per un istante, sia quello sinistro che quello cieco. Poi abbassò lo sguardo e cercò di allontanare la mano, ma la presa di Mikasa lo bloccò. Le lanciò un altro sguardo incerto, ma adesso anche lei era tornata a guardare le loro mani sul tavolo.

Bevve un altro sorso. Sentì il calore dell’alcool che gli scendeva nella gola, bruciandola piacevolmente.

«Isabel era… chiassosa. E sfrontata.» sorrise tra sé «Le piacevano gli animali. Aveva un vero talento coi cavalli. Aveva grandi occhi verdi. Rispondeva sempre per le rime. A ripensarci ora, ne abbiamo dato di filo da torcere a Farlan. Lui era il più riflessivo, sapeva anche leggere.»

La ragazza azzardò ad alzare gli occhi. Lui stava guardando fuori dalla finestra, le fiamme del camino gli illuminavano il profilo affilato.

«Era molto intelligente. Doveva sempre tenermi a bada…» Gli sfuggì un suono a metà tra un sospiro ed una risata. Le lanciò uno sguardo, lei aveva una strana espressione sul viso, una sorta di sogghigno ironico.

«Dubito che qualcuno possa tenerti a bada…» lo canzonò, bevendo a sua volta.

Levi sollevò il bicchiere e fece il gesto di brindare. «Touché»

«Forse è il destino dei più forti. Sopravvivere a chi si ama…» disse lei, guardando fuori dalla finestra a sua volta.
Levi strinse di nuovo la presa sulla sua mano.

«Forse sì. Ma forse il nostro destino è anche quello di ricordarli» disse poi, lanciando uno sguardo alla cassa di latta che conteneva i registri. «O almeno questa è la mia scelta»
 

Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo... Un po' del passato di Levi è venuto a galla, spero vi piaccia! 
Nel prossimo capitolo ci sarà un po' d'azione (: 
Fatemi sapere cosa ne pensate! 
Grazie

Chikay

 
   
 
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