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Autore: rose07    24/02/2021    1 recensioni
Due anni.
Erano passati due anni da quando Taichi aveva smarrito sé stesso. Da quando la vita a Kyoto gli stava stretta.
Due anni da quando Yamato aveva iniziato ad andare alla deriva. Da quando il silenzio lo aveva risucchiato.
Due anni.
Erano passati due anni da quando Mimi aveva lasciato la persona che amava. Da quando il suo sorriso era meno sincero.
Due anni da quando Sora aveva riscoperto una parte di sé tenuta nascosta. Da quando le cose avevano preso una piega differente.
Tratto dalla serie: "Stay together in the end".
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mimi Tachikawa, Sora Takenouchi, Taichi Yagami/Tai Kamiya, Yamato Ishida/Matt
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stay together in the end ( ? )'
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Salve a tutti.
Prima di passare al capitolo, volevo semplicemente appellarmi alle persone che seguono la storia. Mi sento un po' insicura arrivata a questo punto; la mancanza dei vostri pareri, per quanto le letture persistano, mi scoraggiano. Arrivati ad una fase clou della narrazione mi piacerebbe sapere cosa ne pensiate, se quella cosa vi è piaciuta, se, al contrario, non siete stati proprio d'accordo. Non chiedo niente di così particolare, semplicemente la vostra sincera opinione in poche righe. Continuare a pubblicare come archivio personale mi va bene, io alla fin fine scrivo principalmente per me stessa, anzi; scrivere questa storia dopo tanto tempo che ero ferma mi ha davvero fatto star bene. Però pensare che questo non arrivi mi rende davvero insicura se continuare, penso di star sbagliando qualcosa se non vale la pena spendere un solo secondo per lasciare una piccola recensione. In mancanza di sostegno mi sento un po' scoraggiata e temo di avere difficoltà a continuare a postare. O perlomeno, potrei prendere ancora più tempo di adesso proprio perché non trovo qualcuno che sente la storia veramente. Confido che qualche lettore si faccia vivo. Ne avrei davvero bisogno.
Buona lettura!









Il silenzio della notte.
 
Notte che invadeva le strade, le vie, i palazzi, il cuore.
 
Notte che copriva tutto con il suo mantello di oscurità.
 
Notte fredda, crudele, solitaria, silenziosa.
 
Taichi alzò appena lo sguardo e lo volse verso l’altro.
Erano sdraiati entrambi sul letto del biondo, a casa sua. Avevano percorso la strada senza dire niente, troppo sconvolti, disperati, dannati.
Le loro certezze erano crollate d’un tratto, in un modo brusco, violento, sotterrandoli entrambi con le macerie.
Non sarebbero risaliti mai più.
Non avrebbero mai più rivisto la luce.
Sentì Yamato muoversi accanto a lui. Era voltato dall’altro lato, rannicchiato come un fardello.
Chiuse gli occhi per qualche secondo, udendo il silenzio regnare nella stanza.
Si era chiuso in sé stesso.
Tanti anni di fatica per farlo aprire, per farlo parlare, e adesso si era ammutolito, si era serrato all’interno del suo essere, non lasciando trapelare nemmeno uno spiraglio.
Tai sospirò, angosciato, triste.
Come avrebbe fatto a rimettere insieme i pezzi di Yamato?
Poteva vederli lì, sparsi per terra, inermi...
Si sentì in colpa per come si era comportato con lui. Lo aveva rimproverato, lo aveva giudicato senza dargli prima la possibilità di replica.
Forse non lo avrebbe capito mai Yamato...
Forse era colpa sua che voleva assoggettarlo, voleva imporgli il suo modo di fare ignorando la sua vera natura.
Lo sentì tirare su con il naso e lo guardò ancora. Allungò un braccio e gli toccò la spalla, sentendolo irrigidirsi non appena percepì quel contatto.
«Matt...» sussurrò nell’oscurità.
L’unica luce che intravedeva era quella che filtrava attraverso le tapparelle abbassate a metà.
Era tutto oscurità.
L’oscurità di una notte che non avrebbero mai dimenticato.
Lo strinse più forte.
«Ti va di parlare?» gli chiese con voce roca, sperando che si girasse in sua direzione.
Il silenzio lo aveva inglobato.
Lo aveva sotterrato, facendolo suo, in una sorta di tunnel angustiante.
Il biondo negò impercettibilmente con la testa.
Ormai faceva parte di lui.
Tai sospirò.
Come avrebbero fatto?
Sarebbe stata una lotta contro il vuoto. Lo avrebbe risucchiati, non avevano possibilità di salvezza.
Strinse le labbra.
Forse se solo lo avesse capito di più... se solo fosse stato più presente in quegli anni...
Lo avrebbe aiutato a non sprofondare.
Sentì i sensi di colpa attanagliare il suo petto.
Non lo aveva mai capito realmente.
Lo aveva lasciato lì, vittima del suo destino...
 
 
Avevano sempre avuto quel temperamento, loro due. Andavano d’accordo, erano amici, ma talvolta le loro idee entravano così in contrasto e i loro caratteri prendevano subito fuoco.
Si mischiavano così tanto da generare una tempesta talmente fitta da coinvolgere chiunque era intorno.
«Non puoi pretendere di avere sempre ragione!» aveva urlato il castano, stringendo i pugni contro l’amico.
Lo guardava come volesse fulminarlo, mentre l’altro aveva fatto una faccia disgustata, di sufficienza.
«Quello che vuole avere sempre ragione sei tu, Taichi» lo aveva rimbeccato «Io dico solo le cose come stanno» soffiò gelido.
Non riuscivano a capirsi. Erano un continuo scontro, una continua lotta a chi avrebbe prevalso.
«Guarda che il presuntuoso sei tu!» sbottò Tai con un tono ovvio «Non accetti opinioni diverse dalla tua»
Un continuo rinfacciarsi gli errori, un continuo puntare il dito su chi, secondo l’altro, sbagliava.
Erano fatti così.
Matt aveva incrociato le braccia e gli aveva rivolto uno sguardo cinico.
«Tu dici cazzate, non opinioni» sputò in tono sferzante.
Tai si sentì offeso.
«Ah, scusa, abbiamo di fronte il paroliere!» esclamò sarcastico.
«Sicuramente sono più equilibrato di te» affermò l’altro senza far trasparire nessuna emozione.
Il castano strinse di più i pugni.
Lo odiava quando faceva in quel modo!
«Ma dai, con questa faccia di cazzo...» sibilò provocandolo volutamente.
Matt non se lo fece ripetere due volte. Cedeva facilmente alle provocazioni, lo conosceva a memoria. Si avvicinò pronto a tirargli un pugno in viso.
Vennero interrotti dall’arrivo improvviso di Sora, che li fissava con in volto uno sguardo preoccupato ed esasperato.
«Che state facendo?!» urlò loro contro, afferrando entrambi dalle braccia «Siete sempre i soliti! Smettetela! Sono stufa delle vostre liti!» li redarguì.
Si voltarono a guardarla automaticamente. Aveva il potere di fermarli, di calmarli, li assoggettava con un solo cenno o parola.
Dopo qualche secondo in cui non dissero nulla, Matt le rivolse uno sguardo infervorato.
«Non prendertela solo con me!» esclamò duro, mentre Tai alzò la testa interrogativo «E’ Taichi che provoca, lo sai» continuò in tono ovvio.
Sora aveva aperto per un attimo la bocca, spaesata. Poi aveva stretto le mani al petto.
«Non lo so, Matt, tu salti subito in quarta!» lo rimbeccò facendo un sospiro «Lo sai che è fatto così, quindi non...»
Non le lasciò finire la frase che aveva preso ad urlarle contro.
«Non te lo difendere troppo!» aveva gridato, spiazzando entrambi.
Tai aggrottò le sopracciglia, invece Sora lo guardava intimorita.
«Una volta nella tua vita dà ragione a me!» continuò, rosso in viso, arrabbiato.
«Io do ragione a te, cosa stai...» la ragazza tentò di difendersi.
Matt non volle sentire altro.
«Taichi di qua, Taichi di là... E’ sempre Taichi!» si voltò a fissarla con disprezzo, mentre nel volto di lei si disegnava una ruga di sconforto.
«Mi hai rotto il cazzo!» lo sentì urlare, e lì non capì più niente.
Si avventò su di lui prendendolo dalla maglia. Gli occhi erano incendiati. Lo spinse contro il muro.
«Insultami, prendimi a botte, fai quello che vuoi con me, ma non prendertela con Sora» gli sibilò in volto, vedendo l’espressione spaesata dell’altro.
«Mi hai capito?» gli intimò.
Matt aveva lanciato un ultimo sguardo alla ragazza che a sua volta lo fissava con le lacrime agli occhi. Incapace di proferire altro, si mollò dalla presa dell’amico e andò via.
Tai guardò la direzione in cui era sparito con uno sguardo serio, poi si era avvicinato all’amica e le aveva circondato le spalle con un abbraccio.
 
 
Ed era vero.
Aveva sempre messo Sora al primo posto rispetto a lui. Lei era parte integrante della sua vita, aveva sempre fatto parte di lui, fin da quando era piccoli.
Era la prima bambina con cui aveva parlato, l’unica amica femmina che aveva avuto, la sua prima cotta infantile che non avrebbe mai dimenticato.
Sora era un punto fermo per lui, l’avrebbe protetta sempre, anche a costo di andare contro Yamato.
Sospirò pesantemente, sentendo il cuore che si sgretolava.
 
Dopo la discussione, aveva raggiunto il biondo a casa sua. Matt era rimasto stupito quando lo aveva visto entrare, soprattutto per il fatto che sembrava aver recuperato il buon senso.
Parlarono un po’ tra di loro, ammettendo di essere stati troppo precipitosi nell’essersi scontrati in quel modo. Poi il discorso verté su Sora, e Matt aveva abbassato lo sguardo colpevole.
Tai lo guardava appoggiato alla soglia del balcone con una sigaretta tra le dita.
«Non m’importa se sei geloso» proclamò, rilasciando il fumo dalla bocca.
Il biondo alzò lo sguardo e lo fissò tagliente.
«Io non sono geloso!» sbottò, sentendosi imbarazzato.
Tai gli lanciò uno sguardo scettico.
«E’ solo che... mi fa male quando non mi capisce...» lo udì rispondere con un filo di voce, mentre si scompigliava nervosamente i capelli.
Il castano scosse la testa facendo l’ultimo tiro e spegnendo la sigaretta sul posacenere.
«Per capirti ci vorrebbe scritta un’enciclopedia di dieci volumi» berciò.
Matt non rispose. Lo sentì sospirare con afflizione, lo sguardo puntato sul pavimento.
«Chiedile scusa» affermò poi lapidario dopo dei secondi di silenzio.
L’amico alzò lo sguardo su di lui e vi lesse fastidio mischiato con la frustrazione di dover essere rimproverato.
«Certo che lo farò, per chi mi hai preso?!» esclamò brusco.
Sapeva di aver sbagliato e che la ragazza, probabilmente, stava soffrendo per i suoi modi.
Tai chiuse gli occhi per un attimo.
«Se facessi del male a Sora non te lo perdonerei mai» soffiò, mentre l’altro lo guardava duro ma colpito.
Poi li riaprì e lo fronteggiò, seppur da lontano.
«Sei il mio migliore amico, Yamato, ma non me ne frega un cazzo quando si tratta di Sora» gli uscì dalla bocca semplicemente, come fosse ovvio.
Il biondo strinse le sopracciglia. Tai gli diede le spalle e volse lo sguardo verso il tramonto.
«Non starò mai dalla tua parte contro di lei» mormorò statuario.
Matt sentì come uno schiaffo raggelante in pieno viso. Lo vide voltarsi a guardarlo nuovamente.
«E’ bene che tu lo sappia» concluse.
Si guardarono per un altro po’ di tempo, poi il biondo annuì, consapevole che il posto che Sora occupava nel cuore di Taichi e viceversa era qualcosa che non avrebbe mai potuto spezzare e, da alcuni punti di vista, nemmeno equiparare.
 
 
Credeva che il bene che provava per lei non avrebbe mai potuto mettersi a paragone con quello che provava per Yamato.
Ne era così convinto, fino alla sera prima ne era convinto, quando le si era avvicinato a parlarle per assicurarsi che tutto andasse bene...
Gli aveva mentito.
Sora aveva mentito a lui.
Tutte le sue certezze crollarono.
Credeva che quel rapporto platonico che avessero fosse talmente forte da non ammettere le bugie, da non ammettere frasi non dette o dette a metà; lui si fidava così tanto di lei, lei era la sua certezza, una delle poche che aveva insieme alla sua famiglia.
Come aveva potuto condannare Matt in quel modo?
Dirgli tutte quelle cose, spingerlo verso di Sora, quando era lei ad essere marcia...
Sentì gli occhi lucidi e si arrabbiò con sé stesso.
Lei lo aveva sempre accecato in tutti quegli anni.
Non ci aveva capito niente quando aveva saputo che si frequentavano alle sue spalle, non ci aveva capito niente quando aveva scoperto che Yamato se l’era portata a letto ed era sparito, non ci aveva capito niente quando si era reso conto che tra di loro la storia non andava.
Era stato cieco.
Aveva così talmente sperato che la loro relazione andasse bene, quasi lo aveva imposto, solo per non doversi staccare da loro, solo per non doversi dividere dall’uno e dall’altra.
E invece quel suo egoismo lo aveva portato con i piedi per terra.
Sora aveva tradito Yamato e lui era rimasto lì, come un coglione che non aveva mai voluto credere alla realtà dei fatti.
Strinse le labbra triste, deluso.
La mano era ancora sul fianco di Matt e lo strinse un po’ di più.
«Lo sai che sono qui...» mormorò, mentre il tono di voce gli si incrinò.
Non riusciva a sopportarlo.
Gli dava pena, sconforto...
Rabbia...
Il biondo non rispose. Si limitò ad annuire piano con la testa dopo un po’ di tempo, tanto che Tai pensò se non lo avesse immaginato.
Con un gesto spontaneo, avvicinò ancora di più il suo corpo contro quello dell’amico in maniera tale da averlo più vicino.
Voleva solo che sapesse che c’era davvero.
Voleva solo che sapesse che se per tutto quel tempo lo aveva messo in dubbio, se non aveva creduto ai suoi buoni sentimenti, se lo aveva posto in secondo piano da quel momento in poi avrebbe fatto tutto il contrario.
 
Dopo un po’ di tempo, Taichi chiuse gli occhi, stanco e con la testa che gli doleva.
Fece un sonno agitato, popolato da strane presenze che si alternavano e gli facevano rivivere le scene che aveva vissuto poche ore prima.
Quando le prime luci del sole entrarono dalla finestra, aprì di nuovo gli occhi, incapace di continuare a tenerli chiusi.
Constatò se l’amico si fosse addormentato e, sentendo il suo respiro regolare, tirò un respiro di sollievo.
Dormendo avrebbe lenito un po’ della sua pena.
Tolse il braccio da sopra di lui e si spostò di posizione con la faccia rivolta al soffitto.
Lui però non riusciva a dormire.
Gli ronzava in testa tutto quello che era successo, e sentiva di dover fare qualcosa.
 
Doveva parlare.
 
Doveva capire.
 
Si alzò lentamente dal letto, stando ben attento a non svegliare il biondo. Si mise le scarpe e gli gettò un ultimo sguardo, prima di aprire la porta di casa e chiudersela dietro le spalle.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Silenzio.
 
 
La casa era dominata dal silenzio.
I resti della sera prima non erano stati ripuliti. Il tavolino era ancora rivolto per terra. Le carte, i bicchieri, le cicche di sigarette erano sparsi per le stanze.
Per terra c’era del sangue, aveva lasciato dei segni anche sul muro. Le sedie erano in disordine, la luce della kappa della cucina era stata lasciata aperta.
 
 
Silenzio.
 
 
Joe dormiva sopra il divano, le gambe divaricate, le braccia incrociate al petto. Aveva la bocca aperta e gli occhiali spostati di traverso.
Il suo russare squarciò il
 
silenzio.
 
 
 
 
 
Sora aprì gli occhi a fatica. Il sole filtrava attraverso le tende, gli uccelli avevano preso a cantare, il rumore delle automobili si riversava in strada.
Si portò una mano alla testa che le doleva, spostando apaticamente lo sguardo accanto a sé, dove Mimi dormiva placidamente, un suo braccio che la stringeva dai fianchi come se potesse scappare via.
Sospirò pesantemente, sentendo i primi spasmi di dolore coglierla. I ricordi delle ore precedenti la pervasero, e si sentì morire.
Cosa aveva combinato?
Tirò su con il naso.
Come aveva potuto pensare che non succedesse?
Aveva paura, aveva un senso di ansia sullo stomaco che non le permetteva di respirare.
Si sentì vuota, disperata, angosciata.
Le lacrime cominciarono a invadere i suoi occhi.
Era successo l’irreparabile... niente sarebbe stato più come prima... adesso avrebbe dovuto imparare a convivere con il peso di quello sbaglio sulle spalle...
Come avrebbe fatto?
Il solo pensiero le provocò una disperazione tale che le lacrime sgorgarono come un fiume in piena.
Singhiozzò senza riuscire a contenersi, mentre Mimi apriva gli occhi, disturbata dal rumore. La vide piangere e le si strinse il cuore.
Non voleva vederla soffrire...
Non voleva stesse male in quel modo... non riusciva a vederla persa in quell’oblio... lei che era sempre stata così forte, così genuina...
Le accarezzò i capelli.
«Sora...» mormorò dolcemente.
La ragazza scoppiò in un lamento ancora più forte, lasciando l’amica con gli occhi sbarrati per l’imponenza di quel pianto.
La strinse in un abbraccio, ma Sora tentò di staccarsi, disperata, i sensi di colpa che le suggerivano che non aveva bisogno di essere consolata.
Doveva soffrire, doveva pagare per il male che aveva inferto ad una persona che l’amava...
Doveva crogiolarsi nella più cupa delle disperazioni, nella più cruda delle colpe fino a quando di lei non sarebbe rimasto meno che niente.
Passarono alcuni minuti in cui Mimi la lasciò sfogare senza dire nulla.
Aveva bisogno di farlo, aveva bisogno di buttare fuori tutto quello che sentiva.
Pian piano, la ramata cominciò a calmarsi, asciugandosi gli occhi con il palmo delle mani. Lo sguardo si perse nella stanza, sentendo distrattamente il ticchettio dell’orologio che scandiva i minuti.
Con un gesto repentino si mise a sedere sul letto.
La castana le gettò uno sguardo preoccupata e, spontaneamente, le strinse delicatamente il braccio con una mano.
«Aspetta, dove vai?» le chiese, mentre l’altra si metteva le ciabatte ai piedi.
Non si voltò a guardarla, ma poté sentire il tono martoriato con cui le rispose.
«Devo andare in bagno» e si staccò dalla sua presa per poi trascinarsi a tentoni verso la porta ed aprirla.
Appena andò via, Mimi si lasciò andare in un sospiro triste.
Era successo un casino.
Non sapeva neanche come descrivere ciò che era accaduto poche ore prima. Era stato tutto così improvviso e inaspettato che ancora stentava a crederci.
Alzò le braccia sul cuscino.
Era stato un duro colpo per lei vedere la sua migliore amica accasciata in quel modo. Vederla crollare era stato bruttissimo, era come se le si fosse frantumato un enorme scoglio proprio sotto i piedi.
Non riusciva nemmeno a parlare, tanto era scioccata, aveva dovuto scuoterla più volte per incitarla a raccontarle l’accaduto.
Subito dopo era subentrato il pianto disperato, isterico, e Mimi non sapeva come fare. L’aveva portata in bagno, le aveva sciacquato il volto, e dopo del tempo che le era sembrato un’eternità, finalmente si era decisa a confessarle ciò che era successo.
Sora aveva tradito Yamato.
Si chiese come avesse fatto a non accorgersene, a non aver sospettato di nulla. Eppure pensava di conoscerla bene. Avrebbe dovuto cogliere dei segnali contrastanti.
Era così talmente egoista, concentrata su lei stessa da non rendersi più conto di quello che le succedeva intorno?
Sentì l’acqua del rubinetto aprirsi e sospirò ancora.
Era una situazione delicata. Non se la sentiva nemmeno di aggiungere niente di più alle parole di conforto che aveva cercato di sussurrarle la sera prima.
Spostò lo sguardo verso le tende.
Non poteva crederci che tutto quello era successo proprio nel momento in cui lei e Taichi si erano finalmente riuniti.
Una fitta percorse il suo cuore.
Avevano fatto l’amore.
Lei e Tai erano stati insieme dopo tanto tempo, ed era stata così felice, così talmente felice da non vederci più.
Gli aveva detto di amarlo...
Chiuse gli occhi, sentendosi imbarazzata.
Aveva fatto bene a farlo?
Lui non gli aveva neanche risposto, e capiva che la situazione aveva preso dei risvolti negativi tutt’ad un tratto, ma non riusciva a non sentirsi sporca, pessimista.
Si era aperta di nuovo a lui dopo tanto tempo, forse si era esposta più del necessario.
Tai era corso via da Matt, e ne apprezzava la lealtà, la solida amicizia che lo univa a lui come era solida quella che legava lei a Sora.
Però si aspettava un suo cenno, un qualcosa che le potesse fare capire che non si era dimenticato di quello che era successo, che non aveva sorvolato quello che lei gli aveva detto.
Per quanto tentasse di smetterla di fare quei pensieri che al contempo le sembravano inopportuni dato ciò che era successo, non riusciva a non pensare di essere la sola.
L’unica e sola che prova quell’amore malcelato e per troppo tempo contenuto.
Le palpebre si fecero sempre più pesanti e piombò in un sonno profondo.
 
 
 
 
 
 
Sora si chiuse la porta dietro le spalle.
Rimase per qualche secondo appoggiata su di essa, lo sguardo perso nel vuoto.
Non aveva la forza...
Non aveva nemmeno la forza di muoversi.
Si sentiva come svuotata, letteralmente vuota da ogni singola emozione se non la disperazione.
Strinse gli occhi umidi.
Piano, arrancò fino al lavandino, strisciando per terra le ciabatte. Sentì come un mancamento coglierla all’improvviso, tanto che fu costretta a tenersi per evitare di cadere.
Alzò lo sguardo sullo specchio e vide la sua immagine riflessa.
I capelli aggrovigliati, il trucco sbavato, il volto tumefatto e gli occhi pieni di lacrime.
Come si era ridotta?
Cominciò a piangere silenziosamente, mentre continuava a guardarsi non riconoscendo nulla della ragazza che era.
Era il fantasma di sé stessa.
Qualcuno che aveva occupato il suo posto da un po’ di tempo a quella parte.
Si faceva schifo, si faceva letteralmente pena...
Strinse le dita ai bordi del lavandino e il pianto s’intensificò. Sentiva le gambe cedere, la testa scoppiare.
 
Aveva rovinato tutto...
 
Con un gesto aveva distrutto la sua relazione, l’aveva buttata nel cesso senza riguardi, aveva mancato di rispetto all’unica persona che probabilmente non lo meritava...
 
Non sapeva amare.
 
Era questa la più rude delle verità.
Non aveva mai saputo amare, non aveva mai donato amore a chi le stava intorno... non era riuscita a trasmetterlo a Yamato, non era riuscita a portare rispetto a quello che lui provava...
Proprio lei...
Sembrava uno scherzo di cattivo gusto.
Lei aveva tradito, era stata infedele..
Proprio lei, la Digiprescelta dell’Amore...
Si accasciò piegandosi in avanti, le mani sul viso. Le lacrime la inondarono, mentre stringeva i denti e urlava dal dolore.
 
 
 
 
 
 
Il campanello suonò.
Il suono rimbombò per tutto il soggiorno. Joe aprì appena un occhio, disturbato da quel rumore molesto, una smorfia irritata dipinta sul viso.
Il sonno lo colse nuovamente e continuò a russare.
Dopo pochi secondi, il campanello suonò ancora. Joe aggrottò le sopracciglia.
Chi diamine era che rompeva le palle?
Pensò ad uno scherzo da parte del vicino di sopra con il quale non scorreva affatto buon sangue. Quell’idiota era fastidioso e petulante, quel Martin il pagliaccio, come era abituato a chiamarlo lui... se lo prendeva era fritto...
I suoni si fecero continui ed insistenti, e saltò sul divano impaurito, il cuore che gli batteva forte.
Santo cielo, gli sarebbe preso un infarto!
Si mise in piedi con un’espressione arrabbiata, gli occhiali ancora di traverso. Non si premurò neanche di mettersi le ciabatte, tanto camminò scalzo fino alla porta, calpestando i detriti sparsi per il pavimento.
Imprecò per aver messo il piede su qualcosa di appuntito.
Il campanello suonò ancora. Fece un’espressione assatanata e urlò. A gran passi si avvicinò alla porta e la spalancò con gli occhi fuori dalle orbite.
Lo avrebbe ucciso a quel farabutto che...
La sua espressione mutò e si trasformò in interrogativa.
Taichi si trovava ritto davanti a lui, in viso uno sguardo stanco di chi non aveva dormito affatto.
Doveva rompere i coglioni a lui che stava dormendo, allora?
Aveva indosso i vestiti della sera prima e sembrava fosse di fretta.
Aggrottò le sopracciglia con irritazione. Non aveva intenzione di far mettere piede in casa a quel tizio, assolutamente no, non dopo come la situazione si era rivoltata, non dopo come avevano sabotato la sua laurea.
«Cosa ci fai tu qui?!» sbottò, guardandolo dall’alto in basso come fosse un insetto altamente pericoloso.
Tai sospirò e fece un passo in avanti.
«Lasciami entrare» gli disse solo, tentando di liquidarlo.
Joe, però, fu più lesto. Lo afferrò da un braccio e lo costrinse ad indietreggiare. In volto aveva uno sguardo truce, come potesse ucciderlo da un momento all’altro.
«Non vi è bastato lo schifo di ieri sera?!» esclamò, mentre la sua voce acuta rimbombava sul pianerottolo.
Si preparò a ricoprirlo di insulti e rinfacciamenti, lo avrebbe cacciato fuori a calci nel deretano. Non sarebbero mai più entrati quegli stolti distruttori di case, li avrebbe spediti a casa loro in men che non si dica!
Aprì la bocca per parlare, ma il castano gli diede uno spintone facendolo barcollare all’indietro.
«Lasciami entrare, Joe!» gli urlò, riuscendo ad infiltrarsi.
Il maggiore lo fissò allarmato.
Che intenzione aveva?
Voleva creare scompiglio un’altra volta?
Quando avrebbe meritato un po’ di pace nella sua vita?
«Stupido calciatore bislacco!» gli gridò dietro, insultandolo «Che diamine vuoi dalla mia vita?!» lo raggiunse e tentò di afferrarlo nuovamente da un braccio.
«Esci subito! Sei all’interno di una proprietà privata!» tentò di spaventarlo mettendo di mezzo la legge.
L’altro non si fece intimorire. Strinse un pugno e lo guardò sprizzando scintille dagli occhi.
«Dov’è Sora?» chiese tenendo fisso lo sguardo, uno sguardo che fece raggelare il sangue nelle vene del burino.
Cosa voleva da lei?
Non avrebbe permesso che succedessero altre dispute, né tantomeno che quell’idiota le dicesse qualcosa di sconveniente...
Doveva passare sul suo corpo se solo pensava di poter raggiungere la camera della ramata.
Si avvicinò e lo tirò con forza, tentando di portarlo via da dove stava andando. Spinse più che potette, notando, però, che Taichi non si muoveva di un centimetro.
«Lascia stare quella paperella, non è il momento!» urlò inviperito, gli occhi sbarrati, una smorfia allarmata sul viso.
«Mi hai sentito, cespuglio di bacche?!» gridò infervorato, senza lasciare la presa dal suo braccio «Non è il momento!» ripeté allusivo.
Insospettita da quel rumore, Sora si trascinò fino al soggiorno. Guardò i due amici con uno sguardo apatico e vagamente interrogativo.
I due si voltarono a guardarla di rimando. Notò l’espressione sul volto di Taichi mutare improvvisamente, poi diede una brusca spinta a Joe che, preso alla sprovvista, quasi fece un capitombolo all’indietro.
Lo vide avanzare verso di lei, afferrarla saldamente dalle spalle e bloccarla contro il muro. Il cuore le salì fino alla gola, aprì la bocca spiazzata per quel gesto.
Udì distrattamente Joe urlare gravemente, le mani sul viso, forse spaventato.
Tai la fissava con uno sguardo serio, risoluto, uno sguardo che le mise soggezione.
Non l’aveva mai visto utilizzare quell’atteggiamento con lei.
Era sempre delicato, gentile, mentre adesso l’aveva spinta con forza e la guardava duro.
Un brivido le percorse la schiena.
Il ragazzo non smise di fissarla. La guardava negli occhi nocciola e sentiva lentamente il cuore sprofondare adesso che ce l’aveva davanti.
Come aveva potuto fare quello?
Lei che era così buona, così generosa... era un esempio per tutti loro... era cascata nella tela del ragno, aveva fatto del male a Matt...
La strinse più forte dalle spalle.
Aveva voglia di urlarle quanto era stata stupida, quanto adesso che la guardava in viso le sembrava di vedere un’altra.
Qualcuno che non era lei, non era Sora.
«Che cosa hai fatto?» soffiò in un tono basso ma che trapelava una punta di disperazione.
La ramata sentì i battiti accelerati e percepì subito le lacrime invadere nuovamente il bordo degli occhi.
Il modo in cui l’aveva detto le aveva toccato il cuore.
Era stato come una lama infilzata nello stomaco, una lama appuntita che la stava facendo sanguinare copiosamente.
Tai non aveva smesso di guardarla. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La guardava con pena, rammarico, rabbia.
Era come se la stesse vedendo per la prima volta.
Come se si fosse improvvisamente svegliato e si fosse reso conto solo in quel momento di chi avesse di fronte.
«Mi fidavo di te...» lo udì sussurrare e sentì un altro pezzo di cuore rompersi «eri l’unica persona di cui mi sarei fidato fino alla morte...» piano la voce gli si incrinò, e Sora chiuse gli occhi, angosciata.
Cercò con urgenza la sua mano, in una sorta di premonizione di qualcosa di irrimediabile.
«Tai, io...» provò a dire, ma l’altro scostò la presa. L’osservava  con una smorfia dipinta sul viso e lei si bloccò.
Era arrabbiato, era deluso, era così talmente serio in quel momento che aveva veramente timore.
Timore di avergli fatto del male.
Come aveva potuto fare del male a così tante persone?
«Mi avevi detto che andava tutto bene... che tu stavi bene... mi hai mentito, Sora!» esclamò scuotendola, guardandola con degli occhi che sembravano bruciare
«Hai mentito a me, a Matt, a te stessa» continuò con un tono fermo, struggente, così tanto che la ramata sentì gli occhi inumidirsi di lacrime.
Aveva mentito, era vero...
Era vero, gli aveva mentito... aveva mentito a Taichi, il suo migliore amico, una delle persone più importanti della sua vita...
Gli aveva detto che stava bene, che era tutto apposto, quando in realtà avrebbe voluto scappare via dalla disperazione.
Se solo glielo avesse detto lui l’avrebbe aiutata, forse l’avrebbe capita, mentre adesso... adesso la guardava con quel fuoco che bruciava dentro i suoi occhi e la lasciava spiazzata, incapace di fare nulla, assoggettata a lui.
Tai si passò una mano tra i capelli, gettandole un altro sguardo. Notò che aveva gli occhi rossi e colmi di lacrime.
Adesso piangeva?
Avrebbe dovuto pensarci prima... avrebbe dovuto pensare prima alle conseguenze delle sue azioni, a quanto male aveva inferto a Yamato...
Dio, non lo poteva sopportare...
Non poteva sopportare niente di tutto quello.
«Perché gli hai fatto una cosa del genere?!» sbottò, e voleva saperlo veramente.
Voleva essere a conoscenza dei motivi, del perché fosse andato insieme ad un altro, del perché avesse dovuto rompere in quel modo la loro relazione.
Il loro rapporto era così solido... loro erano diversi dagli altri, si amavano così tanto, si compensavano in tutto e per tutto...
Lui si era fatto da parte per loro, perché aveva dovuto causare quello?
Perché era stata così stupida?
«Taichi!» sentì Joe che lo chiamava arrabbiato, in un tono che significava che doveva darci un taglio.
Lui non lo ascoltò, e Sora nemmeno gli prestò attenzione.
Guardava il suo migliore amico negli occhi  e non riusciva a distogliere lo sguardo.
Non doveva guardarlo così... non doveva rivolgergli quello sguardo supplice... lui non riusciva a volerle male...
Ma sentiva un sentimento di rabbia nei suoi confronti, un rammarico così talmente grande che in quel momento avrebbe voluto fare tutto fuorché guardarla.
La prese di nuovo dalle spalle.
«Perché ti sei trasformata in quello che non sei?» la strinse forte, sentendosi angosciato
«Tu eri l’unica persona di cui ci fidavamo, avremmo fatto di tutto per te... lui avrebbe fatto di tutto per te...» si fermò per qualche istante, poi prese fiato
«Io avrei fatto di tutto per te!» aggiunse, facendola completamente crollare.
Cominciò a piangere, portandosi una mano alla bocca. Le lacrime scorrevano sulle sue guance e lei tentava di nasconderle, ma erano così evidenti, così disperate...
Tai l’aveva colpita in pieno.
Le aveva fatto capire che da quel momento in poi qualcosa era cambiato tra di loro, e l’aveva ferita, l’aveva fatta sentire in colpa come non lo era mai stata.
Non voleva che lui l’abbandonasse...
Aveva bisogno della sua amicizia.
Alzò lo sguardo e incontrò di nuovo il suo. Vide i suoi occhi velati e capì che si sentiva allo stesso modo anche lui.
Abbandonato.
Solo.
«Da quanto tempo va avanti questa storia?» gli chiese poi, dopo che la ebbe mollata. Lo disse in modo brusco, come ne fosse schifato, come gli facesse male perfino pronunciare quella semplice frase.
Sora tirò su con il naso, tentando di asciugarsi gli occhi.
«Io non... ti prego, Tai...» provò a contestare.
Il castano, però, le rivolse uno sguardo lapidario che la fece subito ammutolire.
«Dimmelo. Sii sincera questa volta» berciò, colpendola forse di proposito.
La ramata aprì la bocca, interdetta.
Aveva paura.
Aveva paura che se avesse detto come stavano le cose lui l’avrebbe abbandonata definitivamente, nello stesso modo in cui aveva fatto Yamato...
Avrebbe perso entrambi, e come avrebbe fatto?
Come avrebbe fatto a stare senza di loro?
Lo sguardo di Taichi era fermo e seppe che non poteva sfuggire.
«Io... è da un po’ di tempo che... lo conosco dal primo anno di università...» la voce gli tremò, spostò gli occhi verso un’altra direzione sentendo quelli del ragazzo troppo pesanti «ci frequentavamo... Non è mai successo nulla, te lo giuro... qualche giorno fa c’è stato un bacio...» confessò con il cuore in gola.
Ebbe paura ad alzare la testa.
Tai non le aveva tolto nemmeno per un secondo gli occhi di dosso.
Adesso sapeva tutto.
Era una storia che andava avanti da tempo... il bacio era stato solo l’ultimo dei problemi...
Perché non aveva avuto il coraggio di lasciare Matt se non lo amava più?
«Io non ti capisco...» soffiò interdetto, mentre lei alzava il capo e le lacrime prendevano di nuovo il sopravvento.
Non la riconosceva più.
Si era trasformata in un’altra che non era lei.
La Sora che conosceva non avrebbe mai fatto in quel modo... avrebbe affrontato tutto, avrebbe messo fin da subito le cose in chiaro...
Chi era adesso lei?
«Mi sentivo sola, abbandonata...» pianse, mettendogli una mano sul braccio, stringendolo «lui è stato sempre distante da me in questi anni... Avevo bisogno di qualcuno che si prendesse cura di me...» tentò di spiegarsi, ma che valeva giustificarsi adesso?
Taichi non riusciva neppure a guardarla.
Non riusciva più a starle davanti, voleva andare via...
Via.
«Ti prego, Tai...» lo invocò lei, trattenendolo dal braccio.
Il ragazzo si scansò in automatico, senza alzare gli occhi.
Non riusciva più a reggere.
Era arrivato al limite.
A che serviva più perdere tempo in chiacchiere, stupide spiegazioni... era finita... era finito tutto...
«Lasciami stare» affermò, in un tono che non sembrava voler ammettere repliche «Non riesco neanche a guardarti...» soffiò tra i denti con una punta di frustrazione.
Sora sentì una dopo l’altra le ultime sue certezze crollare.
 
Era finita...
 
Stava perdendo anche lui...
 
Lo strinse forte, si attaccò alla sua schiena, mentre Tai tentava di levarla. Lottarono per un po’ in quel modo.
La ramata piangeva, urlava, lo incitava a non lasciarla.
Era come una scena a rallenty.
Mimi giunse alla soglia, destata dalle urla e il pianto dell’amica, vedendo figurare davanti ai suoi occhi quella scena struggente.
Aprì la bocca e rimase confusa, chiedendosi cosa stesse succedendo, perché lui fosse venuto a casa loro, perché Sora stesse piangendo e cercasse di trattenerlo.
Tai, nel frattempo, era riuscito a staccarsi da lei. Si era voltato e l’aveva vista disperata, le braccia strette al petto.
Non avrebbe mai pensato di dover pronunciare quelle parole.
«Mi hai così deluso, Sora» disse, e poi scosse la testa amaramente «Sarei andato contro di lui per te... adesso mi sento uno stupido per averti creduto» la voce si affievolì.
 
Si sentiva uno stupido.
Si sentiva uno stupido per aver dipeso da lei, per non aver messo al primo posto Yamato quando era lui ad averne più bisogno.
Uno stupido anche per essere andato lì, a cercare nuovamente conferme, a cercare una verità che gli aveva fatto più male del previsto.
 
Si sentiva uno stupido...
 
Così stupido che non riusciva nemmeno più a guardarla negli occhi, voleva andare via da quella dannata casa...
Distolse lo sguardo senza aspettare una sua risposta. Apaticamente, spostò gli occhi verso la soglia del corridoio e il cuore gli si bloccò.
Deglutì, sentendo un’ondata di caldo travolgerlo.
 
Mimi...
 
Mimi era lì che lo osservava con in volto un’espressione confusa, interrogativa, ma nello stesso tempo piena di luce.
Si bloccò per qualche secondo a guardarla e la ragazza fece lo stesso.
Si fissarono entrambi con intensità, e per un po’ di tempo il pianto di Sora passò in secondo piano, sentendolo ovattato, distante anni luce.
 
Lei era lì... davanti a lui...
 
Gli vennero in mente i ricordi della sera prima, i loro baci, i loro tocchi, il modo in cui avevano fatto l’amore.
 
Mimi...
 
Gli aveva detto di amarlo...
 
Lei lo amava e lui non aveva detto nulla, troppo preso da quello che era successo, troppo sconvolto per darle peso.
 
Non lo meritava.
 
Che sciocco, stupido, insensibile che era stato.
In tutti quegli anni, lo era stato...
 
La ragazza lo fissava speranzosa, gli occhi castani intrisi dal sonno, ma ben fermi sul suo volto.
Era come se volessero comunicargli che aveva bisogno di lui, che doveva fermarsi lì a parlarle, che aveva un’urgenza immane di sentirlo vicino dopo quello che era successo tra di loro.
 
Taichi continuò a guardarla.
 
Voleva dirle qualcosa, qualsiasi cosa, sentiva l’esigenza di prenderla tra le braccia e dirle che non aveva dimenticato ciò che gli aveva confessato.
Voleva dirle che lui c’era, che era stato un cretino a non aver fatto nulla in quei due anni, ma che quello che avevano vissuto poche ore prima bastava per annullarli tutti.
Voleva farlo veramente, ma si sentiva un vigliacco, così vigliacco da non riuscire nemmeno  a salutarla...
Perché aveva paura, non sapeva bene da cosa, ma non si sentiva all’altezza di ciò che era successo, delle aspettative che lei aveva su di lui.
Lei probabilmente si aspettava che lui le dicesse qualcosa, ma lui era bloccato, un codardo, stritolato dagli eventi e da quel flusso di emozioni contrastanti che aveva sentito, che continuava a sentire.
Era sconvolto, inerme, dolorosamente perso.
Non ce la faceva...
La gola era secca, il cuore batteva delle dolorose martellate, e le urla disperate di Sora gli rimbombarono nelle orecchie costringendolo a distogliere bruscamente lo sguardo da lei.
Mimi lo guardò voltare le spalle e raggiungere a gran passi la porta.
 
Era come se stesse fuggendo.
Fuggendo da lei, da lui stesso, dai ricordi della notte passata.
 
Il cuore le si spezzò in mille pezzi rassegnati.
 
Non le aveva neanche rivolto la parola, non l’aveva nemmeno salutata...
Perché le aveva fatto quello?
Erano stati così bene, erano stati in paradiso dopo tanti mesi all’inferno.
 
Quindi aveva ragione, quello che era successo tra di loro non aveva avuto significato per lui, era stato solo un ritorno di fiamma di una notte per sfogare gli spiriti bollenti...
Era stata cieca e sciocca ad essersi lasciata andare, ad avergli detto di amarlo...
Perché era stata così debole?
Avrebbe dovuto aspettarsi il muro che si sarebbe erto la mattina dopo.
Lui non l’amava, era questa la verità, la più cruda e nuda verità che adesso le stava squarciando il petto.
 
Udì Sora urlare il suo nome, chiamarlo per tentare di farlo tornare indietro. Automaticamente, si avvicinò all’amica e la strinse forte, continuando a guardare distrutta il ragazzo che aveva varcato la soglia.
 
Era andato via.
 
Era andato di nuovo via...
 
Era andato via e probabilmente non sarebbe tornato mai più.
 
La ramata si accasciò tra le sue braccia e lei la strinse forte, accarezzandole la nuca. Rimase a fissare a lungo la direzione in cui Tai era sparito, troppo sconvolta per parlare, la delusione troppo grande per essere contenuta.
Dopo qualche secondo di interdizione, vide Joe stringere i pugni e i denti. Si precipitò sul pianerottolo, la porta era rimasta aperta.
Come si era permesso?
Come aveva osato entrare con quell’irruenza a casa loro e dire tutte quelle cose brutte a Sora?
Sentì i lamenti della ragazza sempre più forti e vide con la coda dell’occhio Mimi che tentava di farla riprendere.
Sentì la rabbia esplodergli in petto.
«Figlio delle puritane!» strillò, insultandolo, facendo rimbombare la voce per tutto il condominio «Fantoccio insensibile e megalomane! Ti pesto come i torroni se ti prendo!» sbraitò, mentre alcuni vicini aprivano la porta per vedere chi fosse quel pazzo che urlava
«Ti frullo l’ego come un frappè!» continuò, sentendo poi il portone principale sbattere.
Imprecò e chiuse la porta con un calcio.
Corse come un matto fino al balcone, scontrandosi contro una sdraio lasciata lì davanti e rischiando di cadere.
Gliel’avrebbe detto lui!
Quell’egocentrico, maleducato, leader dei moscerini, questo era...
Nessuno doveva permettersi ad insultare le sue paperelle, lui teneva tanto a loro, nonostante spesso si comportasse in modo molesto.
Non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quei bei faccini con le lacrime.
Si affacciò come una furia.
«Fatti un bagno di umiltà, calciatore delle mie palle!» riprese ad urlare, e l’eco della sua voce risuonò tra i palazzi.
Non riusciva a trattenersi; quando si infervorava diventava scurrile e violento.
Perfino i vicini di fronte si affacciarono.
Tai, invece, non alzò la testa, continuò a camminare con le mani in tasca, svoltando da una strada a fianco.
Joe strinse i denti.
«Sì, bravo, svolta da quella via... la via per andare a fanculo!» strepitò, alzando un dito, gesticolando a più non posso.
Bastardo, infame, apocalittico presagio...
 
Sora era ancora stretta a Mimi, la testa appoggiata sul suo seno, gli occhi che piano le si chiudevano per il dolore e l’umiliazione.
 
Aveva perso tutto.
 
In quella battaglia di cicatrici, era lei ad aver avuto la peggio.
 
La castana la sostenne, preoccupata nel vederla crollare.
 
Era finita.
 
Era finito tutto in un baratro di oscurità... Si erano bruciate, volavano via come cenere...
 
In casa tornò a regnare il silenzio.
 
 
Vincitore ineluttabile.
 
 
 
 
 
Il silenzio regnava attorno a lui, s’insidiava dentro il suo cuore rendendolo ancora più arido e vulnerabile.
 
Yamato aprì gli occhi.
Li sentì gonfi e irritati, le ciglia dure, le guance gli pizzicavano per le lacrime che avevano lasciato delle leggere righe sulla sua pelle.
 
Silenzio, solo silenzio attorno a lui.
 
Guardò il soffitto per un tempo che sembrò un’eternità.
 
Silenzio... non riusciva ritrovare la sua voce, ad udire i rumori...
 
Era come un involucro vuoto.
 
Non sentiva più niente dentro di sé.
 
Si passò una mano sugli occhi e li pasticciò. La testa gli doleva così forte che gli fece emettere un sospiro di dolore.
 
Non avrebbe voluto svegliarsi.
Non avrebbe voluto vivere con quella sofferenza che sentiva addosso sulle spalle.
Voleva chiudere di nuovo gli occhi e non risvegliarsi mai più.
 
Li chiuse di nuovo.
 
Sarebbe morto...
 
Ecco, era la soluzione migliore. Evadere via da tutto quello che gli era successo, scappare lontano da quel male che gli si era infiltrato sulla pelle, dentro le ossa.
 
Perché non era morto?
 
Automaticamente, aprì di nuovo gli occhi cerulei, rossi e irritati.
 
Sarebbe stato fin troppo facile...
 
Voltò la testa alla sua destra e notò che Taichi non c’era.
Non riuscì a pensare ad altro, solo sentì l’esigenza di mettersi in piedi. Scese dal letto in maniera meccanica, alzandosi di peso, sentendo una stanchezza cronica prendere il sopravvento.
La testa gli girò e chiuse gli occhi.
 
Credeva di aver toccato l’apice del dolore quella notte appena passata, invece l’alba del giorno dopo era devastante.
 
Arrancò fino al bagno. Si tenne con le mani dal lavandino senza avere il coraggio di guardarsi allo specchio.
 
Si sarebbe fatto pena.
Non voleva compiangersi, non voleva farsi pena.
 
Voleva svuotare la mente più di quanto già non lo fosse, voleva lasciarla libera da ogni dolore, ogni tipo di sentimento contrastante.
 
Aprì il rubinetto sentendo la mano che tremava leggermente. Avvicinò entrambe all’acqua corrente e si sciacquò il viso.
 
Doveva resistere.
Per quanto dentro il suo petto sentiva una sensazione che lo logorava, doveva tentare di isolarsi, perdersi nel silenzio, chiudere ogni cosa fuori.
Si asciugò il volto.
 
Era difficile... sentiva un dolore atroce sprigionarsi dal cuore, lo stava asfissiando, aveva bisogno di liberarsene.
Strinse la tovaglia sul viso.
 
Non doveva lasciarsi andare.
 
Era tutto finito... sebbene sentiva di voler morire, sapeva che era tutto finito...
 
Ogni cosa.
 
Le sue gambe si mossero e lo fecero arrivare in cucina. La luce filtrava poco dalle finestre oscurate dai palazzi.
 
L’oscurità incombeva.
 
Come un automa, si avvicinò al frigorifero e guardò apaticamente cosa c’era dentro.
 
Non avrebbe ceduto.
Non avrebbe lasciato sprigionare niente.
 
Senza nemmeno pensarci, prese due, tre cose, le mise sulla cucina. Afferrò dei piatti, le bacchette, cominciò a preparare qualcosa della quale non sapeva nemmeno lui.
 
Doveva evadere, non doveva pensarci...
Era in bilico, così in bilico che un solo soffio di vento l’avrebbe fatto cadere giù.
 
Prese un uovo e lo ruppe involontariamente facendo troppa pressione. Il liquido appiccicoso gli scolò tra le dita e mise una mano sotto l’acqua per pulirsi.
 
Doveva trattenersi...
Doveva farlo.
 
Ruppe un altro uovo dentro una ciotola e prese le bacchette per amalgamarlo.
 
Quel pensiero insidioso tornava a tormentarlo, non riusciva a bloccarlo, a tenerlo fuori dalla sua testa.
Era così difficile liberarsi da quel senso di nausea che lo pervadeva.
Non riusciva a chiudere tutto fuori, non riusciva a negare a sé stesso quella realtà, era incapace di non pensare a quello che aveva fatto Sora...
 
Sora...
 
Strinse un pugno tenendo forte le bacchette tra le dita. I suoi pensieri vennero interrotti dal campanello che suonò.
Voltò la testa in direzione della porta e le sue gambe si mossero lentamente per andare ad aprire.
Il viso di Taichi gli figurò davanti.
 
Era trafelato, stanco, segnato da un dolore che vagamente gli ricordava il suo.
 
Distolse lo sguardo per evitare quello del suo migliore amico. Lo scrutava con apprensione, lo fissava quasi volesse spogliarlo da ogni sorta di difesa.
I suoi occhi erano fermi, attenti, e Matt li sentì addosso per tutto il tempo. Continuò a trafficare con il cibo senza saper bene quello che stava facendo, evitandolo volutamente.
 
Non riusciva a guardarlo, non voleva guardarlo...
Lo avrebbe spogliato, lo sapeva, lo avrebbe reso meno che niente.
 
Il castano continuava ad osservarlo e per un po’ non osò dire una parola.
Il biondo si era limitato a guardarlo di sfuggita e aveva subito eluso il suo sguardo.
Non smetteva di preparare la colazione come se realmente fosse interessato a farlo, come se se lo stesse imponendo forzatamente.
Tai diede un lungo sospiro. Aspettava una reazione che tardava ad arrivare. Sapeva che lo stava evitando di proposito e, per quanto cercasse di nasconderlo, poteva percepire quanto la sua psiche fosse sul filo di un rasoio.
«Matt...» lo chiamò in un sussurro.
Era appoggiato contro il frigorifero e continuava a guardarlo. Il biondo sentì il suo sguardo insistente perforarlo da corpo a corpo e strinse forte le bacchette tra le dita.
La gola era secca, arida, non riusciva neanche ad emettere suono.
 
Non voleva quel compianto, voleva solo sorvolare ogni tipo di discorso, voleva chiudere fuori da lui quella situazione, voleva evadere via da quell’incubo...
 
Taichi sembrò udire quei pensieri. Notò come si fosse apprestato a tagliare il cibo, segno di evidente nervosismo e tensione.
Socchiuse gli occhi, stanco.
Era dalla sera prima che non parlava, non aveva emesso più alcun suono per tutta la notte. Non lo guardava in faccia, lo evitava per non crollare di fronte al suo sguardo, ma lui lo sapeva che era in procinto di scoppiare.
Voleva che reagisse, voleva che dicesse qualcosa, seppur un pianto, un urlo, una parolaccia...
Yamato non doveva chiudersi in sé stesso, era troppo deleterio per lui.
Sarebbe morto lentamente.
«Parliamone» sbottò secco, tenendo gli occhi fissi su di lui.
Sembrava volessero incendiarlo.
Il biondo percepì dal suo tono di voce l’impossibilità di sfuggirgli, ma era proprio quello che intendeva fare.
Non avrebbe parlato.
Non avrebbe detto nulla... perché non riusciva a dire nulla... si sentiva disarmato, svuotato, devastato...
Non riusciva a guardare Taichi in faccia.
Gli occhi del suo migliore amico bruciavano, lui lo sapeva, lo sapeva che lo avrebbe fatto cedere, perché aveva una capacità straordinaria nel farlo...
Senza rendersi conto, cominciò a fare un rumore sordo con i piatti, fece tintinnare il coltello con il quale stava tagliuzzando qualcosa, spostò delle pentole a caso sui fornelli.
Il castano lo fissò interdetto.
Tentava di scappare via, tentava di eludere quel confronto, era nervoso e addolorato, lo percepiva.
«Non chiuderti in te stesso... ti prego, Matt...» lo supplicò sentendosi in pena per lui.
Questi continuò a non prestargli attenzione, e ciò fece irritare l’amico.
Non poteva finire in quel modo, non poteva ammutolirsi e tentare di far finta che non fosse successo niente.
Odiava vederlo così, odiava quel suo modo di fare così talmente introspettivo. Doveva reagire, dannazione, doveva buttare fuori tutto quello che provava...
Aggrottò le sopracciglia, risoluto.
Non gli sarebbe sfuggito.
Lo avrebbe fatto parlare, non lo avrebbe fatto rinchiudere nuovamente all’interno della sua prigione dorata.
Con un gesto improvviso, sbatté un pugno forte sul tavolo, facendo cascare il posacenere per terra. Il rumore fece bloccare il biondo da quello che stava facendo, sentendo i battiti del cuore accelerare per lo spavento.
«Reagisci!» urlò adirato, tentando di farlo rinsavire da quel torpore lugubre «Cazzo, fa’ qualcosa, qualunque cosa, ma reagisci!» sputò fuori come fosse veleno.
Gli occhi profondi di Tai non lo mollavano.
Era stato brusco, lo sapeva, ma era consapevole anche che era l’unico modo per farlo svegliare.
Sentiva a sua volta il petto alzarsi ed abbassarsi ritmicamente per la tensione.
Voleva che lo guardasse, voleva che gli parlasse... che facesse un cenno per fargli intendere che era vivo, che era ancora in grado di reagire...
Odiava vederlo in quel modo, lo odiava...
Matt posò le bacchette in modo apparentemente calmo. Si voltò verso di lui, e non appena Tai vide i suoi occhi sentì una fitta al cuore agguantarlo.
I suoi occhi azzurri erano arrossati, velati da un dolore enorme, pieni di una sofferenza che mai gli aveva visto impressa in quel volto angelico.
Era uno sguardo martoriato, distrutto. Tentava di mantenere le lacrime dallo sgorgare, ma nonostante ebbe pena di lui in quel momento, strinse un pugno e decise di continuare.
Glielo avrebbe detto.
Doveva saperlo, doveva esserne consapevole. Lo avrebbe aiutato a rigettare fuori tutto quello che provava.
«Sono andato da lei» mormorò in un tono dietro cui non riuscì a mascherare la durezza, la delusione «mi sono fatto dire come stanno le cose» continuò fermo, non lasciandosi impietosire dal suo sguardo.
Non appena udì quelle parole, Yamato chiuse gli occhi. Li strinse come se avesse timore di guardare quello che gli stava di fronte, e si sarebbe perfino tappato le orecchie se solo avesse avuto la forza di alzare le braccia.
Non voleva sentirlo... non voleva...
Voleva sparire, voleva scappare, voleva essere dovunque fuorché lì...
L’altro strinse le labbra e decise di rincarare la dose.
Doveva farlo.
Doveva reagire.
Doveva essere consapevole.
«Quello che è successo è stato solo il culmine» spiegò lapidario, facendo dei passi in avanti per risultare più vicino a lui.
Il biondo cominciò a sentire la testa scoppiare. Afferrò con entrambe le mani dei piatti senza muoversi dalla posizione in cui si trovava.
Tai era sempre più vicino e lo scrutava attento, lo sguardo duro, un luccichio strano impresso nel suo sguardo.
«questa storia va avanti da un po’» affermò, ricordando per filo e per segno le parole che gli aveva detto Sora.
Sentì un profondo rammarico coglierlo, sapeva che lo stava ferendo più di quanto già non lo fosse, ma era necessario, doveva farlo, non riusciva più a vederlo chiuso nel suo silenzio.
Vide il petto di Matt andare su e giù, il suo respiro farsi più pesante, le dita stringevano forte il bordo dei piatti.
«Le piace, è attratta...» continuò, forse un tantino crudele «la fa sentire bene» soffiò infine in un sussurro.
 
Reagisci, reagisci, cazzo...
 
Fu un attimo.
Yamato lasciò cadere i piatti per terra. I cocci si sparsero per tutto il pavimento e fecero un fracasso terribile. Taichi chiuse appena gli occhi, spostandosi per non calpestarli.
Quando li riaprì vide l’altro tremare, lo vide portarsi le braccia alla testa e urlare.  Urlò talmente forte, in un ringhio così disperato che quasi ne ebbe timore.
Lo vide improvvisamente sbattere le cose per terra, il cibo, le posate. Urlava in tono straziante, come se dentro fosse costernato da dei demoni che lo stavano possedendo.
Con il cuore che gli doleva si avvicinò a lui. Lo strinse da dietro la schiena, forte, come potesse perderlo da un momento all’altro.
Yamato si accasciò in due, disperato, le lacrime gli tranciavano le guance.
 
Era finito.
 
Era un uomo finito.
 
La sua vita era finita.
 
Suo fratello, la band, Sora... non gli era rimasto più niente...
 
Niente.
 
Taichi lo strinse ancora di più e poggiò la testa sopra la sua schiena. Sentì gli spasmi di dolore e i singhiozzi attraverso la sua pelle.
Chiuse gli occhi e rimasero in quel modo per del tempo che sembrò un’eternità.
 
Niente.
 
Non era rimasto che niente.
 
 
 
Solo un triste, crudele, nefasto silenzio.

















   
 
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