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Autore: LatazzadiTea    25/02/2021    4 recensioni
Dal testo: Violet era la persona più sola che avesse mai conosciuto, per questo andava protetta. Invece, accecato dalla propria arroganza Dietfried l'aveva presa e strappata alla sua terra, pagando quella scelta disumana con la vita dei suoi uomini. Così, comprendendo solo troppo tardi la gravità di quell'errore, al fratello non era rimasto altro che sbarazzarsene.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claudia Hodgins, Dietfried Bougainvillea, Gilbert Bougainvillea, Violet Evergarden
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cap. 14

Cosa resta del passato?

 

"Non posso accettare un altro lavoro, non prima d'aver terminato quello per la Signora Bougainvillea", volle chiarire Violet.

"Sei al corrente dei suoi problemi di salute, vero?", replicò con dispiacere Hodgins.

"Certamente. La Signora è stata molto chiara riguardo alla precarietà del suo stato, proprio per questo devo finire ciò che ho iniziato, direttore. Sono stata imperdonabile a lasciarla a quel modo, per non parlare del fatto che fuggendo da quella casa come una ladra, ho messo in imbarazzo lei e la società che rappresenta... Sono venuta meno al mio dovere di Bambola, e devo rimediare...", ci tenne a precisare Violet, decisa ad andare fino in fondo.

Claudia Hodgins sospirò, incrociando le braccia con disappunto di fronte a quel nuovo aspetto del carattere di Violet. La giovane era innegabilmente maturata negli anni, ma una tale ostinazione era qualcosa di nuovo per lui. Era tornata a notte fonda, ma non si era mai scusata per quel ritardo malgrado lui si fosse raccomandato di non farlo. Hodgins sbuffò, incapace di reprimere i pensieri negativi che lo affliggevano da quando aveva saputo di lei e Dietfried, tenendo conto che una cosa del genere non sarebbe mai accaduta in passato. Fino a poco tempo prima Violet avrebbe rispettando ogni sua decisione, mentre ora, ribatteva impuntandosi sulle proprie scelte con una risolutezza tale da fare impallidire anche la più testarda delle sue giovani colleghe. Solo dopo averla vista in compagnia di Gilbert - che a dispetto della loro amicizia restava sempre un uomo - aveva realizzato di non essere più in presenza della bambina che aveva aiutato, ma della donna che Violet era diventata.

Ciò nonostante, Claudia si era ugualmente impensierito, preoccupandosi. Chiedendosi come solo un bravo padre avrebbe fatto perché lei non fosse felice. Hodgins si sentì defraudato al pensiero che la ragazzina di cui si era occupato per anni come una filgia fosse cresciuta al punto di essersi innamorata di qualcuno. Violet aveva finalmente compreso il significato della parola "Ti amo", peccato che quella ritrovata consapevolezza fosse rivolta alla persona sbagliata, si disse. La vecchia Violet era scomparsa ormai, doveva farsene una ragione o sarebbe impazzito. Tanto più che lei stava insistendo proprio per riuscire a incontrare nuovamente quella persona, pensò.

"Beh, questo lavoro dovrai accettarlo, perché è proprio la signora Bougainvillea la tua cliente; andrai da lei domani a pranzo...  Visto che è ciò che desideri, non ti fermerò, ma se è solo per rivedere quell'uomo che fai tutto questo, sappi che non lo troverai alla Villa...", la informò Claudia.

Violet lo guardò restando un attimo in silenzio. Da quando il Sig.Hodgins sapeva di lei e Dietfried? Cattleya aveva intuito perché era una donna, ma lui, come lo aveva saputo?

"Allora chiederò alla Signora di dirmi dov'è... E se non lo farà, andrò all'Ammiragliato o a un altro dei suoi innumerevoli indirizzi per trovarlo. Sia chiaro che non permetterò più a nessuno di dirmi cosa devo fare della mia vita, mai più! Sono stata chiara?", s'infervorì Violet, arrossendo vistosamente.

"Cristallina! Ma non è prendendotela con me che risolverai tutti i tuoi problemi, Violet. Ecco, non avrai bisogno di mettere a soqquadro la città o di farti arrestare se lo cerchi qui: aspetta, ti scrivo l'indirizzo", la bloccò Hodgins, mettendosi seriamente a rovistare fra i suoi contatti.

"Direttore, lei...", balbettò Violet confusa.

"Non sono cieco, Violet... Quella notte mi è stato tutto molto chiaro credimi, ad ogni modo, adesso vai. Ma non fare di nuovo tardi domani sera, o dovrò mandar via un altro cliente", si lasciò scappar detto Claudia, per nulla felice di quello che aveva fatto.




Un'ora e mezza dopo, Violet si fermò ad ammirare l'imponente palazzo di proprietà dei Bouigainvillea, che si ergeva sopra tutti gli altri nel pieno centro della città. L'edificio ospitava diverse unità famigliari notò, dando un'occhiata veloce alla pulsantiera di ottone che spiccava sulla cornice di marmo che ne abbelliva la foggia antica e suggestiva. Il foglietto con sopra scritto l'indirizzo di quel luogo sfarfallò a un violento capriccio del vento, che per poco non glielo strappo dalle dita tanto era presa dai suoi pensieri.

"Violet...", la chiamò qualcuno.

Il tono sorpreso nella voce di Dietfried la scosse dall'improvviso torpore che per qualche istante le aveva impedito di muoversi. Nonostante il cuore avesse preso a battere all'impazzata alla sola vista dell'uomo, Violet si impose di mantenere il più rigoroso controllo, visto che si trovavano ancora in mezzo alla strada. Lui era appena sceso dall'elegante berlina di proprietà della marina e indossava ancora la sua candida uniforme bianca coi gradi da Capitano: l'unica emozione che poteva permettersi di mostrargli era una fredda e cordiale accoglienza malgrado fosse palese che desiderasse disperatamente fare ben altro. Ma trattenersi dal gettarglisi al collo era faticoso già di per se, figurarsi riuscire a sostenere il suo sguardo e recitare quella parte ancora per molto, si disse Violet, sforzandosi di accennargli almeno un sorriso.

Fu invece Dietfried a toglierla dall'imbarazzo agendo d'istinto: gli bastarono un paio di falcate per avvicinarsi tanto da afferrarle la mano e trascinarsela dietro. Persino il portiere li ignorò quando entrarono di gran carriera all'interno del palazzo, mentre Dietfried la accompagnava verso l'ascensore che li avrebbe portati entrambi al sesto e ultimo piano. Erano rimasti in silenzio per tutto il tempo: l'unica cosa che sentiva era la stretta vigorosa con cui Dietfried le teneva la mano. Quando entrarono nell'appartamento - che aveva tutta l'aria di un rifugio per scapoli impenitenti - Violet si trovò al buio finché Dietfried non scostò le tende e arieggiò, aprendo le grandi portefinestre che davano sul terrazzo. Erano solo le cinque del pomeriggio e il sole splendeva ancora alto nel cielo, ma sembrava che una grossa nube scura li avesse inseguiti per tutto il pomeriggio quando un'insolita corrente d'aria fredda li investì entrambi, facendoli rabbrividire.

Per un istante rimasero come sospesi l'uno di fronte all'altra, poi Dietfried affrettò il passo dirigendosi verso il grande camino che spiccava al centro della stanza per accendere il fuoco. Violet alzò lentamente lo sguardo su di lui, e quando la fiamma prese vigore, scoppiettando alle sue spalle, la luce calda e rossastra creò un'ombra sul suo viso.

"Come hai fatto a trovarmi?", l'aggredì improvvisamente lui.

"È stato il Sig.Hodgins a darmi l'indirizzo", ammise Violet, rattristata da quella dura reazione.

"Mi spiace, ma è stato uno sbaglio venire!", fu categorico Dietfried.

"Lo so, ma avevo bisogno di vederla un'ultima volta prima di dirle addio, visto che è ciò che desidera...", insistette Violet.

"Perciò, hai letto la mia lettera", ne concluse Dietfried.

"Sì, e l'ho trovata bellissima", sospirò lei, senza tuttavia riuscire a dirgli che lo amava.

"Perdonami se ti ho messa in una posizione così difficile Violet, forse, non avrei mai dovuto scriverla...", rifletté Dietfried.

"Non deve scusarsi, perché nonostante le sue parole, io continuo a non aspettarmi niente da lei", cercò di tranquillizzarlo Violet, pur tremando.

"Davvero? Se fosse così non saresti venuta a cercarmi. Non dopo averti chiaramente suggerito di non farlo in quella stramaledetta lettera... Sbrigati a dirmi cosa vuoi veramente Violet, ma soprattutto, smetti di mentirmi per favore...", reagì malamente Dietfried, slacciandosi nervosamente il colletto della giacca militare.

"Non le sto mentendo, io... Io la amo, maledizione! Per questo sono venuta, oltre che per metterla al corrente che smetterò di mettermi in mezzo, se necessario...", trovò il coraggio di dirgli Violet.

Non sapeva dove avesse trovato la forza per ammettere i propri pensieri, l'unica certezza che aveva in quel momento era che sarebbe esplosa se non lo avesse fatto. Come se tutti quei sentimenti inespressi le premessero il petto in cerca di una via d'uscita, lei era stata incapace di trattenerli. O più semplicemente di gestirli, si disse, non come una qualsiasi altra donna avrebbe fatto al suo posto.

"Violet: non sei tu il terzo incomodo qui, lo capisci? Sei davvero incredibile, sai? Davvero incredibile...", ripeté ancora una volta Dietfried, ridendo amaramente.

A quel punto, in preda a una risata quasi isterica l'uomo si era coperto il viso con le mani, più per nascondere una lacrima caduta che una risata, pensò Violet, anche se le ci volle più di un attimo per dare un senso reale a quella reazione. Dietfried si era poi stancamente appoggiato di peso alla parete: sembrava sfinito, come se non mangiasse e non dormisse da giorni. Aveva abbandonato se stesso contro quel muro, incurvando le spalle con le lunghe leve a piegarsi, quasi non riuscissero più a sostenere il peso di quel corpo vigoroso. Aveva saputo della madre? Era quasi certo, altrimenti non avrebbe agito come un pazzo nel vederla, arrivò a concludere Violet. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che Dietfried era solito nascondere il dolore che sentiva con la rabbia, per questo rimase a distanza, scegliendo di non avvicinarsi e di non toccarlo finché non si fosse ripreso.

Le bastarono pochi passi per avvicinarglisi poi, ma solo quando lo guardò nuovamente in faccia Violet sentì che l'uomo di cui si era follemente innamorata era tornato. Infatti, quando un'ulteriore folata di vento le spettinò i capelli Dietfried glieli accarezzò, finendo inevitabilmente per baciarli. Violet cercò di capire come reagire di fronte a qualcosa di così profondamente intimo, tanto che a certo punto, fu lei ad aiutarlo a scioglierglieli sulle spalle. Dietfried si ritrovò così, una massa di onde dorate dai riflessi argentei fra le mani. Da quando aveva cambiato acconciatura, si era stupidamente chiesto alla fine. Notando che Violet aveva finalmente abbandonato quelle trecce infantili per qualcosa di più adatto a una ragazza della sua età.

"Adoro i tuoi capelli: sanno sempre di buono... Che profumo è?", le aveva istintivamente chiesto lui, mentre lei lo fissava stupita.

Sul serio voleva parlare dei suoi capelli in quel momento? Aveva dovuto far fondo a tutto il suo coraggio per dirgli che lo amava e decidere di incontrarlo, e lui che faceva, le chiedeva del suo profumo? Per non parlare del piccolo battibecco avvenuto poco prima, dove lui aveva saputo mostrare tutta la sgradevolezza di cui era capace senza nemmeno impegnarsi.

"Non lo so', io, non ho mai badato a queste cose...", aveva esordito ingenuamente lei, tremendamente in imbarazzo.

Riflettendoci, Violet capì che non era esattamente quello a cui l'uomo era veramente interessato quando le sfiorò prima la fronte poi la punta del naso con le labbra, passando direttamente a impossessarsi della sua bocca senza dargli la minima speranza di lasciarla respirare come avrebbe sperato. Violet dovette protendersi totalmente verso di lui mentre Dietfried la baciava, sentendosi le punte dei piedi quasi staccarsi da terra per via della sua altezza. Una donna poteva perdere totalmente il senno in una situazione simile, pensò lei, aggrappandosi istintivamente al tessuto candido della sua uniforme militare. Dietfried fece una smorfia sofferente solo a quel punto, facendole capire che gli aveva involontariamente sfiorato la ferita da proiettile che i ribelli gli avevano inferto la notte dell'attentato.

"Non è ancora guarita?", si stranì lei, ansimando.

"No, ma è sulla buona strada...", le confessò Dietfried, mordendole coi denti il labbro inferiore della bocca.

"Potevate rimanere ucciso...", aggiunse Violet, guardandolo dritto negli occhi dopo quel gesto tanto possessivo.

Già, sarebbe potuto morire quella notte, e lei non avrebbe più potuto stringerlo fra le braccia e dirgli che si sarebbe sentita persa senza di lui. A quel pensiero, Violet abbassò d'improvviso lo sguardo: conosceva fin troppo bene quella sensazione.

"Grazie a Dio c'eri tu a proteggermi!", cercò di sdrammatizzare lui, anche se alla fine era vero.

Violet aveva neutralizzato il rivoluzionario Gardarik senza battere ciglio, gettandosi nella lotta col rischio di rimetterci la vita pur di difenderlo. Aveva agito senza minimamente pensare alle conseguenze, e per un momento, quella sera gli era sembrato di rivedere in lei la stessa ragazzina che si era accanita contro di lui e i suoi uomini. Violet non poteva sapere quanto l'avesse odiata al tempo, forse, si disse Dietfried, l'aveva fatto con la stessa intensità con cui l'amava adesso. La stessa bambina che aveva consegnato a Gilbert perché lo proteggesse dalla morte, se ne stava lì adesso, a guardarlo con gli stessi magnifici occhi azzurri di allora. Forse ancora in cerca di una risposta, che probabilmente, non sarebbe mai riuscito a darle.

Dietfried notò la timida occhiata che Violet lanciò al divano alle loro spalle, capendo immediatamente che non desiderasse altro che sedercisi. Non sapeva come lo avesse raggiunto, ma se era arrivata fino in centro città a piedi, era più che normale che fosse stanca.

"Certa di non volere proprio niente da me? Neanche adesso?", le domandò maliziosamente lui, aggrottando appena la sopracciglia.

Violet sentì il cuore pomparle più forte il sangue nelle vene: doveva essere arrossita fino alla punta dei capelli dopo aver sentito quelle parole. Era andata da lui perché l'idea di non vederlo mai più le era insopportabile: perché ne aveva bisogno come l'aria, come il cibo e come l'acqua, e questo perché lo amava come solo una donna poteva amare il proprio uomo. Avrebbe tenuto Gilbert nel suo cuore per sempre, pensò, mentre Dietfried la baciava ancora. Il Maggiore sarebbe rimasto con lei, e anche se non nel modo in cui lui desiderava, l'avrebbe cullato nella sua mente e nella sua anima. Custodendolo come aveva fatto con la sua spilla, mentre se la sfilava dal collo per riuscire a sbottonarsi il colletto della camicetta che indossava.

Dietfried la condusse finalmente sul divano, sedendosi con lei in grembo di fronte al fuoco. Le mani di Violet gli cingevano la nuca, con le dita affondate fra i suoi capelli scuri a cercare di disciogliere la lunga treccia con cui era solito legarli. Non volevano più confini a separarli, più reticolati di filo spinato o muri alzati a dividerli. Quella guerra era finita da tempo, e quando lo sentì sopra di lei, Violet pianse, toccando e baciando il suo corpo nell'ultimo tentativo di placare quella sete bruciante e saziarne la fame. Perché aveva bisogno di respirare la sua stessa aria ancora una volta: una prima, una seconda e una terza, e un'infinità di altre volte ancora. Quella sconvolgente verità spense in via definitiva l'ultimo barlume di ragione e lucidità che le restava, soprattutto quando vide il verde dei suoi occhi brillare della stessa luce infuocata che ardeva tra le fiamme del camino.

Quando rimase soltanto l'affanno dei loro respiri a inondare la stanza, Violet udì in lontananza la sirena di una nave che partiva. Quel suono le ricordò che erano vicinissimi al mare, che invidioso della passione che si stava consumando fra quelle quattro mura, coi suoi rumori e i suoi profumi sembrava volerli distrarre. Inarcandosi lentamente sotto di lui, Violet non gli diede retta, e pronta finalmente ad accoglierlo si perse a guardarlo: un uomo bellissimo e perfetto, sul cui petto ampio e muscoloso correva il solco frastagliato e biancastro di una cicatrice che gli segnava la pelle lungo tutta la clavicola. Anche se l'aveva già notata in precedenza, Violet si chiese se era stata lei a fargliela. Per tutta risposta ebbe una visione vivida di quell'istante, mentre il sangue fresco gli schizzava fuori dalla ferita macchiandogli la divisa candida. Il mondo reale era ancora la fuori, pensò Violet, costringendosi ad aprire gli occhi di fronte alle conseguenza di quello che stava facendo. Ogni cosa era pronta a ricordarle che per quanto lo desiderassero, lei e Dietfried non erano i soli esseri umani rimasti al mondo. Lui che si era dimostrato più saggio di lei in quel frangente, decidendo di fermarsi e non spingersi oltre, benché all'inizio le fosse sembrato che avesse perso totalmente impazzito fra le sue braccia.

"Scusami io... non capisco cosa mi stia succedendo... sono proprio ridicola...", singhiozzò Violet.

"Non sei ridicola... E non voglio che ti scusi o che ti senta in colpa per questo: ti sei solo difesa, ecco tutto...", la consolò Dietfried, prendendole una mano in modo che lei potesse toccargli la cicatrice con le dita.

Coi suoi polpastrelli di metallo Violet non poteva più percepire il calore, né la setosa morbidezza della pelle di qualcuno, eppure, in quel momento le parve di poterci riuscire. Così, facendosi coraggio lo guardò ancora una volta negli occhi, scegliendo di lasciarsi tacitamente trasportare fino in camera da letto. Lo amava, e per lui era lo stesso, e nulla di ciò ch'era appartenuto al passato l'avrebbe cambiato.



 
   
 
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