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Autore: Clodie Swan    26/02/2021    3 recensioni
“Noi non siamo i nostri genitori. Non siamo le nostre famiglie.” le disse con un tono dolce guardandola intensamente. Le sue parole la calmarono subito e annuì con un piccolo sospiro.
“E poi...” cominciò Jughead lasciando subito la frase in sospeso.
Non era da lui balbettare o restare a corto di parole. Betty ne fu sorpresa e lo guardò interrogativa.
Jughead esitò trattenendo il fiato per un istante.
“Cosa?” chiese lei incoraggiandolo con lo sguardo curioso.
Negli occhi di lui vide un lampo di risolutezza e sentì le sue mani sul viso. Un attimo dopo la stava baciando.
Betty e Jughead: due diverse solitudini che si sono trovate. Cosa hanno provato i due ragazzi prima di quel bacio inaspettato?
Scritta in collaborazione con Daffodil.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

Scars

We lived through scars this time
But I've made up my mind
We can't leave us behind anymore

Your hands are cold,
Your lips are turning blue, you're shaking
This fragile heart,
So heavy in my chest, it's breaking
And in the dark, you try to make a pay phone call to me

                                                                            James Bay



POV Betty di Clodie Swan

Il giorno seguente, riesaminare le prove che avevano in mano fu alquanto penoso. Betty si accorse con sgomento che gli indizi raccolti fino a quel momento puntavano contro suo padre: la sorella sparita all’improvviso, i genitori che si erano rifiutati di entrare nei dettagli, la vecchia faida familiare tra Blossom e Cooper, il fidanzamento segreto tra Polly e Jason. E infine un nuovo dettaglio che le balenò in mente. “Jughead, la persona che ha rubato i documenti dello sceriffo, non era al drive – in quella sera. E mio padre non c’era. Non so nemmeno dove fosse.”

Jughead aveva condiviso i suoi sospetti e aveva scritto il nome dei Cooper su un foglietto destinato alla bacheca. Lo aveva posato nelle sue mani lasciando a lei la scelta se appenderlo o no. Betty fu grata per i modi delicati di Jughead, per la sua silenziosa comprensione, e ancora una volta fu fiera di averlo coinvolto. Finalmente si decise e appese il nome della sua famiglia insieme agli altri sospettati. Voleva sapere la verità, a qualsiasi costo.

“Dobbiamo parlare con Polly.” osservò Jughead. Betty annuì e abbassò lo sguardo sulla sua maglietta celeste. Era stata sua sorella a regalargliela. Il corpetto era in tessuto mentre le maniche corte e la scollatura erano in pizzo e le disegnava una scollatura a cuore. “Ti sta benissimo, Betty” le aveva detto Polly. “Se Archie non riesce a vedere quanto sei bella, lascialo perdere. Il ragazzo giusto un giorno ti guarderà adorante...” Betty arrossiva quando le diceva certe cose. Aveva davvero bisogno di rivedere sua sorella, non solo per sapere la verità, ma perché le mancava tanto. Sua madre le aveva ripetuto che non era possibile parlare con lei per non turbarla, finché non si fosse ristabilita. Ma era vero?

“Dobbiamo scoprire dove l’hanno mandata i miei genitori. E mi servirà il tuo aiuto, Juggie.” propose Betty risoluta.

“Ma certo, conta pure su di me.” rispose lui senza esitare. Betty gli sorrise riconoscente.

“Domani mattina, verrai a colazione a casa mia. Tu mi aiuterai a distrarre mia madre. Fingerai di andare in bagno o qualcosa del genere. Io fingerò di mostrarti dove si trova e vedrai che insisterà per accompagnarti di persona. Non mi lascerebbe mai sola con un ragazzo per cinque minuti. Pensa che siano tutti dei maniaci sessuali...” Jughead ridacchiò rosso in viso.

“Ed in quei cinque minuti, frugherò nella sua borsa. Lì tiene tutto: l’agenda, il libretto degli assegni. Di sicuro ci sarà il nome della clinica o dell’istituto dove hanno fatto internare Polly.” Internare. Quella parola le diede i brividi.

“Non si accorgerà se manca qualcosa?” chiese Jughead perplesso.

“Non porterò via nulla: fotograferò tutto con il cellulare. Ho fatto lo stesso trucchetto a Los Angeles.” spiegò orgogliosa Betty . “Una collega invidiosa mi ha fatto sparire un articolo per ripicca. Ma io ho fotografato il suo badge con la sua password per entrare nel sistema e l’ho beccata.”

“Caspita! Quante cose hai imparato in quello stage?” commentò lui ammirato.

Betty rise. Il suo umore migliorava sempre quando Jughead era nei paraggi.


POV JUGHEAD di Daffodil

Era lì, da quasi dieci minuti ma non aveva ancora avuto il coraggio di suonare il campanello. Alice Cooper lo aveva sempre messo in ansia e nei suoi grandi occhi non aveva mai visto un accenno di comprensione, di fiducia, di rispetto. Era come se lo ritenesse colpevole di qualcosa di enorme, ma lui non aveva mai fatto nulla, almeno consapevolmente.
Trasse un profondo respiro e prese il telefono dalla tasca dei jeans: “Se tua mamma mi mangia vivo, sappi che ti volevo bene!” Lo inviò nell’istante in cui le sue nocche si abbatterono sul legno verniciato di rosso.
Appena la vide sulle scale, con quel sorriso dolce, capì che aveva letto il suo messaggio e che mentalmente gli stava comunicando il suo sostegno. Sapeva di avere gli occhi a forma di cuore: lei era veramente stupenda, sia per i vestiti che le accarezzavano il corpo come una seconda pelle, sia per quella determinazione che l’avvolgeva.

“Il Mastino” aveva provato a fargli qualche domanda, aveva fatto non poche insinuazioni e lo aveva praticamente vivisezionato, provocandogli un brivido e la chiusura ermetica dello stomaco, a stento stava riuscendo a buttare giù un po’ di succo di frutta. Betty aveva cercato di difenderlo e rispondere con lo stesso cipiglio, ma sembrava che alla donna scorresse tutto addosso.
Il più gentilmente possibile, nascondendo il disagio, dopo un ultimo scambio di sguardi chiese: “Scusate, potrei usare il bagno?” Come aveva previsto Betty si era trovato a seguire il maglioncino violetto e la permanente fresca di Alice Cooper. La madre di Betty aveva un fastidioso odore dolciastro addosso, molto marcato.
“Ascoltami Jones, smettila di ronzare intorno a mia figlia!” esordì la donna bruscamente “Vi conosco anche troppo bene. Non ti voglio più vedere, chiaro?” Si era fermato giusto in tempo prima di sbatterle contro e l’indice puntato contro il suo naso lo fece inghiottire a vuoto.
“Siamo solo colleghi al giornale… e amici da quando eravamo bambini.” Non era un grande attore ma sperava di essere sufficientemente convincente. Non aveva nessuna intenzione di farsi intimidire, o peggio, farsi portar via la sua luce da quella strega incattivita dalla vita.
Alice gli aprì la porta senza battere ciglio, e tirò un sospiro quando sentì i suoi tacchi che giravano sul pavimento di tek per tornare verso la sala da pranzo. Gli era arrivato un messaggio da Betty, una manina con il pollice alzato e uno smile con gli occhietti a stella.
Si sciacquò le mani, solo per poter sentire l’acqua e tornò indietro.

Quella mattina il cielo era coperto di nuvole grigio chiaro e tutta l’atmosfera sembrava ancora più pressante, era quasi difficile trarre un semplice respiro.
Lasciarono la villetta quasi in silenzio e camminarono veloci vicini ma senza sfiorarsi fino all’angolo in fondo alla strada, quando lei gli prese la mano e lo fissò.
“Lo so, mia madre è pazza. Non farci eccessivo caso, ok?” Betty aveva i palmi ampi ma le dita erano piccole e sottili. Quella mattina le unghie erano di delizioso color ciliegia e quel contatto gli provocò un brivido perché la differenza tra di loro era eclatante: le sue mani erano ghiacciate, quelle di lei bollenti.
Se lei faceva un pugno, lui poteva avvolgerlo completamente. Quella era solo l’ennesima cosa che odiava di se stesso, gli erano sempre parse così tremendamente sgraziate.

Oltrepassarono il portone della scuola e lui le mostrò la scorciatoia che usava per arrivare direttamente in redazione.
Betty si tolse il trench grigio e il golfino bianco, rimanendo solo con una canottiera di raso color ambra. Le spalline sottili solcavano la sua pelle chiara, andando a incrociarsi sulla schiena… la stoffa accarezzava le curve, marcandole e costringendo i suoi occhi a non staccarsi dal dall’accenno di pizzo del reggiseno o dalla scollatura.
“Le Suore della Mansueta Provvidenza”... Inghiottì a vuoto quando lei gli si mise alle spalle per poter leggere i risultati della ricerca al PC. Sentiva il suo fiato sul collo, gli aveva sfiorato le spalle e non voleva sapere esattamente quale parte del corpo di lei era entrato in contatto con il suo, anche se aveva un’idea piuttosto precisa.

“Povera Polly...” sussurrò addolorata Betty. Ascoltare quel tono affranto fu un pugno nello stomaco.

Quella era la mattina più orrenda dell’intero orario scolastico perché non avevano nemmeno un corso insieme, la vide allontanarsi da lui lentamente e con le spalle curve. Gli aveva rivolto un sorriso che non aveva raggiunto gli occhi e lasciato con il solito bacio sulla guancia ma non c’era lo stesso calore.
“Ci vediamo in giardino a pranzo.” Il professore stava parlando di logaritmi ed esponenziali e lui era totalmente perso. Affianco a lui Archie continuava a emettere gemiti e sospiri ma in quel momento non gliene importava molto. La campanella segnò l’ultima ora di tortura… forse sarebbe sopravvissuto.
I minuti sull’orologio alle spalle della cattedra passavano con una lentezza assurda e lui stava perdendo la pazienza. Solitamente partecipava a letteratura, forse era l’unica occasione in cui si sentiva la sua voce rimbalzare nell’aula. In quei giorni parlavano di Hemingway e a lui piaceva tanto, sapeva anche alcuni passaggi a memoria e spesso si trovava in mano quei romanzi così evocativi… c’era una frase, sempre riportata sul retro di copertina del suo quaderno degli appunti: “Tutte le cose veramente malvagie nascono da un atto innocente” e in quel momento l’insegnante parlava proprio di Festa Mobile ma lui voleva solo che smettesse e li lasciasse uscire.

Il sole tiepido e pallido accarezzava il volto di Betty, dando una luce speciale alla sua pelle, le punte della coda si muovevano alla leggera brezza. Erano seduti uno accanto all’altro, le loro iridi erano connesse tra di loro ed era palese che ardevano di una nuova energia.
“Di che state parlando? Posso fare qualcosa?” Prima di rispondere ad Archie finì di inghiottire le tortillas che aveva preso in mensa. Avrebbe mangiato un bisonte da quanto era nervoso perché non aveva idea di cosa aspettarsi dal discorso che stavano facendo.

“Quella che rischiamo, è un’operazione invisibile, Archie. Se ci andiamo con tutta la gang di Scooby, addio invisibilità…” Aveva perfettamente colto lo sguardo del suo migliore amico. Aveva percepito chiaramente il sospetto per quella vicinanza, ultimamente gli aveva chiesto troppe volte cosa facesse con Betty e perché, e non ci voleva un genio a capire che al rosso dava fastidio, anche se era conteso tra Veronica e Valerie. Per fortuna la biondina portò l’attenzione su un altro argomento… lanciandogli però uno sguardo di sottecchi.

Non gli piaceva avere in giro tutta quella gente ma la coscia di lei premuta contro la sua era una più che valida ricompensa per sopportare il mondo esterno, almeno fino a che non si trovarono di nuovo da soli su Main Street.
Lei al chioschetto prese due caffè e due ciambelle e imboccarono la strada verso casa.
“Allora domani mattina ci vediamo alla stazione dei pullman?” Betty gli rivolse quel sorriso che gli faceva fermare il cuore. Porca puttana invece che passargli, ogni giorno quella cotta diventava sempre più ingestibile.
“Sei sicura Betty?” chiese nascondendosi dietro alla tazza.
“Assolutamente. Voglio vedere Polly!!” Il tono non trasmetteva insicurezza. E poteva anche capirla, non passava giorno senza che provasse una bruciante nostalgia per sua sorella.
“Ok, come vuoi tu. Ti passo a prendere?” il famoso filtro… si stava mettendo nei pasticci da solo...
“Ci vediamo direttamente alla stazione, ma ti mando un messaggio. Devo prima affrontare il post colazione…” e gli scoccò un’altra occhiata eloquente.

Gli scappò una sonora risata. Ormai era quasi buio, la salutò ai tre gradini di pietra che portavano al giardino davanti alla villetta… la seguì con gli occhi finché lei dopo un ultimo sorriso non scomparve dentro casa.
Sospirò, lo aspettavano uno sgabuzzino nel sottoscala e un sacco a pelo, ma non aveva trovato di meglio, la sola cosa che gli rischiarava la serata era l’attesa del messaggio promesso.

  
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