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Autore: Mordekai    26/02/2021    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Otto Stelle. Otto Divinità.
Maeris, la Creatrice li riunì al suo cospetto. Consentì loro di creare un corpo d’armata da poter unire alla Grande Stella, l’esercito principale. Ognuna di queste otto divinità era seduta sul proprio trono, ricavato da lune defunte e unite con il cuore pulsante di corpi celesti incandescenti dalle tonalità più strane e che risplendevano alla luce dei loro proprietari.
Codesti Esseri Supremi crearono il loro proprio cavaliere che avrebbe dato vita ad altre sue copie così da poter raggiungere il numero prestabilito. Amarysso, la più anziana per nascita, creò un cavaliere modellando usando le lingue di fuoco del trono e il suo soffio freddo dando vita ad una creatura impossibile da sconfiggere e capace di bruciare il nemico son un semplice tocco.

Porfyrios, il dio dagli occhi violacei, creò un gigante usando la polvere stellare che emanavano i suoi occhi ciechi. L’energia confluiva nel petto, così da poter guidare la sua creazione in guerra senza sforzarsi.

Ceallach, il dio della guerra brandì la sua migliore ascia e la tramutò in una bestia di legno e metallo, dalla testa simile a quella di un rettile munito di corna taglienti in grado di tranciare e mutilare.

Kreine dea regina degli astri lontani, Tamhuras il dio della forza e Muirgen il dio degli oceani usarono rispettivamente una stella antica, icore e un artefatto ricavato da un corallo nero. Nacque un possente essere dalla corazza nera lucente con venature rosso vivo e al centro centinaia di stelle minuscole che gli donavano fierezza.

Steinär il dio delle montagne, usò un miscuglio ricavato dalle fornaci dei Nani del Ferro e di Legnoscuro, unendoli a della zoisite dando vita ad una belva simile ad un armadillo con scaglie di forma romboidale dal colore smeraldino ma infrangibili.

Ifheia la dea della conquista usò il suo fedele corno da battaglia per far nascere un araldo che avrebbe infuso coraggio e spirito da duellante nei vari eserciti usando la parola e la spada. Una particolare caratteristica fu la pelle marmorea con venature bordeaux, come se fosse sangue.

Luqnera la dea dell’Autunno fu l’ultima a creare il suo accolito servitore. Prese un pezzo di legno pietrificato e lo poggiò sul tavolo, recuperò una piccola ciotola e mescolò polvere di stelle, icore e un seme coperto di spine arcuate. Quando il contenuto della ciotola assunse un colore indefinito, lo versò sul legno pietrificato: diversi sfrigolii e scoppiettii si udirono dapprima poi l’intero oggetto iniziò a vibrare e ad assumere una forma corporea. Diede vita ad una creatura lignea, ricoperta di rovi dal fusto spesso e dalle spine grosse quanto un mignolo. Chiese, per ultimo, una lingua di fuoco derivante dal cuore della Creatrice per donare lui immenso vigore.
Questi otto cavalieri si moltiplicarono, raggiungendo quarantamila unità per ognuna. Trecentoventimila soldati celesti che si unirono alla Grande Stella, generando una vasta legione pronta ad estirpare la piaga dei Rovi Neri ormai fuori controllo e centinaia di piccoli regni alla loro mercé. La Dea del Cosmo Eshreal diede loro la Benedizione Antica, seppur ancora amareggiata e irosa per l’umiliazione subita.

‘’Trecentoventimila piccoli soldati pronti ad essere schiacciati come vermi!’’- tuonarono codeste parole alle loro spalle. Fratelli non di sangue ma d’arme, uniti da un solo obiettivo: ricostruire la natura.

Sehher il dio delle Ombre e dell’Abisso ed Eledros dio caotico, bramavano il sangue. La morte.
 
Apocrifi del Recluso; La Grande Guerra dei Tre Rovi.





Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle, prigioni. Estate, sera.

Quando la meravigliosa Luna, amante quasi irraggiungibile della Terra, splendeva luminosa sul regno dipingendo di un candido bianco pallido i tetti delle case, del palazzo e dei prati circostanti. Arilyn continuava a chiedersi il perché l’unico prigioniero dei Rovi Bianchi volesse parlare con lei. Era così presa dai suoi pensieri che non si rese conto di essere ormai giunta nella prigione:

‘’Sei sonnambula, Thandulircath? Sbrigati a parlare con il prigioniero.’’- disse la donna dalla cicatrice argentea che la stava scortando. Sulle pareti ricoperte di ragnatele ed umidità vi erano piccoli candelabri da parete che illuminavano, seppur con luce soffusa, l’intero corridoio colmo di piccole pozze d’acqua stagnante. Quando la donna con lo sfregio sulla spalla colpì le sbarre dell’unica cella ancora occupata, la persona al suo interno sobbalzò spaventato: il volto era ricoperto di tumefazioni violacee, il labbro inferiore spaccato, le spalle ricoperte di lividi grossi quanto una palla di cannone. Ciò che però lasciò Arilyn turbata furono le fasciature insanguinate che sostituivano le sue mani, intrise di una strana sostanza gialla ambrata molto densa. Una volta entrata, il prigioniero a stento riuscì a sorridere per le contusioni riportate:

‘’Il mio aspetto non è uno dei migliori. E questi moncherini sono la testimonianza della mia punizione. Meglio questo che morire.’’- disse il ragazzo, tossendo e paralizzandosi più volte per i dolori lancinanti che il suo corpo pativa.

‘’Come ti chiami ragazzo? E perché volevi parlare solo con me?’’- chiese Arilyn, prendendo il sacchetto con erbe medicinali e dandole al ragazzo.

‘’Mi chiamo Falko Eulisses, recluta dell’esercito dei Rovi Bianchi. Gradivo la vostra presenza perché dimostrate ancora umanità e perché il mio regno sta progettando di conquistare punti strategici vicino i vostri avamposti per circondarvi.’’- rispose Falko, tentando di dimostrarlo con quello che poteva nella sua cella. La poca fanghiglia, mista ad acqua e ciottoli, dimostrò il piano d’attacco. La giovane Thandulircath lesse nei suoi occhi la verità e ricopiò come meglio poté quello schema.

‘’Come farai per…loro?’’- chiese la ragazza indicando le fasciature. Falko sorrise e rispose che il fabbro si sarebbe occupato di creargli delle protesi mobili grazie ai muscoli ancora integri.

‘’Il tempo delle visite è finito! Tu, sacco di vermi, vai a dormire.’’- ruggì la donna dallo sfregio sulla spalla, invitando frettolosamente Arilyn ad uscire, provocando amarezza nel prigioniero e disappunto nella Thandulircath che socchiuse gli occhi sentendo quell’insulto gratuito. Prima di raggiungere la piattaforma mobile e tornare in superficie, Arilyn si parò davanti alla donna muscolosa; piccole scintille dorate sprizzavano dai suoi occhi smeraldo e avvertiva lo stesso formicolio accompagnato da un intenso calore.

‘’Mi spieghi perché hai dovuto massacrarlo in quel modo? Non ha alcuna colpa se non esser stato costretto ad unirsi ad una guerra non sua.’’

‘’Meritava di patire le stesse sofferenze dei nostri soldati. Lui, così come molti altri, è solo un sacco di vermi. Meschino e doppiogiochista. Con quell’insulso modellino di fango, pensi vivamente che io gli creda? No. Per me può anche marcire qui, non sarà di certo una ragazza speciale a farmi cambiare idea.’’- replicò con un ghigno rabbioso la donna.

‘’Sei così barbara perché anche tu con il fardello del passato? Per questo ti sei provocata quella cicatrice così appariscente?’’- domandò impulsivamente Arilyn. Istintivamente si spostò di lato evitando un violento gancio destro che andò ad impattare su un mattone già danneggiato, esplodendo in mille frammenti. Si mise sulla difensiva, brandendo subito la spada che si accese illuminando tutta la prigione. L’energumena aveva gli occhi iniettati di sangue, le vene sui possenti muscoli sembravano vibrare e gonfiarsi ad ogni sbatter di ciglia rendendola quasi una belva feroce e piccoli rivoli di saliva le scendevano dalla bocca.

’Il mio passato non deve interessarti. Da quando sei giunta qui, dal nulla, il Concilio ti ha subito accolto come se fossi la loro salvezza. Hai cambiato ogni nostro schema, ogni nostro approccio contro i nemici. Solo perché hai un potere ciò non significa che tu possa prenderti la libertà di voler trasformare le regole del Lynmes! Questa…infausta cicatrice mi ricorda ogni giorno che non puoi fidarti di nessuno, perché ti pugnaleranno un giorno o l’altro. Visto che sono l’unica rimasta, tanto vale presentarmi. Mi chiamo Arshile.’’- replicò a denti stretti la Legionaria, con la mano insanguinata e ricoperta di polvere marrone. Arilyn si rese conto tardivamente di aver reagito di impulso e tentò di scusarsi, ma la sua bocca era serrata dall’imbarazzo. Il silenzio incatenò qualsiasi rumore presente nella stanza, interrotto solo dal flebile scoppiettio dei candelabri.

‘’Siamo sole qui e nessuno può sentirci. Vorresti parlarmi del tuo passato?’’- domandò cautamente la Thandulircath, attendendo che Arshile si fosse calmata un po’. La Legionaria si fasciò la mano ferita e si sedette su una delle panche lì vicino in silenzio, seguita poi da Arilyn.

‘’Anni prima di diventare Legionaria dei Rovi Rossi, vivevo in una modesta abitazione con i miei genitori. La mia vita era tranquilla, finché mia madre non morì a causa di una temibile febbre causate da piccole zanzare. Mio padre cadde in un baratro senza fine di disperazione e malinconia. Compiuta la maggior età, non so chi demone della lussuria soggiogò la sua anima e la sua mente ma tentò di…violare la mia purezza. Iridia ed Allric lo uccisero e mi condussero a palazzo…Nulla però cancellerà quel gesto scabroso. La cicatrice che vedi parte dalla spalla destra, attraversando i seni e giungendo fino all’inguine. Me la sono procurata da sola con un coltello da cucina. Pugnalata alle spalle, al cuore e nell’intimità da una persona che amavo…’’- terminò di raccontare la donna, mostrando quello sfregio ricoperto d’argento. Arilyn poggiò la sua mano sulla spalla della Legionaria, stringendola appena:

‘’Mi dispiace di aver detto quelle cose. Comprendo ora il tuo odio profondo verso specifiche persone e comportamenti ma sfogarsi su persone che non ti hanno fatto alcun male non è giusto. Quel ragazzo ha già sofferto come tutti qui. Come te, come me…’’

La mano di Arshile strinse quella di Arilyn, avvertendo il calore che emanava e ricambiò la stretta. Il suo potere si sprigionò dolcemente, avvolgendole in un torpore invitante. Gli occhi smeraldini di Arilyn incontrarono quelli marroni della Legionaria, umidi e arrossati.

‘’Non è semplice, Arilyn. Si indossano fin troppe maschere ogni giorno, perdendo il tuo reale volto. Sarà il caso di andare. Sei riuscita ad aprire il cuore dei legionari, persino il mio. Non so come tu abbia fatto, ma adesso è meglio andare.’’- rispose lei, alzandosi e dirigendosi all’ascensore. Durante la risalita, si udirono dei forti schiamazzi provenire dalla sala del trono, costringendo entrambe le donne ad estrarre la propria spada. Ad attenderli vi erano solo una dozzina di soldati gioiosi di aver ricevuto i fornimenti e nuove armi provenienti dall’avamposto Soros:

‘’Di sicuro il nostro caro Oghan vorrà vedere queste armi e renderle ancora più letali!’’- esultava uno di loro, picchiettando con le nocche il piatto della lama. Un altro soldato, meno entusiasta per le armi, li richiamò dicendo di pensare più agli indumenti per la stagione fredda che stava per giungere. Alcuni dei Legionari, come Veldass ed Hildel, si resero conto di aver cercato superficialmente in quelle casse perdendo così l’occasione di avere bombe fumogene, bombe nere ed olio combustibile per dardi. Si accontentarono di quel poco che avevano trovato come un guanto ferrato, dei triboli concatenati e pugnale con la lama dentellata: non era una dentellatura normale bensì formata da incisivi di un predatore, lunghi quanto un pollice e dallo spessore di due dita. Il Comandante dei Legionari, ripiegando i suoi oggetti, notò Arshile ed Arilyn provenire dalla piattaforma mobile e le raggiunse, chiedendo con freddezza dove fossero state tutto questo tempo. La Legionaria dalla Cicatrice Argentea tornò seria e raggiunse i suoi compagni, lasciando Arilyn da sola.

‘’Il prigioniero mi ha rivelato i piani d’attacco che il suo regno ha intenzione di eseguire. Vogliono conquistare zone neutre per circondarci e colpirci in massa.’’- esordì la Thandulircath, ponendo il foglio con la riproduzione della strategia. Iridia afferrò quel documento non ufficiale e lo esaminò, prima di ripiegarlo e metterlo nell’armatura.

‘’Traditore ed informatore tenace. Nessuno di noi è riuscito a ricavare informazioni, nemmeno con la forza bruta di Arshile. Mentre tu, con la tua smielata bontà, lo hai fatto cantare come un piccolo usignolo indifeso.’’

‘’Questa smielata bontà è più forte della tua lingua biforcuta.’’- rispose a tono la ragazza, provocando con spudoratezza il comandante. L’armatura di rovi si tinse di rosso e labbra serrate in una linea orizzontale significavano solo un tentativo di frenare l’evidente stizza.

‘’Ti detesto.’’- corrispose Iridia, sistemandosi i capelli e la sacca colma di oggetti. Arilyn incrociò le braccia e alzò le sopracciglia, ignorando quel sentimento cinico del Comandante.

‘’Non mi meraviglio.’’- asserì con la stessa freddezza la Thandulircath, precedendola per raggiungere gli altri. Contemporaneamente, le Sette Sorelle comparvero dalla penombra della sala dirette ognuna al proprio trono. I loro volti, eccetto per le Sorelle delle Corone, erano sorridenti e placidi nel vedere che tutti trasmettevano serenità nell’aver ottenuto dei preziosi doni. Il grande cancello si aprì senza preavviso, accompagnato da un forte rumore metallico e polvere allarmando tutti i presenti che brandirono le loro armi e usarono le casse come scudi di fortuna. Una delle sentinelle arrancò con la corazza leggermente fracassata e lividi sul volto:

‘’Sono qui!’’- urlò, prima di svenire e accasciarsi sul pavimento lucido. Venne recuperato da uno dei Legionari ed un guaritore che era sul posto, portandolo al sicuro vicino una colonna. Due losche figure, uomo e donna, varcarono la soglia lentamente con indosso abiti di nobile fattura ma logori e strappati in più punti. Arilyn avvertì ancora una volta il formicolio e il calore propagarsi in tutto il corpo, sprigionandosi in sprazzi di luce e scintille. Avanzarono ancora, giungendo al centro della sala del trono ed immediatamente un soldato scattò in avanti per colpire. L’uomo incappucciato mosse appena la mano e lo scaraventò lontano facendolo scivolare sul tappeto. Altri cavalieri provarono ad assalire i due sconosciuti, ma la donna ricambiò lanciandogli contro sfere di vetro piene di polvere urticante che tinse la loro pelle di giallo paglierino, facendoli gemere e annaspare. Iridia ordinò di serrare i ranghi evitando così attacchi inutili.

‘’Mi dispiace dover rovinare questa vostra festosità. Questi cavalieri dovrebbero pensarci due volte prima di attaccare impulsivamente qualcuno che è più forte di loro.’’- esordì l’uomo con voce pacata, ammirando lo splendore del palazzo. Daernith riconobbe le due entità ed impallidì; quella visita era inaspettata e le Sorelle delle Corone non avevano avvertito alcuna aura magica.

‘’Non serve nascondervi sotto quei cappucci, Recluso e Peccatrice. Mostratevi!’’- rispose la Sorella Maggiore dopo un breve attimo di silenzio, riacquistando compostezza. Le due figure si rivelarono alla luce delle candele, con un luccichio inquietante nei loro occhi nonostante la vacuità. Il Recluso e la Peccatrice si mostrarono finalmente ai presenti, suscitando scalpore generale. Il passare degli anni avevano segnato il loro viso coprendoli di rughe e tingendo alcune ciocche di grigio, ma non il loro spirito e il potere che covavano dentro di sé. La Peccatrice venne attratta dalla luce dorata che Arilyn stava emanando dalle sue mani involontariamente e sorrise, cercando di infondere calma.

‘’Chiedo anche umilmente perdono per esser stato scorbutico qualche settimana fa, quando ero sotto forma di spettro. Per poter compiere quella magia, bisogna fare affidamento su emozioni negative. Ma questo non vi interessa, più che altro volete conoscere la ragione della nostra presenza.’’- prese nuovamente la parola il Recluso, avanzando ancora verso i Legionari e notando la luce di Arilyn.

‘’Non solo, ma sapere anche cosa volete da noi Rovi Rossi.’’- asserì Mylgred la Terza Sorella stringendo i pugni sui braccioli di pietra del trono, infastidita dalla loro
presenza.

‘’Siamo qui per due sole ragioni: mettervi in guardia dai Rovi Bianchi che stanno preparando un grande esercito, stesso vale per i Rovi Neri e restare in questo luogo per darvi qualsiasi conoscenza in nostro possesso. Anche la Cittadella degli Abbandonati ne è al corrente, sappiamo benissimo che lì vive una vostra vecchia compagna d’arme.’’- rispose la Peccatrice, raggiungendo l’uomo e sfiorandogli la spalla con la sua. Arilyn notò il labbro inferiore di Iridia tremolare non appena udì quel luogo, nonostante il suo potere non accennava a placarsi.

‘’Come possiamo fidarci di voi due? Vi siete nascosti per tre millenni, siete stati i testimoni di una delle più sanguinose guerre che questo regno potesse affrontare e adesso osate presentarvi a palazzo con queste fandonie? Mi rifiuto di ascoltare queste baggianate!’’- tuonò Largorthel la Quarta Sorella del Concilio, quasi tentando di uccidere le due entità con il suo sguardo carico di rancore. La Quinta Sorella Erthaor, invece, cercò di placare gli animi delle due donne e corrispose a quanto detto:

‘’Gradirei vedere se il vostro cuore dice il vero sfruttando il mio potere.’’

‘’Non servirà.’’- replicò il Recluso, chiudendo gli occhi e rilassando ogni fibra dei suoi muscoli. Un intenso fulgore biancastro si sprigionò dal corpo dell’uomo investendo i presenti e le Sette Sorelle. Tra quelle nubi bianche e trasparenti, affiorarono ricordi ed eventi passati del Recluso e della Peccatrice tra le quali anche i loro nascondigli di fortuna. Infine capeggiò ciò che disse inizialmente l’entità millenaria in precedenza. Fu il potere di Arilyn a contrastare quello del Recluso, facendo svanire il tutto in migliaia di piccole scintille. La Terza Sorella volse lo sguardo a tutte le altre sorelle e mosse il capo, confermando che dicevano il vero.

‘’Forse la nostra aura amplifica in modo incontrollato il tuo potere, non è così Arilyn dei Thandulircath?’’- chiese la Peccatrice. La donna si concentrò e placò quella fiamma che ardeva nell’anima della Thandulircath, impedendo così di manifestarsi con forza incontrollata. La ragazza decise di avvicinarsi ed Iridia tentò di fermarla ma le sfiorò appena la mano venendo ostacolata da Veldass che le negò di proseguire oltre.

’Perché avete atteso così tanto per mostrarvi? Nelle prigioni c’è un ragazzo, vittima e testimone della guerra che incombe. Il sangue, la morte e l’abbandono sono piaghe che lo accompagneranno per il resto della sua vita. Voi, come conigli, vi siete nascosti nell’ombra. Di cosa avevate paura? Di essere catturati? Uccisi? Non credo, a giudicare da come il mio potere si è comportato in vostra presenza! E come conoscete il mio nome?’’- strepitò, serrando i pugni. Non le importava della reazione dei due millenari, voleva avere risposte ad ogni cosa.

‘’È a causa dell’ennesima battaglia che avete affrontato che non ci siamo esposti. Mostrarci in un momento critico non avrebbe giovato.’’- rispose il Recluso, impassibile. Arilyn sferrò un pugno che impattò sulla mano dell’uomo, arrestandosi. La giovane Thandulircath cercò di forzare quell’ostacolo, risultandole impossibile. Più si sforzava, più le forze iniziarono a mancare. Il Recluso poggiò le sue mani sulle spalle di Arilyn con dolcezza innaturale e continuò a parlare:

‘’Comprendo i vostri stati d’animo, soprattutto il tuo che è in continua lotta. Conosciamo molto di questo mondo, i suoi popoli, i regni che sono nati e caduti…Sei l’ultima dei Thandulircath, orfana di entrambi i genitori e l’unica eredità che ti è rimasta è il ciondolo che porti al collo. Il tuo popolo era uno dei sette regni che nacque contemporaneamente alla discesa sulle Terre del Nord della Fiamma del Gelo. Non posso darti torto, ci siamo nascosti come vigliacchi, ma rispondi a questa domanda: durante una discussione concitata, preferisci intrometterti rischiando di peggiorare il tutto o attendi?’’- quella semplice domanda fece desistere Arilyn dal suo attacco impulsivo. La Peccatrice le sfiorò il viso con due dita, simile ad una madre con il proprio pargoletto.

‘’Non sentirti amareggiata per la tua azione impulsiva, bambina, è più che naturale. Adesso, vorremmo essere condotti nelle prigioni, è il luogo dove l’interesse di un possibile invasore scarseggia.’’- constatò la donna, sorridendo. Entrambe le entità millenarie vennero successivamente scortate dal Legionario Veldass che tenne alto il randello di ferro. Arilyn, imbarazzata per quella ridicola scenette, corse nel suo alloggio. Le Sette Sorelle rivelarono ai restanti presenti che l’energia delle due ‘divinità’ erano in grado di provocare reazioni simile a quella di Arilyn e anche il più tenace di loro si sarebbe sgretolato come una insignificante pietra; Iridia conosceva quel sentimento di impotenza e rammarico, decidendo così di andarle a parlare.
Dall’ombra dell’ingresso giunse il Titano Vidthar a braccia conserte, i raggi lunari dipingevano strane sfumature sul suo corpo d’onice. Alcuni cavalieri si allontanarono dal suo avanzare, timorosi di una reazione. Il Concilio restò a fissarlo con insistenza, perplesse per quell’improvvisa comparsa. Daernith gli ordinò di parlare, di rivelare perché i suoi occhi trasmettessero la sua anima combattuta.

‘’Li ho condotti io qui. La nostra magia, derivante dalla Madre del Globo, è simile alla loro per questo non ho avuto problemi a trovarli a pochi chilometri dal confine. Dovrei compiacermi di questo, però tutti voi siete contrariati e addirittura disgustati dalla Loro presenza. Con permesso…’’- rispose la creatura, prima di svanire un flebile bagliore grigiastro. La Seconda Sorella Hallothel, rimasta per troppo tempo in silenzio, propose di esiliare il Titano dal loro regno per evitare insubordinazioni o vili tradimenti. Venne appoggiata solo dalla Quarta Sorella, tutte le altre rifiutarono categoricamente quell’insulsa decisione.

‘’Non possiamo esiliare il Titano per averci condotto il Recluso e la Peccatrice…’’- prese brevemente parola Rivaltnith la Sesta Sorella per consentire a Rivornith la Settima Sorella di proseguire:

‘’…al nostro cospetto. Violeremo qualsiasi ordine divino, rischiando di far infuriare la defunta Madre del Globo e la Dea del Cosmo.’’

‘’E noi non vogliamo che ciò accada. Il Regno deve affrontare i Rovi Bianchi e i Rovi Neri, una possibile punizione da parte delle Dee non è accettabile. Erthaor, essendo l’unica in grado percepire la verità e di unificare gli animi, ti recherai dal Recluso e dalla Peccatrice una volta ogni due giorni. Voi altre Sorelle vi occuperete di informare gli avamposti. Io, invece, la Cittadella ma solo una persona dovrà ricevere quel messaggio. A domani e che il Sole possa vegliare su di noi.’’- asserì Daernith, battendo le mani e invitando tutti a congedarsi. Nel mentre che la Sala del Trono si svuotava, con i pochi soldati di guardia, Iridia era davanti l’alloggio di Arilyn che bussava più volte per farsi aprire. La porta si aprì, mostrando il viso della giovane arrossato e gli occhi socchiusi in una espressione di rabbia mal celata:

‘’Vattene Iridia, pensi che non ti abbia visto seguirmi? Dopo quel ridicolo spettacolino, mi sento...lasciamo perdere.’’- disse la Thandulircath nel tentativo di chiudere la porta, ma il vambrace del comandante ostacolò l’azione.

‘’Credi che non lo sappia come ti senti? Tu hai notato il pedinamento, ma io ho notato il tuo sguardo da felino curioso quando hanno nominato la Cittadella degli Abbandonati. Non scorrerà mai buon sangue tra noi due, ma ti compatisco.’’
Arilyn rise sommessamente, una risata che trasudava amarezza e incredulità. Si passò una mano sul volto stanco, tentando di cancellare l’espressione rabbiosa:

‘’Il grande comandante Iridia che prova compassione per una come me, questa è un’altra delle migliaia di novità che assistito. Non riesco a togliermi dalla testa quella domanda, così semplice eppur disarmante. Mi sono sentita sciocca! Infantile! Per quale ragione sei qui?’’- domandò, con le parole che le morivano in gola, seduta sul suo letto che non le dava il giusto conforto.

‘’Comprensione e compassione. Quello che ti dirò va contro il mio essere, a causa dell’influenza magica del Recluso e della Peccatrice che ha su di noi e non osare farne parola con gli altri, intesi?’’- chiese con fermezza. Arilyn si limitò ad annuire e la invitò a sedersi sul letto.

‘’Nella Cittadella degli Abbandonati vive una mia vecchia conoscenza. Una esperta nell’arte dell’arco e delle frecce, in grado di scoccarne quattro e centrare il nemico sulla nuca, sul collo, sulla schiena e sul bacino senza concedergli di urlare. Entrambe abbiamo condiviso segreti e tecniche per diventare un giorno comandanti. Diventammo entrambe Legionari ed ero felice di star con lei, e il mio cuore batteva incontrollato quasi come una carica di belve feroci. Un giorno, però, lei decise di proseguire altrove il suo cammino. Non potevo costringerla a restare, in fin dei conti per diventare esperti bisogna avere esperienza…Ma con il suo addio, anche parte del mio cuore è andato via…’’- raccontò con malinconia il Comandante dei Legionari, passandosi una mano tra i capelli castani e cercando di restare impassibile pur sapendo che le lacrime stavano avendo la meglio sulle sue difese.

‘’Si spiega il tuo distacco emotivo e la poca fiducia in coloro che non conosci…Siamo così forti e allo stesso tempo fragili. Quanto tempo è passato da quel fatidico addio?’’- chiese cautamente Arilyn; iniziò ad avvertire una leggera emicrania e debolezza, ma restò vigile.

‘’Cinque lunghi anni. Da quel giorno, ho preferito pietrificare il frammento di cuore che mi è rimasto e sfruttare solo la logica per non soffrire. Ora, con permesso, è giunta l’ora di riposare.’’- replicò lei, asciugandosi gli occhi e dirigendosi alla porta socchiusa. Prima che potesse varcare la soglia, si sentì stringere alle spalle con forza.

‘’Nonostante tu non voglia ammetterlo, avevi bisogno di questo. E non lo nego, anche io ne avevo bisogno.’’- disse Arilyn, quasi bisbigliando. Il Comandante restò immobile, sfiorando quelle due mani che la stringevano in una morsa d’affetto. Dopo alcuni secondi che sembravano interminabili, la Thandulircath lasciò la presa.

‘’Sei strana, Arilyn.’’- constatò Iridia, sorridendo leggermente.

‘’Da quando sono qui tutto mi risulta strano ed innaturale. Persino quello che ho appena fatto…Beh, buonanotte Iridia.’’- replicò ed entrambe le donne si salutarono. L’asfissiante calore che avvertì nel petto e nelle mani e nel petto precedentemente era svanito. La debolezza e l’emicrania, invece, si intensificarono costringendola a coricarsi. Il buio, fedele amico della Notte, inghiottì la stanza con le sue varie sfumature permettendo ad Arilyn di addormentarsi senza sforzo. Sprazzi di luce, tasselli infuocati di un mosaico inondarono la sua mente volteggiando forsennatamente. Rivide nuovamente quel deserto colmo di creature orrende, di una feroce e cruda battaglia che lasciava cadaveri ovunque. Udì la voce di un ragazzo che la chiamava ma era lontana. Irraggiungibile. Il costante volteggiare di quel mosaico di fuoco si tramutò in un vortice che la fece piombare nel suo occhio, scagliandola in diversi punti finché non iniziò a perdere la sua devastante forza. Si ritrovò con il viso nell’erba fresca tinta d’arancio a causa di un tramontò oltre alcune montagne: era tornata nel mondo onirico. Il cielo, seppur terso, era rosso scarlatto accompagnato da centinaia e centinaia di colori che si univano e si dividevano con piccoli boati.

‘’Di nuovo nel mondo dei sogni? Potrei definirla la tua terza casa visto che vieni qui spesso.’’- esordì una voce dall’alto di un noce. Arilyn si voltò, riconoscendo quella voce ma incapace di vedere chi fosse lo straniero seduto a penzoloni sui rami dell’albero. Lo strano figuro balzò dall’albero e atterrò senza emettere alcun suono pur avendo una spessa armatura fatta di ghiaccio. I capelli e la barba argentati, simili a fili d’argento che decoravano un viso dall’espressione serena. Sotto le palpebre vi erano due minuscole linee celesti che si ramificavano in altre ancora più piccole. Un pugnale fatto interamente di ghiaccio pendeva dal cinturone e fu quell’oggetto a provocare stupore nella Thandulircath:

‘’Bregoldir? Tu qui?’’

Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Uldronoss, estate. Crepuscolo mattutino.

Dopo un lungo sonno ristoratore, il giovane Darrien constatò di essere l’unico sveglio al crepuscolo mattutino nell’avamposto della foresta. Vi giunse poco prima del tramonto, accolto da alcune sentinelle già avvertite del suo arrivo. L’intero luogo era protetto da bastioni esagonali diramati a stella lungo il perimetro e costruiti preservando la natura circostante. Tre lati di ogni bastione era munito di arciera per consentire a più uomini di contrastare attacchi nemici e poco sopra, dove era situato il camminamento di ronda, vi era una feritoia a becco ricoperta di liquame nero. All’interno dell’avamposto, invece, vi erano la caserma e la residenza dall’aspetto sobrio senza alcuna decorazione sfarzosa. Al suo arrivo, una delle sentinelle lo informò che il Capitano sarebbe tornato la mattina seguente da una missione di recupero. Si ricordò del regalo fatto da Dolmihir e decise di aprire il baule che lo conteneva; per le centinaia di compiti da svolgere, aveva deciso di rimandare l’apertura e di metterlo in sella al destriero scusandosi poi con lui. Inserita la chiave e tolto il lucchetto, all’interno del forziere vi trovò quel che sembrava essere un teschio d’ariete ricoperto di metallo ed incisioni Cirth sulle corna. A difesa del collo vi era una cotta di maglia e cuoio rinforzato da piccoli strati di Legnoscuro. Colpì diverse volte con le nocche sulla superficie, constatando l’estrema resistenza.

‘’Essendo anche uno dei migliori alchimisti del mio popolo, mi sono procurato un tuo capello per rendere l’elmo solo ed esclusivamente tuo. Chiunque lo indossi non essendo il legittimo proprietario, la magia delle rune farà in modo di fargli esplodere la testa come una zucca marcia.’’- ricordò le parole del nano dopo aver condotto al sicuro la merce. Non appena lo indossò, avvertì che l’elmo non era pesante ed era comodo, con un eccellente campo visivo. Percepì anche odori e suoni che provenivano da lontano, da altre selve: belati, muggiti, sibili, ronzii. Qualsiasi suono della fauna.

‘’Quest’elmo comunica magicamente con altri animali? Che razza di teschio d’ariete è questo?’’- si chiese Darrien, togliendoselo e posandolo nell’apposito luogo. Oltre all’elmo, vi era un vambrace munito di spara dardi a ripetizione utile per colpire il nemico in caso di supremazia fisica.

‘’Quei dardi sono altamente e mortalmente velenosi. Ho trattato con un po’ di fiamma d’Ambra il sangue di alcune Vespe Rubino. Tu e tutti gli altri siete immuni, ma i nemici no.’’- si ricordò di una piccola vicenda con Dolmihir quando era ubriaco e gli rivelò quel progetto. L’ultimo accessorio era un mantello a mezza girandola che terminava poco sopra le spalle, bordato di uno strano tessuto simile alla pelliccia ma più ruvido al contatto. Per una sua curiosità, indosso il vambrace spara dardi e si punse l’indice con uno di essi fino a far fiorire un bocciolo cremisi sul polpastrello. Il veleno non sortì alcun effetto, come detto da Dolmihir ma volle provare ancora l’efficienza. Sul parapetto ove vi era poggiato, intravide una lucertola grande abbastanza da essere il bersaglio dell’aculeo: mirò con lentezza il suo obiettivo, tirò l’anulare sinistro avvolto dall’anello e il proiettile venne scagliato così rapidamente da non essere visto. Il minuscolo aculeo infilzò la lucertola sul collo che iniziò a ricoprirsi di piccole bulbi cristallizzati su tutti il corpo, dalla bocca esplosero con violenza le interiora e cadde giù dal blocco di marmo lasciandosi dietro un lungo rivolo di sangue.

‘’Ammirevole.’’- disse, posando poi il tutto. Il Sole era alto ormai e si udirono i primi corni da richiamo provenire oltre le mura esterne. Dalla sua postazione era in grado di tenere d’occhio il grande ponte levatoio di ferro sorretto da gigantesche catene nere e con una sola guardia dalla corporatura innaturalmente possente. Varcarono la soglia dozzine di cavalieri di ogni classe, tra le quali vi erano soldati in coppia su un solo cavallo che si davano la schiena; quelli seduti frontalmente brandivano una lunga lancia dalla punta uncinata e come armi secondarie disponevano di una spada e un cannone a mano. Invece, coloro seduti nella parte opposta si occupavano dei potenziali nemici nelle retrovie usando un bastone ricavato da un ramo pietrificato, con un globo di vetro opaco incastonato e protetto da una spirale d’acciaio:

‘’Incantatori?! Sono dei folli se restano vigili solo in una direzione…’’- giudicò il ragazzo, osservando perplesso l’efficacia della magia in combattimento soprattutto se è sanguinoso. In quel momento gli incantatori agitarono la loro arma, illuminandosi di bianco ed emettendo suoni striduli come unghie sul vetro seguite da un soffio di vento in tempesta.

‘’Una barriera protettiva? Efficace contro nemici piccoli o media grandezza, inutile contro magia più potente.’’- disse una voce con tono ironico su quello spettacolino. Con la coda dell’occhio Darrien vide una moltitudine di piccoli specchi che fluttuavano e vibravano di diversi colori prima di ricomporsi nella sua forma originale: un ragazzo dai capelli biondi e corti, dalla barba incolta e dai lineamenti decisi. Indossava una corazza a piastre con diversi emblemi dipinti sul petto e su entrambi i vambrace.

‘’Sivaln? Cosa ci fai tu qui?’’- chiese meravigliato il Varg, stringendogli con forza la mano e dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Sivaln ricambiò con altrettanto vigore e sorrise nel rivederlo.

‘’Potrei dire lo stesso di te, vecchio amico. Studio presso diversi reggimenti per aspirare a diventare generale dell’esercito del mio popolo e nonostante sia lontano da Huvendal, l’ambizione militare ha prevalso. Aithwen ha deciso di compiere lo stesso mio cammino ma su tecniche arcane. Il bastone degli incantatori è opera sua, ma ora tocca a te.’’- rispose il ragazzo, poggiandosi al corrimano e curiosando con lo sguardo la cassa posata a pochi metri da loro.

‘’La Dea del Cosmo. A causa del mio comportamento saccente e burbero, questo è il mio cammino di redenzione per ritrovare il mio equilibrio. E, tutt’ora, non ho ritrovato Arilyn.’’- corrispose Darrien, annuendo leggermente. Un leggero buffetto dato con il pugno da Sivaln lo destò dal suo stato di malinconia.

‘’Non disperare, è una donna forte. Uno dei Titani d’Onice mi ha raccontato di quello che è stato in grado di fare. Vedrai starà bene, adesso andiamo che il Capitano ci aspetta. E non dimentichiamoci gli elmi.’’- replicò tramutandosi nuovamente in quella nuvola di piccoli specchi catapultandosi diretto sul campo. Lo stesso fece Darrien prima di recuperare il suo elmo, ricordandosi di avere un’altra abilità appresa durante il suo soggiorno nel regno e, così come era scomparso, ricomparve nel campo sottostante senza emettere alcun rumore. L’intera piazza era colma di soldati in varie armature colorate, variavano dalla semplice armatura alla cotta di maglia fino a corazze a piastre dall’aspetto minaccioso. I soldati a cavallo si misero in riga e successivamente il Capitano fu l’ultimo a varcare la soglia: era una donna affascinante, dai lunghi capelli neri e ricci, con indosso una armatura forgiata per la sua corporatura donandole fierezza e ammaliante allo stesso tempo. A renderla ancora di più intrigante erano gli occhi di due colori diversi: uno azzurro e l’altro verde. Tutti esultarono alla sua comparsa colpendo con veemenza gli scudi, applaudendo e agitando le loro armi a mezz’aria.

‘’Vi ringrazio per la vostra accoglienza così calorosa, miei splendidi soldati. Quest’oggi abbiamo riportato una piccola vittoria per il nostro avamposto che adesso sarà ampliato grazie alla costruzione di un piccolo forte che si trova a mezzo chilometro da qui, facile da raggiungere e da sorvegliare. Lode ai Rovi Bianchi!’’- esordì la donna, scendendo dal suo destriero e salutando i suoi commilitoni con sorrisi e occhiolini. Darrien scosse la testa disapprovando quel comportamento fin troppo amichevole, se non addirittura seducente.

‘’Bentornato Sivaln, è bello rivederti qui. E lui dovrebbe essere il neo comandante dei Rovi Bianchi, giusto? Perfetto, seguitemi nel mio ufficio.’’- disse la donna, avvicinandosi ai due ragazzi in armatura. Superato il lungo corridoio a croce il loro cammino terminò dove detto. L’ufficio era colmo di mappe arrotolate e legate da spaghi colorati, diversi libri accatastati e dalle pagine piegate o macchiate da liquidi impossibili da comprenderne l’origine, utensili per la cura del viso e molto altro ancora.

‘’Perdonate il disordine e i miei oggetti personali. Dopo aver sistemato queste scartoffie, mi prendo cura di me stessa per evitare di avere una crisi di nervi.’’- cercò di nascondere l’imbarazzo il Capitano, spostando tutte le carte in un solo angolo della stanza.

‘’Con una guerra che incombe, ha davvero tempo di occuparsi del suo aspetto?’’- chiese Darrien, togliendosi l’elmo per poi poggiarlo su un cuscino lì vicino. La donna restò senza parole, sia per la domanda che per aver visto il volto del comandante. Gli occhi guizzavano dai lineamenti agli occhi, dai capelli corvini alle labbra e al resto. Le guance avvamparono di un rosso intenso il che fece reagire Darrien con più fermezza:

‘’Eviterei possibili fantasie su di me, le considero riprovevoli. Risponda al mio quesito cortesemente, senza mentirmi.’’

‘’Oh? Beh, quando posso. Per il momento i Rovi Rossi non hanno attaccato e quindi posso concedermi un po’ di tempo per me. Il Re ti ha mai detto che sei un po’ scontroso come comandante?’- domandò la donna, toccando alcuni ricci con le dita mal celando il suo nervoso. Il Varg rise di gusto, convocando la sua oscurità e facendola balzare su ogni centimetro della stanza.

‘’Quel nullafacente, lussurioso e imbecille del Re non è di nostra priorità! Non baderò alle tue frivolezze, ma come ho già detto ai Capitani Gemelli, voglio qualcosa che si addica al tuo rango. Intesi?’’- chiese lui, ritirando la coltre di nebbia nera che trascinò con sé alcuni degli oggetti mal riposti sulle credenze. La donna si portò le mani sulla bocca, scioccata da ciò che era appena successo.

‘’Il primogenito della regina…? I miei sospetti sull’esistenza di un altro figlio erano fondati! La prima fila di smagliature che aveva sul grembo erano il segno di un qualcosa e finalmente eccola, davanti ai miei occhi. Lieta di fare la tua conoscenza, sono Morrygan Ravaqen!’’- si presentò con un solenne inchino, suscitando ilarità in Sivaln.

‘’Darrien di Huvendal, figlio di Searlas e comandante degli eserciti. Fino ad adesso cosa avete di interessante contro i nostri nemici? ‘’- chiese Darrien, già stanco di trovarsi in quel luogo. Per ora apprezzava solo l’avamposto del mezzo silvano, con decorazioni floreali unite alle forme sinuose degli alberi che circondavano quel luogo. Il Capitano Morrygan srotolò diversi fogli ingialliti mostrando alcuni luoghi segnati da diversi colori come turchese, viola e giallo. In basso al foglio erano descritti l’uso di quei singoli color: il turchese rappresentava i luoghi dove venivano consegnate le risorse dai campi neutrali; il viola erano le conquiste, con un totale di tre piccoli villaggi a testimoniarlo; infine un grosso cerchio tratteggiato di colore giallo significavano insidie e pericoli mortali superato il confine di Uldronoss.

‘’Ci sono state delle perdite durante queste esplorazioni? Pedinamenti?’’- domandò Darrien, passando da un foglio all’altro, notando anche diversi simboli irriconoscibili sui tomi di topografia.

‘’Negli ultimi tre mesi ho perso tra i settanta e i centocinque uomini, divisi in ricognitori e sentinelle. Ho richiesto al Re di inviare alcuni rinforzi per colmare le perdite. Si è limitato a cinquanta uomini, metà della quale tutti giovani. Da allora sono quasi costretta ad essere amichevole con i miei soldati, incoraggiandoli grazie alle poche conquiste.’’- rispose la donna dalla chioma riccia, porgendo una copia del documento che richiedeva i rinforzi.

‘’Sei fortunata che il Re si atterrà a quello che ordinerò io. Farò inviare trecento uomini, espressamente già esperti in questo campo e che siano pronti a tutto.’’- corrispose il giovane leggendone la copia con la firma della donna. Prese un foglio, una penna e calamaio e iniziò a scrivere un telegramma da far ricevere al Re dove si richiedevano trecento uomini di ogni classe militare disponibile ed inviarli ad Uldronoss prima possibile. Non appena terminò, Darrien chiese a Sivaln di trovare un messaggero e rivelargli il motivo di tale fretta nel consegnare il tutto.

‘’Ricevuto.’’- asserì Sivaln ed uscì. Quando stava per congedarsi, il Comandante venne fermato sull’uscio dalla donna. La sua voce era meno melodiosa, più bassa e quasi affranta, come colta da un improvviso malessere. Morrygan domandò al ragazzo se si ricordasse quanto detto prima inerente alle frivolezze.

‘’Sì, e dunque?’’- fu il quesito del Comandante, perplesso da quell’inaspetto cambio della donna.

‘’Bene…’’- rispose il Capitano, portandosi una mano sulla folta chioma di ricci. Bastò un solo movimento per mostrare che i suoi veri capelli neri e ricci erano nascosti da quella imitazione che scivolò sul pavimento di legno con un leggero fruscio. La sua vera chioma era più corta, che le ricadeva poco sopra le spalle con alcune ciocche grigie. Si pulì il viso con un panno umido, mostrando così occhiaie e palpebre gonfie.

‘’Queste frivolezze sono per dimostrare ai miei uomini che niente può scalfirmi. Odio mentire, ma è a fin di bene.’’- disse la donna, smascherandosi innanzi al ragazzo e lasciandosi cadere a peso morto sulla sedia. Darrien applaudì e le sorrise suscitandole incertezza.

‘’Apprezzo l’onestà. Lei è la seconda persona che dimostra di non aver timore di rivelarsi, di far cedere quella barriera. Parrucca in questo caso. La bellezza è un fattore secondario, quello che conta risiede solo in due luoghi.’’- replicò il ragazzo, indicando con l’indice la testa e il cuore. Uscito dall’ufficio, si diresse all’esterno dell’avamposto per esaminarne eventuali brecce, misurare il perimetro considerando modifiche o rinforzi lungo i bastioni. Con le poche abilità d’artista in suo possesso, disegnò la planimetria al centro del foglio e con varie frecce indicò i cambiamenti da apportare sulle merlature. Nel mentre che trascriveva tutto quel che osservava e andava migliorato, percepì un gemito accompagnato da un tintinnare di catene. Insospettito da quel fracasso, seguì i costanti rumori che diventavano sempre più assordanti finché non si ritrovò a pochi passi da quel che sembrava essere un duello. Nascondendosi dietro alcune felci, scorse una donna munita di uno scudo bronzeo e una spada dalla lama ricurva fronteggiare cinque nemici dalla corporatura possente e da corazze resistenti ai duri colpi: i graffi e i solchi della spada ne erano la prova.

‘’Non temo la vostra superiorità, perirete sotto il sibilo della mia lama.’’- urlò lei, scostandosi i capelli biondi dal viso con gesto del capo. Uno di loro, l’unico a cavallo, rise alla minaccia e impartì ai suoi uomini di non darle tregua. Darrien riconobbe la sua voce e un particolare interessante: la mano tremolante e il viso ustionato.

‘’Sono passati quasi tre anni e quello sciacallo è ancora vivo? Non ti ho ucciso perché non vi era necessità quel giorno, ma lo farò ora. Vediamo cosa è in grado di fare quest’elmo.’’- disse tra sé e sé, indossandolo e spostandosi cautamente tra i cespugli, senza fare rumore. Avvertiva un formicolio partire dalle tempie e terminare lungo la schiena. Quando uno degli sgherri colpì per primo, la giovane guerriera reagì colpendolo con il bordo dello scudo sulla visiera fracassando sia essa che il naso del suo sfidante per poi trafiggerlo tra mento e gola, squarciando la carne. Il secondo sopraggiunse scagliando via il cadavere del compagno e afferrò il braccio munito di spada torcendolo, ma lo scudo della donna lo spinse via per poi farlo cadere sul compagno defunto con un poderoso colpo al ginocchio non protetto. Le chiome degli alberi cominciarono a vibrare per poi esplodere in un turbinio di foglie e piume che investirono i tre malcapitati. Da ogni lato della vegetazione comparvero diversi predatori, rettili e insetti. Darrien approfittò di quel momento di distrazione per tranciare le zampe del quadrupede e far capitombolare la sua preda dalla groppa. Lo sgherro cambiò bersaglio e si diresse dal nemico comparso dal nulla, ignorando completamente la presenza di un orso che attendeva tra i cespugli e che gli balzò addosso schiacciandolo. Le fauci si chiusero sulla sua gola e la tranciarono, venendo trascinato per diversi metri.
‘’Che maleficio è mai questo? Chi diavolo sei tu?’’- domandò il capo degli aggressori alzandosi e brandendo il suo spadino. Come risposta, Darrien gli diede una violenta testata spaccandogli il naso e i denti. La guerriera si occupò dell’ultimo soldato, pietrificato dalla paura, conficcandogli obliquamente la spada tra il collo e la spalla e dandolo in pasto ad altri animali affamati che sventrarono senza rimorso quel prediletto pasto. Anche il soldato ferito ebbe la stessa sorte, tra urla e carne strappata. Restarono solo in tre:
‘’Dovevo ucciderti in quel mercato!’’- urlò il ragazzo, sferrando due montanti sul mento dell’uomo. Un altro sullo stomaco e un altro ancora sulla nuca. Si tolse l’elmo, così che quel lurido cane potesse vederlo.
‘’Tu? Dovresti essere…non importa!’’- sbraitò lo sciacallo dal volto deforme e sanguinante tentando di colpire con diverse stoccate del suo spadino il giovane. Un fulmineo movimento e la mano venne tranciata fino a metà polso. La lama, intrisa di sangue, puntò dritta alla sua gola. Minacciosa brillava al sole, con il liquido scarlatto a tingere il ferro e l’erba sottostante. L’oscuro potere che custodiva dentro di sé si riversò sulle zone non protette dell’armatura e penetrarono nella carne, simili ad uncini incandescenti tranciando i nervi, i muscoli e spezzandogli le ossa. Le urla e le lacrime dell’uomo non mossero le corde del suo cuore:

‘’Ti prego! Basta! Non sopporto tutta questa sofferenza!’’

’Sofferenza? Tu parli di sofferenza, ma nei tuoi occhi leggo benissimo la crudeltà che abbraccia il tuo cuore e il tuo spirito. Hai fatto patire e perire molti innocenti Meriti solo di morire, cosicché tutti avranno giustizia...’’

La spada nera sibilò e tranciò la testa dell’uomo, che venne afferrata e sbranata da un lupo ancora in attesa della sua ricompensa. L’oscuro potere che comunicava con la lama permise alla ferita di cauterizzarsi istantaneamente, ma lasciò uno sgradito odore di carne bruciata. Il sangue, le parti di armature staccate e la carcassa del cavallo erano i testimoni di un brutale massacro. La guerriera tentennava se attaccare anche lui o meno.

‘’Una ninfa abile nell’arte della spada. Curioso. Pensavo che le ninfe si dedicassero solo al benessere dell’ambiente che le circondava.’’- esordì Darrien, esaminando i vari oggetti che quelle carogne avevano lasciato.

‘’Ero affascinata da quest’arte fin da bambina e adesso sono in grado padroneggiare queste armi bianche con maestria. Tu saresti?’’- domandò la donna, ripulendo la lama sui brandelli di stoffa lasciati dai cadaveri.

‘’Darrien, Comandante dei Rovi Bianchi e dell’élite Merfolk di Huvendal, la mia terra.’’- rispose lui, trovando una mappa estremamente dettagliata del confine di Uldronoss con fiumi e percorsi sicuri.

‘’Io sono Aura, ninfa di terra e la prima ad essere una guerriera. Ho lasciato il regno del Draal da qualche mese per dedicarmi ai miei allenamenti. Ti ringrazio per il tuo aiuto, ma potevo cavarmela da sola.’’- corrispose, leggermente sgarbata.

‘’Aura? Sei la sorella di Amphitrite e Nomia?’’- domandò lui, alzandosi e posando la mappa all’interno dell’armatura. La ninfa lo fulminò con lo sguardo e puntò la spada nella sua direzione.

‘’Sì, ma non deve interessarti! Mi sono allontanata per seguire la mia vocazione, ovvero essere una ninfa guerriera e dimostrare che non siamo solo delle creature addette alla natura, ai satiri e robaccia del genere. Torna al tuo dovere, io vado per la mia strada.’’- replicò adirata per poi rinfoderarla. Il ragazzo ammirò la tenacia e lo spirito combattivo di quella ninfa.

‘’Ti propongo una sfida. Se riuscirò a batterti in duello, tu tornerai dalle tue sorelle continuando la tua professione. Se perderò, allora farai parte dell’esercito attuale di questo luogo. Si userà tutto ciò che in nostro possesso. Accetti?’’- chiese Darrien, porgendo la mano in attesa di una risposta o della stretta. Aura sfoderò immediatamente la spada e partì all’attacco con un rapido affondo, malauguratamente prevedibile e ricevette una dura gomita sul labbro. La lama nera sibilò contro di lei, schiantandosi sullo scudo bronzeo che emise scintille e fumo; l’iniziale crepa sulla superficie divenne una fessura dove la donna poteva osservarlo. Ancora stordita da quel violento impatto, non vide la mano del ragazzo afferrarle il viso e schiantarla nel fango. Reagì in un secondo momento afferrandogli saldamente il braccio e scagliandolo oltre le spalle, in una disorientante capriola.

‘’Perfetto, è mio!’’- pensò la giovane, gettando via lo scudo e tentando di piantare la spada nel suo corpo come se fosse un paletto. Darrien balzò di lato e le graffiò il fianco con la spada nera per poi sferrare un montante che la mancò per un soffio. Aura lo colpì con un calcio sul fianco, ma il comandante riuscì a bloccarlo e a gettarla nell’erba insanguinata, facendole perdere la presa sull’arma. La ninfa, ancora tenace riuscì a colpirlo al viso ma non abbastanza forte da dissuadere il suo avversario. Entrambi si fiondarono sulla lama, una per recuperarla e l’altro per gettarla ancora più lontano.

‘’Tutto quel che è in nostro possesso?’’- domandò, colpendolo con una manciata di fango che gli impedì di vedere oltre e Aura si mosse lenta per colpire di soppiatto. Darrien restò fermo ad ascoltare ogni movimento, ogni sibilo, ogni odore che la natura emanasse. Percepì un respiro affannoso provenire dalle sue spalle, il fruscio dell’erba sotto degli stivali sporchi aiutarono maggiormente. Quando le vibrazioni divennero più forti e rapide, Darrien si tolse il fango dagli occhi e puntò la lama contro la sua avversaria fermandosi a pochissimi centimetri dalla gola. Lo stupore di Aura era palpabile, tanto da farle cadere la spada e lo scudo.

‘’Ti sei fidata troppo delle tue abilità, ignorando che un potenziale avversario possa sopraffarti con poco. Ho già avuto esperienze di cecità nella mia vita e ho affinato l’udito per compensare la perdita temporanea. Però, lo ammetto, ti sei dimostrata degna di portare questo grado.’’- disse il ragazzo, rinfoderando la sua arma.

‘’Ora sono costretta a tornare in quel luogo d’armonia e serenità. Dannazione…’’- ruggì la ninfa, passandosi le mani tra le lunghe ciocche bionde. Il ragazzo le riconsegnò la spada, ma conservò lo scudo per poterlo far riparare dal suo amico Dolmihir. Notando lo sguardo affranto, il comandante poggiò una mano sulla spalla e le disse:

‘’Visto che la tua vocazione è la guerra, puoi sempre addestrare le reclute e allenarti con i due Guardiani del Frammento. Inoltre, questo scudo lo terrò io e lo farò riparare da un formidabile nano di montagna. Aura, è stato un vero onore sfidarti.’’
La ninfa sorrise debolmente, ma avvertì una scarica d’energia indomabile ripensando alle parole di Darrien. Il suo futuro come possibile generale di un plotone le provocava fastidiosi ed eccitanti formicoli alle mani. Con un inchino, i due si congedarono ma la ninfa volle replicare:

‘’Mi hai dimostrato che posso migliorare, perciò io ringrazio te. La natura e il Sole siano con te.’’- e così se ne andò, diretta nel Regno natio. Darrien, nel rivedere quella schiera di carcasse maciullate ebbe la folle idea di recuperare alcune ossa ed usarle come rinforzi per l’armatura. Recuperò solo le ossa piatte, dato che tutte le altre risultavano troppo danneggiate o difficili da trattare e le ripose in un sacchetto con cura. Con una corda, legò nel miglior modo possibile la testa dello sciacallo ucciso per mano sua e se la mise sul fianco: per sicurezza, cauterizzò ulteriormente la lacerazione usando il suo potere e tornò indietro a recuperare il destriero nell’avamposto. Nell’ombra di arbusti secchi, due loschi figuri erano nascosti e attendevano solo il ronzio di insetti necrofagi pronti a cibarsi per agire.
‘’Carne, ossa, sangue e interiora. Uno spettacolo crudo e meraviglioso. Quel ragazzo ci ha donato la morte per il nostro esercito. Terbius, fratello, recupera il loro sangue. Al resto mi occupo io.’’- disse il demone dalla pelle d’ebano e gli occhi rubino.

‘’Con tali carcasse cosa speri di ottenerci? Sono deformi e molti di loro non possono altro che diventar…vorresti fondere quel quadrupede con tutti questi vermi?’’- chiese il fratello, tramutando le gocce scarlatte in piccole gemme cristallizzate per impedire che si perdessero. Il demone evocò una delle crisalidi che fagocitò i sei cadaveri, divenendo un grappolo deforme che si muoveva lentamente.

‘’La Dama delle Tenebre ha migliaia di volti e forme. E plasmerò le prede in suo onore.’’

Lynmes Alno. Concilio delle Sette Sorelle, mattina. Inizio dell’Autunno in nome di Luqnera.
L’alloggio della giovane Thandulircath era ancora avvolto da un manto ombroso imperscrutabile. Le pesanti tende impedivano alla luce di filtrare e rischiarare l’ambiente, limitandosi ad un singolo e fioco fascio luminoso che si riversava sul pomello della porta. Sotto le coperte, riposava ancora rifugiata nel mondo dei sogni dove Bregoldir le aveva dato il benvenuto. L’uomo, un tempo schiavo del gelido incantesimo della Regina e liberatosi grazie ad un inganno, non nutriva alcun rancore nei confronti della giovane condottiera.

‘’Questo è il solo luogo dove la mia anima può riposare. Un limbo eterno, ma piacevole. Ti chiederai il motivo della mia comparsa suppongo.’’- disse lui, tastandosi di tanto in tanto il ventre dove la sua ferita era ancor presente.

‘’In parte sì, ma sono soprattutto sorpresa che tu non sia con i tuoi avi.’’- replicò lei, toccandosi la mano che echeggiava un vecchio dolore. Ed una vecchia colpa.

‘’I miei avi possono aspettare, abbiamo ormai l’eternità. Tornando a noi, la mia presenza qui è solo da consigliere. Questo popolo…i Rovi Rossi hanno uno strano comportamento e ti consiglio, appunto, di non aprire troppo le porte del tuo cuore. Fidati di loro, però prestando attenzione. So come Gallart ti tratta, è nella sua natura, per questo io ho optato un approccio diverso...’’- corrispose il vecchio cavaliere togliendosi le foglie dai sottili capelli argentati; Arilyn lo considerava quasi un fratello perduto di suo padre tanto per la somiglianza del viso, dei capelli e della folta barba. Alle loro spalle, come un diavolo, apparve Gallart dagli occhi freddi e dal sorriso sadico:

‘’Essere così smielati nei confronti di qualcuno rende il diretto interessato un bamboccio debole. Servono durezza, per questo tratto chiunque come merita. Penso tu abbia notato il drastico cambiamento della Thandulircath? Affascinante anche come sia stata in grado di avere un dialogo con l’Essenza della Fiamma d’Ambra e non lasciarsi sopraffare dal suo potere.’’- esordì lui, indicandola con la mano e facendo guizzare i suoi occhi luminosi sull’uomo. Il suo sguardo si posò su Arilyn, come se volesse scavare nella sua anima cercando qualcosa di prezioso. Sorrise, sapendo di esserci riuscito.

‘’E suppongo tu abbia notato anche dell’influenza magica del Recluso e della Peccatrice. Non sono fiera di quell’infantile comportamento avuto in loro presenza. Vuoi sbeffeggiarmi? Fatti avanti!’’- replicò lei avanzando con la rabbia che imperversava con insistenza; Bregoldir tentò di fermarla, ma inutilmente. Gallart scosse la testa, ridendo di gusto:

‘’Sì, ho avvertito la loro presenza e la magia che i lori spiriti emanano. Sbeffeggiarti? Oh ingenua di una Thandulircath non serve. Hai una vaga idea della promessa che hai fatto? Giurare di proteggerli, di liberarli da questi Rovi Bianchi ed evitare che il gemello malvagio ritorni per massacrare tutti senza alcuno scrupolo è stato sciocco. Sei schiava delle tue emozioni, del tuo codice d’onore mediocre. La premura offusca la ragione.’’- incalzò, attendendo una reazione della donna colpendole la fronte con due dita.

‘’Terrò fede alla mia promessa. Non li abbandonerò!’’- ruggì lei, facendo affidamento a tutte le sue forze e volontà di non reagire a quella provocazione. Bregoldir cercò di placare i loro animi, ma Gallart lo azzittì con un gesto della mano.

‘’Le promesse sono nate per essere infrante. I molti hanno giurato sul loro cuore e hanno fallito miseramente. Abbandono, dici? Proprio come hai fatto con i tuoi compagni ad Huvendal? Come con tuo padre?’’- quella domanda incrinò l’autocontrollo della Thandulircath, provocando sprazzi di luce dorata.

‘’Basta rinvangare il passato. Questo è un luogo pacifico, mettete da parte il vostro astio una volta per tutte.’’- sbraitò Bregoldir, innalzando un piccolo muro di ghiaccio tra i due impedendo lo scontro. Arilyn frenò le lacrime di rabbia che desideravano riversarsi sul suo viso.

‘’Vedi? Ti lasci sopraffare dalle emozioni, dai ricordi. A malincuore, sembra che tu debba ancora capirlo.’’- aggiunse il Re della Prima Fiamma, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
Tornò il silenzio tra loro, finché non avvenne qualcosa di sensazionale e inaspettato: nella vallata illuminata da una corona scarlatta, si librarono energicamente centinaia di sbuffi scintillanti che vorticarono raggiungendo altezze vertiginose per poi piombare nuovamente sulla terra esplodendo in schegge vitree che abbagliarono i presenti, producendo fragorose esplosioni. Anche gli alberi sulla collina ove erano i tre condottieri si ricoprirono di lucciole ambrate che si strinsero attorno le chiome incendiandosi.

‘’Credo che qualcuno sia venuto a svegliarti, Arilyn dei Thandulircath. Vai e non frignare come un poppante.’’- asserì Gallart, avvolgendola in una gigantesca fiamma tiepida. Bregoldir le sorrise prima che svanisse nel nulla, destinata a ritornare nel regno dei vivi.
Quel sorriso trasmetteva il senso di colpa e la preoccupazione.
Arilyn si svegliò, accecata dall’intenso sole che era entrato con violenza nella sua camera. Si schermò gli occhi con le mani nel tentativo di distinguere le sagome degli intrusi. Riconobbe la statura possente di Veldass fermò sull’uscio della porta e quella di Iridia con le braccia conserte in attesa che la Thandulircath si riprendesse.

‘’In piedi Thandulircath, abbiamo un lungo viaggio. Un manipolo di soldati sta assediando l’avamposto di Pharossa con l’intento di depredarci delle risorse e catturando i nostri fedeli soldati. Per fortuna che due vecchi amici riescono ancora a resistere nonostante l’età.’’- esordì il Comandante, lanciando sul letto gli oggetti della ragazza e la spada.

‘’Buongiorno anche a te, vedo che abbiamo la sete di sangue da placare. Chi sono?’’- chiese Arilyn, legandosi i capelli e indossando la leggera armatura. Pulì la spada dal sangue secco con dell’olio, attendendo la risposa della donna con gli occhi fissi su un documento proveniente dall’avamposto.

‘’Oldorrorn Ascianera e Balfohdruk Cuoreosseo. Il primo è un Nano del Ferro e il secondo di Legnoscuro. Entrambi hanno contribuito alla creazione del mio randello dalla quale deriva il mio nomignolo.’’- s’intromise Veldass, picchiettando sull’arma poggiata in spalla con un sorriso soddisfatto. Non appena Arilyn fu pronta, si diressero tutti i presenti nella sala del trono nell’attesa di istruzioni da parte del Concilio. Nel mentre che la Sorella Maggiore Daernith donava loro coraggio con la benedizione degli astri, Arilyn notò Oghan il fabbro vicino una colonna che chiedeva ad alcuni soldati della fanteria pesante di trasportare ‘’la cintura di scudi a pressione’’ come amava definirli, facendo attenzione a non danneggiare il meccanismo. Quando il fabbro notò la presenza della Thandulircath, le chiese di avvicinarsi:

‘’Buondì, cara Arilyn. Ho un favore da chiederti, mi è concesso? Non vorrei distrarti troppo dal tuo compito.’’- disse con estrema umiltà, quasi irriconoscibile data la sua natura da vecchio soldato.

‘’Non temere ti ascolto. Qualcosa non va?’’

‘’Dato che l’inverno si avvicina minaccioso ed io mi sto occupando di crearvi armi adatte, l’Autunno in nome della Dea Luqnera ha sempre favorito noi fabbri. Il favore è questo: semmai tu dovessi notare un gigantesco cratere con una gemma che brilla di rosso e viola, potresti recuperarla? La forma è quella di una chiocciola, ma noi la chiamiamo Gemma della Luna, rarissima e utile per moltissime armi come la tua spada.’’- rispose l’uomo, estraendo un foglio con uno schizzo che ritraeva l’oggetto in questione. Nonostante i pochi dettagli, i colori e l’insieme erano suggestivi accompagnati da una breve descrizione della gemma e di cosa provoca inizialmente in coloro che hanno un grande potere.

‘’Sarà fatto Oghan.’’- corrispose Arilyn, stringendogli la mano e raggiungendo il plotone pronto a partire. Vennero chiamati alle armi più di trecento soldati per contrastare l’assedio, divisi tra fanteria leggera munita di cannoni di vetro portatili e fanteria pesante munita di spadoni e uncini grossi quanto un sasso. Attraversarono il perimetro ovest del Concilio diretti in una zona con poca vegetazione e terra brulla, notando fin da subito diverse colonne di fumo grigiastro librarsi nel cielo e svanire poco dopo. Iridia impartì all’esercito di aumentare l’andatura dei loro destrieri per raggiungere nel minor tempo possibile l’avamposto. Giungendo a delle rovine con rune del popolo dei Nani, il Legionario Olfhun ordinò ai soldati e al suo comandante di fermare i cavalli:

‘’Abbiamo compagnia.’’- disse, e contemporaneamente una colonna si inclinò pericolosamente sulle retrovie dando il via libera al nemico di sbucare dal suo nascondiglio. Le loro armature e divise erano diverse da quelle viste in precedenze, più sfarzose e di vecchia forgiatura quindi facili da danneggiare. I Legionari iniziarono a tranciare e a sventrare come se nulla fosse i loro aggressori, mentre Arilyn affrontava un condottiero più grande di lei con una pesante cotta di maglia arrugginita.

‘’Adesso anche i mingherlini reclutano? Sei ridicola in quell’armatura…’’- sbraitò il soldato, avanzando a grandi falcate ignaro di avere le gambe scoperte. Arilyn brandì la spada e mutilò la gamba sinistra fino al ginocchio. Preda dell’improvviso dolore, il soldato a cavalcioni nel terreno fangoso cercò di decapitarla usando il suo falcetto che venne contrastato dalla lama incandescente della giovane. Arilyn usò il suo potere sulla catena della spada, illuminandola, per poi avvolgerla intorno il collo dell’uomo e strangolarlo. Quando il suo corpo rimase immobile, la Thandulircath scrutò nella baraonda alcuni soldati avvicinarsi di soppiatto alle spalle di Iridia e Arshile intente a maciullare, sventrare e a trafiggere con le loro spade ed armatura di rovi gli avversari. Oltre il calore del suo potere innato, avvertì un altro tipo di calore quasi arcano: dalla sua mano sinistra si generarono sottili fili ambrati che, unendosi in una frusta di luce, ricadevano sull’erba sudicia.

‘’La Fiamma d’Ambra vuole aiutarmi? E sia.’’- disse tra sé e sé. La distanza tra lei e il nemico era di solo cinque passi e sperò in un colpo perfetto. Energicamente mosse il braccio, la frusta produsse un sibilo acuto, attraversò le due Legionarie senza causare danni e si conficcò negli occhi dell’assassino uccidendolo istantaneamente. Da quel corpo esanime, balzò sull’altro consentendo ad Iridia un fendente mortale: la stanchezza iniziò a farsi sentire e dovette recuperare il fiato.
‘’Stai bene?’’- domandò Arilyn, prendendole il viso tra le mani. Il sangue sporcava il viso di entrambe, rendendole aggraziate ma allo stesso tempo spietate.

‘’Mai stata meglio.’’- replicò lei, ruotando le spade e usandole come pugnali per trafiggere obliquamente i polmoni di uno soldato dei Rovi Bianchi ferito e immobilizzato dai cadaveri dei commilitoni. Sorrise sadicamente e ordinò di aiutare quelli in difficolta. Più avanti gli altri cinque Legionari mutilavano e schiacciavano i nemici con facilità. L’ultimo, il loro comandante, non demordeva e dimenava la spada a chiunque si avvicinasse colpendoli con affondi oppure respingendoli con uno scudo mal ridotto.

‘’Gloria ai Rovi Bianchi!’’- urlava l’attempato uomo, madido di sudore e fango. Ignaro della presenza del Legionario alle sue spalle, si ritrovò con il viso nel fango e due uncini conficcati nei tendini d’Achille: per evitare che si liberasse, Allric ed Hildel ruppero i suoi polsi usando dei sassi terminando il lavoro iniziato da Olfhun.

‘’Imbavagliatelo e portatelo dalle Sette Sorelle. Gentilezza mi raccomando.’’- esordì ironicamente Iridia, impartendo l’ordine ad alcuni suoi uomini delle retrovie che risero cupamente. La battaglia durò qualche minuto, rallentando il loro avanzamento verso Pharossa ma ciò servì come riscaldamento per eliminare gli assalitori.
Appena giunti all’avamposto, senza alcuna pietà volarono teste, braccia, viscere, sangue e metallo. Le spade turbinavano in una danza di scintille per poi baciarsi e staccarsi duramente. Arilyn, preda di una strana sete di sangue e di vendetta si catapultò sui nemici squarciando le loro gole, colpì i loro arti protetti da mere cinghie di cuoio così da farli cadere e conficcandosi sui pugnali. Incanalò la sua energia nella spada e proiettò una falce di luce che seminò una lenta morte incandescente, riducendo in cenere parte di loro e l’altra parte morì fusa alla propria armatura assumendo la forma di un groviglio deforme di carne e pelle conciata. Un cavaliere afferrò la gamba della giovane che gli fracassò il cranio con lo stivale per il suo affronto scellerato.

’Spietata. Mi piace.’’- pensò tra sé e sé Iridia, testimone di quella scena: percepì qualcosa di strano nel suo petto, una sensazione sopita da anni ma non volle darci peso. Da quella baraonda barbarica, si rivelarono anche i due Nani guerrieri: uno brandiva una lunga ascia bipenne e l’altro due martelli sporchi di sangue rappreso. Nonostante il sudore che colava sui loro volti barbuti, colpivano e sventravano gli aggressori senza difficoltà:

‘’Ventisette a ventisei. Stai perdendo colpi mio vecchio Balfohdruk.’’- urlò il nano con l’ascia bipenne mentre attendeva la sua prossima preda. In quel momento si udirono tre forti colpi di metallo e carne fracassata: gli elmi di forgia antica erano schiacciati sulle teste di tre nemici che grondavano sangue e materia cerebrale dalle fessure.
‘’Ventinove a ventisette, mio vecchio Oldorrorn. Anzi, trenta.’’- precisò, notando un soldato ferito alla gamba che colpì con la parte piatta del primo martello, deformandogli il viso e staccandogli la mandibola. Nei loro occhi vi era la luce di vecchie battaglie condotte più di trecento rivoluzioni prima ma si divertivano come se fosse la prima volta. Impegnati in quel trambusto, un soldato cercò di afferrare Oldorrorn per la lunga barba bionda ritrovandosi però trafitto da una spada di luce che lo incenerì. Un corno richiamò l’esercito dei Rovi Bianchi costringendoli a ritirarsi, ma ignari di una tempesta rossa pronta ad abbattersi su di loro. I Legionari, Arilyn e i cavalieri decimarono sotto i colpi di spada, cannoni di vetro, lance ed esplosioni di luce quel manipolo di soldati. I gemiti di dolore e angoscia vennero sovrastati dagli incessanti schiamazzi di gloria dei Rovi Rossi:

‘’Veldass, quel randello lo lucidi ogni giorno? Guarda che sudiciume vi è su quel lato.’’- esordì con ironia Oldorrorn Ascianera salutando l’omaccione con una ferrea stretta di mano.

‘’Sempre. Perdonate il ritardo, ma alcuni cavalieri ci hanno teso una imboscata. Dobbiamo e dovete ringraziare Arilyn per l’immenso aiuto.’’- rispose il Legionario, salutando anche l’altro nano guerriero per poi indicare la giovane Thandulircath ricoperta dalla testa ai piedi di fango e sangue. Iridia le sorrise, per la prima volta non un sorriso di scherno ma di stima il che fece arrossire Arilyn, susseguiti dai complimenti degli altri.

‘’Steinär sia con lei. Una Thandulircath nel Lynmes, stento a crederci. Veldass, sai chi è il padre o la madre? Quello stile così preciso e veloce l’ho già visto da qualche parte.’’- disse Balfohdruk, rinfoderando i due martelli nella cintola. Nel mentre che il Legionario spremesse le meningi per ricordare il nome, i due Nani si rinfrescarono la gola arsa con una borraccia piena di birra.

‘’Un certo Vorshan, se non erro.’’- replicò dopo un po’, e per poco non fece strozzare i due compagni.
‘’Lui? La leggenda dei popoli? Per tutto il ferro delle nostre montagne!’’- urlò Oldorrorn, correndo verso la giovane condottiera attraversando la marea di cadaveri, seguito dal suo amico Balfohdruk. Una volta raggiunta, a perdi fiato si presentò e chiese perdono per essersi intromesso nella discussione dei suoi compagni. Arilyn osservava quella forma tozza e muscolosa allo stesso tempo, segnata dagli anni e dalle guerre più crude. La sua pelle era un mosaico che testimoniava il suo coraggio.

‘’Io sono Oldorrorn Ascianera, mastro fabbro e guerriero instancabile. E lui è Balfohdruk Cuoreosseo. Davvero sei figlia del leggendario Vorshan?’’- chiese lui, pulendosi le poche gocce di birra rimaste attaccate alla sua folta barba.
‘’Sì, buon nano. Lui era e sarà sempre mio padre, colui che mi ha salvata da una gelida sciagura.’’- rispose Arilyn, con un sorriso colmo di tristezza. Il nano comprese immediatamente quella risposta e si meravigliò.
‘’Ci dispiace per la tua perdita e perdonaci se abbiamo riaperto una ferita ancora fresca…Conta sulla forza e la parola di un nano, non sarai mai sola. Noi ricordiamo e ci aiutiamo l’un l’altro.’’- replicò Balfohdruk, picchiettando sulle teste piatte dei suoi martelli. Arilyn li ringraziò e raggiunse i Legionari all’interno dell’avamposto dove vi era un sottoufficiale che spiegava che non era un esercito comune, bensì di vecchio ordine. Le armature e le cotte di maglia decorate da piccole gemme, gli abiti e le armi ne erano la prova:
‘’Alcune spie ci hanno detto che questo gruppo di soldati, più di duemila, agisce secondo un antico codice d’onore e ordine reale. Quello attuale è comandato da un ragazzo ribellatosi al suo Re, che ha destituito il generale e ricostruito il codice di ogni avamposto del Draal. Per ora non è una minaccia, ma lo sorvegliamo nell’ombra come possiamo. Sperando che la piaga oscura che affligge metà terra orientale non ci dia filo da torcere.’’

‘’Novità dalla Cittadella degli Abbandonati?’’- domandò Allric, ispezionando i rapporti delle spie e annotando i progressi adempiti nell’ultimo mese. Arilyn osservò l’uomo dalla testa calva e dalla lunga divisa purpurea frugare tra i vari cassettoni, trovando rimasugli di carta straccia:

‘’Abbiamo inviato un messaggero con questo documento, ma i governatori lo hanno rispedito al mittente. E in modo brusco anche. Se volete, affido a voi il compito di tenermi informato sulle condizioni della terra circostante e dei cittadini.’’- replicò lui, seccato da quel risultato scadente. Dopo essersi consultati, i Legionari lasciarono l’edificio per far la conta dei superstiti, dei feriti e dei potenziali deceduti mentre Arilyn si allontanò di qualche passo verso un piccolo boschetto di carpini bianchi e aceri campestri. Percepì nuovamente il fastidioso calore alle mani e al petto:

‘’Non sarai mai sola. Più facile a dirsi che a farsi, buon Oldorrorn…forse Gallart aveva ragione. E forse anche questa guerra mi sta cambiando.’’- pensava Arilyn, poggiata ad un tronco e desiderosa di un bagno per togliersi il sudiciume rappreso. Chiuse gli occhi per il fastidio ormai tramutatosi in dolore accompagnato da tremori; nella penombra balenarono altri tasselli di memorie ingarbugliate, la stessa voce che la chiamava, sentiva gemiti di sofferenza e urla. Comparve nuovamente l’Essenza della Fiamma d’Ambra che assunse una espressione perplessa:

‘’Custodisci dentro di un potere magnifico che usi per un bene comune, eppure lo intrappoli come un povero sparviero. Hai avuto il privilegio di sfiorare il Primo Frammento d’Ambra, di avvertire l’immensa energia…ma hai paura.’’- disse l’entità, avvicinandosi con intenzioni amichevoli.

‘’Di perdere il controllo e tramutarmi in ciò che non sono.’’- rispose Arilyn stringendo i pugni e inginocchiandosi tra l’erbetta sentendosi improvvisamente debole.

‘’Figlia dei Thandulircath fino ad ora hai dimostrato di valere per ciò che sei. Tu temi di perdere il controllo, ma non è così. Il timore che possa avvenire ti paralizza e il tuo potere continuerà a non manifestarsi nel suo immenso splendore come le stelle notturne. Lascia che ti aiuti.’’- corrispose l’entità che assumeva volti diversi ogni momento, prendendole la mano e costringendo Arilyn a stringerla. Il contatto fu breve e l’entità svanì. Il calore iniziale si tramutò in torpore fino a dissolversi, dalle mani della ragazza si sprigionarono intensi sprazzi di luce fino a spegnersi. Si sentì rinvigorita, così come l’energia nel suo animo. Mosse le mani e generò lampi dorati che lasciarono solchi nella terra. Lo stesso avvenne con la sua spada, ancor più accecante e incandescente. Sorrise e strinse i pugni, con una punta d’orgoglio dal gusto nuovo per lei. Percepiva la quiete dell’anima, il suo potere ben vigile e aveva ritrovato il controllo delle emozioni:

‘’Siamo una cosa sola adesso.’’- disse la giovane Thandulircath, evocandolo con facilità in migliaia di lucciole volteggianti.

Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Jossul. Autunno in nome di Luqnera.

Lasciato l’avamposto del Capitano Morrygan, il giovane Darrien si diresse all’ultimo punto militarizzato, ovvero a Jossul dove lo attendeva l’ultimo Capitano. Prima di partire, alcuni soldati lo avvertirono della sua natura da mezz’elfo e del suo estremo diletto nell’arte bellica, legata al vecchio ordinamento del Re Galeren. Durante il percorso, uno degli ufficiali di frontiera narrò che quel luogo un tempo era una città dove vivevano umani e mezz’elfi di ogni razza conosciuta. Per aspri dissapori tra alcune famiglie nobili, la maggior parte del popolo lasciò quella terra contaminata dall’odio per insediarsi in località nell’estremo occidente e in altre isole. Quando Galeren espanse il proprio potere anche lì, riconobbe il fratello di sangue e insieme costruirono ciò che è adesso l’avamposto e nuova casa per i sopravvissuti.

‘’Prima dell’arrivo del Re, quella piccola città era chiamata Jìsool, che significa Pietra dell’Unione. Adesso è Jossul, che per loro vuol dire Aculeo di Pietra. Ci impiegherà un po’ per esplorare ed ispezionare tutto il luogo. Si estende per quasi due miglia a partire dalle pendici della montagna a salire, l’abilità di manipolare la superficie rocciosa gli ha consentito di costruire una città ben sorvegliata e protetta dalla stessa montagna.’’- disse l’uomo, muovendo le dita nell’aria cercando di dipingere con colori invisibili lo schema del luogo. Attraversato una vallata, la montagna dove si ergeva la costruzione fu facile da notare per le enormi case con i tetti a cupola a spirale. Le mura, modellate dalla magia, assumevano la forma di denti acuminati su ambo i lati dove sventolavano i vessilli bianchi e dorati del regno che ritraevano i simboli degli uomini e dei mezz’elfi. L’ufficiale di frontiera sì congedò, non avendo il permesso di varcare quel luogo in quanto non sua giurisdizione. Darrien proseguì in groppa al suo rettile quadrupede, arrivando all’enorme cancello in bronzo con decorazioni in giada.

‘’Aprite il cancello, sono qui per incontrare il vostro capitano!’’- urlò Darrien con voce distorta dal suo elmo d’ariete. Dall’alto di una torre di guardia, un soldato dall’aria stanca si sporse dalla balconata e azionò una grossa leva con ruota. Gli ingranaggi si mossero con gran fracasso, consentendo ai contrappesi di aprire quella mastodontica porta. Un altro soldato in livrea turchese, non appena lo vide, lo invitò a salire sulla funivia e lasciare il suo destriero in una delle stalle dato che non reggeva il peso di un simile mammifero. Il marchingegno si mosse pigramente per poi acquistare velocità in salita. Dall’alto, il giovane comandante, notò un soldato in armatura ferito al volto e alla gamba correre verso la residenza. La struttura era stata costruita a regola d’arte, non da mani umane o elfi mezzosangue, bensì da nani maestri in ogni campo. L’entrata priva di una porta era costeggiata da colonne d’alabastro finemente incise che raffiguravano il passato del luogo, variando dalle mansioni quotidiani alla venerazione degli dei fino ai dissapori e la divisione. Una volta entrato, l’ambiente sterile lasciò il posto a decorazioni in oro e cristalli vari fusi su candelabri in ottone dalle dimensioni di tronchi d’albero, che diffondevano un barlume tenue nell’immenso salone. Altre colonne in alabastro si ergevano verso l’alto unite da volte d’ogive con arazzi appesi alle estremità. Nel mentre i suoi passi echeggiavano sul pavimento a mosaico pentagonale, poteva udire delle voci concitate provenire dal fondo della stanza e si affrettò a raggiungere quella porta socchiusa dalla quale filtrava una luce biancastra.

‘’non starò qui a subirmi la predica di due cocciuti che preferiscono far morire i loro soldati. E se non accettate le mie condizioni, preferisco disertare e unirmi al nemico.’’- urlava un soldato con il braccio fasciato rozzamente a due uomini dall’armatura lucente in ferro con diversi monili incastonati. Darrien notò che uno dei due aveva le orecchie semi appuntite, il mezz’elfo.

‘’Infanghi il buon nome del Re Galeren, colui che ha piantato le radici di un ordine cavalleresco impeccabile. Non starò qui a sorbirmi le tue lamentele e, se il nuovo comandante crede che io starò al suo ordine, si sbaglia di grosso.’’- replicò il Capitano mezz’elfo, nella sua armatura a piastre verdi.

‘’Per essere un Capitano, ha la lingua lunga ed è irrispettoso nei confronti di un suo superiore.’’- esordì Darrien, mostrandosi nella stanza con indosso il suo cupo elmo. Il soldato ferito, prima di congedarsi, imprecò verso i suoi ex ufficiali e lasciò la stanza con energiche falcate seguito dall’ufficiale lasciando solo i due cavalieri d’alto rango da soli. Il ragazzo si tolse l’elmo, cosicché il capitano potesse vederlo. Il mezz’elfo si versò del tè al miele mescolandolo con del liquore dall’odore intenso e lo sorseggiò indifferente finché non gli rivolse uno sguardo di finta sorpresa:

‘’Tu dovresti essere il neo comandante del nostro illustre regno, colui che si è ribellato alle vere radici cavalleresche. Io sono Ebirre Kraigro, Capitano e mezz’elfo di questo splendido avamposto.’’- disse lui, posando la tazzina di tè e porgendo la mano in segno di cortesia. Darrien lesse nei suoi occhi ambrati la menzogna e la scansò bruscamente arrivando subito alle conclusioni:

‘’Le tue cosiddette radici cavalleresche sono fondate con il sangue e la paura di coloro costretti ad unirsi ad una scellerata guerra. Sono morti soli, nel fango e nella melma, senza alcun tipo di conforto. E il tuo Re cos’ha fatto fino ad ora se non crogiolarsi nella sua insipida e riprovevole lussuria?! Ora le decisioni le prendo io e il Re deve attenersi a ciò che ordino.’’- furono le sue parole, mentre minuscole linee d’oscurità lambirono le sue mani. Il mezz’elfo saltò in piedi sulla sua scrivania, brandendo la sua spada ricurva e intimò al ragazzo di desistere dalla sua mansione:

‘’Sei solo un marmocchio, insulti il nostro buon Re e lo accusi di eventi non veri. Meriti solo…’’- non ebbe tempo che Darrien lo afferrò per le caviglie facendolo cadere rovinosamente con la schiena sul duro legno. Il Capitano Ebirre cercò di colpirlo con un fendente, ritrovandosi un pugnale conficcato nel polso che lacerò la carne, il muscolo fino a giungere all’attaccatura dell’avambraccio; l’armatura non poté fare niente contro quella piccola lama ricoperta di fumo nero. Il sangue imbrattava il vestito di seta che portava, nel mentre che Darrien puntò la spada del mezz’elfo a pochi centimetri dal ventre scoperto.

‘’I primi quattro Capitani sono stati più ubbidienti. Disciplina e regole rigide, ma a malincuore noto che la tua natura non differisce molto da quella di Galeren. Voglio darti una seconda occasione: dimostrami di essere degno di portare questo rango e di non disobbedire ai miei ordini, oppure dovrò optare per una punizione violenta.’’- sibilò il giovane, intanto che quelle linee nere aumentarono ricoprendo il suo viso e i suoi occhi. Il mezz’elfo digrignò i denti tentando di liberarsi ma la presa era troppo forte, così per il dolore lancinante. Chiuse gli occhi e accettò deglutendo quel boccone amaro. Un fischio acuto, poi un tonfo e legno che si spaccava esplodendo in diverse schegge. Urla di dolore echeggiarono nei meandri di quella residenza scavata nella montagna.

‘’La punizione violenta era la morte, ma mi limiterò a privarti della mano traditrice. Fatti curare quel moncherino prima che si infetti. Adesso, mettiti a lavoro.’’- aggiunse Darrien, staccando la lama dal legno danneggiato e recuperando il pugnale dall’avambraccio mozzato. Subito dalla porta comparve un vecchio uomo con un lungo grembiule sporco di sangue ed unguenti che comprese la gravità della situazione. Non fece domande e si limitò a condurre il Capitano nel suo studio per guarirlo. In assenza dell’uomo, decise di ispezionare l’ufficio trovando solo ritratti su ritratti e pochi documenti sulle condizioni dei soldati o del territorio, addirittura delle poesie smielate che distrusse volentieri. Iniziò a stilare una serie di compiti per tutti i membri del luogo che variavano dall’orario di ronda al mantenimento delle mura fino al rimettere in funzione la funivia. In quella marea di scartoffie comparve il nome di un fabbro che richiedeva il pagamento per le ultime armi d’assedio e la costruzione di alcuni dardi magici.

‘’Non attenderò oltre, mezzosangue. Richiedo immediatamente il mio compenso per il lavoro o sarò costretto a sabotare ogni suo piano bellico. Il saldo è di dieci monete di platino e una lastra di titanite. L’attendo alla Fauce Cremisi. Ossequi da Tholossin Scagliadura, nano del sangue vitreo.’’- percepì l’intenso odio che provava il fabbro nei confronti dello sfrontato capitano. Si ricordò di avere ancora dei gioielli tolti dal sontuoso trono del Re e sperò che il nano li accettasse. Controllo se ci fossero altri monili preziosi e trovò una collana con smeraldi grandi quanto una prugna, unendolo così alle ricchezze già presenti. Convocò un soldato di guardia nel palazzo chiedendogli dove si trovasse la Fauce Cremisi e il condottiero si limitò ad indicare la funivia da dove era entrato. Darrien osservò il pigrone da cima a fondo, richiamandolo per la sua condotta:

‘’Oh, non è lei Capitano Ebirre? Mi perdoni immensamente Signore! La Fauce Cremisi è a metà tragitto della funivia, ha la forma di una cuspide con la vetta illuminata dalla fornace sempre attiva.’’- rispose il cavaliere, sistemandosi l’elmo. Darrien seguì le indicazioni e lo ringraziò con diffidenza. Una volta all’esterno e presa la funivia, la Fauce era ben visibile seppur avvolta da una coltre di denso fumo rossiccio e scintille, accompagnate dall’incessante batter di metallo. L’enorme fucina si reggeva un grande costone della montagna, supportata anche da colonne in rame che piombavano verso il basso, sprofondando per decine e decine di metri nel sottosuolo. La forma era quella di una cuspide che si arcuava in avanti minacciosamente, il cancello alzato donava alla struttura l’illusione di avere dei denti aguzzi e le varie finestre illuminate sembravano una moltitudine di occhi folli. Varcò la soglia, venendo accolto da un asfissiante calore di una dozzina di fornaci in funzioni, alimentate da mantici automatiche grazie ad un sistema di leve e ingranaggi ben congegnato.

‘’Tholossin Scagliadura sei qui?’’- chiese a gran voce il comandante, sperando di farsi sentire oltre il gran fracasso. In all’erta avanzò piano, osservando i vari corridoi e muri che rendevano un labirinto di fuoco quel posto. Avvertì alle sue spalle un cigolio, sfoderò la spada e colpì qualcosa di estremamente resistente: la parte piatta di un martello dalla testa oblunga gli fece perdere presa sulla spada. Giunsero dei frettolosi passi dall’ombra, Darrien estrasse un’altra spada più corta e tentò di affondare il colpo. Anch’esso venne contrastato da un secondo martello:

‘’Dov’è il mio compenso, Orecchie curve?’’- urlò il nano, palesandosi alla luce delle fornaci. La pelle d’ebano contrastava le venature biancastre perlacee, così come i suoi occhi ardesia a tratti rossi. Indossava una camicia verde oliva con ricami arancioni e da sopra un grembiule sporco di olio e fuliggine. Le braccia possenti erano ricoperte di scaglie azzurre romboidali, come le scaglie del coleottero ucciso dal giovane comandante giorni addietro.
‘’Ti sembro un mezz’elfo, mastro fabbro?’’- domandò lui, facendo resistenza a quell’inaudita forza che possedeva Tholossin. Il nano ritrasse la sua arma e lo squadrò da cima a fondo, alzando le sopracciglia in segno di stupore.

‘’No, non emani la loro orrida fragranza di pino, non hai capelli dorati lunghi fino al sedere e non hai orecchie appuntite e curve. E non hai l’aspetto di un tipico narcisista. Perché sei nella mia officina?’’- chiese lui, recuperando le armi di entrambi e aspettando risposta. Darrien estrasse un sacchetto che tintinnava. Lo lasciò nelle sue mani e non appena vide quelle splendide gemme brillare, il nano imprecò e si mise a ballare.

‘’Il tuo compenso mancato. Spero basti, anche se non erano le dieci monete di platino e la titanite richiesta.’’- disse Darrien, rinfoderando la spada perfettamente intatta a quel violento colpo. Il nano si mise a contare le gemme e gli smeraldi sul monile in oro. Usando una piccola lente di ingrandimento studiò il taglio e la forma. Tholossin esultò nel constatare l’autenticità di quel prezioso tesoro e ringraziò Darrien per essersi disturbato nel cercare di sistemare i problemi del Capitano.
‘’Per ora non potrà fare molto con un braccio solo.’’- asserì il giovane, con un sorriso perfido.

‘’Provo ad indovinare: ti ha attaccato perché non è concorde con il tuo metodo di comando?’’- chiese lui, sistemando le pietre preziose nel cassetto del tavolo da lavoro.
‘’Esattamente. Gli ho risparmiato una morte indecorosa per la sua insubordinazione. Sei il secondo nano che vedo in quest’ultimo mese, e noto che per il vostro mestiere siete nomadi.’’

‘’Non nomadi, ma alla ricerca di nuove sfide. Ovviamente ben retribuite, i materiali non sono sempre reperibili in natura e altri richiedono del tempo prima di arrivare dai commercianti. Siamo guerrieri, forgiamo le nostre e le vostre armi grazie all’aiuto del nostro dio. Viviamo più di voi e non ci arrendiamo mai. E siamo anche delle teste cocciute a volte, lo ammetto.’’- corrispose il nano fabbro e guerriero, grattandosi la nuca calva. Ci fu un sibilo e una piccola folata di vento che fece scattare Darrien di lato. Si udì una molla scattare costantemente e altri dardi perforare l’aria, diretti verso il ragazzo che li distrusse usando il suo potere.
‘’Tu, misero mammalucco e bamboccio che non sei altro. Guarda cosa hai fatto alla mia purezza! Mi hai reso uno storpio!’’- urlava il mezz’elfo Ebirre, comparso dal nulla con in mano una balestra a ripetizione. Nel tentativo di ricaricare l’arma usando i denti non si rese conto del martello diretto contro di lui. Il violento vorticare si arrestò sul legno e sulla mano dell’uomo, fracassando entrambi con un tonfo secco. Gli occhi di Ebirre si tinsero d’oro, le sue labbra si mossero rapide nel pronunciare un incantesimo che generarono un globo rosato che emanava fulmini in diverse direzioni. Darrien non si sentì intimorito dalla magia di un mezz’elfo e tenne alta la spada nella sua traiettoria. Così come nacque quel globo e gli occhi dorati del mezzosangue così si dissolsero. Un rivolo di sangue scuro scivolava dal labbro, mentre una lama lo aveva trapassato al basso ventre. Rapida fu la lama che lo tagliò in due in una cascata di membra disgustose.

‘’La magia di un mezz’elfo è potente quanto quella dei suoi purosangue. Il fato ti ha graziato ancora una volta Darrien.’’- era Batkiin, giunto da uno degli avamposti e scortato dal soldato pigrone. Il cadavere mutilato dell’uomo venne gettato in due fornaci diverse usato come combustibile.

‘’Informerò il Re del tradimento di un suo fedele servitore, ma la verità resterà tra noi.’’- disse il vecchio generale, gettando pezzi di legno e carbone nel tentativo di occultare i resti. Darrien lo ringraziò con una stretta di mano.

‘’Perché non diventi tu il Capitano di quest’avamposto? Ebirre Kraigro non esiste più e vi è bisogno di un qualcuno che tenga ben sorvegliato i nostri confini. Considerala la tua redenzione.’’- propose il giovane dei Varg, conoscendo il passato da braccio destro di Galeren. Batkiin sorrise e accettò di buona lena quell’invito ad essere un capitano di un grande avamposto montanaro, ringraziando nuovamente il giovane per quel radicale cambiamento nelle scelte del suo Re ed ordinò al soldato in livrea di radunare i commilitoni e rimuovere ogni arazzo con il vessillo del defunto capitano, di donare le armi e ogni suo gioiello al nano così da avere materiale sufficiente per qualche creazione utile e di sistemare la funivia.

‘’Darrien, nonostante tu sia un comandante diverso dai codici cavallereschi del nostro regno, hai riportato alla gloria alcuni avamposti e due capitani si sono complimentati con me quando li ho incontrati. Sì, ti pedinavo nell’ombra ma l’ho fatto per vedere i progressi. Hai fatto meglio di me.’’

‘’No, mio fedele alleato. Abbiamo. Galeren deve comprendere che non vi sono solo ricchezze pacchiane e pugno di ferro, i soldati vanno trattati con rispetto perché sono umani.’’- corrispose all’autocommiserazione dell’anziano generale. E fu in quell’istante che si udì uno squillante suono di tromba e dei boati provenire dall’esterno delle mura.

‘’Siamo sotto attacco! Creature deformi e ricoperte di melma nera.’’- disse il soldato in livrea turchese grazie all’uso di un binocolo.

‘’L’ennesimo tentativo di indebolirci da parte dei Rovi Neri. Fai caricare i barili d’olio combustibile e colpiteli con frecce incendiarie, rinforzate il cancello con massi e casse di ogni forma e peso e impeditegli di scalare le mura. Darrien e Tholossin venite con me, dobbiamo radunare gli altri soldati!’’- impartì varie istruzioni il neo capitano, avviandosi verso una scala ricavata nel sedimento della montagna. Poco prima di raggiungere una caserma fatiscente ove i soldati attendevano gli ordini, dal cielo piombarono massi di melma grumosa che esplosero emettendo diversi sibili e il liquido cocente penetrò nel terreno fangoso colpendo anche uno dei cavalieri che morì liquefatto. Darrien osservò il faticoso arrancare di alcune bestiacce immonde sulle torri di vedetta che dilaniarono alcuni degli arcieri. La rabbia si impossessò di lui e della sua lama.

‘’Che questa lama possa metter fine alla vostra esistenza!’’- furono le sue parole, prima del massacro.

Corse sulle scale di legno, giungendo alle spalle dei nemici intenti a divorare le membra degli arcieri. La spada oscura decapitò il primo e trapassò la nuca del secondo, facendo schizzare zampilli di sangue acido sulle mura della torre di guardia. Incendiò i resti putrescenti con il suo potere, avanzando rabbioso sul camminamento di ronda e mutilò altre creature e quello che sembravano soldati defunti. Nascosto dietro un merlo, Darrien poté scorgere lo scalare di strane crisalidi con zampe da ragno che ingurgitavano i cadaveri mutilati e scaraventavano con violenza inaudita chiunque cercasse di attaccarle, trafiggendoli con le loro spine acuminate. Batkiin attirò la sua attenzione lanciandogli un barile colmo di pece ed olio:

‘’Rompi il barile e fallo rotolare in loro direzione, io penso all’esplosione.’’- urlò l’uomo dal basso, usando una torcia per incendiare le abominevoli bestie. Darrien ruppe una delle assi del barile, facendo sgorgare il contenuto oleoso sulla pietra e con un calcio lo scagliò contro di loro. In quell’istante, sopraggiunsero dei Krinxs deformi e corrotti che tentarono di ferire con i loro artigli il giovane. Solo diversi affondi e montanti lo salvarono da una morte dolorosa.

‘’Batkiin, ora!’’- ordinò il Comandante e la fiaccola lucente incontrò la pece combustibile. La deflagrazione fece cedere parte del muro, generando una pioggia di detriti sull’esercito di incubi che venne sepolto tra urla gracchianti e sibili dell’acido. Un muro di polvere rese l’aria irrespirabile e impedì sia a Darrien che a Batkiin di potersi riunire con il plotone.

‘’Sai quanto tempo ci vuole per creare capolavori nati dall’Incubo e dalla Morte? Ore, se non giorni e tu stai rovinando il mio operato.’’- disse una figura mascherata che alzò Darrien per il bavero come se non pesasse nulla e lo lanciò nella terra brulla; da essa nacquero lunghi rovi neri che bloccarono i suoi arti, il collo e il ventre. Cercò di liberarsi e colpire il suo sfidante, ma lo sconosciuto dalla pelle d’ebano e gli occhi demoniaci amplificò il suo potere tenendolo fermo sul terreno con più irruenza. Si abbassò a pochi centimetri da lui e sferrò un pugno nello stomaco da mozzargli il fiato. I rovi acuminati che fungevano da catene si insinuarono nelle fessure scoperte della sua armatura e si conficcarono nella pelle, strappandone piccoli brandelli. Darrien strinse i denti e osservò con disprezzo il suo nemico:

‘’Impotenza. Sofferenza. Debolezza. Ecco cosa vedo in questo momento, ed è sublime. Così come la tua spada.’’- disse l’entità, prendendogli con forza l’arma dalla mano insanguinata. Ammirò la lucentezza della lama e di come entrasse in sintonia con l’oscurità che covavano entrambi. Puntò la spada sulla spalla di Darrien e la trafisse, trapassandola da parte a parte. La rimosse e la fece scomparire nel nulla. La prigione di rovi si ritirò nelle viscere della terra spoglia, lasciando agonizzante il ragazzo ricoperto di sangue che subito cercò di colpirlo alla gola con un pugnale. Il condottiero mascherato afferrò i capelli corvini del comandante e lo gettò nel fango, immergendogli il viso in esso.

‘’Ammiro la tua tenacia ragazzo, ma è tutto inutile. Il Regno dei Rovi Bianchi è destinato a bruciare, come quello dei Rovi Rossi. Ricostruiremo la Fiamma d’Ambra, riportandola al suo stato originale. E la natura avrà giustizia.’’

‘’Non mi inginocchierò ad un Regno così crudele come il vostro!’’- replicò Darrien, ruggendo mentre sputava pezzi di terreno fangoso. La figura mascherata rise cupamente e schiacciò il viso del ragazzo nella poltiglia marrone nuovamente prima di andarsene, seguito dalle crisalidi ragniforme e gli incubi viventi. Il Comandante si sforzò di togliersi da quella fanghiglia vergognosa, tenendosi in piedi a malapena. Tentò di trafiggerlo alle spalle con il suo potere, però anch’esso fallì miseramente.
 
‘’Non inginocchiarsi. E cos’hai fatto fino ad ora, bamboccio? Ricordati queste parole. La terra si ricoprirà di morte e putrefazione, rendendo l’aria irrespirabile. Il sangue diverrà acido, l’aria veleno e i vostri inutili corpi usati per aberrazioni indicibili. Ricorda questo nome: Io sono Heinios Pheros, primo genito del Re delle Spine. Abbandona questa tua nobile causa, è un consiglio.’’- e con tali parole, scomparve con il suo seguito. Il giovane Darrien rimase immobile, con una spalla ferita gravemente e senza la sua arma. Per la prima volta avvertì dentro di sé una sensazione mai provata in vita sua: fallimento.

Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle. Autunno in nome di Luqnera, primo pomeriggio.

Ritornati dall’avamposto di Pharossa, i Legionari informarono le Sette Sorella della vittoria contro il manipolo di soldati guidati da un generale, ora rinchiuso nei sotterranei, del vecchio Ordine dei Rovi Bianchi. I danni e le perdite furono lievi nelle loro file, ma la cinta muraria dell’avamposto esigeva materiali specifici che solo dal Lynmes potevano giungere. La Sorella Maggiore del Concilio, con un sorriso che traspariva immensa gioia, esordì allargando le braccia:
 
‘’Gli Dei e le Dee hanno ascoltato le nostre preghiere e ci hanno donato due eventi importanti. Il primo riguarda la costruzione delle gallerie per giungere agli avamposti. Il terreno ha retto agli urti causati dai piccoli e dalle pale, consentendo così la costruzione dei binari. Il secondo, invece, è che durante gli scavi, è stata trovata una grande quantità di materiali ferrosi pronti per il trasporto a Pharossa. Inoltre il buon vecchio Oghan ha terminato le difese per il nostro regno.’’
Dall’interno del salone si potevano osservare sulle mura del regno gigantesche balestre con cinque dardi grossi quanto tronchi di querce, con una carrucola sulla sinistra azionata a carbone per la ripresa dei colpi sparati. Quell’impresa titanica gli costò giorni, privandolo del sonno ma il Concilio gli concesse di riposare in una delle vecchie stanze dove i suoni o fastidiosi schiamazzi non potessero raggiungerlo così da peggiorare il suo corpo e la mente. Un soldato giunse dall’ascensore annunciando che il giovane prigioniero chiedeva di parlare con le Sette Sorelle per una questione importante.
 
‘’Vorrebbe redimere sé stesso.’’- disse il condottiero, inchinandosi e porgendo una lettera. La Terza Sorella Mylgred prese quella lettera con prudenza e iniziò a far scorrere il dito sulle varie righe, così da non perdersi tra quella moltitudine di parole dalle forme bizzarre. Una volta terminata, la consegnò alle altre affinché anche loro potessero leggerla per poi giungere nelle mani di Daernith, la Sorella Maggiore. Richiuse la lettera e la posò sul bracciolo di marmo per poi proferir parola:
 
‘’Portatelo qui, una semplice lettera non basta.’’
 
Una volta eseguito l’ordine, il soldato tornò in superficie con il prigioniero: dalle escoriazioni grigiastre e rosse, le tumefazioni stavano lentamente guarendo, ma il suo aspetto malaticcio lo debilitava dovendosi far reggere dal cavaliere. In quegli occhi spenti, Arilyn poté scorgere il suo senso di debolezza misto a dolore. Quando i loro sguardi si incrociarono, Falko sorrise a malapena per poi inginocchiarsi sempre aiutato dal soldato.
 
‘’Nonostante la tua disabilità, sei riuscito a scrivere una lettera. La tua determinazione è da ammirare, ma ciò che hai scritto è la verità ragazzo?’’- chiese Daernith scendendo dai gradini del trono, seguita dalla Quinta Sorella Erthaor.
 
‘’Sì, Sette Sorelle…Quella lettera testimonia il mio desiderio. Avrò tradito il mio popolo e il mio Re, ma è meglio di una morte senza ricordo. E senza famiglia.’’- rispose lui, tossendo e respirando a fatica. La Quinta Sorella sfiorò le tempie del giovane riuscendo a percepire la verità celata da quel suo aspetto trasandato. Si voltò verso la Maggiore e le altre cinque, dando conferma di quanto detto. Il ragazzo, improvvisamente, ebbe un fremito e stramazzò sul freddo pavimento. Le Sorelle convocarono immediatamente dei guaritori per trasportare il giovane in un luogo meno aperto:
 
‘’I moncherini sono infetti e ha la febbre, ciò che lo ha reso debole. Faremo il possibile.’’- disse uno di loro, tenendogli la testa e asciugandogli la fronte imperlata di sudore con un panno di stoffa.
 
‘’Per fortuna, grazie al fabbro Oghan ed un suo amico nano, questo ragazzo potrà tornare a sorreggere ed afferrare oggetti. Adesso muoviamoci, o sarà tardi.’’- corrispose il secondo guaritore, tenendogli saldamente le gambe esili. In quel frangente arrivò un messaggero che annunciò la caduta di uno degli avamposti nemici. Un esercito composto da abomini, comandato da una strana figura demoniaca, ha assediato per pochi minuti quel luogo distruggendone le mura, provocando diversi morti e lasciando pochissimi superstiti di cui uno ferito gravemente. Il Concilio chiese che aspetto avessero quelle creature ricevendo una risposta che le fece raggelare, ma per gli altri fu pura gioia eccetto Arilyn:
 
‘’Sono dei Krinxs corrotti dalla piaga oscura che sta affliggendo sia il Draal che il Lynmes. Per ora le nostre spie reclutate a Pharossa hanno confermato che l’Avamposto Uldronoss è stato il primo a cadere sotto l’ennesimo attacco dei Rovi Neri. E, a malincuore, temono che anche uno dei nostri possa esser preso di mira se non peggio.’’
 
‘’Prossimi attacchi o invasioni dei Rovi Bianchi nel nostro regno?’- chiese la Sorella Maggiore, attendendo con ansia una risposta. Il messaggero frugò nella bisaccia, cercando uno dei vecchi rapporti. Le sopracciglia dell’uomo si alzarono e il tentennamento da parte sua non giovò:
 
‘’Allora?’’- chiese con asprezza Hallothel, la Seconda Sorella che tornò a chiudersi come un fiore rendendosi conto del suo tono brusco. Il messaggero estrasse il documento e lo lesse con terrore:
 
‘’I Rovi Bianchi ci attaccheranno quando la terra sarà coperta di bianco e il freddo avvolgerà le valli, le foreste e tramuterà i colori autunnali i colori morti.’’- quell’allusione finale guastò i festeggiamenti dei Legionari e dei loro commilitoni. Si preannunciava uno scontro tra la neve, fredda pittrice di luoghi malinconici. Quel che maggiormente li preoccupava non erano le condizioni climatiche, ma la decisione di sferrare un duro assalto durante l’inverno.
 
‘’Del tutto diverso dallo schema che lessi sulle pagine di quel tomo.’’- pensava Arilyn, spremendosi le meningi in cerca di una possibile soluzione. Sia per loro che per la difesa del regno. Bisognava trovare uno stratagemma per impedirgli di superare le mura, renderle impenetrabili. Osservò sulle mura alcuni arcieri in armatura che si tingevano del colore del sole assumendo varie sfumature dal rosso, all’arancio fino al bianco. Un dettaglio particolare che balenò nel suo inconscio fu la conformazione della radura intorno il Lynems, pianeggiante e ricca di vegetazione.
 
‘’E se usassimo i nostri arcieri per un contrattacco a sorpresa?’’- domandò Arilyn, interrompendo le confabulazioni dei presenti che la guadarono perplessi.
 
‘’Quale sarebbe…’’- esordì brevemente Rivaltnith la Sesta Sorella per poi lasciare la parola alla Settima, ovvero Rivornith.
 
‘’…il tuo piano, figlia dei Thandulircath? Spiegati.’’
 
‘’Con la conformazione del terreno, la fitta vegetazione e l’arrivo dell’inverno potremmo nascondere gli arcieri sotto il manto innevato e usarli come trappola difensiva per eliminare le prime file nemiche. Inoltre, potremmo usare i Wol che l’Avamposto Esari ci invierà in questi giorni.’’- esplicò il piano, indicando gli uomini e l’esterno dell’edificio cercando di donare una visione più concreta.
 
‘’I Wol non hanno abbastanza resistenza alle basse temperature e rischiate di farli stancare rapidamente su un terreno innevato. Vi serviranno delle palizzate azionate da qualcuno o qualcosa.’’- esordì una voce dal tono indecifrabile, proveniente dall’entrata dell’ascensore. In quella penombra il Concilio riconobbe il luccichio cupo degli occhi del Recluso fuori dalla sua cella, con le braccia conserte dietro la schiena. La sua presenza peggiorò ulteriormente l’umore dei Legionari ma non di Arilyn.
 
‘’Perché non sei nella tua cella Recluso? Cos’altro vuoi?’’- domandò uno dei Legionari, sfoderando la spada con fare minaccioso. L’attempato uomo mosse la mano e la spada tornò nella sua custodia da sola con un flebile sibilo incastrandosi. Il Recluso si mosse senza emettere suoni e rispose sorridente:
 
‘’Ricordo ancora la prima guerra. Entrambi i Regni volevano ricostruire la Fiamma d’Ambra originale, ignari che il terzo gemello bramava nell’ombra i vostri per governare indisturbato. Voi Rovi Rossi fate affidamento sulle vostre tecniche antiche infallibili, ma peccate sulla difesa e sul fatto di adattarvi. Anche i Rovi Bianchi hanno lo stesso difetto. Difesa eccellente ed attacco mediocre. Ecco il perché quell’avamposto è caduto.’’
 
‘’Sii più cristallino, per favore.’’- disse Iridia, sapendo di non compiere gesti sciocchi.
 
‘’Oh, un cenno di educazione da parte di una burbera comandante, affascinante. Come dicevo, l’idea di Arilyn non è male ma usare animali inadatti al freddo è da scartare. Dopo tre millenni, il ciclo di guerre inutili si ripete di continuo. Confido in voi per ritrovare la pace infranta ed estinguere la piaga dei Rovi Neri. Ora, vogliate scusarmi ma ho da recuperare alcune spezie per filtri che torneranno utili.’’- furono le sue parole, a tratti provocatorie, prima di uscire dal palazzo indisturbato. La Sorella Maggiore del Concilio ordinò ai Legionari di richiedere palizzate prodotte con il legno montanaro, dunque richiedere al Capitano Dunnstan Ryo tali armi difensive. Arilyn, invece, decise di seguirlo di soppiatto. Nessuno del Lynmes sembrava aver timore di una entità così potente e millenaria passeggiare per le strade e i viali di pietra levigata sapendo dove le sentinelle erano appostate, come evitarle e che percorso intraprendere per giungere nella foresta. Dopo un po’ di cammino e nascondigli Arilyn notò il Recluso estrarre un piccolo sacchetto di pelle nera e riempirlo con foglie secche, bacche e strappare la corteccia di alcuni alberi ricolmi di resina dorata. Posò quel frammento di corteccia sull’erba fresca, sfiorò la resina che si accese generando una piccola fiamma che assunse il colore della resina. Schiacciò il sacchetto con le foglie secche e le bacche per poi poggiarlo sulla fiamma che scoppiettava. Sotto altre foglie prese un piccolo cofanetto con boccette e un setaccio. Il Recluso si alzò e si diresse dietro un albero, scomparendo alla vista di Arilyn.
 
‘’Arilyn Saavick, figlia dei Thandulircath, perché mi spii?’’- chiese qualcuno alle sue spalle, cogliendola di sorpresa. Istintivamente sfoderò la spada ma si arrestò a mezz’aria quando la ragazza riconobbe l’entità millenaria.
 
‘’Io direi sorvegliare, la mia fiducia nei vostri confronti è ancora vacillante. Inoltre il Concilio sembra non apprezzare il vostro soggiorno nelle prigioni.’’
 
‘’Comprensibile. Sono pur sempre passati millenni da quando io e la Peccatrice siamo stati coinvolti nella tremenda Guerra dei Tre Rovi e dell’immenso potere della Fiamma che il nostro corpo ha assorbito, donandoci queste capacità. Nonché l’immortalità.’’- rispose l’uomo, con il suo sguardo vacuo fisso in quello di Arilyn cogliendo diverse emozioni derivanti dalla giovane. Il Recluso la invitò a seguirlo verso quel minuscolo falò dove la lingua di fuoco iniziò a rallentare i suoi movimenti fino ad immobilizzarsi come se fosse il tempo stesso ad essersi fermato. Recuperato il piccolo setaccio l’entità millenaria versò il contenuto del sacchetto di pelle al suo interno, dalla quale colò un grosso grumo violaceo dall’odore indescrivibile e tutti i residui di foglie secche restarono impigliate. Prese le piccole boccette e le riempì fino all’orlo.
 
‘’Apri la mano destra, per favore.’’- esordì il Recluso prendendo il pezzo di corteccia con la fiamma cristallizzata e versò la poltiglia di bacche su di essa. Arilyn fece come detto e il miscuglio di elementi iniziò ad illuminarsi di bianco, investendo entrambi. Una bruma innaturale avvolgeva una radura tempestata di colori e di suoni cupi. Centinaia di luccichii e sprazzi accecanti si alternavano nel cielo grigiastro, accompagnati da enormi fulmini ed esplosioni di magma.
 
‘’Siamo nella tua anima, dove risiedono centinaia di minuscoli elementi ed emozioni come felicità, malinconia, rabbia, coraggio…solitudine e fallimento. Sei in continua lotta con te stessa e, pur avendo accettato il tuo potere, dubiti del tuo autocontrollo. Non posso sfiorare le stringhe della tua memoria, infranta su più punti come vetro di specchio. Sei stata in grado di contrastare la Fiamma Arcana e la Fiamma d’Ambra senza ripercussioni grazie al tuo potere. Eppure…continui ad incatenarti al passato, flagellandoti inutilmente.’’- asserì l’uomo, muovendo le dita tra quelle nubi provocando suoni simili a tamburi da guerra e dissipando le cupe nubi.
 
‘’Perché è nel passato che risiedono i miei ricordi felici. Temere il futuro è nella nostra natura, ignari di quello che ci attende.’’- rispose Arilyn con fermezza, con in mano il frammento cristallizzato che si tingeva di blu. Il Recluso schioccò la lingua e scosse la testa, non concorde con le parole della ragazza. Altri fulmini, questa volta rossi solcarono il cielo, assumendo svariate forme.
 
‘’No, figlia dei Thandulircath. Temere il futuro non è nella vostra natura e perdonami per quello che sto per dire, ma siete dei codardi. La natura umana è quella di scoprire e affrontare ogni evento che si presenta al suo cospetto e non restare ad un falò antico con una spada arrugginita.’’- corrispose l’uomo, battendo le mani e facendo dissolvere quelle nubi oscure colme di fulmini. La radura ricomparve illuminata dal sole pomeridiano tingendo le foglie di colori caldi mentre quella fiamma cristallizzata si infranse in centinaia di piccoli frammenti che vorticarono e vennero assorbiti dal Recluso, mettendosi nuovamente all’opera con il setaccio e le varie boccette. Arilyn rifletté su quella metafora della spada e del falò finché la sua concentrazione non venne interrotta da dei lunghi sibili acuti, seguito da un gracchiare. Dagli arbusti comparve un Krinxs con un lungo squarcio che partiva dalla clavicola che si estendeva sui reni, mostrando gli organi che pulsavano con irruenza.
 
‘’Vi supplico…aiutatemi…’’- disse la creatura tra un respiro e l’altro, tentando invano di tenersi la ferita aperta che continuava a sanguinare. Arilyn estrasse la spada e tenne alta la guardia pronta a sferrare un fendente, ma il Recluso si limitò a sfiorare le tempie del mammifero per poi quelle della ragazza: visioni angoscianti di una violenta guerra, il popolo che moriva e uccideva i suoi stessi compaesani con barbara ferocia.
 
‘’Questo intendevo per falò antico e spada arrugginita. Il tuo passato è come il suo, ardente come il fuoco e doloroso come una spada. Prendimi un ramoscello e una boccetta dal liquido giallo citrino.’’- disse l’uomo, addormentando la belva con una semplice parola toccandogli il petto. La ragazza trovò un ramoscello abbastanza lungo e aprì la boccetta consegnandola all’entità che con movimenti rapidi usò il legnetto per cospargere la ferita con il liquido. La pelle e il miscuglio giallastro si fusero in una rossiccia crosta. Attesero in silenzio il risveglio della creatura che, dal colorito del pelo e dall’altezza e robustezza, non era un Krinxs comune del Lynmes o di un’altra regione nominata da Sharal qualche settimana fa. Un cozzare metallico giunse dallo stesso luogo di provenienza della belva, diventando più assordante accompagnato dal rumore di rami spezzati. Da quella natura incontaminata si fece spazio con bruta forza la spada dalle lame gemelle di Heloys, seguita dalla sua compagna Aphrah e Meryld la Guardiana del Frammento.
 
‘’Arilyn, è un piacere rivederti. Hai catturato questa bestiaccia, e adesso posso finirla come si deve.’’- esordì Heloys alzando le lame gemelle sporche di sangue raggrumato pronta a trapassare il corpo della creatura. Il Recluso immobilizzò la spada a mezz’aria, impedendo alla donna di compiere il fendente mortale. La sua rabbia stava per esplodere ma non appena notò la presenza dell’entità leggendaria, impallidì e indietreggiò.
 
‘’Heloys tutto…bene…?’’- domandò Merlyd, comparendo da un cespuglio e pietrificandosi quando vide il Recluso impassibile innanzi alla loro presenza. Aphrah prese la spada della compagna e la ripose con cura sul supporto che aveva dietro la schiena, ricevendo un dolce sorriso dalla sua compagna.
 
‘’Aphrah e Heloys, compagne d’arme e d’amore al servizio del Concilio e protettrici della Guardiana del Frammento, Meryld. Lieto di fare la Vostra conoscenza.’’- disse il Recluso, terminando di riempire una delle boccette con della resina e sangue, incollando un pezzo di cartapecora incollato con la medesima sostanza. Il silenzio durò brevemente finché non fu Arilyn a prender la parola:
 
‘’Perché gli stavate dando la caccia? Il suo corpo non è corrotto dalla piaga oscura ed è diverso dai krinxs normali.’’
‘’Eravamo in perlustrazione lungo il confine finché non lo abbiamo notato. Avrà reagito d’istinto per fuggire, ma in periodo di guerra chi fugge senza identificarsi è da considerare una possibile spia.’’- rispose Aphrah, facendo guizzare i suoi occhi sul mammifero, sulla Guardiana del Frammento leggermente incupita e sul Recluso concentrato sul suo operato da alchimista.
 
‘’Purtroppo è un’altra vittima di questa guerra. La sua casa è stata distrutta dai suoi stessi fratelli e sorelle, in preda alla follia. Spero che dimentichi tutto questo, una volta vinto...’’- corrispose la ragazza, insicura sulle sue parole. La Guardiana del Frammento si mosse superando le sue due protettrici e interruppe il lavoro del Recluso, non infastidito dalla presenza della guardiana.
‘’Non ho percepito la tua presenza, come è stato possibile? Io comunico con Lei ogni giorno, percependo l’arrivo di potenziali nemici e forti auree magiche usando l’antico rituale ma…non la tua.’’- asserì lei, tenendosi il velo grigio sulla sua testa per impedire che cadesse nell’erba umida. Il Recluso ripose il tutto, nascondendolo agli occhi di sconosciuti il cofanetto e pose ad Arilyn la boccetta con la resina e il sangue.
 
‘’Questa boccetta usala solo in casi di estrema necessità. Tornando alla fatidica domanda sul perché la mia aura magica è impercettibile, così come della Peccatrice, è dovuta allo scontro con l’esercito della Creatrice e delle Undici Divinità contro i Rovi Neri per salvare il Frammento d’Ambra Originale. Quest’ultima ci ha concesso una vasta conoscenza dell’umanità ed altre creature, unita ad un potere simile al suo. A malincuore siamo stati puniti per aver assistito alla Guerra dei Tre Rovi, ma in questi ultimi tre millenni siamo capaci di tutto.’’- replicò lui, svanendo in una nube polverosa per comparire sul ramo di un albero lì vicino e successivamente tornò nella posizione originale. Prima di svanire di nuovo, il Recluso poggiò la mano sul corpo del mammifero ferito dicendo che si sarebbe occupato di lui nelle prigioni. Arilyn, improvvisamente, si sentì debole e disorientata dovendo appoggiarsi al tronco di un albero; tutta quella magia arcana l’aveva indebolita. Anche le altre tre donne vennero colpite dall’improvviso malessere, accompagnato da una martellante emicrania.
 
‘’Il Concilio aveva ragione. Il loro potere è vasto…Dobbiamo tornare, la dama della notte si sta destando dal suo sonno.’’- disse Arilyn, riacquistando temporaneamente le energie. Si ricordò del sacchetto con le erbe, le bacche e le spezie regalate da uno dei guaritori dopo il primo attacco al regno. Ne masticò un pizzico, avvertendo il sapore agrodolce e pungente che sprigionavano le erbe mediche e anche le due condottiere ne presero una piccola manciata; Meryld, invece, optò per le sue di spezie ringraziando la giovane.
 
‘’Concordo, quest’emicrania è una delle conseguenze. Per pura curiosità, ve ne sono altre?’’- domandò la Guardiana, ingurgitando una bacca rossa che le provocò una smorfia di disgusto.
 
‘’Entrambi sono in grado di tramutare l’umore il comportamento di una persona, facendogli compiere azioni inconsce. Ad esempio, io ho perso la calma e ho cercato di sferrargli un duro gancio sul naso inutilmente.’’- rispose Arilyn, augurandosi che l’improvviso rossore sulle guance non lo notasse nessuno. Durante il tragitto di rientro, le quattro donne vennero attratte da diversi luccichii e rumori di ferraglia trascinata pesantemente sul terreno. Dalla figura tozza, la lunga barba grigia intrecciata e tenuta ferma da piccoli anelli di ferro, le due scuri che teneva sulle spalle e dalla cotta di maglia con una mantella per rendere la camminata meno problematica, il misterioso viandante si rivelò essere un altro nano stremato dal viaggio. Arilyn fece cenno alle donne di prepararsi ad intervenire se avesse avuto difficoltà e si avviò di soppiatto estraendo la spada dal fodero.
 
‘’Quattrocento miglia e non vedo ancora il palazzo. Spero di non essermi perso.’’- disse il nano, recuperando una mappa che aveva nel vambrace di cuoio. Distratto dalla mappa, Arilyn poté puntargli l’arma alla nuca e sibilò:
 
‘’Un passo falso e la tua testa farà da monito ai trasgressori. Chi sei e cosa ci fai nel nostro regno?’’
Il nano balzò in avanti, brandendo le due scuri in bronzo lucente, mostrando due canini ricoperti di ferro:
 
‘’Urrem Dentiaguzzi e non gradisco che qualcuno mi prenda alla sprovvista. In guardia, ragazzina!’’- rispose il nano, assumendo una strana posa con le sue due armi partì all’attacco roteando. Le due scuri sibilarono, tranciando le foglie dei rami cascanti mentre nella sua lingua pronunciava un grido di guerra. La giovane Thandulircath riuscì a trovare il punto debole di quell’attacco e con un ridoppio dritto unito al potere della luce fece perdere la presa dell’arma al suo sfidante: la potenza del colpo la fece conficcare in un tronco.
 
‘’Come?! Una delle mie mosse predilette viene contrastata così? Non la passerai…’’- non terminò di parlare che venne colpito dal guanto d’arme di Arilyn dritto sul naso, rompendoglielo. Urrem tentò di usare l’altra ascia per colpirla, ma venne bloccato dalle lame gemelle di Heloys e da una delle armi speciali di Aphrah.
 
‘’Basta così Urrem. La cocciutaggine e lo spirito guerriero di voi nani non cambierà mai. Ti presentiamo Arilyn, nostra amica e forse futura Legionaria.’’- disse Aphrah recuperando l’ascia del nano incastonata nel tronco lì vicino. Il nano riuscì a sistemarsi il naso rotto con naturalezza, respirando rumorosamente da esso e riprendendo le sue armi in modo burbero.
 
‘’Mi sbaglio o il vostro modo di accogliere gli ospiti è cambiato dagli ultimi tre mesi?’’- chiese Urrem, osservando con occhio indagatore Arilyn che lo freddò con sguardo torvo la spada ancora sguainata. Un prolungato rintocco si udì provenir dal palazzo del Concilio, segnale che era ora di rientrare per tutti fatta ad eccezione per le sentinelle all’esterno intente alla ronda serale. Il cielo si tinse di colori freddi, come porpora e cobalto, le luci delle lanterne si accesero nelle abitazioni e dai camini proveniva un gradevole odore di legno e prelibate leccornie tanto da indurre ad un violento brontolio lo stomaco del nano.
 
‘’Tu, ragazzina, mi spieghi come hai fatto ad evitare che quel mio mulinello ti tranciasse in due?’’- chiese il nano, ancora incredulo di aver perso così facilmente e ferito nel suo orgoglio nanico.
 
‘’Durante quel mulinello hai rallentato per pochi istanti, per questo la tua mossa si è rivelata fallace. Inoltre, brandisci le due scuri in modo diverso: una centralmente e l’altra nella parte bassa del manico, sbilanciandoti. Probabilmente con gli altri nemici questa tecnica ti ha salvato innumerevoli volte, ma con me no. Inoltre tu sei diverso da Oldorrorn e Balfhodruk.’’- replicò Arilyn, non degnandolo di uno sguardo a causa della stanchezza e malessere derivanti dalla magia del Recluso.
 
‘’Non da Balfhodruk dato che entrambi siamo Nani di Legnoscuro, ma in verità con l’arte bellica non mi sono mai destreggiato se non per difendermi.’’- si giustificò lui, prendendo quella bisaccia colma dei suoi oggetti e poggiandosela sulla spalla. Proseguirono in silenzio, scambiandosi dei saluti con i diversi gruppi di sentinelle che passavano di lì ricevendo il medesimo consiglio di rientrare e di non restare dopo il rintocco della campana dato le creature notturne che brancolavano nella radura circostante. A palazzo le tre donne che proteggevano il Frammento d’Ambra tornarono nel loro antro, il nano Urrem andò in una delle stalle con i suoi oggetti ed Arilyn fece rapporto ad una delle Sette Sorelle ancora presenti nella sala del trono; oltre a loro nell’oscurità della sala vi era anche Iridia che aspettava contro una delle colonne di pietra.
 
‘’Riferirò alle altre Sorelle l’evento di oggi e decreteremo insieme se mettere alcuni soldati a sorvegliarlo nell’ombra o meno. Buon riposo, figlia dei Thandulircath.’’- disse Erthaor la Quinta Sorella, andandosene e salutando con un dolce sorriso la ragazza. Non appena andò via, il Comandante dei Legionari rimproverò severamente Arilyn per la sua scellerata decisione di seguire l’entità leggendaria.
 
‘’L’ho seguito solo per assicurarmi che non fuggisse. Perché ti preoccupi così tanto?’’- chiese lei, sedendosi sulla panca e cercando di restare sveglia. La donna schioccò la lingua e assunse una espressione stupita:
 
‘’Devo ripeterti chi abbiamo come ospiti? Queste entità millenarie sono in grado di compiere gesta umanamente impossibili e tu ignori completamente questo. Arilyn, io mi preoccupo per tutti, non solo per te. Di persone care ne ho già ‘persa’ una. Sii più cauta.’’- rispose Iridia, passandosi una mano sul viso e tra i capelli sciolti che la rendevano graziosa nonostante tradisse una spietata freddezza. Il sonno prevalse su di Arilyn che si addormentò poggiata alla parete e costringendo la donna a condurla nel suo alloggio.
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Autunno in nome di Luqnera, notte.
 
La luce argentea della luna autunnale si faceva spazio attraverso una fessura posta sul soffitto di una camera, rimbalzando su vari specchi disposti lungo le pareti da permettere di illuminare uniformemente tutto; da una prospettiva opposta la loro predisposizione formava un diamante astratto. Disteso su una brandina vi era Darrien con una camicia da notte sgualcita e imbratta di sangue secco sulla spalla sinistra. Si svegliò in preda ad un lancinante dolore e ad incubi dovuti alla sconfitta contro il demone, provocando così tanto trambusto da svegliare anche l’ospite all’interno della saletta:
 
‘’Hai poltrito così tanto da sobbalzare e far fracasso? Sei sicuro di non essere un nano sotto mentite spoglie?’’- chiese una voce familiare. Dolmihir, l’esperto nano di montagna comparve dal fondo della stanza, illuminato dai raggi della luna, ancora intontito dal risveglio brusco.
‘’Non è il momento di scherzare. Che cosa è accaduto? Ricordo solo di esser stato…’’- non riuscì a terminare la frase che il dolore si fece quasi insopportabile. Il nano recuperò una piccola boccetta arancione, riempì una siringa di vetro con il suo liquido e la iniettò nella spalla fasciata del ragazzo.
 
‘’Sconfitto. Già, l’avamposto è stato distrutto dopo che quella tempesta di sfere melmose ha intaccato la roccia e le strutture, sciogliendo tutto in un lago di corpi putrefatti. Batkiin e il nano del sangue vitreo si sono salvati. E, inoltre, ti sei fatto rubare la spada! La mia creazione.’’- asserì il nano, sottolineando con rabbia quella perdita. Il ragazzo lentamente poté muoversi, ricordandosi di aver già affrontato un supplizio simile ma dal gusto amaro. Recuperò uno specchio poggiato su un comodino e osservò la ferita fasciata rozzamente: si intravedeva ancora la carne ustionata e coperta da qualche unguento viscoso, simile alla resina. Tastò la pelle sensibile e gonfia ricucita da sottili fili d’erba:
 
‘’Chi mi ha condotto a palazzo?’’- domandò, alzandosi digrignando i denti per lo sforzo e rivestendosi con la divisa. Il nano, intento a costruire qualcosa simile ad una lama a scatto, non gli prestò molta attenzione inizialmente fino ad essere esortato di nuovo.
 
‘’Batkiin, il nano del sangue vitreo, il capitano Morrygan e una donna di nome Aura. Loro quattro ti hanno fornito anche le varie cure mentre io ti ho condotto in un’altra ala del mio antro. Non avevi una bella cera quando sei arrivato qui sia chiaro, quindi non lamentarti del tuo aspetto malconcio e da…morto ambulante.’’- replicò lui, ridacchiando alla sventura accadutagli. Darrien si alzò e si avviò all’uscita, aiutandosi con il sentiero di luce digrignando i denti per i muscoli indolenziti. Il nano alchimista lo fermò sull’uscio domandandogli qualcosa di aberrante:
 
‘’Prima che tu vada ragazzo, potresti darmi qualche goccia del tuo sangue? Avendo esperienze nel campo dell’alchimia, ho intenzione di creare una lama che riconosca solo il suo padrone, se sai cosa intendo.’’- ammiccò sull’ultima parola. Darrien, insensibile al dolore della spalla ferita, si strappò le bende e le gettò a pochi metri dall’amico. Senza una meta, varcava le varie stanze barcollando di tanto in tanto, la sua vista giocava loschi tranelli e il suo inconscio lo torturava con le immagini del demone che lo trafiggeva, sadico. Udì una voce femminile armoniosa familiare:
 
‘’Arilyn?’’- chiese Darrien, incurante di poter esser visto e sentito da qualcuno nei paraggi del palazzo. Quando non ci fu risposta, comprese che fu l’ennesimo miraggio. La speranza di ritrovarla si affievoliva con il passare dei giorni, tramutandosi in un insignificante carbone ardente. Aprì l’ennesima porta ritrovandosi nella biblioteca illuminata sia dalla luce della luna che da alcune candele; su una delle librerie erano proiettate due ombre, una seduta ed una in piedi, entrambe femminili. Riconobbe la ninfa Aura che discuteva con sua sorella Malrin e nell’angolo sinistro del tavolo vi era anche Morrygan che cancellava qualcosa su diverse mappe, usando un pennello nero. Nascosto dietro uno degli scaffali, poté ascoltare la loro conversazione:
 
‘’Voglio ringraziarvi ancora per aver aiutato mio fratello. Spero solo non sia grave.’’- asserì sua sorella, con voce tremante.
‘’Si rimetterà presto, è giovanissimo ed è maledettamente attraente che…Cambiando argomento, ho un quesito da porti: chi è questa Arilyn? Non faceva che ripetere il suo nome durante la cura.’’- domandò il capitano Morrygan, cambiando discorso evitando di fare allusioni lussuriose su di lui. Aura ridacchiò mentre Malrin scosse la testa, incredula di aver ascoltato quel commento spudorato. La principessa cercò di ricordare, finché non fu proprio Darrien a rispondere burbero:
 
‘’Arilyn è la mia compagna, una fenomenale e meravigliosa donna guerriera. Fingerò di non aver sentito il commento lussurioso inerente al mio corpo, capitano. E Aura, son lieto di vederti a corte, hai seguito il mio consiglio. Vogliate scusarmi, ma ho bisogno di tornare nel mio alloggio.’’
Le due donne arrossirono e rimasero in silenzio, mentre la principessa del regno lo condusse lungo i corridoi che portavano alle stanze dei soldati. Si scambiarono qualche sorriso, ma la giovane comprendeva benissimo il senso di impotenza che affliggeva suo fratello. Non appena giunsero alla camera, Malrin si posizionò tra la porta e Darrien, impedendo a quest’ultimo di proseguire oltre:
 
‘’Non ora, sorellina. Non sono in vena di scherzi.’’- disse il giovane dei Varg, infastidito da quel comportamento. Le braccia della ragazza lo strinsero forte, quasi a volerlo soffocare in un abbraccio riunificatore.
 
‘’Credi che morire sia uno scherzo?! Mi hanno detto quello che è accaduto nell’avamposto, di come il tuo orgoglio cavalleresco ti abbia condotto a fronteggiarti contro qualcuno visibilmente e concretamente più forte di te. Non puoi comportarti così, è da folli!’’- lo rimproverò senza alzare la voce, ma con durezza. Darrien non rispose, limitandosi solo a sospirare e ad aprire la porta.
 
‘’Malrin, la follia non è tale finché non la vedi. Io l’ho vista negli occhi dei soldati che affrontavo, spinti quasi ad un sacrificio non necessario per cause scellerate convinti e disperati allo stesso tempo. Ti auguro solo di non assistere a tutto questo, non sei ancora pronta. E se ti poni il quesito: cosa direbbe Arilyn al mio posto? Beh, mi direbbe di star attento, solo questo.’’- replicò poco dopo, riuscendo a farsi strada nel suo alloggio. Prima di salutarsi, la sorella gli chiese di provare alcune nuove armi portate dal nano del sangue vitreo l’indomani e Darrien accettò con un cenno del capo e chiuse la porta. Il suo alloggio era illuminato da una piccola candela quasi consumata e sulla scrivania vi era una lettera firmata da Galeren:
 
‘’L’ex generale Batkiin mi ha informato del tradimento del mio caro e fedelissimo Capitano Ebirre e della caduta dell’avamposto montanaro. Nonostante io disprezzi sotto ogni punto di vista il tuo operato, te e il tuo codice cavalleresco, mi complimento per il tentativo di resistenza contro l’assedio dei Rovi Neri, seppur un completo fallimento. E il merito per la respinta dei nemici è mio.
Galeren, sommo Re dei Rovi Bianchi.’’

Il ragazzo strappò il foglio in diversi pezzi per poi bruciarli con il suo potere e farli trasportare dal vento autunnale, il più lontano possibile. Non erano parole sincere quelle del Re, ma concordavano su un sentimento che li accomunava: il disprezzo per entrambi. Si compiacque almeno di avere intatto il suo elmo d’ariete nero e il vambrace spara dardi riposti su un manichino di legno. Le allucinazioni si ripresentarono, più forti e durature di prima tanto da costringere il ragazzo ad usare dei tappi per le orecchie e coprirsi fin sopra gli occhi con le lenzuola del letto. Spettri deformi di cavalieri deceduti sul campo di battaglia lo circondarono, in silenzio, emanando un bagliore verde opaco; i loro volti non erano in collera ma in pena e Darrien poteva scorgerli con gli occhi socchiusi. Mosse il braccio creando una frusta d’energia oscura che dissolse quei soldati appostati come sentinelle, rischiando di tranciare il manichino e il resto della mobilia pregiata. Privato del sonno, si rimise alla scrivania notando un’altra lettera firmata dal vecchio Batkiin che annunciava l’arrivo di cinque nuovi capitani provenienti dalle terre confinanti con il Draal e il Lynmes:
 
‘’Non dovrei rivelare informazioni che solo il Re può dare, ma essendosi preso il merito per non aver fatto nulla in suo potere, in questa lettera ci sono i nomi di colori che ci aiuteranno solo a rinforzarci.
Dal possedimento navale di Thern Lodir giungerà il capitano Duilius; dall’avamposto dei negromanti, Ilgoros, giungeranno i capitani Lilith e Melanthios entrambi fratelli; dal Pyroh Icherione, possedimento desertico e con vulcani sotterranei, giungeranno il capitano Vesta ed il suo vice Lochlann. Un piccolo consiglio, non accennare alla natura dei capitani negromanti. La loro magia è pericolosa e sconosciuta persino al nostro Dolmihir.
Con sommo rispetto,
Batkiin.’’
 
Riposta la lettera con cura, il giovane Darrien si occupò di scrivere alcuni telegrammi da far ricevere agli altri due avamposti spiegando quando accaduto, di cosa fare per evitare sciagure simili. Dopo mezza clessidra, il giovane chiuse ogni busta con della cera e si diresse verso l’alloggio del messaggero; lo riconobbe grazie ad una piccola cassetta posta sulla porta che invitava cortesemente di inserire lettere o documenti al suo interno, onde evitare di infastidire il sonno dell’uomo. Una luce ambrata proveniente da una sala nascosta invase la notte che dimorava nel palazzo, mostrando una silhouette maschile che richiuse la porta dietro di sé. L’uomo, con indosso una tonaca religiosa bianca dai ricami purpurei e dorati, si paralizzò quando si rese conto dell’inattesa presenza di Darrien in quel luogo.
 
‘’Mai nessuno è stato così avventato da vedermi nel cuore della notte dopo il rituale sacro. Perché sei qui, baldo giovane?’’- chiese il chierico, sistemandosi le pieghe dell’abito e togliendosi il copricapo.
 
‘’Uldronoss è caduta ed è dovere di un comandante informare i propri alleati della sciagura abbattutasi su quel luogo. Lasciavo dei telegrammi nella cassetta del messaggero. A giudicare dal vostro abito, siete un monaco.’’- rispose Darrien, restando lontano dal religioso. L’attempato clericale emise un verso di disgusto per aver udito una simile blasfemia nei suoi confronti.
 
‘’I monaci non conoscono cosa vuol dire stare a contatto con artefatti arcani! Credono che meditare sia una delle strade per comunicare con la Fiamma d’Ambra, ma sono solo degli ubriaconi molesti e beceri. Io sono un chierico, l’unico che può avvicinarsi e comunicare con una creazione ancestrale. Sono Fintan Adalhard, della repubblica di Oldden Resthalm e, in questo momento, dovrei tagliarti la lingua per la tua eresia.’’- rispose lui, digrignando i denti e puntando il dito accusatore nei suoi confronti. Dalle mani di Darrien si sprigionarono lunghi fasci di energia oscura che strisciarono in tutte le direzioni, con il solo obiettivo di raggiungere il chierico e terrorizzarlo. I fasci d’energia si tramutarono in serpi dagli occhi violacei brillanti, tanto da paralizzare Fintan:
 
‘’Hai ancora il desiderio di tagliarmi la lingua, monaco?’’- domandò Darrien, avvolto dalle ombre e con un sorriso malefico dipinto sul suo volto. Le vipere dagli occhi purpurei avvolsero in spire asfissianti l’uomo, costringendolo a rispondere:
 
‘’Quest’oscura e peccaminosa energia...Tu sei un Isedavar, un Predone dell’Oscurità. Sei il corpo e il sangue della Regina del Draal, il primogenito!’’- corrispose il chierico, tra un lamento e l’altro. L’incubo creato dal giovane scomparve in una nube di fuliggine e Fintan si rese conto di non doverlo irritare se voleva vivere ancora a lungo per sorvegliare il Frammento d’Ambra.
 
‘’Dunque? Vuoi ancora tagliarmi la lingua o hai cambiato idea?’’- chiese nuovamente il ragazzo, con la voce distorta dal suo potere non del tutto richiamato. Il chierico abbassò la testa e corse via, fino ad inciampare ed umiliarsi. Proseguendo per il palazzo, si diresse all’uscita desideroso della brezza autunnale e di usare nuovamente il suo potere. A pochi passi dall’entrata della radura, evocò le vipere oscure e le sfruttò come possenti liane per muoversi rapidamente da un tronco e l’altro, distruggendo parte della loro corazza.
 
Estremo Ovest, Cittadella degli Abbandonati. Autunno in nome di Luqnera, notte fonda.
 
Erano passati alcuni giorni dal violento ed inaspettato assedio di alcuni krinxs corrotti dalla peste dei Rovi Neri, terminato con il massacro di quelle bestie. Le mura della cittadella riportarono diversi danni dovuti al sangue acido delle creature, tra cui alcuni sostegni di ferro e parte dell’enorme cancellata. I cadaveri vennero raccolti e depositati tutti in una fossa profonda che venne riempita d’olio combustibile e incendiata. Il favore dato agli Zadanri venne ricambiato: alcuni dei loro esperti costruttori edificarono una seconda cinta muraria a venti passi di distanza dall’originale, con un materiale che proveniva dalla loro terra natia resistente e scivoloso. Uno di loro assicurò ai governanti della cittadella che il materiale poteva illudere il nemico ad arrampicarsi ma in assenza di appigli sicuri sarebbe scivolato sul fango. Ai piedi delle seconde mura venne scavato un lungo fossato ricolmo di pece e palizzate acuminate in rame, così da trafiggere gli aggressori. Tyarjes, la Guardiana della Torre, dopo essersi occupata del suo compagno ustionato dal sangue acido delle belve andò dal prigioniero sfruttando una entrata secondaria. Il costante russare del nobile giustiziere del palazzo governativo echeggiava nel corridoio che conduceva alle celle. Il boia, invece, era sveglio intento a lucidare la lama della sua mannaia innastata quando si rese conto della presenza della donna:
 
‘’Oh, Tyarjes, che bello vederti! Hai bisogno di qualcosa?’’- chiese l’omaccione con un sorriso innocente tanto da provocarlo anche nella guerriera.
 
‘’Devo parlare con il nostro prigioniero. Ho bisogno di chiarimenti sull’imminente Epoca Oscura e se me lo concedi, ti regalerò questo piccolo bignè all’arancia.’’- rispose la donna mostrando il dolcetto avvolto in un piccolo panno, stuzzicando l’appetito di dolciumi di Vòh. Il boia poggiò con cura l’arma sul pavimento e andò serrare con una sbarra la porta comunicante con l’ufficio del giustiziere. L’uomo aprì la cella, svegliando Hrjelvul con un sobbalzo.
 
‘’Ti ringrazio Vòh. Sei il mio bambinone, dolce e forte.’’- asserì la donna, dandogli il dolcetto e tirandogli la guancia in un gesto scherzosamente infantile. Quando Tyarjes entrò, il prigioniero arretrò fino a toccare il gelido muro con le spalle, intimorito dalla cupa presenza dell’esperta arciere che poggiò la mano sull’elsa dello spadino minacciosamente. Con rapidità, la donna puntò l’arma alla gola del prigioniero:
 
‘’Perché i Krinxs ci hanno attaccato? Cos’era quella melma nera che li ricopriva? I Rovi Neri sono responsabili di questo attacco?’’- furono le domande di Tyarjes prima di far affondare la punta del suo spadino nella carne del carcerato. Hrjelvul allontanò lo spadino con un dito e rispose burbero:
 
‘’Avrò le mie conoscenze pur essendo un mezzo immortale, ma questo non significa che io sappia tutto. Probabilmente i Rovi Neri vogliono indebolirci perché siamo alleati dei Rovi Rossi, quindi ci considerano potenziali nemici. La melma che ricopriva quegli animali non so cosa sia, girano voci di una peste venefica, non sono sicuro. Di una cosa però sono sicuro.’’
 
‘’Ovvero?’’- domandò la Guardiana della Torre, abbassando lo spadino consentendo così all’uomo un po’ di spazio.
 
‘’Che è scortese da parte tua venire a disturbare il mio sonno. Ma tralasciando questo, le due entità leggendarie sono nel Lynmes Alno. I Legionari ed un’altra ragazza hanno avuto un piccolo assaggio del loro immenso potere.’’- rispose l’uomo, iniziando a togliersi le bende dal viso così da mostrare le lunghe cicatrici rosee. La donna restò con lo sguardò fisso nel vuoto, tenendo mollemente lo spadino tra le dita. Il Recluso e la Peccatrice erano giunti nel suo regno d’origine, ma i suoi pensieri si focalizzarono solo su una persona a lei cara: Iridia. Il carcerato, una volta terminato il cambio delle bende ricoperte di unguenti, esordì:
 
‘’Hai temuto di perdere il tuo compagno ma una parte del tuo cuore conserva ancora un buon ricordo di Iridia, è per questo che ti preoccupi così tanto sia per lui che per lei. Esistono grandi dolori in questo mondo e quello che ti flagella l’anima è il perdere qualcuno di amato. Spero di esserti stato d’aiuto Tya.’’
La donna scosse la testa bruscamente e andò via, diretta all’abitazione del suo amato Fjolvor che fu eretta a pochi passi dalla Torre. Era una costruzione di pietra, elbaollite e cristalli alta cinque passi e larga due, con una piccola entrata a volta. Quando salì i gradini, bussò e attese che il suo compagno aprisse.
 
‘’Qualcosa non va, Tya?’’- domandò l’uomo, vedendola ferma sull’uscio della sua abitazione e con gli occhi colmi di lacrime. Tyarjes lo abbracciò forte e lo baciò con passione, ignorando le ferite. Le importava solo percepire l’amore che quell’uomo infondeva nel suo cuore tramite il contatto fisico, i baci e la presenza imponente.
 
‘’Ti conosco da anni, ho sempre ammirato il tuo coraggio e la tua tenacia. Il mio cuore si è unito al tuo grazie ad un sentimento impetuoso, pur sapendo del mio passato. Questa volta il tuo coraggio ti ha quasi condotto alla morte e…’’- l’esperta arciere venne interrotta da un altro bacio di Fjolvor, lento ed intenso.
 
‘’Tya, io rischio la mia vita per difendere questo luogo e soprattutto te. Delle banali ustioni causate dai krinxs non sono nulla. Vieni, sei stata troppo tempo privata del sonno. Le altre sentinelle ed i nostri amici zadanri si occuperanno dei turni di guardia.’’- rispose il prode arciere, carezzando il viso della sua amata rigato dalle lacrime. Si abbandonarono alle spalle i ricordi dell’assedio, stendendosi sul loro letto e abbandonandosi ad effusioni amorevoli.
Nel palazzo dei governatori, invece, il dio del sonno non aveva posato ancora il suo velo sui nobili e il loro seguito. La gigantesca stanza ovale dall’arredamento pregiato era illuminata da una serie di lanterne azionate da un meccanismo all’interno delle pareti, consentendo di poter vedere gli ospiti senza usare candele o fiaccole. Su una tavola rettangolare ancora imbandita di leccornie succulente, Signuva il comandante e stratega della Cittadella esponeva, attraverso una grande cartina topografica, le sue preoccupazioni per i confini esposti agli assedi dei Rovi Bianchi e Rovi Neri. Le sue allieve Dharga, Indilah, Lathya e Ienoa ascoltavano con attenzione i dubbi della loro maestra tentando di suggerire possibili cambiamenti o di inviare alcune armate alleate:
 
‘’Quanto verrà a costare i loro supporto?’’- chiese improvvisamente il governatore della Cittadella, trangugiando una mela caramellata. Quel gesto così sfrontato tinse di rosso le guance del comandante che tentò di non perdere il controllo.
 
‘’Il compenso pecuniario è l’ultimo dei nostri problemi, Signore. Si temono altri attacchi da entrambi i regni e non ci sono uomini a sufficienza per assisterci in questa campagna.’’- rispose Signuva, incrociando le braccia con fermezza. La compagna del governatore sbadigliò annoiata dal blaterare della soldatessa. Un pugnale attraversò la stanza con un sibilo, conficcandosi nella finta corona che indossava l’uomo distruggendone i gioielli fasulli. Si udirono dei pesanti passi provenire dal fondo della sala, prima che la luce delle lanterne mostrasse una splendida armatura verde acqua coperta in parte da un mantello nero. Lo sconosciuto si tolse l’elmo, rivelando un viso femminile dai lineamenti duri e dai lunghi capelli dorati legati in una traccia. Le Sentinelle e il Comandante, con le loro armi sguainate, restarono in assetto difensivo atte a proteggere i loro governatori:
 
‘’Identificati, straniera.’’- ordinò Signuva, serrando i denti ed osservando bene il possibile sfidante.
 
‘’Ufficiale Sharal, condottiera di Huvendal, a capo delle truppe del Durmstava, capitale della Dalvenia. Sono qui per destituire i governatori della Cittadella degli Abbandonati in seguito alla loro negligenza nei confronti del proprio popolo e dei loro uomini. Quest’atto esecrabile non è passato in osservato e merita di essere punito.’’- rispose Sharal, freddando con lo sguardo la coppia nobile adirata per quell’affronto. Il Governatore Kieran rimosse il pugnale conficcatosi nella sua corona e ruggì:
 
‘’Chi ti autorizza a venir qui, nella nostra Cittadella, e a detronizzarci? Sarai anche un ufficiale di terre lontane, ma non prendo ordini da una donna spocchiosa come te.’’
 
‘’Il Concilio delle Sette Sorelle mi autorizza a farlo.’’- rispose la donna. Con un sorriso di sfida, estrasse dal vambrace una pergamena arrotolata e la lasciò scivolare sul tavolo. I Governanti lessero con un nodo alla gola il documento ufficiale proveniente dal Lynmes. La notizia della loro destituzione fu un fulmine a ciel sereno, ma si sentirono maggiormente amareggiati dal leggere che un successore per governare nella Cittadella era già stato scelto. Sharal prese un altro documento dalla tasca e lesse a gran voce:
 
‘’Il Concilio delle Sette Sorelle conferisce il titolo di governatrice della Cittadella degli Abbandonati a Signuva Ylva, eccellente comandante e stratega.’’
Per i governatori appena destituiti quell’aggiunta alla loro destituzione equivale ad aver ricevuto un esilio in luoghi selvaggi. Le allieve di Signuva esultarono alla sua nuova carica e ruolo, non tradendo la loro invidia con piccoli risolini ma la loro maestra le redarguì, nonostante la calma apparente.
 
‘’Prima di discutere dei gravi problemi che il Lynmes sta affrontando, Signuva e voi sentinelle posizionatevi nell’angolo più lontano della stanza e proteggete il vostro udito. Per il grave insulto ricevuto alla mia persona, merita un secondo giudizio.’’- disse Sharal, rimettendosi l’elmo e posizionandosi a poca distanza dal tavolo. Respirò profondamente e, grazie all’elmo, il suo urlo divenne simile al ruggito di una bestia delle tenebre che devastò il tavolo, le mappe e scaraventò verso le colonne opposte la coppia nobile che atterrò rovinosamente sul pavimento. Giunsero due soldati con colori simili a quelli dell’ufficiale, in attesa di condurre il governatore Kieran e la sua conserte Faüna sul carro all’esterno del palazzo.
 
‘’Essendo la nuova governatrice, pur non meritando questo titolo, scortate la coppia all’esterno delle mura e conduceteli il più lontano possibile. E lei, Ufficiale Sharal, la invito a restare per aiutarmi con i preparativi bellici.’’- disse dopo un lungo silenzio il comandante Signuva, ancora scombussolata dalla notizia. Un cenno della donna in corazza verde acqua e i suoi soldati trascinarono senza alcuna considerazione quei corpi incoscienti, ricoperti di graffi e rivoli di sangue. Una volta rimesso in sesto il tavolo e le cartine topografiche, le donne ripresero la loro discussione analizzando con metodicità i punti conquistati o caduti in guerra. Vi era raffigurata, dove confluivano alcuni confini territoriali, una grande torre e alla base altri quattro pilastri disposti in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Al di sopra del disegno della torre capeggiava un nome mai sentito da Sharal: Prymvis. Oltre al nome del torrione, osservò quello dei territori scritti in una lingua sconosciuta e ognuna con il proprio vessillo:
 
‘’Siete in grado di riconoscere i vessilli di queste terre o i simboli con la quale son stati scritti?’’- chiese l’Ufficiale, volgendo lo sguardo verso le altre soldatesse. Una di loro che aveva una corazza dalle sembianze di una testa di leone, lesse brevemente quei nomi per dare una risposta sorridendo:
 
‘’Yekkur, Klegrin, Ekosh e Zorar, dalla quale provengono le lingue yekkuri, klegrinse, ekoshi e zorari. Sono quattro delle sette lingue antiche e dimenticate da tempi immemori.’’
 
‘’E per quanto riguarda questo…Prymvis?’’- domandò Sharal, volendo sapere di più su quella struttura posizionata in quei luoghi per un motivo logico. Nessuna seppe rispondere al quesito, finché dalle tenebre non comparve un uomo dalla pelle color zaffiro con diversi tatuaggi bianchi sui palmi delle mani, sul collo, sulla fronte e sulle labbra. I suoi capelli rossi raccolti in una lunga treccia contrastavano il blu intenso del corpo. A causa della sua improvvisa comparsa, le sentinelle e Signuva sfoderarono nuovamente le loro armi eccetto Sharal che lo riconobbe immediatamente:

‘’Lieto di rivederti Sharal. Il grado di Ufficiale si addice alla tua personalità.’’- esordì il Silente, stringendole la mano e dandole una pacca sulla spalla.
 
‘’Lo stesso per me, Faolan. Dai tatuaggi, sei diventato il loro signore. Mi congratulo con te, però a giudicare dalla tua presenza in questo luogo, non hai belle notizie.’’- replicò la donna, ricambiando la stretta.
 
‘’Purtroppo no, e riguardano anche due nostre conoscenze. Prego, sedetevi e prestatemi ascolto.’’


   
 
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