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Autore: dracosapple    26/02/2021    1 recensioni
La vita nelle campagne del Kansas scorre tranquilla e monotona per tutti, anche per il giovane Dean a cui non dispiace affatto essere un semplice ragazzo di campagna, gli va bene così, non pretende nulla di diverso per sé stesso, anche se vive negandosi la libertà per non deludere la sua famiglia.
Il destino però, anche se in modo crudele, certe volte presenta l'occasione di ricominciare, perché la vita è una sola, anche quando sembra distrutta e non resta altro da fare che rimettere insieme i pezzi.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo 5: Welcome To The Jungle1
 
New York, New York, febbraio 1989

 
Erano passati dieci giorni da quando si era trasferito nell’appartamento di Brooklyn e poteva dire che si stava ambientando. Aveva imparato a conoscere i suoi nuovi coinquilini e in effetti “Team Free Will” era il nome adatto a loro.
Charlie, l’unica ragazza di quello scombinato quartetto, l’aveva adorato fin da subito. Studiava informatica ed era lesbica, infatti era per quello che se n’era andata di casa, i suoi genitori non la accettavano per la sua sessualità e ritenevano che avesse deciso di studiare cose “da maschi”.
Quindi lei aveva fatto armi e bagagli ed era scappata. Anche lei era capitata alla Roadhouse ed Ellen l’aveva presa sotto la sua ala protettiva. Charlie era incredibilmente dotata e lavorava già in un’azienda come esperto informatico, niente male per quella ragazzina dai capelli rossi.
Adam aveva solamente diciannove anni ed era il più piccolo. Faceva il cameriere al Glenn’s, un ristorante a Manhattan ed era il fratellino fastidioso che Dean non sentiva il bisogno di volere. Ma era stato il primo ad accoglierlo e alla fine ci si abituava al suo costante chiacchiericcio al suo disordine.
E poi c’era Castiel. Dean aveva pensato che da subito quel tizio fosse abbastanza strambo, perché chi va in giro con un trench e una cravatta a ventiquattro anni?
Studiava letteratura all’università e aveva una borsa di studio.
I suoi genitori avrebbero voluto che diventasse medico e infatti aveva studiato medicina per un paio d’anni a Miami, la sua città natale, ma poi aveva mollato e aveva fatto i lavori più disparati fino ad approdare all’appartamento di Brooklyn.
Adesso aveva una borsa di studio e si pagava l’affitto lavorando in una libreria sulla dodicesima.
E lui era quello con cui Dean aveva interagito meno. Non perché fosse antipatico o altro, era semplicemente molto schivo e riservato, mentre loro tre mangiavano spesso cibo d’asporto sul divano guardando Guerre Stellari o The A-Team2 lui si chiudeva nella sua stanza oppure rimaneva in un angolo a leggere.
Dean si sentiva in un qualche modo attratto da lui. Non sapeva se in quel modo o era semplicemente curioso di conoscerlo meglio, però quel ragazzo con i capelli neri perennemente spettinati e gli occhi blu era dannatamente interessante e Dean aveva capito da un po’ che erano i ragazzi che gli piacevano, lo sapeva fin troppo bene.
Dean aveva iniziato a lavorare da Bobby e nonostante l’uomo fosse tremendamente scorbutico aveva capito che si fidava di lui e apprezzava il suo lavoro, vista la quantità di roba da fare che gli affibbiava.
Si era ricomprato una chitarra, una acustica un po’ scadente ma non poteva permettersi di meglio, ed era uscito un paio di volte con Sam e Jessica, Lei era davvero forte, faceva la cameriera in una tavola calda ma il suo sogno era diventare un’attrice e recitava spesso in piccoli spettacoli indipendenti.
Dean non aveva ancora detto a nessuno di sé. Quando gli avevano chiesto che cosa ci facesse lì aveva semplicemente risposto che non andava più d’accordo coi suoi genitori e si era dato mentalmente dell’idiota perché, andiamo, Charlie era lesbica, cosa mai avrebbero potuto dire a lui?
Ma ogni volta che stava per dirlo sentiva il sapore metallico del suo stesso sangue in bocca e il dolore di quel pugno sulla faccia e allora taceva, era come bloccato in sé stesso, c’era una sorta di muro che gli impediva di parlare. Ogni volta che pensava di dire qualcosa era come se rivivesse quella terribile sera, e poi non voleva scaricare quel peso su nessuno, non era abituato a farlo.
Sin da quando era un ragazzino ogni volta che aveva un problema si era arrangiato pur di non dover chiedere aiuto o non pesare sugli altri.
Sam gli aveva detto una volta che non era lui quello intelligente, ma Dean, che avrebbe saputo cavarsela in ogni situazione.
Nonostante vivesse lì adesso ogni volta che il telefono squillava aveva il terrore di sentire la voce di suo padre o sua madre, ogni volta che era in giro si guardava attorno circospetto per la paura di vedere sbucare John.
Sentiva il senso di colpa che gli attanagliava le viscere ogni mattina quando si alzava e si rendeva conto di essere in un’altra città e non a casa sua, quello che era successo era colpa sua, solo colpa sua, se solo fosse stato più attento…questi pensieri lo tormentavano di continuo nonostante una piccola parte di sé gli diceva di smetterla e che era giusto così, ma Dean non riusciva a darsi pace.
Non aveva fatto parola di tutto questo con Sam, nonostante il fratellino avesse continuato a chiedergli che cosa non andasse, ma Dean aveva continuato a tenere ostinatamente la bocca chiusa e a ribadire la sua versione dei fatti.
Sentiva costantemente una sensazione d’angoscia alla bocca dello stomaco, che a volte si propagava per tutto il suo corpo impedendogli di ragionare o di fare qualsiasi altra cosa che non fosse fissare il vuoto per almeno dieci secondi mentre davanti ai suoi occhi scorrevano le immagini di quella maledetta sera di fine gennaio.
Quella mattina si svegliò alle prime luci dell’alba, fuori dalla finestra sentiva il rumore delle auto che sfrecciavano sulla strada.
Scivolò fuori dal letto con un gemito e pensò “freddo”.
Faceva un freddo fottuto in quella casa. Aveva scoperto che l’intero palazzo era una ex fabbrica di cemento, per questo aveva i soffitti così alti e gli appartamenti erano così ampi, ma dannazione non si scaldava mai.
Si infilò una felpa sopra la maglia dei Motorhead che usava per dormire e si diresse in cucina rabbrividendo.
Cercò una tazza nei pensili per versarci dentro il caffè ma ovviamente erano tutte sporche nel lavello.
“Adam, maledetto ragazzino!” pensò mentre apriva l’acqua per lavarle. Quel pivello non rispettava mai i suoi turni per le pulizie e lasciava i suoi vestiti sparsi dappertutto in giro per casa.
Sbuffò mentre l’acqua gelida lo faceva rabbrividire di nuovo, doveva esserci un problema alla caldaia perché non era possibile che facesse così freddo. Decise che l’avrebbe controllata dopo il lavoro e aggiustata.
Il padrone di casa, Rufus Turner, era un vecchio nero scorbutico e infatti era un buon amico di Bobby Singer, ma aveva preso Dean in simpatia, più o meno. Se per simpatia s’intendeva fargli aggiustare ogni oggetto di quella maledetta casa per risparmiare sui lavori.
Almeno gli aveva ridotto l’affitto.
-Credo che si sia rotta la caldaia- disse improvvisamente una voce dietro di lui.
-Ma va? Ottima deduzione Sherlock- rispose lui mentre asciugava le tazze con un panno, le mani intorpidite dal freddo.
Si voltò e vide Castiel con i capelli neri sparati da tutte le parti e un pigiama stropicciato.
“Merda” pensò recuperando al volo una tazza ribelle che gli stava sfuggendo dalle mani.
-Ciao Dean- lo salutò Castiel prendendo una tazza pulita da quelle appena lavate e versandoci dentro una generosa quantità di caffè.
-Mmmm ciao- fece Dean versandosi a sua volta un po’ del liquido caldo e scuro nella tazza rossa che aveva in mano.
Non si erano mai trovati completamente soli e ora il ragazzo sentiva l’imbarazzo crescere tra di loro.
-Come ti trovi qui?- domandò improvvisamente Castiel prendendo un sorso di caffè e guardandolo con quei suoi incredibili occhi blu zaffiro.
-Bene, caldaia a parte. Chiederò a Rufus se posso aggiustarla oggi dopo il lavoro- rispose lasciandosi cadere su una delle sedie scompagnate attorno al tavolo della cucina. La luce filtrava dolcemente dalle finestre, era una strana luce bianca, data dal cielo nuvoloso, e illuminava la stanza in modo un po’ asettico.
Il silenzio tornò a farsi spazio tra i due occupanti della cucina, non c’era altro rumore in tutta la casa se non i loro respiri.
-Ti ho sentito suonare ieri sera- disse poi Castiel. Quel ragazzo era davvero strano, con le sue domande buttate a caso.
Merda, si era dimenticato che dormivano in camere adiacenti.
-Mi dispiace se ti ho disturbato mentre stavi studiando- fece Dean di rimando e il tono della sua voce uscì più stizzito di quanto volesse.
-Non intendevo questo. Volevo solo dirti che sei bravo, hai talento-
Castiel finì il suo caffè e guardò intensamente Dean negli occhi. Il ragazzo deglutì, a disagio, sotto lo sguardo così penetrante del suo coinquilino, non gli piaceva essere guardato in quel modo, come se volesse leggergli dentro e scoprire quei segreti che non aveva ancora avuto il coraggio di rivelare a nessuno.
-Castiel, con l’ultima persona che mi ha guardato così ci ho fatto sesso3- disse allora sfoderando la sua faccia tosta e tornando il solito Dean che usava il suo senso dello humour per togliersi dall’imbarazzo.
Castiel sgranò gli occhi sorpreso e stava per rispondere quando fu interrotto da dei passi pesanti e un’altra voce. –Chi ha fatto sesso con chi?- seguito subito dopo da un’imprecazione e un gemito. –Si è rotta di nuovo la caldaia?-
-‘Giorno Adam- fece Dean.
Il più giovane dei tre entrò in cucina sbadigliando e stiracchiandosi, avvolto in una vecchia coperta a scacchi blu e grigi che strusciava sul pavimento, i capelli biondi più spettinati che mai e gli occhi chiari ancora semichiusi.
Castiel fece un cenno di saluto ad Adam e poi si voltò lanciando un’ultima occhiata a Dean, che avrebbe giurato che ci fosse di più oltre alla curiosità in quello sguardo.
I passi di Castiel si allontanarono finché non sentirono la porta del bagno chiudersi.
-Quel tipo è strano- sentenziò Adam frugando nella dispensa alla ricerca di qualcosa da mangiare. –Giuro che a volte è più socievole, ma non so che gli sta succedendo ultimamente- aggiunse poi mentre inzuppava un biscotto nel latte che si era versato. –Forse deve solo abituarsi a te. O forse non gli stai simpatico, non si capisce mai niente di quello che pensa Castiel, è qui da un anno ma è come se vivesse per conto suo- continuò alzando le spalle.
Avvolto in quella coperta sembrava un enorme burrito e a Dean venne da ridere, ripensando a quando Sam era piccolo e non voleva mai svegliarsi il mattino per andare a scuola, così lui lo afferrava per le caviglie e lo tirava giù dal letto ridendo, coperte e tutto, e così Sam scendeva a fare colazione tutto arrotolato in quell’ammasso di lenzuola.
Dio, da quando era diventato così sentimentale?
-Ma non la smetti mai di parlare tu?- chiese Charlie, apparsa in quel momento sulla soglia della cucina. –Sta’ un po’ zitto, sono solo le sette del mattino-
-Scusa se sono pieno di energia e voglia di vivere ma abito in una casa di vecchi- ribatté Adam alzandosi e dirigendosi verso il salotto.
-Non capisco perché tu ti sia alzato a quest’ora, sei l’unico che può dormire e svegliarsi a un orario decente visto che inizi il turno alle cinque di pomeriggio- continuò Charlie.
A Dean stava venendo mal di testa a stare dietro a quei due. Alzò le mani in segno di resa e si diresse verso la sua stanza per darsi una sistemata prima di andare a sporcarsi di nuovo di olio per motori e fare tutto quello che Bobby diceva di non poter fare perché era troppo vecchio.
Aprì l’armadio, c’erano ancora pochissimi vestiti, soprattutto non c’erano vestiti adatti a quella stagione gelida. Si maledisse mentalmente per non essere stato più attento a cosa aveva preso quando era scappato.
Afferrò una camicia di flanella a quadri (oh mio Dio, stava diventando Sam) e un paio di jeans ormai stinti e aspettò che il bagno fosse di nuovo libero.
Non sapeva bene perché ma non voleva imbattersi di nuovo in Castiel, soprattutto non dopo quella battuta che aveva fatto poco prima, anche se ammise a sé stesso che era stato divertente vedere la faccia stupita dell’altro.
Scivolò silenziosamente fuori dalla sua stanza dopo aver sentito dei passi allontanarsi ed entrò in bagno, aprì l’acqua della doccia e sobbalzò.
Maledetta caldaia.
 
Aveva lavorato come un mulo per tre giorni di fila a un paio di diverse auto, ognuna con un problema diverso, lamentandosi che Bobby lo stesse sfruttando al limite della schiavitù e guadagnandosi una buona dose di –Idiota!- ogni volta che osava aprire bocca.
Gli piaceva stare lì, all’inizio era stato strano perché non conosceva Bobby e aveva paura che lo guardasse con aria compassionevole perché era un ragazzo-di-Ellen ma Dean aveva capito subito che l’uomo non era tipo da sentimentalismi, ed era meglio così.
Preferiva mille volte quell’uomo burbero e scorbutico che lo riempiva di lavoro senza lasciargli un secondo libero, almeno non aveva tempo per fermarsi a pensare.
Però era soddisfacente tornare all’appartamento (no, non riusciva ancora a chiamarlo casa), con la schiena a pezzi per essere stato piegato tutto il giorno dentro al cofano di un’auto e trovare quello strano quadretto che lo aspettava.
Adam che schizzava fuori come un razzo perché era perennemente in ritardo per il turno a lavoro, Charlie immersa fino alle orecchie in fogli pieni di calcoli complicati e una tazza di caffè che riempiva sistematicamente, le lunghe telefonate con Sam che lo aggiornava sulla sua vita sentimentale (con Jessica procedeva a gonfie vele, il Winchester piccolo era cotto a puntino) e poi Castiel.
Dean nella sua testa l’aveva ribattezzato “Cas”, era più facile e più veloce, soprattutto per un nome inusuale come quello, ma non lo aveva ancora mai chiamato così.
Ogni volta che si trovava in sua presenza si sentiva un po’ in soggezione e si sentiva come se dovesse comportarsi bene, tipo raddrizzare la schiena o togliere i gomiti dal tavolo. Aveva come l’impressione che Cas venisse da una buona famiglia e avesse ricevuto un’educazione piuttosto rigida, visto come si comportava di solito.
In quei giorni però aveva notato che l’atteggiamento dell’altro si era leggermente modificato dalla loro conversazione in cucina, era sempre silenzioso e schivo ma quando tornava dall’università, dal lavoro o dalla biblioteca dove studiava non si chiudeva nella sua camera, se c’erano, si fermava a chiacchierare con loro.
Una sera era rimasto anche a cenare con loro, sul divano, mentre guardavano un episodio di The A-Team, e quando si era alzato dal tappeto dove stava seduto avevano creduto che se ne andasse ma in realtà si era semplicemente seduto sul bracciolo del divano, accanto a Dean.
Non era più capitato che rimanessero da soli, forse era un bene perché probabilmente nessuno dei due avrebbe saputo che cosa dire, appartenevano a due mondi diversi e Cas non era espansivo come Adam o Charlie, era difficile entrare in contatto con lui, Dean aveva a malapena capito cosa studiasse.
Una sera di febbraio Dean rientrò nell’appartamento imprecando. Si era rotta di nuovo la caldaia e aveva appena passato un’ora ad aggiustarla non appena tornato da lavoro.
Aveva anche suggerito al vecchio Rufus di cambiarla ma quello gli aveva dato elegantemente dell’idiota (non per niente lui e Bobby erano grandi amici) e gli aveva detto che se voleva una nuova caldaia poteva comprarsela.
E così l’aveva aggiustata, di nuovo.
“Almeno adesso non rischio l’ipotermia” pensò varcando la soglia. Aveva bisogno di una doccia, era sudato, sporco di olio per motore dalla testa ai piedi e la schiena gli faceva un male cane.
Nell’appartamento c’era solo Charlie, rientrata da poco, che stava trafficando in cucina.
-Eccoti!- esclamò non appena lo vide entrare.
-Ciao Charlie-
-Hai aggiustato di nuovo la caldaia vero? Rufus è veramente un taccagno maledetto a non volerla cambiare. Ah ha telefonato tuo fratello Sam, ma gli ho detto che non c’eri- lo informò la rossa versandosi una tazza di caffè. Probabilmente era la decima della giornata o qualcosa del genere.
-Mmmmm, vorrà chiedermi cosa regalare a Jessica per San Valentino. Come se lo sapessi- sbuffò aprendo il frigorifero in cerca di una birra. –Dovrebbe chiedere a te-
-E per quale motivo?- domandò Charlie alzando un sopracciglio
-Beh tu sei una ragazza a cui piacciono le ragazze, di sicuro ne sai più di me. E poi io non ho mai fatto un regalo a una ragazza-
-Ah capisco, sei uno di quelli che non riesce a tenerlo nei pantaloni e quindi la sua relazione massima dura una settimana-
-Qualcosa del genere- rispose Dean alzando le spalle.
-Wow, devi essere un vero duro- lo prese in giro la ragazza dai capelli rossi.
-Che palle Charlie! Mi diverto e basta- ribatté seccato. –Tu piuttosto? Non hai nessun altro a cui rompere con i sentimenti?-
Charlie gli fece la linguaccia e poi tornò a scrivere lunghe stringhe di numeri su un foglio a quadretti e smise di parlare.
Dean non era bravo con i sentimenti, non lo era mai stato. Qualunque tipo di manifestazione d’affetto troppo palese lo metteva in imbarazzo, si era sempre limitato a virili pacche sulle spalle e al massimo qualche abbraccio fugace con Sam, non era proprio il tipo da lunghe chiacchierate sui sentimenti. Gli veniva l’orticaria solo al pensiero e forse era per quello che non voleva dire a Sam cos’era successo realmente, perché poi l’avrebbe invischiato in una conversazione su come si sentiva e grazie, ma no grazie.
Decise di richiamare Sam sperando che il suo fratellino gli portasse qualche buona notizia e che non lo avesse chiamato perché Mary o John avevano telefonato un’altra volta.
Sam aveva fatto la sua settimanale telefonata a casa soppesando ogni parola che diceva alla madre, con Dean di fianco che lo guardava torvo per evitare che il suo fratellino minore si lasciasse sfuggire troppe informazioni.
I suoi genitori non lo avevano cercato quando era andato via gli aveva comunicato Sam dopo la conversazione con Mary, e a Dean andava bene così, non voleva di certo ritrovarseli davanti all’improvviso.
Ma Mary sapeva dov’era, però non l’aveva detto a suo padre. O forse gliel’aveva detto ma John era così disgustato dal suo stesso figlio che non aveva nemmeno voluto cercarlo, non che la cosa gli importasse davvero.
L’unica cosa che si chiedeva era se la voce di quello che era successo si fosse sparsa, ma era certo di no, John non avrebbe mai permesso una cosa del genere, non avrebbe mai voluto che il mondo sapesse che John Winchester, l’ex marine, aveva un figlio frocio.
Probabilmente si era inventato una storia per la sua fuga, tipo l’esercito o qualcosa di simile. Non voleva pensare alla sua famiglia adesso, si stava costruendo una nuova vita, un nuovo inizio, non poteva lasciare che la sua vecchia vita s’intromettesse di continuo. Era come se avesse lasciato una porta semiaperta e da quello spiraglio filtrassero i ricordi del passato.
Alzò la cornetta e compose il numero dell’appartamento di Sam.
-Sì pronto?-
-Ciao Sam, sono io, mi ha detto Charlie che hai telefonato-
-Ah sì, volevo dirti che ha chiamato la mamma e mi ha chiesto di te-
-Che le hai detto?-
-Che stai bene. Ti vorrebbe parlare Dean, è così preoccupata. Ha detto che papà sta facendo finta di nulla, ha detto a tutti che sei partito perché ti hanno offerto un lavoro in Ohio. Prima o poi dovrai parlarci-
-No-
Stava iniziando a sudare freddo mentre sentiva una morsa ferrea arpionargli le viscere.
-Dean è la mamma…-
-Non m’importa. Dopo quello che è successo io…-
Sam sospirò dall’altra parte della cornetta. Avrebbe tanto voluto chiedere a Dean cos’era successo veramente ma sapeva che quel testardo di suo fratello non aveva aperto bocca, così aveva finto di bersi la storia della povera Lisa tradita e aveva taciuto, ma lui sapeva che non era così. Lo sentiva. E Dean ultimamente era così confuso.
-Beh prima o poi dovrai parlarle. Non dico a papà, lui può crepare per quel che mi riguarda-
Dean si attorcigliò il filo del telefono attorno al dito. –Mmmm, forse. Non adesso Sam-
-Okay- sospirò il minore con rassegnazione. –Comunque ti ho telefonato per invitarti a uscire. Sei qui da quasi due settimane e non hai visto quasi nulla. E sabato sera c’è un concerto al The Ritz4-
-Quel The Ritz? Quello dove hanno suonato i Guns N’Roses un anno fa?-
-Sì, proprio quello. Io e Jessica ci andremo. Ovviamente non sarà al livello dei Guns N’Roses ma…-
-Cazzo, potevi dirlo subito. Contami fratello!-
-Sapevo che non avresti detto di no. E domani ho il giorno libero, voglio farti vedere un po’ la città. Ora sei newyorchese anche tu-
-Sì come no, ciao Sam-
-A domani Dean-
Il giorno dopo Sam lo venne a prendere praticamente di forza all’officina di Bobby e s’improvvisò guida turistica.
La Grande Mela si spalancava sotto gli occhi stupiti del maggiore dei Winchester, che non era mai uscito di Lawrence, Kansas. I grattacieli illuminati svettavano alti nel cielo di febbraio che cominciava leggermente ad imbrunire, le auto si rincorrevano per le larghe strade insieme alle macchie colorate dei tipici taxi gialli.
Le insegne dei negozi e delle multinazionali scintillavano invitanti insieme al brulichio costante di persone di ogni etnia e classe sociale.
Manager ingessati nei loro completi, senzatetto che chiedevano l’elemosina, ragazze in jeans attillati e coi capelli colorati, donne in eleganti tailleur e ragazzi che suonavano sui marciapiedi illuminati dai lampioni.
-Wow- si lasciò sfuggire Dean mentre Sam lo trascinava davanti all’Empire State Building dopo essere usciti dalla metropolitana.
-Sì beh, è un po’ diverso da casa nostra ma ci farai l’abitudine- rispose Sam stringendosi di più nel suo pesante giaccone beige. –La prossima volta ti porto in un museo. Potremmo andare in quello di storia naturale- aggiunse entusiasta.
Dean lo guardò storto per qualche istante prima di annuire, contagiato dall’entusiasmo del fratello minore.
Quella città era immensa, caotica, piena di rumore. Dean si sentiva stordito da tutto quel trambusto e si rese conto che era davvero solo un ragazzo di campagna catapultato in un mondo nuovo che non sapeva se gli apparteneva oppure no.
Dopo aver gironzolato un altro po’ e preso un paio di metropolitane per vedere più in fretta Central Park e la Statua della Libertà i due fratelli, usciti dall’ennesimo sottopassaggio, si ritrovarono nel quartiere di Dean e si ripararono dal freddo pungente alla Roadhouse di Ellen.
Ogni volta che usciva da lavoro, anche se era stanco e con la schiena a pezzi, Dean passava sempre da Ellen a chiederle se aveva bisogno di aiuto per la sera al locale, quella donna gli aveva letteralmente rimesso un tetto sulla testa e non gli aveva chiesto nulla in cambio, nemmeno una spiegazione, anche se sembrava aver intuito molto di più di quello che lasciava trasparire.
La donna li accolse calorosamente e li accompagnò a un tavolo sul lato destro della sala, era ancora quasi vuoto, c’erano solo altre quattro persone oltre i due fratelli e le proprietarie.
Jo si avvicinò a loro per prendere le ordinazioni lanciando a Dean un’occhiata che lasciava ben intendere le sue intenzioni.
-Credo che tu abbia colpito nel segno- fece Sam ridendo.
-Già, ogni volta che passo di qui Jo è sempre molto...chiara nei miei confronti- rispose Dean tracciando invisibili cerchi sul legno del tavolo.
-Come se ti dispiacesse. Non capirò mai cosa ci trovino in te-
-Sono bellissimo-
-Sì certo come no-
Jo posò le birre sul tavolo. –Ecco a voi ragazzi. Com’è andata l’esplorazione della città?-  fece col viso rivolto verso Dean.
-Mmmmm bene, mi piace. È molto diverso da casa mia ma mi abituerò- rispose alzando le spalle e sperando che la conversazione finisse lì.
-Perché non le chiedi di uscire?- chiese Sam al fratello non appena si fu voltata per andarsene.
-Perché non ti fai gli affari tuoi Samantha?- replicò Dean di rimando affondando il viso nel boccale.
-Sono sicuro che non ti direbbe mai di no- continuò Sam rigirandosi il boccale di birra tra le grandi mani. –Guarda, ti sta spogliando con gli occhi anche adesso-
-Magari non mi va di chiederle di uscire, ci hai pensato?- sbuffò Dean, sapeva benissimo l’effetto che faceva alle ragazze e la cosa non gli era mai dispiaciuta, finché aveva saputo usarla per tornaconto personale o per non pagare la birra al pub.
-Da quando rifiuti una bella ragazza?-
-Non la sto rifiutando, non ho tempo. E poi non è il mio tipo-
Sam sospirò roteando gli occhi. –Come vuoi. Comunque sabato ci sarà Jess, se non vuoi fare il terzo incomodo dovresti portare qualcuno-
-Lo chiederò a Charlie o ad Adam- rispose finendo la birra. Sam si stava iniziando a impicciare un po’ troppo.
Fuori era scesa del tutto la sera, Dean alzò lo sguardo verso il cielo senza stelle a cui non era abituato. A casa, in Kansas, d’estate spesso si stendeva sul prato col naso all’insù e guardava il cielo luminoso, aveva anche imparato il nome di qualche costellazione.
Di nuovo una morsa tornò a stringergli lo stomaco, perché non riusciva a lasciar andare quella vita?
-Allora io vado, ci vediamo sabato direttamente al The Ritz per le dieci va bene?- domandò Sam distraendolo dal filo sconnesso dei suoi pensieri.
-Eh? Ah…sì okay-
Si salutarono rapidamente e poi si divisero, Dean verso casa e Sam verso la fermata della metropolitana.
Guardò il suo riflesso nello specchio dell’ascensore. Dio, da quando aveva quelle occhiaie? Probabilmente da quando aveva smesso di dormire decentemente per paura di sognare suo padre che lo prendeva a calci.
Ma non era quello che gli faceva così male. Era vedere sua madre Mary impassibile dietro di lui. Quello era il dolore più grande che avesse mai provato, la consapevolezza di non essere amato abbastanza perché venisse protetto.
Le porte si aprirono con un “ding!” e il ragazzo uscì ritrovandosi davanti Castiel che cercava di aprire la porta borbottando qualcosa su quella vecchia serratura.
-Aggiusterò anche questa- disse Dean avvicinandosi.
L’altro sobbalzò. –Ah…ciao Dean. Non riesco a fare girare la chiave- fece con un leggero imbarazzo nella voce.
Dean prese le chiavi dalla mano dell’altro e le infilò nuovamente nella serratura, poi si appoggiò alla porta e girò la chiave mentre spingeva con forza.
La serratura scattò e la porta si aprì permettendo ai due di entrare in casa.
-Grazie- mormorò Castiel passandosi una mano tra i capelli scuri e spettinandoli ancora di più.
-Non c’è problema Cas- rispose senza pensare.
-Cas?-
-Sì scusami-
-No va bene. È…un’abbreviazione del mio nome, mi piace. Sempre meglio di come mi chiama mio fratello comunque- disse Castiel.
Erano entrati in casa e si stavano dirigendo verso la cucina. L’appartamento era vuoto, Charlie sarebbe rimasta a dormire da Dorothy, la sua ultima fiamma e Adam era di turno. Castiel sembrava più rilassato del solito, la cravatta blu intonata ai suoi occhi era leggermente allentata e i primi due bottoni della camicia bianca erano aperti.
-Hai un fratello?- domandò Dean prendendo due birre dal frigorifero. Potevano rimanere senza mangiare per giorni se lui non avesse fatto la spesa o telefonato al cinese per farsi portare del cibo da asporto ma la birra non mancava mai.
-Sì, mio fratello maggiore Gabriel, che mi chiama Cassie- rispose Castiel con la faccia un po’ schifata mentre si dirigevano verso il salotto.
-Cassie?-
-Già. Terribile. Ma io e Gabriel non ci vediamo da un po’ ormai, lui vive a Los Angeles, lavora nel cinema, produzione-
Era la conversazione più lunga che Dean avesse mai avuto con il suo coinquilino, solitamente quando c’erano anche Charlie e Adam Castiel si limitava ad annuire e il suo contributo alla conversazione era ridotto al minimo indispensabile, ma adesso sembrava che avesse davvero voglia di scambiare quattro chiacchiere.
-Anch’io ho un fratello, Sam, ma questo lo sai già. E vengo dal Kansas, ma sai anche questo-
-L’unica cosa che non so è perché sei qui-
-Perché non vado più d’accordo coi miei genitori. Avevano dei piani per me che non facevano al caso mio- tagliò corto Dean.
-Anche i miei genitori volevano qualcosa di diverso per me. Suppongo che per una famiglia di medici avere un figlio che studia letteratura sia la peggior sfortuna che potesse capitare- fece Cas prendendo un sorso di birra. –Ma alla fine siamo noi che decidiamo cosa fare. Faber est suae quisque fortunae-
-Eh?- domandò Dean.
-È latino. Significa “ognuno è artefice della propria sorte” e viste le nostre storie qui dentro mi sembra adatto- rispose Castiel con dolcezza.
-Conosci il latino?-
-Un po’. L’ho studiato all’università ma lo conoscevo già da prima. I miei genitori sono molto religiosi e da piccoli facevano recitare a me e Gabriel i salmi in latino. È assurdo ma è così che sono cresciuto- disse il ragazzo. Dean non l’aveva mai sentito parlare così tanto. –Ed è per questo che mi chiamo così, e anche mio fratello. Gabriel per l’arcangelo Gabriele ovviamente e Castiel è l’angelo del giovedì. So che è insolito ma a mia madre piaceva e così…- aggiunse.
-Anche i miei genitori sono religiosi. Cioè non facevano leggere a me e Sam in latino ovviamente, però ci portavano a messa tutte le domeniche e facevamo le cene con il reverendo. In realtà mia madre è davvero credente, mio padre lo fa solo per facciata- disse Dean con amarezza. – Però mia madre…quando ero piccolo diceva che gli angeli vegliavano su di me. L’ho sempre trovato un po’ inquietante, come se qualcuno ti fissasse mentre dormi- continuò con un lieve sorriso prendendo un altro sorso di birra.
Non sapeva perché stava dicendo tutte quelle cose a Castiel, forse perché era più facile aprirsi con uno sconosciuto, o così aveva sentito dire da qualche parte.
-Non penso sia una cosa inquietante, penso che sia bello sapere di avere qualcuno che ti protegge- replicò Cas.
Dean non rispose, non credeva che qualcuno l’avesse mai protetto davvero.
Castiel gli rivolse un’ultima occhiata, si alzò dicendo che doveva studiare e se ne andò lasciando Dean da solo. Era stata una giornata lunga, lunghissima. Si sentiva la testa vorticare e gli si chiudevano gli occhi dal sonno.
Vivere in una grande città era qualcosa che non gli era mai passato per la testa, pensava che sarebbe rimasto per sempre a Lawrence, intrappolato in un qualcosa che non gli apparteneva, ma era riuscito a farsi coraggio e andarsene e adesso era l’, mentre cercava di rimettere insieme i pezzi della sua vecchia vita per farli combaciare con quelli della sua nuova vita.
Si alzò dal divano con un gemito e si chiuse in camera, la sua nuova chitarra era posata sul letto e lui la prese per accordarla. Stava per rimetterla giù pensando che avrebbe dato fastidio a Cas, anche se era stato Cas a dirgli che era bravo a suonare…accennò un paio di note di Starman5 prima che la porta della sua stanza si aprisse rivelando la figura scomposta di Castiel.
-Scusa- disse subito Dean appoggiando lo strumento. E poi –Sabato sera c’è un concerto al The Ritz, vieni con me?-
 
 
Spazio autrice: buonasera! Eccomi qui! Innanzitutto grazie di essere arrivat* qui in fondo e grazie a tutt* quell* che hanno recensito o in qualche modo supportato questo mio delirio inserendolo nelle storie preferite\seguite…come vi ho detto per questioni universitarie mi trovo costretta a rallentare la pubblicazione, cercherò di aggiornare ogni tre giorni, più o meno. Spero che il capitolo vi piaccia e nulla, se vi va lasciatemi una recensione.
P.S. spero che stiate ascoltando tutte le canzoni che inserisco e che prendo come spunto ehehehehe, per farvi entrare un po' nel mood.
Un abbraccio e a presto!


1Brano dei Guns N'Roses del 1987. Nel videoclip si vede il cantante, Axl Rose, che dalla campagna si trasferisce in città e si "trasforma"
2Celebre telefilm andato in onda dal 1983 al 1987
3Battuta che dice Dean a Cas nella 5x18
4Locale fondato nel 1980 a New York come "ballroom" e rock club. Nel 1988 vi si esibirono i Guns N'Roses con un live storico
5Brano di David Bowie del 1972

 
  
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