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Autore: DarkDemon    26/02/2021    4 recensioni
[STORIA INTERATTIVA - ISCRIZIONI CHIUSE]
«Sai, girano voci, alcuni figli di Apollo dicono di aver avuto delle visioni e l’augure sembra piuttosto irrequieto.» Helen aveva abbassato lo sguardo a terra mentre giocava nervosamente con uno dei suoi boccoli dorati. Boniface non aveva mai parlato con lei nonostante facessero entrambi parte della seconda coorte e la ragazza sembrava piuttosto timida e a disagio. «Tu… voglio dire, anche tu ne sai qualcosa no? Sto ancora imparando tutti questi dei, ma tu sei figlio di Giano, no? Qualcosina riesci a vederla.»
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Il ragazzo si voltò verso di lui con sguardo preoccupato. «Amico mio, prega che non sia chi penso, altrimenti… bhe, siamo in una montagna di merda.»
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«Semidei, siete ragazzi valorosi, mi dispiace essere io il portatore di cattive notizie, ma ho bisogno del vostro aiuto, tutti noi ne abbiamo.»
[...]
«Ah, figlia di Venere, la tua domanda è in realtà legittima.» Sorrise e tornò a chiudere gli occhi. «Io sono Astreo.»
«Titano degli astri, delle costellazioni e dell’oroscopo.»
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Nyx, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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   I falò serali erano un attività diffusa più tra i greci che i romani, dopotutto i loro ritmi sostenuti e la sveglia all’alba non rendevano l’idea particolarmente allettante. I ragazzi che arrivavano dopo cena senza il desiderio di buttarsi in branda erano davvero pochi e, considerando che si trattava di adolescenti iperattivi, la cosa era particolarmente sorprendente. A detta di Cesaria, quella era la migliore tattica che quel campo avesse mai sfornato in anni di esistenza: prenderli per sfinimento; e sembrava del tutto intenzionata a perpetrare l’usanza.
   
Dopo un temporale durato praticamente tutto il pomeriggio, verso sera il cielo aveva iniziato ad aprirsi e le stelle a fare timidamente capolino tra le nuvole. Con il sereno era arrivato anche il vento, che aveva spazzato via i cumuli neri, trascinando le loro tempeste più ad ovest.
   
Serafim, seduto sul proprio letto, allacciava senza fretta i bottoni della propria camicia, lo sguardo chinato sulle dita sottili, i capelli ancora leggermente umidi che gli ricadevano attorno al volto. Trovava davvero ingiusto che ci fossero i turni ai phon. Capiva benissimo che il tempo per lasciare ad ogni semidio il proprio momento alla Beyoncé non ci fosse, ma non tutti avevano la stessa lunghezza di capelli e sette minuti non sempre erano sufficienti, sopratutto in inverno quando asciugarli male rischiava di far ammalare almeno la metà dei ragazzi presenti. Fortunatamente negli anni erano riuscito ad elaborare un ombra di strategia, accordandosi con alcuni dei ragazzi dai capelli più corti per rubare il loro tempo in eccesso. Tuttavia c’era anche chi aveva i capelli ben più lunghi dei suoi e i momenti immediatamente prima delle docce finivano per sembrare mercati del pesce presi d’assedio dai gabbiani.
   
Recuperò il nastro dal comodino e iniziò ad intrecciare blandamente i capelli, non preoccupandosi troppo delle ciocche più corte attorno al viso che, già sapeva, sarebbero scivolate fuori tempo di uscire dalla stanza. Si alzò sospirando infilandosi gilet e la giacca. Sicuramente una felpa sarebbe stata più pratica e lui per primo non lo avrebbe mai negato, tuttavia ormai si trovava più comodo in quegli abiti che non in quelli più mondani, e a dirla tutta li preferiva anche: non aveva alcuna intenzione di cambiare il proprio armadio. Raccolse il proprio bastone dal letto e si avviò con calma fuori. Aveva ancora quarantacinque minuti prima del fuoco, cerimonia o quello che era, poiché era stato tra i primissimi a lavarsi. Non se la sentiva onestamente di andare già al Campo Marzio, dove stavano allestendo una specie di arena improvvisata. Sapeva che o si sarebbe trovato circondato da ragazzi urlanti, o peggio ancora lo avrebbero schiavizzato per sistemare le panche e, considerato anche che si era appena lavato, poteva affermare tranquillamente e senza imbarazzo che non ne aveva minimamente voglia. Una volta uscito dalle baracche si avviò quindi nella direzione esattamente opposta, verso le stalle e più in là i Giardini di Bacco. Sapeva che non avrebbe fatto in tempo a raggiungerli e tornare indietro in orario, ma poco oltre le scuderie si apriva un piccolo prato che era riuscito, piano piano, a colonizzare con alcune delle sue piante notturne.
   
Prestò molta attenzione nel scendere dal sentiero che portava al prato, ponendo cura nel misurare i passi e non rischiare di scivolare nel terreno ancora fangoso. Il suo piccolo giardino privato consisteva di giusto qualche vaso e un arco di ingresso abitato da un rigoglioso gelsomino che, non ne faceva un segreto, gli muoveva un certo orgoglio. Un paio di anni prima Berenice era riuscita a convincere i pretori, sopratutto la sorellastra, a dare come attività ai ragazzi di costruire una piccola recinzione per quello spazio. Nonostante Cesaria non si fosse dimostrata da subito particolarmente avvezza all’idea, Serafim l’aveva scorta aiutare a dipingere e le assi che erano state toccate dalla sua mano artistica erano facilmente identificabili tra le altre.
   
«Sai, mi sono sempre chiesta come mai ce l’hai su con le piante notturne.» Lo sorprese una voce alle sue spalle. Parlavi del diavolo ed eccolo in piedi sul sentiero, una sigaretta stretta tra due dita e la mano libera affondata in una delle giganti tasche della salopette. Nel buio quasi totale, se non per i rarissimi lampioni a lato della strada, scorse un espressione curiosa sul suo volto.
   
«Mi piacciono anche quelle diurne.» Disse semplicemente e la ragazza alzò un sopracciglio. La punta incandescente della sigaretta brillò nel buio quanto prese un tiro piano. Saltò giù dalla strada, leggermente rialzata rispetto al prato, con molta meno cautela di lui, raggiungendolo a passo sicuro.
   
«Ma questo giardinetto ha solo fiori notturni, dico bene?» Domandò chinandosi per osservare meglio una pianta, lì la luce dei lampioni, già non particolarmente potente, arriva ancora più timida, scolpendo appena i contorni delle cose.
   
«Non ti facevo un’esperta di piante.» Non avevano mai interagito troppo e per questo non l’avrebbe definita un’ amica, anche perché era davvero poca la gente che Serafim Branko avrebbe definito tale. Tuttavia, doveva ammetterlo, non la disprezzava così tanto come molti avrebbero potuto pensare. Sì, divergevano molto su più di un fronte, era innegabile, ma la ragazza aveva più di una caratteristica che il figlio di Melania apprezzava, la sincerità prima tra queste.
   
«Non lo sono, ma ero curiosa e ho fatto le mie ricerche.» Scrollò le spalle facendo un tiro annoiato e voltando la testa per soffiarlo lontano sia da lui che dalle piante in una gentilezza che non si sarebbe aspettato.
   
«E poi beh, fioriscono di notte. Non sarò la prima della classe ma non sono deficiente.» Ridacchiò, effettivamente il suo commento aveva parecchio senso. Serafim sapeva bene, come chiunque altro al campo, che le giornate del pretore non erano scandite dal giorno e dalla notte, portandola a star sveglia fino ad orari improponibili e spesso nemmeno a dormire; non si sarebbe stupito nello scoprire che ogni tanto fosse andata a far visita al suo piccolo giardino.
   
«Tra mezz’ora fatti trovare all’arena.» Gli disse con un sospiro, passandosi una mano tra i capelli turchini. «Non voglio ritardi inutili.» Aggiunse e si avviò di nuovo verso il campo, lasciandolo nuovamente solo con i propri pensieri.
 

 

   Dopo il caos di quel pomeriggio le cose si erano finalmente calmate, per quanto un campo di ragazzini iperattivi potesse star tranquillo. L’unico problema era che l’ora della cerimonia si faceva sempre più vicina e l’agitazione stava tornando a farsi sentire. Il fuoco in mezzo a loro passava da pericolosamente alto e vibrante a delle braci a malapena visibili con la stessa facilità con cui Enrico VIII cambiava le mogli e la cosa iniziava davvero ad irritare Teodora. Seduta sul suo solito posto di fiducia, quello con tutti i cuscini per evitare di ritrovarsi a piangere dopo mezz’ora, controllava seccata l’orologio: un quarto a mezzanotte. Sperava davvero che i Romani si muovessero a finire con le docce e a far partire il dannato rituale, perché iniziava a sognare il proprio letto.
   
Con un fuso orario di tre ore tra San Francisco e New York, accordarsi su un orario sufficientemente buio per tutti quanti era stato non poco complesso e, ovviamente, loro erano quelli finiti a fare le ore piccole, o meglio, a dover aspettare, fingendo allegria con canti noiosi attorno ad un fuoco magico più sincero di loro.
   
Avevano tutti sperato fino all’ultimo che Chirone concedesse loro il lusso dei marshmallow, dopotutto c’erano meno della metà dei ragazzi che stavano lì d’estate e tutti erano consapevoli della scorta di dolciumi, nascosti da qualche parte nella Casa Grande.
 
Due dita picchiettarono piano sulla sua spalla richiamando la sua attenzione: «Ehi, ragazza delle notizie, si sa nulla riguardo il come questa… cosa avverrà?»
   Teodora si girò quel poco che le bastava per mettere a fuoco la sua interlocutrice, Amanda figlia di Dioniso, quella con i capelli borgogna. Sì, aveva in mente. Si prese qualche secondo per osservarla e pensò davvero a cosa avrebbe potuto chiederle in cambio, ma la verità era che non ne aveva voglia, aveva guadagnato abbastanza per quei giorni. A dirla tutta non aveva idea nemmeno lei, quindi non avrebbe saputo darle una risposta più elaborata di un “non lo so”.
   
Si strinse leggermente nelle spalle e allungò una mano tra i riccioli chiari, rigirandosi pigramente una ciocca attorno al dito.
   
«Ah bho, tu lo sai? Io no.» Disse tranquilla. «Nemmeno i loro Pretori sembravano particolarmente preparati, a detta di Addison.» Spiegò tornando a guardare il fuoco, ora sempre più spento e cupo man mano che si avvicinava la mezzanotte. Sperò solo che non ci fossero problemi di connessione o robe varie… anche se non avrebbe saputo nemmeno se o come si sarebbero connessi.
   
«Lol.» Commentò Amanda alle sue spalle. Poteva immaginarla senza nemmeno il bisogno guardarla mordicchiarsi il polpastrello del pollice indecisa e poi, finalmente, decidersi a scendere un gradino e occupare il posto vuoto al suo fianco.
   
«Ma dimmi, tu sai per caso chi sono ora i Pretori?» Chiese curiosa. La pace era durata talmente a lungo che i due campi si erano quasi dimenticati l’uno dell’altro. Sapevano che Chirone aveva incontri sporadici con loro, giusto per evitare di diventare completi sconosciuti, ma era anche vero che più di un ragazzino seduto a quel falò non era a conoscenza dell’esistenza di un campo romano fino a quel giorno. Fino ad alcuni anni fa capitava che piccole delegazioni amichevoli venissero da loro, o viceversa, ma i costi dei trasporti avevano finito per terminare preso l’iniziativa.
   
«Ti sembra che possa saperlo?» Rispose piccata ma lo sguardo curioso di Amanda e il suo silenzio insistente le fecero intendere che sì, pensava proprio potesse saperlo. E così era, in realtà.
   
«Il ragazzo asiatico e la figlia di Venere.» Sbottò dopo un po’. In realtà non aveva avuto nessuna conferma, erano loro l’ultima volta che aveva controllato e aveva motivo di credere che se fossero cambiati sarebbe venuta a scoprirlo, in qualche modo.
   
«Oh… pensavo andassero cambiati di frequente, tipo.» Commentò la figlia di Dioniso piegandosi in avanti per poggiare il mento tra le mani. Non si ricordava benissimo quando fosse stata l’ultima volta che si era informata a riguardo, ma un buon due anni dovevano essere trascorsi.
   
«Che ti devo dire, saranno bravi..?» Si strinse nelle spalle Teodora.
   
«Dici? Chissà com’è il Campo Giove.» Sospirò. «Hanno pure una città… che culo che hanno, scommetto che nemmeno se ne rendono conto. Noi pure per degli assorbenti dobbiamo mandare Argo.» Sbuffò infastidita. Il loro piccolo magazzino veniva sempre depredato e le ragazze finivano per attaccare i pacchi come cavallette appena arrivavano, giusto per evitare di trovarsi a secco nei giorni di bisogno. Ogni tanto Lizard, la ragazza più grande del campo, accettava commissioni quando doveva recarsi in città, ma quelle costavano, a differenza del materiale fornito dal campo.
   
«Io sono piuttosto certa che se non sarà il campo ad organizzare qualcosa ci andrò per conto mio. Inoltre Nuova Roma ha un università, potrebbe essere un opzione, giusto per non rischiare di finire fuori corso a causa dei mostri.» Era effettivamente da un po’ che ci pensava. Se non poteva andare in Europa a vedere la Roma, reale accontentarsi della brutta copia era il minimo. Almeno per il momento.
   
«Sì, ho sentito diversi ragazzi che ci sono andati. Mi chiedo come viene registrata nei curriculum...» Disse pensosa. Effettivamente non ci aveva mai pensato, dopotutto era un università nascosta al mondo. Chissà, magari la foschia camuffava il nome in qualsiasi altra scuola, sarebbe stato interessante.
   
Il fuoco era ormai sempre più tenue e Teodora faticava quasi a coglierne il bagliore oltre le lenti scure che era costretta a tenere su costantemente, infastidita anche dalla più semplice fonte di luce. Se di solito la notte le portava un po’ di tregua, il fuoco non faceva altro che allungare il tempo in cui doveva indossarli, lasciandola in una fastidiosa buia cecità eccezion fatta per la fonte di luce. Aveva ormai preso l’abitudine di abbassarli leggermente sulla punta del naso quando doveva osservale qualcosa di diverso dalla fonte di luce. Anche in questi momenti, comunque, la sua vista di certo non dava il meglio di se, essendo, tra le altre cose, anche un po’ miope. Era fastidioso ma era scesa a patti ormai da anni con l’idea che la salute fisica non giocasse esattamente nella sua squadra.
   
Abbassò lo sguardo sull’orologio nell’esatto momento in cui la lancetta dei minuti scattò sul dodici: mezzanotte, si iniziava.
 

 

   «Tu cosa c’entri? È questo che non riesco a capire.» Appoggiata al muro, le braccia conserte la ragazza lo guardava con occhio critico infilare le scarpe. Ansel sospirò alzandosi dalla piccola panchetta nell’ingresso e recuperò la felpa dall’appendi abiti.
   
«Te l’ho detto, sono un mezzo istruttore, faccio ancora parte del campo, quindi devo partecipare.» Ripeté per la terza volta quel giorno.
   
Alice non aveva preso molto bene l’idea che il suo ragazzo partecipasse a riti di selezione per delle imprese, era stata una legionaria anche lei e sapeva come funzionavano gli dei, carini e gentili e poi ti fregavano subito dopo averti detto di non preoccuparti. Non poteva chiederle semplicemente di stare calma.
   
«Ti serve un lavoro serio Sheridan.» Sospirò passandosi una mano tra i capelli chiari. Aveva ventitré anni, il servizio lo aveva ormai terminato, eppure sembrava non se ne fosse mai davvero andato. Iniziavano a crearsi una vita e anche se il matrimonio non era necessariamente nella loro to-do list, sicuramente non si poteva campare per sempre di uno stipendio e qualche agevolazione e piccola somma.
   
«Lo so, sto cercando.» La verità era che Ansel non sapeva cosa cercare, dopotutto non aveva ricevuto un educazione particolarmente completa, anzi. Era cresciuto in un camper e i suoi genitori adottivi si erano preoccupati della sua educazione home school. I due semidei lo avevano cresciuto tralasciando più di una materia ed insegnandogli invece miti e leggende approfonditamente. Per quanto la sua formazione non gli desse particolari problemi, era anche vero che ora che si affacciava verso la vita adulta non aveva esattamente un idea precisa di cosa volesse fare. Sulla bilancia portava un enorme bagaglio culturale assai utile per un semidio, ma quasi completamente privo di valore per qualsiasi altro abitante sia di Nuova Roma che del mondo esterno.
   
«È solo un rituale, Alice. Sarò a casa prima delle undici.» La rassicurò posandole una mano sul viso. «Non è mica la prima profezia a cui assisto no?» Continuò. Poté vedere nei suoi occhi i suoi pensieri e non gli fu affatto difficile capirli, dopotutto erano gli stessi che, non lo avrebbe certo mai ammesso, tormentavano anche lui: “Non mi fido degli dei.”
   
Era probabilmente la regola numero uno di un semidio, non fidarsi degli dei. Che fossero buoni, cattivi, sconosciuti o celeberrimi, non si potevano avere certezze. Giocavano per se stessi e poco gli importava del costo delle vite che impiegavano per raggiungere un obbiettivo, che fosse causare la fine del mondo o, di contro, fermarla. Erano bambini capricciosi ma potenti e sapevano tutti e due che non sarebbe stato un “scusa tanto ma ho terminato il servizio” a fermarli. Tutto ciò che avevano era la magra speranza che almeno le costellazioni fossero un poco più magnanime. Ma erano anch’esse esseri eterni, e come tali non conoscevano il vero valore della vita.
   
L’orologio digitale al suo polso emise un breve suono avvisando dell’ora e Alice sospirò.
   
«Solo non fare cazzate tipo offrirti volontario o roba simile.» Lo ammonì.
   
«Di quello certamente non devi preoccuparti.» Ridacchiò prima di lasciarle un veloce bacio sulle labbra.
   
«A dopo.» La salutò ed uscì, diretto verso il Campo Marzio.
 

 

   Era agitato, decisamente agitato, negarlo sarebbe stato stupido e certamente chiunque avrebbe potuto notarlo. A gambe incrociate in mezzo al tempio di Apollo rivolgeva mute preghiere di aiuto. Verso chi non era ben chiaro nemmeno a lui, dopotutto non si trattava di fare una profezia, non aveva un padre, o una madre, a cui rivolgersi quindi si limitava a pregare.
   
In quanto Augure del Campo Giove, Quentin era la cosa più simile ad una figura sacerdotale che il campo avesse a disposizione e per questo le formalità stavano a lui. In anni che aveva ricoperto quella carica, tuttavia, non si era mai trovato a dover celebrare rituali così importanti e anche se si ripeteva che Astreo avrebbe fatto il grosso, un parte di responsabilità era anche sulle sue spalle. O almeno così gli sembrava.
   
Dopo la cena era corso subito lì nel tentativo di rilassarsi almeno un poco e non arrivare al falò con i capelli ritti in testa e i nervi a fior di pelle. Se fosse effettivamente servito a qualcosa doveva ancora deciderlo. Solitamente non aveva mai avuto particolari problemi a meditare, anzi, era così che riceveva la maggior parte di previsioni e le rare, piccole, profezie che avevano animato gli scorsi anni. Eppure quella sera la sua mente sembrava non volerne sapere di svuotarsi: i pensieri si incatenavano l’uno all’altro in modo confuso in una cascata di pessimismo e negatività che decisamente non gli apparteneva. Quentin Blaise era un ragazzino solare e allegro, puntava a dare gioia alle persone perché di tristezza e negatività nel mondo ce ne era già anche troppa. Non vedeva sempre tutto rosa e fiori, non era stupido, ma ci provava, ci provava davvero, e ora stava fallendo e questa cosa lo devastava. Non riusciva a non pensare che se lui era così disperato chissà come lo sarebbero stati gli altri.
   
Con un sospiro infastidito si lasciò cadere a terra, gli arti aperti come una stellina colorata, caduta per caso in quell’enorme tempio bianco. Osservò dal basso la statua del dio Apollo, chiedendosi ancora un altra volta se quello fosse suo padre, perché non lo avesse riconosciuto, o altrimenti chi altro potesse essere. Prima che la sua mente lo trascinasse in un altro limbo di pensieri negativi dei passi risuonarono alle sue spalle e il ragazzo rotolò sulla pancia per vedere chi fosse. Sulla soglia Reidarr lo guardava lievemente corrucciato, le mani affondate nelle tasche del piumino.
   
«Reidarr!» Lo salutò entusiasta alzandosi, il vecchio sorriso che tornava a dipingergli le labbra sottili. Gli andò incontro e recuperò la giacca prima di avviarsi fuori spegnendo le luci del tempio.
   
«Sei venuto a prendermi?» Chiese infilando le braccia nelle maniche di un enorme parka color senape e affondando il mento le bavero.
   
«Ho visto la luce accesa e volevo controllare.» Rispose semplicemente. I due ragazzi avevano un solo anno di differenza ma caratteri talmente opposti da, in qualche modo, funzionare assieme in un incastro che da fuori sembrava completamente privo di senso. Se Quentin era decisamente vivace e dalla parlata facile Reidarr era più silenzioso e tranquillo. Le loro conversazioni venivano trascinate principalmente dal primo, che non si arrendeva davanti a risposte monosillabe, grugniti e lievi cenni del capo; aveva anzi imparato ad interpretare quei segni senza troppa fatica. Dopo tutto, quando si interpretano segni profetici, qualche grugnito risulta un gioco da ragazzi.
   
«Bhe grazie! Siamo in ritardo?» Chiese affondando le mani nelle tasche; nonostante il cielo si fosse aperto si era proprio fatto fresco, ringraziò il se stesso del passato per aver deciso di mettere dei jeans dopo la doccia e non rimanere in calze come si era ostinato per tutta la mattina.
   
Reidar controllò l’ora sull’orologio e dopo qualche secondo di valutazione decise che sì, erano in ritardo e conveniva accelerare un po’ il passo se non volevano che Cesaria usasse la loro pelle per costruirsi delle tele nuove.
   
Si premurò di esprimere questo suo pensiero in un eloquentissimo «Mh.» E proseguì allungando la falcata, Quentin alle sue spalle, colto di sorpresa, lo raggiunse con una piccola corsa.
   
«Te lo han detto i pretori di partecipare?» Domandò curioso alzando il viso verso di lui. Annuì leggermente. La cosa un po’ lo scocciava, lui non c’entrava nulla in quella faccenda di dei e astri. O meglio, sì ma fino ad un certo punto. Dopotutto non era sicuramente il più abile della legione, dividendo il proprio tempo tra allenamenti e lavoro al tempio, e sicuramente non aveva alcun potere particolare che sarebbe potuto risultare utile in una missione. Però capiva quanto gli aveva riferito Cesare: sei un legionario e come tale sei tenuto a partecipare alle attività importanti; solo guardare, non serve tu faccia altro.
 


 

   I ragazzi si muovevano a disagio sulle panche sistemate attorno ad un piccolo falò come meglio erano riusciti, pigiati spalla contro spalla anche per ripararsi dal freddo notturno, il vento che si infilava nei loro colli.
   
Reidarr sedeva vicino alla catasta di legna, alzandosi di tanto in tanto per ravvivare le fiamme ed aggiungere un po’ di combustibile sul fuoco. Ogni tanto un ragazzo sottile e dai lunghi capelli neri faceva lo stesso, avvicinando decisamente troppo la mano alle fiamme, dalla sua espressione sembrava proprio lo facesse più per divertimento che non per il bene del fuoco.
   
Maia lo osservò tornare a sedersi accanto ad un ragazzo biondo e occhialuto. Li guardò ancora qualche secondo prima di girarsi lentamente verso Berenice seduta al suo fianco.
   
«Ce l’hanno fatta eh?» Domandò ironica. La figlia di Venere annuì con una risatina, coprendosi appena la bocca con le dita per non farsi sentire.
   
«Davvero! Ormai non ci credevo più!»
   
Egrar ed Armin erano stati il pettegolezzo del Campo Giove per ormai quasi sei anni, sei anni in cui il primo era andato dietro al maggiore, talmente cotto che chiunque lo aveva capito ad una prima occhiata. Purtroppo per il figlio di Apollo, però, la cosa era ovvia a chiunque meno che al diretto interessato. L’estate scorsa si erano finalmente messi assieme e la notizia aveva allietato più di un animo all’interno del campo.
   
«Ce ne hanno messo di tempo.» Sospirò Maia stringendosi nella giacca di jeans. Forse era un po’ troppo freddo per una giacca di quel tipo, ma aveva ovviato al problema infilando due maglie sotto l’enorme felpa. Era la sua giacca preferita, rubata a suo cugino anni prima. Con la sua statura, che non arrivava al metro e sessanta, dire che ci navigava dentro era davvero un eufemismo. Pesava davvero un quintale, tra borchie, spille e toppe varie, ma la amava con ogni fibra del suo corpo.
   
«Armin è proprio un caro ragazzo, ma certe volte sa essere davvero tocco.» Sospirò Berenice, lo sguardo impallato a fissare le fiamme rosse.
   
«Assurdo eh?!» Rispose ironica la figlia di Ares.
   
Ad interrompere la loro discussione, così come ogni altra chiacchiera in quel cerchio, furono quattro figure che entrarono nel cerchio in quell’esatto momento, portando con loro il silenzio. Prima i due pretori e poi l’augure che sorreggeva gentilmente Astreo. Il titano congedò i tre ragazzi tuttavia Quentin non si sedette, rimanendo in piedi tra due panche.
   
Il dio alzò lo sguardo al cielo e trasse un lento respiro, per un attimo le stelle illuminarono il suo viso, lenirono le rughe e fecero risplendere la pelle, mostrando quello che era stato il suo splendore prima che Ofiuco iniziasse la sua rivolta.
   
Tuttavia, quando abbassò lo sguardo, il fuoco non fu altrettanto magnanimo, tornando a mostrare il vecchio che era svenuto davanti al tunnel d’ingresso quella stessa mattina.
   
«Augure.» Chiamò e Berenice avrebbe scommesso di aver visto Quentin sussultare appena.
   
«Il tuo potere è grande, non interpreti solo i segni ma usi il tuo corpo come canale di comunicazione.» Iniziò. La sua voce era molto più potente di quanto non lo fosse mai stata e tutto attorno i semidei ascoltavano in religioso silenzio. «Il tuo corpo è un antenna, mi hai detto che sei in grado di svuotarti e renderti disponibile per chiunque abbia qualcosa da dire, è corretto?» Domandò gentilmente e il ragazzo annuì. Era talmente rigido che Maia provava fastidio per lui e sentì la necessità di ruotare le spalle per scacciare quella sensazione.
   
«Con una piccola spinta questa comunicazione può avvenire al contrario, non ho abbastanza forza per condurre sia il rituale che le comunicazioni con i greci da solo; posso contare sul suo aiuto?»
   
«Assolutamente.» Fu l’unica risposta del ragazzo. Nonostante il fango si sedette senza esitazione in mezzo al cerchio, poco lontano da Astreo e chiuse gli occhi. Per un attimo interminabile non successe nulla. Le sue piccole dita giocavano con i fili d’erba e l’agitazione era leggibile nelle sopracciglia corrucciate. Attesero in silenzio, il fiato sospeso e lo sguardo che rimbalzava dall’augure al titano, non sapendo esattamente cosa stessero aspettando.
   
Per Maia quella era decisamente una mossa azzardata: tenere trenta ragazzini iperattivi in silenzio attorno ad un fuoco, esattamente cosa pensavano li fermasse far casino? Lei stessa iniziava e perdere decisamente la pazienza e la sua attenzione era già caduta tre volte in quel minuto e mezzo. Non si accorse di star facendo dondolare nervosamente la gamba fino a che Berenice accanto a lei non la fermò posandole gentilmente una mano sul ginocchio; probabilmente stava dando il mal di mare a tutta la panca.
   
Chiunque potesse vedere il viso di Quentin capì l’esatto momento in cui i suoi pensieri lasciarono posto al nulla più totale: il viso si rilassò, le sopracciglia si distesero e la schiena si fece dritta. Chi si trovava più vicino a lui poté sentire Astreo mormorare gentilmente «Bravo ragazzo.»
   
Il titano gli si avvicinò e si chinò per posargli una mano sul capo, il pollice premuto sulla sua fronte. Mosse le labbra ma nessuno capì chiaramente ciò che disse.
   
Per un attimo le stelle brillarono più intensamente.
   
L’augure aprì di scatto gli occhi, le orbite accese di una luce bianca.
 

 

   Royal non sapeva cosa aspettarsi, ma di sicuro non il rogo del giovedì sera. Era mezzanotte e otto minuti e non era successo ancora assolutamente nulla. Non un Messaggio Iride, un magico fuoco fatuo parlante o un segnale di fumo all’orizzonte. Iniziava ad irritarsi: i romani non dovevano essere organizzati? Quelli precisi e che facevano le cose bene? Aveva sempre immaginato ricalcassero un po’ lo stereotipo dei tedeschi: fiscali sulle cose più piccole e rigidi come soldati; forse era giunto il momento di rivalutare le sue convinzioni.
   
Si può quindi dire tranquillamente che quando il falò da una brace ormai quasi spento prese improvvisamente vita sollevandosi in una colonna di fuoco, più di un semidio perse un battito dallo spavento. Quando le fiamme si abbassarono un poco scoprirono una specie di ologramma di un ragazzino dai capelli ricci e le gambe incrociate. Per secondi che parvero interminabili non successe nuovamente nulla, poi il ragazzo spalancò gli occhi e iniziò a parlare con una voce decisamente non sua, o almeno questo era quello che Royal si augurava.
   
«Compagni greci! Vi ringrazio della vostra pazienza e della pronta risposta che avete dato alla mia causa.» Proclamò solennemente. Il figlio di Apate alzò un sopracciglio scettico. Non avrebbe definito la loro una “pronta risposta”, dopo tutto era piuttosto convinto non avessero nemmeno ricevuto delle opzioni.
   
«Divino Astreo, è un onore poterla servire.» Intervenne Chirone avvicinandosi al fuoco, aveva uno sguardo dubbioso e fece due giri attorno al braciere osservandolo con occhio critico. Probabilmente stava capendo quanto loro il funzionamento di quel mezzo di comunicazione, cioè poco.
   
«Chirone! Perdonami se non mi dilungo, ma non voglio prosciugare troppo l’augure, sta già facendo tanto.» Ecco quella era nuova; e così quello era l’augure romano. Royal osservò il ragazzino con rinnovata curiosità, certo capirne i lineamenti da un ologramma rossastro in mezzo ad un fuoco non era semplice, ma si prese il suo tempo per studiarlo, tanto per ora i due vecchi stavano solo blaterando convenevoli inutili. Sicuramente se non fosse stato per la sua vista pessima avrebbe di certo saputo carpire di più del viso del ragazzo; finendo quindi per arrendersi presto.
   «A breve inizierò il rituale, dopo di esso non sarò in grado di mantenermi tra voi mortali, non ne ho le forze.» Iniziò con tono solenne.
   
«Prima di lasciarvi voglio ringraziarvi per l’enorme sacrificio che vi sto chiedendo, siete la speranza di tutti noi.» Royal roteò gli occhi, quanto era drammatico! Tuttavia doveva ammettere che era stato sorprendentemente… gentile. Non aveva mai interagito con divinità, ma era piuttosto sicuro non fossero esattamente il tipo di persona da regalare ringraziamenti.
   
«Non abbiate paura di ciò che succederà ora, non vi farà del male.»
   
Seguirono secondi di silenzio e quando l’augure aprì nuovamente la bocca non comprendevano ciò che diceva.
   
Si trattava probabilmente di greco antico, ma la cantilena era talmente bassa e borbottata che nessuno di loro riuscì a decifrare nulla. Ogni tanto qualche parola spuntava in quel caos di suoni, ma non erano a sufficienza per capire cosa effettivamente il titano stesse dicendo.
   
Era talmente concentrato a cercare di capire qualcosa che non si accorse nemmeno del chiarore che iniziò a circondarli. Lentamente, un naso dopo l’altro, alzarono tutti lo sguardo verso il cielo. Non avevano mai visto le stelle così grandi e luminose, sembravano quasi vicine tanta era la forza della loro luce, gli sembrava quasi di cadere nel cielo.
   
O forse era il cielo a cadere verso di loro, una, due, e tante altre stelle che iniziarono a precipitare verso di loro. Ammirati i semidei le seguirono con gli occhi nel loro viaggio dal firmamento fino al loro piccolo campo. Come globi di luce scivolarono tra di loro, portando un tepore piacevole quando accarezzavano la pelle. Alcune sparirono nel nulla subito, altre si attardarono un poco prima di seguire le loro sorelle. Certe stelle passavano in rassegna un semidio alla volta ma la maggior parte volava frenetica tra di loro.
   
Alla fine ne rimasero quattro.
 

 

   Hercules aveva deciso che il falò era una pratica che non gli piaceva, apprezzava che questa non fosse un abitudine romana, e si era già detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per far si che le cose restassero così. Certo, vedeva anche lui l’appeal della cosa, il fascino delle fiamme e il senso di fratellanza nello stringersi a fine giornata attorno ad un braciere. Poi pensava che il fuoco gli faceva paura, sobbalzava ogni volta che qualche legno scoppiava e per poco non aveva urlato quando quel folle di Edgar aveva lanciato sogghignando un ceppo di legno nelle fiamme istigando uno sciame di lapilli. No. Non gli piacevano i falò.
   
Astreo si era fortunatamente sistemato esattamente tra lui e la sua fonte di disagio, e per quando doverlo vedere come una sagoma nera fosse piuttosto fastidioso, costituiva comunque un ottima distrazione.
   
Tuttavia, quando le stelle avevano iniziato a danzare tra di loro, il fuoco si era ridotto ad una consapevolezza lontana che non lo disturbava più. In cuor suo Hercules non sapeva se temere quelle luci e se fidarsi delle parole di Astreo, ma quando un globo gli passò così vicino al viso da sentire come un alito caldo accarezzarlo non poté non scostarsi sorpreso.
   
Quella sera si era recato lì senza la più minima aspettativa, né particolarmente ottimista ma nemmeno il primo tra i pessimisti, sperava solo che le cose si sarebbero risolte per il meglio per tutti. Posò lo sguardo su una ragazzina minuta che si trovava in quel momento faccia a faccia con una stella: era arrivata la scorsa estate ed era stata riconosciuta da nemmeno un mese, Hercules non era nemmeno sicuro avesse ancora capito come tenere in mano una spada. Per un attimo temette davvero che il globo la stesse per scegliere, le volteggiò attorno per un tempo che gli parve interminabile, facendogli sudare i palmi per l’agitazione. Si disse che non era possibile, dopotutto non sarebbe stato utile nemmeno per loro, scegliere eroi a malapena capaci di sopravvivere.
   
Serviva qualcuno di più allenato, di più capace e maturo di più… I suoi pensieri furono bloccati da quella stessa stella che aveva guardato con astio. Prese a girargli attorno e sembrava quasi curiosa nel modo in cui gli saettò tra le caviglie ed accarezzò le mani.
   
La vide scomparire sotto i suoi occhi e prima ancora che potesse guardarsi attorno la sua vista si fece bianca. Per un attimo temette davvero di non vederci più, poi si rese conto che ci vedeva, riconosceva il bagliore del fuoco e la sagoma di Astreo davanti ad esso, ma era come se un velo bianco lo separasse dal mondo. Di colpo sentì il braccio scaldarsi, non tanto da ustionarlo, era un calore piacevole ma decisamente inatteso. Alzò la manica appena in tempo per vedere due sottili strisce di luce disegnarsi sul suo avambraccio. Ci mise qualche secondo per riconoscere quel sessantanove rovesciato: Cancro, era stato scelto.
 

 

   Avrebbe voluto dire che non era spaventata, che non le importava e che era assolutamente pronta a partire per quella missione, ma la verità era decisamente diversa: era terrorizzata.
   
Quando la luce l’aveva avvolta, per un attimo le era sembrato di tornare indietro ad una giornata estiva di cinque anni prima, quando un bagliore turchino l’aveva avvolta e Cimopolea l’aveva riconosciuta. Quella notte, invece, la luce era bianca e sulla sua testa le due onde spezzate dell'Aquario la stavano marchiando come una dei semidei che sarebbero partiti per impedire la fine del mondo. Il suo primo pensiero era andato a sua nonna: come le avrebbe spiegato che non potevano scriversi per il prossimo mese, con che forza sarebbe partita, con la consapevolezza nel petto che se fosse morta la donna si sarebbe trovata completamente sola. Ma forse non importava, forse se fosse morta lei anche gli altri lo sarebbero stati e allora non avrebbe avuto importanza. La più triste delle consolazioni.
   
Strinse le labbra, cercando di ordinare i pensieri e le domande che una dopo l’altra le invadevano la mente come funghi nel sottobosco. Diamine, non era nemmeno il semidio più forte in quell’arena, solo seduti sulla sua stessa fila c’erano almeno altri due nomi che avrebbe fatto che sarebbero stati probabilmente una scelta più saggia, eppure quel destino era toccato proprio a lei.
   
Guardò il braccio su cui ora il marchio riluceva nella luce delle stelle e si concesse un respiro tremante.
   
Una mano si posò gentilmente sulla sua spalla e quando si voltò Lizard la stava guardando con un sorriso comprensivo. Aveva la manica della pelliccia tirata su anche lei, a scoprire un sottile marchio a vi nell’esatto punto dove lei recava quello dell’Aquario: Ariete. I suoi occhi saettarono dal segno al volto della ragazza che allargò il sorriso.
   
«Tutto bene?» Le chiese. Lizard era sicuramente l’ultima persona da cui si sarebbe aspettata un gesto del genere, ma le faceva piacere che si preoccupasse per lei, forse aveva pensato che fosse il momento di iniziare a conoscersi, considerato che avevano ad attenderle una missione mortale che le avrebbe tenute assieme per il prossimo mese.
   
«Potrebbe andare meglio, potrebbe andare peggio… credo.» Si limitò a rispondere, abbassando la manica con un brivido, seguita presto dalla ragazza.
   
Desdemona realizzò solo in quel momento che era talmente presa dalla propria selezione che non aveva prestato minimamente attenzione a cosa le stesse accadendo attorno, non sapeva chi altri fosse stato scelto o da quale segno. Allungò il collo e riuscì solo a cogliere un simbolo bianco sparire in cima alla scalinata, dal lato opposto rispetto a dove si trovava lei, tuttavia non aveva fatto in tempo a cogliere di quale costellazione si trattasse. Stava per chiedere a Lizard se lei avesse colto qualcosa ma la loro attenzione fu riportata sul fuoco per un’ultima volta quella sera.
   
«Grazie semidei.» Parlò l’ologramma dell’augure, la voce che andava pian piano svanendo. Il ragazzo nel fuoco spalancò gli occhi annaspando, l’ologramma sparì e il braciere tornò ad essere un ammasso di braci mezze morte.
   
«Semidei.» La voce con cui Chirone si rivolse a loro era titubante e sembrava quasi timido nel richiamare la loro attenzione. Fece vagare l’attenzione da loro ad altri punti tra gli spalti con sguardo preoccupato.
   
«È tardi, domani mattina parleremo.» Disse semplicemente e sapevano che si stava rivolgendo direttamente ai semidei che erano stati selezionati per la missione: probabilmente dopo colazione, l’indomani, sarebbero dovuti andare nella Casa Grande per discutere della missione.
   
«Tutto qui?» Sentì Lizard sibilare tra i denti.
   
«Riposate semidei, stanno arrivando tempi duri.» Concluse il Centauro avviandosi e lasciandoli soli sugli spalti, in attesa che un semidio coraggioso si alzasse per primo.
   
Fu proprio la figlia di Menta ad alzarsi con un sospiro seccato.
   «Beh, dopo ventitré anni di vita era troppo bello che non fossi ancora stata coinvolta in nulla.» Scrollò le spalle stringendosi con un brivido nell’enorme pelliccia in cui la si poteva trovare avvolta durante il periodo invernale. Aveva una forma molto brutta di dermatite alle gambe che le impediva di indossare i pantaloni, costringendola in pantaloncini anche durante i mesi più rigidi.
   
«Diciamo anche che sarebbe carino da parte degli dei non cercare di uccidere la propria prole.» Commentò Desdemona imitandola e avviandosi al suo fianco verso le cabine.
   
«Gli dei li fanno e poi li accoppano, ricordalo sempre.»
   
«Ma non si dice “Dio li fa e p-”»
   
«Ma questo è quello che dico io, e penso che abbia anche più senso.»
 
«Già, purtroppo...» Un denso silenzio le avvolse fino al focolare al centro del cortile delle cabine dove Lizard le diede una pacca sul braccio con gentilezza.
   
«Riposati davvero, bambina, e vedrai che andrà tutto bene.» La salutò prima di avviarsi verso la propria cabina.
 

 

   “Ah ah. Molto divertente”
   
Questo fu il primo pensiero di Boniface quando sul suo braccio apparve quella specie di acca storta. Gemelli, il figlio di Giano con l’eterocromia era stato scelto dal segno dei Gemelli. Se non altro la sua costellazione aveva il senso dell’ironia, forse anche troppo. In un primo momento si era guardato attorno quasi divertito, come se quello sul suo braccio fosse lo scherzo più divertente del secolo e non una più o meno velata condanna a morte. Tuttavia il panico sullo sguardo dei ragazzi che lo circondavano bastò a spegnergli il sorriso dalle labbra e fargli guardare quel marchio con rinnovata preoccupazione.
   
Era stato scelto, sarebbe partito, e non era scontato che sarebbe tornato. La consapevolezza gli strinse la gola cogliendolo di sprovvista, di colpo consapevole del guaio in cui si era cacciato, nonostante non fosse esattamente stata una scelta sua.
   
Pensò a sua madre, i suoi fratellastri e il suo patrigno e si disse che, se non altro, avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere, lo avrebbe fatto per loro e tutte quelle altre persone che non avevano nessuna colpa nei confronti di una costellazione impazzita.
   
«Grazie semidei.» Fece appena in tempo a cogliere il sorriso di Astreo prima che il titano si dissolvesse in una sottile polvere luminosa e la brezza lo portasse via. Si era dimenticato della sua presenza ed ecco che era già sparito in una nuvola stelle, come la migliore fatina delle fiabe.
   
Stava per sorridere all’idea di un titano con cappello a punta e una bacchetta magica ma, ancora seduto nel cerchio, Quentin riacquistò conoscenza boccheggiando come se fosse stato in apnea fino a quel momento, facendo scattare più di un ragazzo nella sua direzione. Lo fecero accomodare sulla panca e Boniface guardò Berenice estratte una piccola borraccia e porgergliela gentilmente. Non si era nemmeno reso conto che la ragazza si fosse portata uno zainetto. Aveva visto che era stata scelta, nonostante fosse stato troppo distratto dal globo che gli aveva ronzato attorno per due minuti per badare a quale segno l’aveva selezionata. Si trovò inconsciamente a pensare che probabilmente una ragazza così pronta alle evenienze sarebbe stata una buona aggiunta al gruppo.
   
«Qui sistemiamo domani. La sveglia sarà alla stessa ora quindi vi conviene andare a letto, non sono ammessi ritardatari.» La voce seccata di Cesaria richiamò l’attenzione di tutti, strappando più di un lamento tra i legionari. Cesare sembrò cercare di rabbonirla un poco ma dovette aver fallito perché non ricevettero nessun contrordine.
   
I ragazzi avevano già iniziato ad avviarsi quando la figlia di Venere richiamò di nuovo la loro attenzione.
   
«Per quelli che partiranno, domani abbiamo di cui parlare. Per ora dormite che non voglio isterismi alle otto del mattino.» Tagliò corto allungando una mano per prendere le sigarette. Quando le sue mani si gettarono sul pacchetto vuoto lo lanciò in quello che rimaneva delle fiamme con un grugnito.
   
Boniface era ancora agitato, ma l’idea di dormire lo allettava non poco, aveva i muscoli tesi per il freddo e non vedeva l’ora di buttarsi in branda e chiudere gli occhi. Il suo piano originale era quello di finire di copiare gli appunti di quella mattina, gli mancavano giusto un paio di facciate, non voleva restare indietro, ma mentre si avviava verso i dormitori decise che, per quel giorno, Statistica Psicometrica avrebbe potuto aspettare. Dopotutto non era nemmeno certo se il mondo sarebbe stato ancora lì come lo conosceva nell’arco di due mesi, tanto valeva dormire un po’.
 

 

   «Sei uno stronzo.» Sbottò Cesaria indignata sbattendosi la porta alle spalle, senza nemmeno fingere cortesia nell’entrare in una stanza che non era la sua. Si diresse a passo spedito verso il piccolo comodino di legno accanto al letto e si mise a frugare come fosse roba sua.
   
«E dove cazzo tieni il tabacco?!» Gli chiese guardandolo esasperata.
   
Cesare, dal canto suo, non aveva nemmeno la forza per dirle di andare a cagare e di calmarsi, ancora troppo scioccato dagli eventi avvenuti appena un quarto d’ora prima. Si limitò a sospirare ed estrarre dalla tasca della giacca la busta del tabacco e la scatolina delle cartine e dei filtri, porgendogliela in silenzio. La sentì borbottare qualcosa ma non la ascoltò nemmeno, sfilandosi la giacca ed appendendola al gancio sulla porta.
   
«Non vorrei infrangere le tue convinzioni ma non è stata esattamente una mia decisione.» Commentò sedendosi pesantemente sul letto. La collega si lasciò cadere al suo fianco, finendo di rollarsi la sigaretta. Gliela allungò senza nemmeno guardarlo, tanto sapeva che prima o poi le avrebbe chiesto di prepararne una anche per lui.
    «Allora sono stronzi loro.» Grugnì sistemando un po’ di tabacco in una seconda cartina.
   
«Non dovresti dire queste cose.» L’ammonì Cesare estraendo l’accendino dalla tasca ed accendendosi la sigaretta. Non sapeva se la cosa valesse anche per le costellazioni, ma non era mai una buona idea insultare le divinità. Strinse la sigaretta tra le labbra e alzò la manica sinistra: nell’avambraccio, appena visibile, una sottile linea bianca costituiva un tatuaggio speculare a quello della legione.
   
Un cerchio con due corna: Toro.
   
La sua selezione era stata estremamente veloce, altre costellazioni avevano vagato tra i semidei molto più a lungo, alcune sparendo nel nulla dopo essersi soffermata davanti a molti di loro. Ma Toro no: era sceso dal cielo e dopo un giro veloce lo aveva scelto. Il globo di luce era davanti a lui e poi di colpo intorno a lui, avvolgendolo in un aria tiepida. Un bruciore sordo gli aveva poi fatto sollevare di scatto la manica ed eccola lì, sottile e luminosa, la testimonianza che lui sarebbe partito. Attorno a lui molti ragazzini lo avevano guardato spaventati e smarriti, ma lui era solo riuscito a voltarsi lentamente verso Cesaria, completamente paralizzato. La ragazza lo aveva guardato dura e Cesare aveva capito che per lui quella sera non sarebbe finita con lo spegnimento del falò.
   
«Ha senso.» L’ammissione della collega lo colse di sorpresa. Aveva scalciato le scarpe e si era stretta le ginocchia al petto, fumava piano, lo sguardo perso nel vuoto.
   
«Sarete in dodici, serve qualcuno con un minimo di capacità organizzative, inoltre sei un bravo combattente e hai sicuramente un carattere migliore del mio.» Spiegò, facendo un tiro lento. Ora che ci pensava, il ragionamento non faceva una piega. Erano davvero un sacco di semidei da mandare in una missione, se non ci fosse stato nemmeno una persona in grado di gestirli sarebbe stato un suicidio, oltre che terribilmente inutile per il fine ultimo dell’impresa.
   
«Un pretore e due centurioni… volevano anche una fetta di culo?» Rimuginò la figlia di Venere facendolo ridere. In realtà poteva capirla, anche lui si sarebbe agitato ad essere nella sua situazione. Però si fidava di lei e sapeva che era in grado di cavarsela benissimo anche da sola, dopo tutto era già capitato che la lasciasse per qualche mese, quando tornava a casa da suo padre. Sorrise dolcemente e le sistemò una ciocca dietro l’orecchio.
   
«Non preoccuparti, te la caverai alla grande.» Le disse con gentilezza e lei roteò gli occhi.
   
«Sono ancora arrabbiata con te.» Borbottò ma non lo scostò, quindi continuò a ravviarle i capelli dietro l’orecchio, facendo qualche piccolo tiro di tanto in tanto.
   
«Lo so.» Si limitò a dire, divertendosi nel guardare l’irritazione storpiarle il volto in una smorfia.
   
«Sei davvero noioso, non si può nemmeno litigare con te.» Si lamentò. Gli voleva decisamente bene, però certe dinamiche tra loro semplicemente non potevano funzionare ed era principalmente per quel motivo che la pseudo relazione che avevano avuto ad inizio mandato del ragazzo era durata così poco. Se da un lato Cesaria aveva un temperamento focoso e attivo, dall’altro Cesare era più pacato e riflessivo, cercava di evitare le discussioni che la ragazza invece sembrava proprio ricercare.
   
«Me ne sono fatto una ragione.» Scrollò le spalle e Cesaria gli tirò un pugno.
   
«Dei, con te serve l’erba, altro che una sigaretta.» Il figlio di Aurora rise sonoramente poggiando la testa al muro e voltandosi quel poco che bastava per guardarla almeno di sbieco.
   «Ah guarda, quando vuoi.» La provocò e nonostante il secondo pugno che gli rifilò rise un poco.
   «Prima che tu parta. Magari anche dopo, cerca solo di non morire.»



 


 
Angolo Autore
 
E dopo questo link un sacco sospetto che sembrano le pubblicità a tendina nei siti loschi perchè "sei il nostro visitatore numero X hai vinto un IPhone!" ma vi giuro che non lo è (non saprei nemmeno come fare, stay tranquilli, è un link di youtube) posso dirvi ufficialmente yo.
Come forse avrete notato non è più il duemilaventi e io, come era prevedibilissimo, ho fallito.
Daje.
Ho rimandato davvero un sacco la stesura di questo capitolo, perchè avevo l'idea per il rituale in questo modo ma ero anche convinta fosse un sacco trash e attendevo idee migliori, che non sono arrivate. Quindi mi sono messa a scrivere, ero un sacco lanciata, peccato che ormai fosse un po' tardi. E poi c'è stata sessione. E sul perchè io abbia cazzeggiato anche a febbraio... quella è solo stupidità mia, ma nessuno è sorpreso.
Rappresentazione grafica di come è stato il mio processo creativo.

 

 
Nel caso ve lo stiate chiedendo... sì, mi sto divertendo davvero un sacco a scrivere questo angolo autore hahaha.
Dovrete sorbirvi i miei deliri ancora per un po'.
Dunque dunque. Passiamo alla parte un po' più seria: sono piuttosto soddisfatta del capitolo, wow. Nonostante gli ultimi paragrafi che ho scritto siano penso molto più scarsi e ci sia un imparità fortissima tra presenza tra i personaggi, è stato generalmente divertente da scrivere, sono soddisfatta della lunghezza e della forma, quindi yay a sto giro non mi lamento.
Nei prossimi capitoli cercherò di riequilibrare le cose dando più spazio a chi non ne ha avuto e sopratutto dichiarando i segni degli ultimi selezionati. Il mio piano iniziale era di finire tutta la selezione in questo capitolo, ma già con tre paragrafi stava diventando un sacco ripetitivo quindi ho preferito rimandare inserendo i risultati nel prossimo. Comunque con questo abbiamo finito il primo capitolo! (wow sì. Il primo.)
Cose a caso: giro di applausi per Armin ed Edgar che si sono messi assieme dopo sei anni.
Sono inseriti perchè li amo molto ma anche perchè ( ͡° ͜ʖ ͡°)
Non penso di avere molto altro da dichiarare. Non voglio fare promesse su quando aggiornerò perchè abbiamo capito che tanto non le so mantenere quindi perchè provarci.
Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto. Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate per recensione o anche per MP, io mi diverto comunque hahaha.
Prima di andarmene, vi lascio con una cosa trashissima per dimostrarvi che anche se non scrivo questi bimbi e questa storiella trash sono sempre nel mio kokoro.
LA PLAYLIST DI SPOTIFY \(@^0^@)/
Si è una cosa un sacco trash e disagiata, ma mi piace un sacco ascoltare musica e sopratutto farmici i film mentali e collegarla ai personaggi (alcuni miei oc sono ispirati da canzoni stesse come penso noterete appena leggerete un titolo in particolare ehehe) quindi mi sembrava carino condividere. Ho messo anche qualche canzoncina per Cesarina e Quin che sono stati molto amati hahaha. Alcune sono per le coppie ( 
(✿◕‿◕✿)  ), la maggior parte sono per i personaggi e alcune per la storia in generale (Stand by me è l'official track, non chiedetemi perchè ma è così u.u). E quindi nulla, se vi va di darci un ascolto potete anche provare ad indovinare quale canzone è chi (o che coppia hihihi) e se volete potete anche suggerirmene. E' ancora in fase di completamento, alcuni personaggi non hanno ancora canzoni e altri ne anno più di una, ops.
Ora ho davvero finito, alla prossima!
Peace out ✌🏼
Ebe
   
 
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