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Autore: evil 65    27/02/2021    12 recensioni
Sono passati tre anni dalla sconfitta di King Ghidorah.
Ormai a capo degli Avengers, Peter Parker cerca di guidare la prossima generazione di eroi verso il futuro, mentre sempre più superumani cominciano a comparire in tutto il mondo.
A diversi anni luce di distanza, Carol Danvers riceve una trasmissione di emergenza dal pianeta Exif, proprio mentre Norman Osborn annuncia la creazione di una nuova arma il cui scopo sarebbe quello di proteggere la Terra dalle minacce aliene.
Al contempo, Wanda Maximoff e Stephen Strange si recano nei pressi della città natale di Capitan Marvel, Harpswell, dove sembra stiano accadendo diversi fenomeni paranormali…
( Sequel di Avengers - The King of Terror )
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Doctor Stephen Strange, Peter Parker/Spider-Man, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Bene, in questo capitolo cominceranno i grandi ritorni!
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo di lasciare un commento ;)

 
 
 
Capitolo 1
 
Cletus Kasady nacque durante un mercoledì del 1985, in una stanza d’ospedale ad Harpswell. E fu lì che, quella stessa terribile notte, Cletus Kasady morì per la prima volta.
Più precisamente, morì soffocato con il cordone ombelicale attorno alla gola. I dottori provarono in tutti i modi di salvarlo, ma ogni loro azione si rivelò vana.
In seguito al succitato strangolamento, Cletus Kasady morì 19 minuti e 38 secondi dopo la sua nascita. Ma poi…rinacque, e nessuno a tutt’oggi sa perché.
Cletus Kasady sostiene di ricordare quel momento. La morte.
E se gli avreste chiesto in cosa consiste esattamente il ricordo della morte…vi avrebbe risposto che 19 minuti e 38 secondi dopo la nascita fu mandato all’Inferno.
Quando gli furono chiesti i particolari, Kasady testimoniò allo psicologo nominato dal tribunale che quando si svegliò all’inferno, si ritrovò prigioniero in una specie di gabbia…in un abisso quasi completamente nero, alla cui fine risplendevano delle strane luci dorate.
Secondo lo psicologo, fu questo proprio trauma iniziale - questa sensazione di sentirsi in gabbia - a posare le fondamenta della particolare deviazione del Serial Killer.
Vedete, nella sua testa…Cletus non credeva di mutilare le sue vittime…bensì di liberarle.
È forse cosmicamente appropriato che la nuova rinascita di Cletus ebbe luogo dentro le mura di un ospedale, durante un mercoledì del 2031.
Quella notte, le tenebre presero vita e abbatterono il muro della sua psiche. L’abisso lo liberò.
E fu proprio durante quella notte tempestosa…che Cletus Kasady comprese tutto.
Che cosa stava facendo. Chi era. Per cosa era stato messo su questa terra. Il suo destino…il suo fato.
Ma in quel momento, che lo sapesse o no, divenne un agente del VUOTO. Quel giorno conobbe la verità: non esistono il bene e il male, il bianco e nero. Esistono solo la vita e la morte. Il sangue e l’abisso.
L’universo era nero e rosso, la verità era caos…e Dio era Carnage. Dio…era il divoratore di mondi.
Mentre la mente del supercriminale prendeva coscienza di tutto ciò, l’infermiera del reparto entrò nella stanza.
Si chiamava Liz Thompson, e da quando era entrata in servizio presso il Trikselon - l’istituto di correzione criminale dello S.W.O.R.D - non aveva mai visto Cletus Kasady aprire gli occhi. Lavorava da tre anni nell’infermeria del carcere di massima sicurezza e per tutto il tempo lui era rimasto in stato comatoso.
Tra tutti i pazienti presenti nella struttura, era sicuramente il più famoso. Non c’era una sola persona dello stato della Pensylvenia che non avesse almeno sentito parlare delle sue gesta, in particolare della notte in cui era riuscito a provocare la più grande evacuazione di massa della storia di New York e a mettere in difficoltà due degli Avengers più potenti: Spider-Man e Capitan Marvel.
Il bip del suo battito cardiaco pareva quasi un metronomo regolato su di un ritmo impercettibile. Secondo il dottore, la sua attività celebrarle era praticamente le stessa di un televisore capace di sintonizzare su un unico canale.
C’erano in tutto tre pazienti in coma nel reparto. Il personale li chiamava zero a causa della loro mancanza di segni vitali, ad eccezione del mero battito cardiaco.
Dopo alcuni mesi passati a lavorare nel reparto, la donna aveva scoperto che ogni zero aveva il suo tic. Il vicino di Kasady, ad esempio, aveva la tendenza a storcere il naso ogni due ore, con la stessa precisione di un orologio a cu-cu.
Forse aprire gli occhi era il tic di Cletus Kasady…solo che lei non glie lo aveva mai visto fare.
<< Buonasera, Cletus >> disse Liz, in un riflesso automatico << Come si sente oggi? >>
Gli rivolse un sorriso gentile ed esitò, con il sacchetto di sangue ancora in mano. Non si aspettava una risposta, ma le sembrava il caso di concedergli un attimo per raccogliere i suoi pensieri inesistenti.
Visto che lui non diceva nulla, l’infermiera allungò una mano per chiudergli le palpebre…e l’uomo le afferrò il polso.
Lei gridò e il sacchetto le sfuggì di mano, esplodendo in una chiazza cremisi sul pavimento.
<< Ah! >> urlo l’infermiera << Oddio! >>
<< Che anno è? >> sussurrò la voce graffiante di Cletus Kasady.
Liz strabuzzò gli occhi per la sorpresa e la paura miste assieme. << C-cosa? >>
<< L’anno, stupida ragazza. Dimmi l’anno! >>
<< 2031! >> urlò la donna, incapace di trattenere le lacrime.
Cletus rimase in silenzio per qualche istante.
<< Oh…allora sarà il caso di sbrigarsi >> disse, per poi lasciarla andare.
Liz tentò di fuggire, ma i suoi piedi scivolarono sul sangue e cadde rovinosamente a terra.
Al contempo, il corpo di Kasady sembrò drizzarsi in piedi come una marionetta sostenuta da fili invisibili, mentre una strana sostanza rossa e nera cominciava a ricoprire il suo esile corpo.
Entro pochi secondi, Cletus Kasady aveva lasciato il posto all’alter ego che lo aveva reso così famoso anche tra i più efferati serial killer della storia americana: Carnage.
<< Aaaaaaah! Così è molto meglio! >> esclamò la creatura, stiracchiando le braccia e piegando il busto con un angolo esagerato.
Fatto questo, volse la propria attenzione nei confronti di Liz e la donna si ritrovò a fissare dritta in un paio di lenti bianche come il latte.
<< Wow, certo è una storia scioccante. Sai, so di essere morto, mi hanno letteralmente sparato in testa, ma... a te non sembra una cosa da pazzi? Eh? >> chiese con quel suo sorriso tutto denti.
L’infermiera piagnucolo, ma per il resto non rispose e indietreggiò fino alla parete opposta della stanza.
Cletus la scrutò con un’inclinazione curiosa della testa.
<< Cosa, il gatto ti ha mangiato la lingua? Dannazione, mi ha battuto sul tempo! Ugh! >>
Barcollò di lato e dovette afferrare il letto ospedaliero per non cadere a terra.
Per un attimo, Liz pensò di poter sfruttare quel momento di disattenzione per scappare…ma era troppo spaventata. Non riusciva nemmeno a muovere le dita dei piedi! Era come pietrificata.
Carnage scosse la testa e si passò la lingua biforcuta tra le zanne.
 << Scusa. Sono ancora un po' intontito. Sai, sono appena tornato in vita >> disse con un tono stranamente amichevole <<  Negli ultimi cinque anni c'è stata solo oscurità... per quanto i miei occhi potessero vedere. >>
Balzò di fronte all’infermiera e si piegò in avanti per poterla osservare meglio.
<<  Io ti conosco, vero? >> chiese con le lenti ridotte ad un paio di fessure.
Liz deglutì silenziosamente. Aveva sentito dire in un documentario che ai serial killer piaceva giocare con le loro vittime, purchè le trovassero interessanti. Doveva solo continuare a parlare e sperare che una delle guardie sarebbe giunta in suo soccorso. Forse erano già sulla buona strada per raggiungere il reparto comatosi.
<< Sono…sono la tua infermiera >> rispose con un piccolo sorriso.
La creatura si portò un artiglio al mento e cominciò a picchiettarselo.
<< Capisco. E  noi due... tu e io... per caso abbiamo...sai? >>
Si alzò in piedi e spinse in avanti il bacino un paio di volte. Alla donna le ci vollero solo pochi secondi per capire cosa stesse cercando di imitare.
<< Oh... oddio, no >> borbottò, cercando con tutta se stessa di trattenere una smorfia di disgusto.
Cletus ridacchiò attraverso i denti. << Che c’è, non ti piacciono i rossi? Guarda che non siamo poi così male...eh eh. >>
Liz fece per rispondergli…ma non ne ebbe la possibilità. Una mano scattò in avanti e le afferrò il volto nella sua interezza, impedendole di parlare.
<< Ah, ma chissene frega! >> esclamò Carnage, mentre la sollevava da terra e se la portava vicino al viso << Stringi i denti bellezza. Potrebbe pizzicarti un pochino! >>
E prima che la donna potesse anche solo provare ad urlare, ecco che la creatura spalancò le fauci e le addentò la testa con un unico e rapido morso, staccandogliela di netto.
Il sangue zampillò dal collo della vittima, mentre il suo corpo veniva attraversato da una lunga serie di spasmi e convulsioni.
Cletus lo lasciò cadere a terra e sollevò ambe le mani verso il soffitto. << Boom, baby! Me la cavo ancora… >>
Si fermò di colpo, gli occhi ora spalancati come un paio di piatti.
Aguzzando l’udito, sentì un distinto suono di passi provenire da oltre la porta dell’infermeria.
<< Sì, giusto…ho del lavoro da fare >> borbottò, per poi girarsi verso le finestre del reparto.
Prese un respiro profondo…e si lanciò violentemente contro una disse, infrangendo il vetro e spezzando le lamine in ferro come se niente fosse.
Un salto dal quinto piano dell’edificio avrebbe sicuramente ucciso un essere umano normale, ma Cletus atterrò nel parcheggiò del penitenziario senza neanche un graffio.
Nell’oscurità della notte, con la pioggia che batteva violentemente sui tetti delle autovetture presenti, gli occhi del serial killer vagarono da una parte all’altra del parcheggio come quelli di un gatto. Infine, si posarono su una Rolls Royce situata a circa una decina di metri da lui.
Al suo interno, Cletus intravide un uomo di mezza età – probabilmente un agente - che parlava al cellulare. Essendo girato di schiena, probabilmente non si era nemmeno reso conto della sua presenza.
Il supercriminale sorrise e si avvicinò fischiettando fino alla portiera anteriore della vettura.
<< Toc Toc >> disse, picchiettando il finestrino dell’auto.
L’uomo lanciò uno sguardo irritato verso chiunque lo stesse disturbando…e i suoi occhi sembrarono schizzargli fuori dalle orbite.
Urlò per la paura e si allontanò dalla portiera, mentre il sorriso sul volto di Carnage diventava sempre più sinistro.
<< Dovresti dire “chi è?”! >> esclamò indignato.
Poi, sfondò il finestrino con un solo pugno e afferrò l’agente per la collottola, trascinandolo al di fuori del veicolo.
<< Carnage-chan, ecco chi. Pronto come non mai a dipingere questo mondo di rosso! E mangiare un po’ di pizza. >>
Detto questo, trasformò la mano libera in uno spuntone e trapassò l’uomo da parte a parte.
Non si preoccupò nemmeno di assistere ai suoi ultimi istanti di vita e lo scaglio violentemente a terra. Ormai, la sua attenzione era completamente rivolta alla vettura.
<< Lo ammetto, non è il mio genere…ma penso di poterci lavorare >> disse con una scrollata di spalle.
Entrò nella macchina e prese posto nel sedile di guida, mentre le sue lenti scansionavano gli interni del veicolo. Con un pizzico di sorpresa, notò uno spinello di marujana che spuntava da sotto il tappeto della Royce.
Carnage lanciò al cadavere steso a terra un ghigno divertito.
<< Scommetto che alle feste sei uno spasso, vero? AHAHAHAHAHA! >>
Scoppiò in una risata agghiacciante che risuonò per tutta la lunghezza del parcheggio. Seguì presto il rumore degli allarmi del penitenziario che annunciavano la fuga di un prigioniero. Il suo risveglio era finalmente stato notato.
Dopo aver ripreso il suo aspetto umano, Cletus premette con forza l’acceleratore.
<< Mettete qualche cappero sul fuoco, gente…perché sono tornatooooooooooo! >>
E aveva molto lavoro da fare. Il suo dio lo pretendeva!
 
                                                                                                                               * * *
 
In un altro regno…                

Il Valhalla riecheggiava delle urla di guerra e delle risate dei suoi abitanti: gli einheriar, spiriti di guerrieri che avevano combattuto valorosamente in battaglia ed erano morti circondati dai cadaveri dei loro nemici.
Tutti loro avevano attraversato Valgrind da eroi, venendo accolti da Bragi e dalle Valchirie, e tra quelle ampie e verdi pianure avrebbero continuato a combattere fino al giorno in cui il giudizio del cosmo avrebbe scelto di estendere la propria ombra su tutta la creazione.
Eppure, tra tutte quelle migliaia di anime che passavano le loro giornate a impugnare armi e affrontare nuovi avversari, ve ne era una che preferiva spendere il suo tempo in tutt’altro modo, circondata dalle fiamme delle fornaci e dai metalli più pregiati del cosmo.
Tony Stark non si era mai considerato materiale da guerriero. Certo, nei quindici anni precedenti alla sua morte aveva affrontato la sua buona dose di battaglie, ma mai per soddisfare la sua sete di sangue, e di certo non per la gloria.
No, Tony Stark aveva preso l’armatura di Iron Man semplicemente per riparare i torti del passato e dimostrare al mondo che una singola persona disposta a fare del bene… poteva anche fare la differenza.
Non che il suo percorso non fosse stato privo di scivoloni. La creazione di Ultron e la Civil War erano eventi ancora freschi nella sua mente, e lo scienziato non  pensava che sarebbe mai riuscito a perdonarsi per tutte le morti che le sue azioni avevano provocato.
Eppure, Odino lo aveva ritenuto degno di entrare nelle sale del Valhalla. Pechè? Lui non aveva mai pregato gli dei di Asgard, né voleva passare il resto dei suoi giorni nell’aldilà a combattere… non dopo che aveva già lottato così tanto per salvare quelli che amava.
Quando aveva fatto la stessa domanda al padre degli dei, questi gli aveva semplicemente risposto che la sua era una ricompensa per aver salvato ciò che restava del suo popolo...e perchè riteneva che Tony si sarebbe annoiato nel luogo in cui sarebbe finito senza il suo intervento.
L’ex Avenger ci aveva riso sopra e aveva scelto di spendere le sue future giornate a fabbricare armi per i guerrieri del posto. Una sorta di ritorno alle origini…solo che questa volta non avrebbe avuto il terrore che le sue creazioni venissero utilizzate per uccidere degli innocenti. Un cambio di scenario piuttosto benvenuto.
Mentre rifletteva su questo con un sorriso, l’uomo si rese conto di qualcosa di strano.
Lentamente, lasciò andare il martello e aguzzò l’udito.
<< C’è…pace >> borbottò << Pace e silenzio. >>
E quando quella realizzazione si fece strada nella sua mente, strinse gli occhi con sospetto.
<< Forse…troppo silenzio >> aggiunse, mentre si guardava rapidamente attorno.
Nel Valhalla il silenzio era piuttosto difficile da trovare. Di solito, le urla dei guerrieri morti riecheggiavano anche a chilometri di distanza, accompagnate dal distinto suono di armi che si scontravano e dalle canzoni di guerra intonate da centinaia di combattenti.
L’uomo sorrise al pensiero che forse quel giorno sarebbe riuscito a godersi un po’ di quiete…almeno fino a quando non udì un distinto suono di passi provenire da oltre le porte della stanza.
Sospirò rassegnato. << E uno, e due, e… >>
La porta della fucina sbattè con violenza, e il suono del legno che si scontrava con la nuda roccia risuono per tutta la lunghezza della stanza.
Alcuni scaffali crollarono a terra, seguiti dal tintinnio delle armi che cadevano al suolo, mentre numerose provette in vetro esplodevano in una miriade di frammenti.
Subito dopo, un uomo dalla possente statura si fece strada all’interno del laboratorio. Aveva folti capelli biondi che gli arrivavano fino alle spalle e vestita con un’armatura in argento di impeccabile fattura, su cui drappeggiava un mantello rosso sangue.
<< Tony! Mio vecchio compagno d’arme! >> esclamò, mentre una seconda figura metteva piede nella fucina. Si trattava di un uomo molto più esile e dai folti capelli corvini, vestito con abiti verde scuro misti a filature dorate. I lineamenti del suo viso erano pallidi e affilati, simili a quelli di un serpente, con occhi color smeraldo che risplendevano di un’arguzia difficile da trovare nelle anime che finivano in questo regno.
<< Un’altra allegra giornata nella sale del Valhalla >> borbottò l’ex Avenger, prima di mettere su un sorriso piacevole.
<< Buongiorno Thor >> disse rivolto al biondo. Poi, lanciò al suo compagno un’occhiata impassibile << Loki. >>
<< Stark >> rispose questi con altrettanta freddezza.
L’inventore simulò un’espressione offesa. << Ancora insisti ad usare il mio cognome? Pensavo fossimo diventati amici. >>
<< Diverremo amici quando gli Jǫtunn entreranno a far parte delle armate di Surtur >> ribattè il dio degli inganni con un roteare degli occhi.
Tony si portò una mano al petto. << Le tue parole mi feriscono. Dico sul serio! Il mio cuore sanguina per loro… Oh, giusto, non può farlo. >>
Loki sorrise in modo predatorio e avvicinò la mano ad uno pugnali che teneva nella faretra. << Forse possiamo rimediare… >>
<< Loki… >> disse Thor con tono d’ammonimento, e il fratello si limitò a sollevare ambe le braccia nel segno universale della resa.
<< Era solo uno scherzo >> disse, senza mai perdere il suo ghigno.
Nessuno dei suoi interlocutori ne fu ingannato. Ormai lo conoscevano troppo bene.
<< Thor, non che non apprezzi i vostri battibecchi alla Re Leone… >> si intromise Tony, ricevendo un’occhiataccia da parte del dio degli inganni << Ma per cosa sei venuto qui? Non dirmi che hai rotto anche l’ultima ascia potenziata che ti avevo fabbricato. >>
<< Lo ha fatto >> disse Loki, prima che il fratello potesse controbattere.
Thor lo schiaffeggiò in testa, pur mantenendo un sorriso piacevole.
<< MA… >> aggiunse rapidamente << Non sono qui per questo. >>
L’ex Avenger inarcò un sopracciglio e gli fece cenno di continuare.
<< Io…noi >> si corresse, suscitando uno sbuffo ad opera di Loki << siamo venuti qui per chiederti se volevi unirti al torneo di domani! >>
Tony lo fissò stranamente.
<< Perché? Lo sai che non mi piace partecipare a certe cose >> disse con sospetto << Certo, ogni tanto una scazzottata per passare il tempo non fa mai male…ma spendere un’intera settimana a combattere senza sosta i tuoi compagni non più così immortali? No, grazie, preferirei non morire una seconda volta. >>
A quelle parole, l’espressione sul volto di Loki passò da annoiata a derisoria. << Ricordami come mai sei finito qui. >>
<< Non saprei, Loki, tu che cos’hai fatto per finirci? >> rispose l’inventore con altrettanto disprezzo.
Il dio degli inganni fece per controbattere, ma Thor gli posò una mano ferma sulla spalla.
<< Pace, fratello, non siamo venuti qui per litigare >> disse  con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Loki conosceva suo fratello abbastanza bene da sapere quando era meglio fare marcia indietro.
<< Stiamo solo avendo una conversazione amichevole. Non è così, Stark? >>
<< Assolutamente, piccolo cervo. >>
<< Mezzo-automa. >>
<< Cocco di mamma! >>
<< Credo che i mortali abbiano un detto per questo. Il bue che da del cornuto all’asino? >>
<< Oh, davvero bravo! Te la sei studiata di notte? >>
Prima che potessero continuare, ecco che il dio del tuono sbattè un violento pugno contro il tavolo più vicino. La forza impressa in quel colpo fu abbastanza forte da far tremare il mobilio, e risuonò all’interno dell’armeria come un colpo di cannone.
Loki e Tony si zittirono all’istante, consci che la pazienza del biondo fosse ormai al limite.
Questi prese un lungo respiro calmante e volse al suo compagno Avenger un’occhiata molto più seria.
<< Tony, è solo che…passi quasi tutte le tue giornate in questo laboratorio. Non interagisci quasi mai con gli altri guerrieri e te ne stai per conto tuo la maggior parte del tempo >> spiegò con una marcata dose di preoccupazione << Quello che intendo è…ti senti bene? >>
Tony non era sicuro di come avrebbe dovuto rispondere a quella domanda.
Come avrebbe potuto rivelargli che sentiva ancora la mancanza di sua moglie e sua figlia? Come poteva dirgli che il pensiero che non sarebbe più riuscito a vederle lo tormentava da diversi giorni?
Loro non erano guerriere, e Tony sperava che non lo sarebbero mai state. Era morto proprio per offrire a sua figlia un futuro lontano dagli orrori della guerra e della battaglia.
E dubitava seriamente che Odino avrebbe fatto un eccezione per le loro anime come aveva fatto per la sua.
Avrebbe potuto rivelare tutto questo al suo vecchio amico, spiegandogli quanto si sentiva fuori posto in questo mondo di guerrieri e dei.
Invece, si limitò a sorridergli in quel suo modo carismatico.
<< Sto una favola, riccioli d’oro. Dico sul serio! >> aggiunse, notando lo sguardo poco convinto dell’Asi  << Sono solo una persona a cui piace tenersi impegnata. E se devo scegliere tra il combattere tutto il giorno e creare armi con cui potete scannarvi? Beh, datemi un martello e una fiamma ossidrica, dico io! >>
Thor rimase in silenzio per qualche secondo e lo scrutò con i suoi profondi occhi azzurri.
<< Non ti costringerò a partecipare >> disse con un sospiro rassegnato. Fatto questo, gli posò una mano sulla spalla << Ma…sappi che l’invito è ancora valido. >>
<< E ne terrò conto >> ribattè l’inventore, colpendolo scherzosamente sul bicipite << Ora va a dimostrare ai tuoi allegri compari perché non dovrebbero mai scherzare con un Avenger. >>
L’Asgardiano recuperò il suo sorriso al pensiero di dimostrare ancora una volta le sue abilità di combattente. Ormai aveva perso da anni la sua sete di sangue, ma il suo orgoglio di guerriero non ne aveva certo risentito.
Diede a Tony un ultimo saluto e fuoriuscì dall’armeria, presto seguito dal fratello.
<< Ti auguro le più spiacevoli delle menomazioni >> disse il dio degli inganni con un sorriso tutto denti, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Tony sbuffò divertito e riprese a lavorare sull’ultima arma che gli avevano commissionato.
Aveva sempre trovato conforto nella lavorazione del metallo, anche quando non era ancora diventato Iron Man. Sperava solo che anche questa volta sarebbe riuscito a non pensare a Pepper e Morgan. Diventava sbadato quando di sentiva invadere dalla nostalgia.
All’improvviso, uno strano rumore risuonò nelle orecchie dell’inventore.
L’uomo lasciò andare il martello e drizzò la testa di scatto. Fu allora che udì una musica trillante alle sue spalle, simile a quella prodotta da un Carillon.
Si voltò…e i suoi occhi si posarono sull’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato di vedere in questo posto: un palloncino rosso che fluttuava a qualche centimetro da terra.
L’uomo sbattè gli occhi, e per un attimo credette di avere le allucinazioni.
<< Beh…questa è nuova >> borbottò, mentre l’oggetto attraversava la porta della fucina come un fantasma.
Senza perdere tempo, l’inventore cominciò a seguirlo.
In corridoi del palazzo che conducevano al laboratorio erano completamente vuoti. Che tutte le anime del Valhalla si fossero già dirette verso l’arena in cui sarebbe tenuto il torneo? Possibile…ma l’assenza di qualunque rumore rendeva il tutto decisamente sospetto.
Tony strinse gli occhi e vide il palloncino fluttuare verso una destinazione sconosciuta, apparentemente guidato da una forza invisibile.
“Forse è solo Loki che cerca di farmi uno scherzo” pensò con un cipiglio. Per ora sembrava la spiegazione più logica.
Una parte nella mente dell’uomo gli diceva che sarebbe stato meglio ignorare l’oggetto e riprendere a lavorare…ma una parte più avventurosa e incosciente lo incitava a proseguire nella sua ricerca. Tony scelse di seguire quest’ultima e camminò fino all’esterno del palazzo.
Finì così nei giardini che circondavano la tenuta, anch’essi completamente deserti.
<< Ehm…ciao? >> disse l’inventore, mentre scrutava attentamente i suoi dintorni << C’è nessuno? Hello? >>
Non ottenne alcuna risposta.
Infine, i suoi occhi si posarono su una scena a dir poco bizzarra.
Il palloncino se ne stava sospeso a circa una decina di metri da lui, proprio di fronte ad una siepe di rampicanti.
L’ex Avenger rotetò gli occhi.
<< Molto divertente, Loki. Dico sul serio! >> esclamò, battendo le mani in modo beffardo << Ti do un dieci per lo sforzo. >>
Ma non ottenne alcuna risposta.
Il palloncino rimase completamente immobile, come se lo stesse aspettando. E per qualche ragione…Tony se ne sentì attratto.
Inconsciamente, cominciò a incamminarsi verso l’oggetto fluttuante e si fermò a soli un paio di passi dalla siepe.
Afferrò il palloncino, cercò di portarlo a sé…ma l’areostato non si mosse di un millimetro. Era come se fosse trattenuto da una forza invisibile.
<< Ok…non è per nulla inquietante >> borbottò, mentre gli girava attorno. Sembrava essere un palloncino del tutto normale…ma Tony aveva ormai capito da tempo quanto le apparenze potessero essere ingannevoli.
All’improvviso, un fruscio di foglie riecheggiò alle sue spalle.
L’uomo si voltò di scatto…e fu allora che una mano guantata fuoriuscì dalla coltre di rampicanti, afferrandogli il polso.
L’Avenger spalancò gli occhi per la sorpresa. << Ma che… >>
L’arto lo trascinò nella siepe prima che potesse terminare la frase. Pochi secondi dopo, il palloncino scoppiò in una nuvoletta di sangue.
                                                                
                                                                                                                    * * *
 
Odino era il più eminente e il più anziano degli Asi. Per innumerevoli ere aveva governato sui Nove Mondi, un sovrano giusto ma spietato, disposto a macchiarsi del sangue di coloro che osavano ribellarsi al suo volere, ma più che intenzionato a guidare il cosmo e i suoi abitanti verso una nuova era di prosperità. E per quanto gli altri dèi fossero potenti, tutti loro sceglievano di rendergli omaggio, così come i figli con un padre.
Vestito con un’armatura d’oro, drappeggiata da un mantello scarlatto, la sua era una figura che imponeva reverenza e rispetto. Due corvi stavano sulle sue spalle, sussurrandogli nelle orecchie tutto ciò che accadeva nel Valhalla. Essi erano Huginn e Muninn, e per molto tempo erano stati gli occhi e le orecchie del padre degli dei.
Nella sua mano destra reggeva Gungnir, la lancia di Odino, perché nessun’altro avrebbe mai potuto sfruttare il suo pieno potere.
Mentre l’Asi procedeva con passo lento e marcato verso la grande arena del Valhalla, Thor e Loki gli camminavano affianco con espressioni altrettanto solenni e custodite. Avevano affrontate molte discrepanze quando erano ancora in vita, ma ora ogni rancore era stato abbandonato a favore di una pace duratura tra le sale del regno dorato. Odino poteva solo sperare che le cose sarebbero rimaste tali per molti eoni, magari fino alla fine dei tempi.
All’improvviso, un freddo brivido attraversò il corpo del dio.
L’Asi si piegò in avanti ed emise un rantolo strozzato, mentre un forte mal di testa cominciò a martellargli le tempie.
<< Padre! >> esclamò Thor, affiancandosi subito al genitore << Che succede? >>
Anche Loki sembrava piuttosto preoccupato. Non aveva visto il Padre degli Dei agire in questo modo dal suo ultimo sonno, quando era ancora in vita.
Dopo aver preso un paio di lunghi respiri, Odino sollevò la testa, gli occhi spalancati per la rabbia.
<< Un’anima ha appena lasciato il Valhalla…e lo ha fatto senza il mio permesso. >>


 


 
Boom!
Ebbene sì, signore e signori…Tony, Thor, Loki e Odino sono tornati! Vi avevo detto che questo sarebbe stato il mio Endgame, e ho intenzione di inserirvi il maggior numero possibile di personaggi. Ho pensato a lungo ad un modo per coinvolgere i quattro nelle vicende narrate, e spero che l’espediente che ho scelto vi soddisferà fino alla fine.
Nel mentre, Carnage è già pronto a fare un bel po’ di danni. Aaaaaah, quanto mi era mancato scrivere di questo pazzerello! Sappiate che tutti questi eventi sono collegati tra loro, niente sarà lasciato al caso!
  
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