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Autore: PrincessintheNorth    03/03/2021    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DEREK
 
Erano passati tre giorni dalla battaglia: seduto su una poltrona accanto al letto, sorvegliavo Kate e Murtagh, ancora in coma. La piccola Victoria (quello il nome che Miranda e Selena avevano scelto per la bambina) dormiva tranquilla fra le mie braccia. Il medico si era raccomandato di mantenerla sempre al caldo, e visto che la stanza dei suoi genitori era la meglio riscaldata, era diventata anche la sua nursery. Magari, sentendola vicina, Katie e Murtagh si sarebbero svegliati: dopotutto, avevamo notato che le loro condizioni di salute miglioravano un po’ in sua presenza.
Quando fui sicuro che fosse ben addormentata, mi alzai e la sistemai nella culla posta a qualche piede di distanza dal camino. Rapida come il fulmine, Vicky afferrò la zampa del suo leoncino di pezza ed emise un sospiro soddisfatto, mettendosi comoda fra le coperte.
Bene. Almeno lei è a posto, mormorai fra me e me e tornai al mio ruolo di sentinella, pregando gli dei che i ragazzi si svegliassero presto. I bambini, insieme ad Eragon, sarebbero arrivati nel giro di due giorni, e meritavano di essere accolti dai propri genitori.
Presi la mano di Katherine fra le mie e continuai a scrutare il suo viso, cercando la minima traccia di un cambiamento. Ciò che vidi non mi piacque: il suo colorito era ancora pallido a causa dell’emorragia, e le guance si erano appena smagrite per via del digiuno prolungato. Ciononostante, il suo cuore batteva forte e sicuro, e la pelle era di nuovo ad una temperatura normale. Ogni volta che ripensavo a quanto freddo il suo viso fosse stato quando l’avevo sfiorato, sulla spiaggia, un brivido d’orrore mi scivolava lungo la schiena.
Mai più, mi promisi per l’ennesima volta. Mai più.
«La cena» Morzan annunciò, entrando nella stanza dei ragazzi un quarto d’ora dopo. Dietro di lui veniva una domestica, che spingeva un carrello con dei piatti e dei vassoi colmi di cibo. Il crollo emotivo che aveva avuto la notte dopo la battaglia sembrava essere regredito, ed ora impiegava le proprie forze per accudire Victoria e scoprire che cosa non andava in Murtagh e Katie, anche se finora tutte le nostre ricerche erano state infruttuose.
Nonostante lo stomaco chiuso, mi alzai e riempii il mio piatto con peperoni agrodolci, carne affumicata e un paio di bruschette al pomodoro. Era chiaro che le domestiche si fossero allineate ai gusti di Kate: erano tutte pietanze per cui lei stravedeva.
«Novità?» Morzan domandò, lanciando una fugace occhiata colma di preoccupazione a suo figlio. Io scossi la testa.
«Nessuno dei due si è mosso» replicai asciutto. «Né sono stato in grado di percepire le loro menti».
Lui annuì e sospirò. «In biblioteca non ho trovato niente che riguardi o possa spiegare la loro condizione» riferì, amareggiato. «Vicky?»
«È tranquilla. Si è appena addormentata».
Finimmo il nostro pasto in silenzio, accompagnati solamente dal rumore delle stoviglie all’opera e del crepitio del camino. Quel silenzio era assordante, soprattutto se comparato ai ricordi che avevo di Lionsgate e di quella stanza: se mi impegnavo abbastanza, potevo rivedere Murtagh ed Alec, da bambini, giocare alla lotta sul pavimento, mentre Kate li guardava interessata dalla sua cesta, seguendo ogni incontro con gli occhioni spalancati. I bambini fingevano di essere cavalieri in un torneo, e come tali, al termine di ogni scontro il vincitore donava qualcosa alla sua dama. Mi venne da sorridere quando ricordai quanto Alec si era arrabbiato quando Murtagh aveva osato scegliere Kate come damigella al posto di Selena. “Lei è la mia solella piccola e tu non puoi scegliella!” aveva strillato, mettendosi davanti a Katie. Murtagh odiava perdere, e dunque si era scagliato contro Alec con la propria spada di legno alzata, per la somma felicità di suo padre.
Una volta finita la cena, mi misi a lavorare su alcuni documenti che mi erano arrivati quella mattina, perché ovviamente un regno non dava mai pace al proprio re. Nemmeno se questi rischiava di perdere la propria figlia.
Così, firmai contratti, sentenze d’esecuzione, accordi commerciali e leggi amministrative, finché tra le mie mani non arrivò una pergamena che recava il sigillo del Congresso.
Che cosa possono volere?
Il Congresso dei nobili non aveva potere legislativo: interveniva solo a dare la propria opinione su alcune particolari leggi e nomine militari e di Stato.
Scrollando le spalle la aprii, e ciò che lessi mi fece ribollire il sangue nelle vene.
“ … ed è all’unanimità che il Congresso ha votato che, in ragione dei suoi crimini e del tradimento perpetrato nei confronti del proprio Paese e della Corona, Sua Altezza Reale la principessa Katherine debba essere esiliata, e con lei il duca di Northern Harbor suo marito ed i suoi figli”.
 
KATHERINE
 
Attonita, fissai il bambino davanti a me, e poi Murtagh, e poi di nuovo il bambino.
Mi sentivo la testa tremendamente vuota, ma al contempo mi girava così tanto che ad un certo punto mi dovetti sedere. Per parecchi minuti non fui in grado di proferire parola, mentre l’enormità di quella rivelazione, e di tutti i suoi significati, cercava di trovare posto (e senso) dentro di me.
Di fronte a me c’era mio figlio.
George.
Il bambino che Grasvard mi aveva portato via, che avevo sentito abbandonare il mio grembo. Il bambino la cui morte aveva infestato i miei incubi per anni, e che spesso lo faceva ancora.
Quel bambino era proprio lì, intento a guardarmi e rivolgermi un sorriso che riconoscevo come il mio. Dei, se non fosse stato per le fossette sulle guance e quegli occhi, avrei giurato si trattasse di Killian.
«Amore?»
Sentii la mano di Murtagh posarsi sulla mia spalla, ma di nuovo non riuscii a parlare. La mia mente era completamente occupata ad analizzare e comprendere tutte le implicazioni della presenza di George.
Il mio bambino era morto; questo era un dato di fatto. Se ero in grado di vederlo, se sia io che Murtagh eravamo in grado di vederlo, ciò significava che … che anche noi eravamo morti.
Realizzare quella verità fu come ricevere il colpo di una mazza ferrata dritto nello stomaco; e visto che una volta, per sbaglio, Alec me ne aveva davvero tirato uno, sapevo di cosa stavo parlando.   
Tuttavia, quando feci il successivo passaggio logico, quel dolore si fece mille volte più acuto.
Se ero morta, voleva dire che non avrei mai più potuto riabbracciare i miei bambini.
No … no, no, non può essere …
«Kate, piccola, calmati» Murtagh disse, dandomi una scossa e poi abbracciandomi. «Va tutto bene …»
«Come fai a dirlo?» urlai. «Siamo letteralmente morti, Murtagh! Morti! E i bambini? E i draghi?»
Dalla faccia sconvolta e sbigottita che fece, fu come se l’avessi preso a schiaffi.
«Katie, non …»
«Non un cazzo! Ti rendi conto di che cosa significa? I bambini adesso chi li cresce?!»
Per qualche secondo rimase in silenzio, il volto oscurato da un’ombra di dolore.
«Vieni un attimo» disse poi, prendendomi per il braccio. «George, tu resta qua».
Lui si limitò a stringersi nelle spalle e si sedette per terra, iniziando a giocare a strappare l’erba come qualunque bambino della sua età avrebbe fatto. Come i suoi fratelli, gli stessi bambini che non avrei mai più rivisto, facevano.
Quando fummo qualche passo lontani da George, Murtagh mi serrò in un abbraccio colmo d’affetto e tenerezza; un abbraccio nel quale, nel giro di due secondi, singhiozzavo disperatamente.
«Credi che non provi anch’io quello che provi tu?» sussurrò dopo qualche minuto, quando ritenne che fossi abbastanza in me da poterlo davvero ascoltare. «Lo so come ti senti. Lo so che sei terrorizzata e sopraffatta da tutto quello che sta accadendo … ma guardati intorno. Cosa vedi?»
Essendo sprovvista di un fazzoletto, usai uno degli infiniti lembi delle maniche del mio abito per asciugarmi gli occhi e il naso, e poi mi guardai intorno.
Solito mare, solita erba, solito cielo … e George che giocava.
«Se siamo davvero nell’aldilà» Murtagh fece. «Dove sono tutti?»
In quel momento me ne accorsi: a parte nostro figlio, eravamo soli.
Dove diavolo erano tutte le persone che sarebbero dovute essere lì ad accoglierci? I miei nonni, quelli di Murtagh, mia sorella Katherine e la mia gemella, a cui i miei genitori non avevano fatto in tempo a dare un nome? Dov’erano i morti?
«Visto che c’è George» ipotizzai. «Potrebbero volerci dare un po’ di tempo solo con lui …»
«È possibile» Murtagh annuì. «Tuttavia …»
«NIPOTE!»
Un’enorme e pesantissima manata atterrò sulla mia schiena, e se Murtagh non avesse avuto un braccio intorno alla mia vita sarei sicuramente finita con la faccia spiaccicata a terra. Un urlo ben poco coraggioso e molto poco degno della Comandante della Marina mi sgorgò dalla gola, e mi voltai immediatamente, portando la mano alla cintura … per ricordare troppo tardi di essere disarmata.
Bello.
Di fronte a me c’era un omone dal volto sorridente ed orgoglioso ed una pancia non certo piatta. Portava abiti semplici ed eleganti, sui toni del rosso e del nero, ma la prima cosa che mi colpì di lui furono i capelli, di un castano con dei riflessi color caramello ed un ciuffo sul lato destro della fronte. I capelli di Belle. I miei capelli. Quelli di mio padre.
Oh sì, sono definitivamente morta stecchita.
«Nonno George?» feci sconvolta.
Lui mi rivolse un gran sorriso, identico a quello di papà, e mi serrò in un abbraccio così forte da spaccarmi le ossa.
«Katherine del Nord» lui sorrise. «Il sole del nostro paese e della nostra stirpe. E Murtagh! Il tuo coraggio è leggendario. Vieni, ragazzo. Venite entrambi, e mangiamo».
Murtagh si accigliò nel sentirsi chiamare “ragazzo”, ma ciononostante seguì mio nonno (e me, che ancora venivo spinta) verso la tavola imbandita.
«George!» mio nonno lo chiamò, ed il piccolo alzò lo sguardo verso di lui. «Vieni a mangiare!»
George sorrise, si alzò e corse verso di noi; quando fu a circa dieci iarde di distanza si fermò e mi fissò intensamente negli occhi, proprio come facevano i suoi fratelli. Non era uno sguardo difficile da decifrare; era chiaro che cosa voleva.
Così, per un secondo, decisi di abbandonare la paura e la tristezza che la consapevolezza di essere morta mi avevano provocato e mi concentrai solo sul bambino. Su mio figlio.
Mi abbassai e annuii nella sua direzione, tentando un sorriso. Il suo viso si illuminò e mi corse fra le braccia, saltandomi addosso come una scimmietta e stringendo le gambe intorno alla mia vita.
Quell’abbraccio mi diede una sensazione di felicità e pace così profonda che quasi mi fece venire le vertigini. Finalmente, dopo tutti quegli anni in cui avevo sperato che le cose fossero andate diversamente, avevo il mio bimbo fra le braccia.
«Mamma» lui mormorò appoggiando il visino al mio collo.
In quel momento, mi sentii serena. A casa. Ogni singolo pensiero sparì, e rimase solamente George; il suo profumo, il modo in cui i suoi capelli mi facevano il solletico, la sensazione del suo corpo contro il mio.
Per questo, quando Murtagh si inginocchiò accanto a noi, all’inizio non me ne accorsi. Mi resi conto della sua presenza solo quando sentii le sue labbra contro la mia guancia.
Nel vedere suo padre, un sorriso estatico incurvò le labbra del piccolo, e rapido come un fulmine saltò in braccio a lui.
Lentamente raggiungemmo il tavolo imbandito, dove mio nonno aveva già iniziato a riempire i piatti di tutti noi. George volle mangiare in braccio a me, così avvicinai il suo piatto al mio perché potesse stare più comodo.
Nonostante averlo accanto mi riempisse di gioia ed euforia, non potevo ignorare l’acuto dolore che la lontananza dai suoi fratelli mi provocava. L’aver ritrovato un bambino non leniva la sofferenza e la paura che provavo per gli altri, perché li amavo tutti allo stesso modo.
La mia morte mi aveva dato la possibilità di incontrare il mio primo figlio, a scapito di una vita spesa con gli altri miei bimbi.
Questa volta con l’amaro in bocca, provai a mandar giù un sorso di vino, scoprendo però di avere lo stomaco più chiuso delle porte della mia sala del tesoro al Tridente.
Ciononostante, feci del mio meglio per mangiare un po’ di tutto ed evitare che quel pranzo (o forse era una cena?) in famiglia fosse oppresso da un’atmosfera cupa solamente a causa dei miei pensieri. In fondo alla mente, tuttavia, sentivo suonare un campanello d’allarme. Se ero morta, perché diavolo stavo mangiando cibo che sembrava parecchio reale? Gli alimenti servivano a sostenere un corpo mortale, che in teoria io non avevo più. E se sia io che George eravamo morti, come avevo fatto ad abbracciarlo?
C’è qualcosa che non torna, qui.
«Kate?» la voce di mio nonno mi distolse dai miei pensieri, e se possibile mi mise ancora di più in allerta.
Notai che sia lui che Murtagh mi stavano guardando con un’aria strana, sospettosa. 
«Amore, stai bene?» lui domandò, infatti.
Ignorandolo, puntai direttamente lo sguardo su mio nonno, e per buona misura feci scivolare il coltello tra le pieghe del mio abito.
«Dì la verità» feci dunque. «Io e Murtagh siamo ancora vivi?»


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Ciao a tutti! Okay, giuro che non ho fatto apposta a mettere di nuovo due personaggi dallo stesso nome nello stesso capitolo ... è solamente successo! E di certo non l'ho fatto per mandarvi in confusione (dal computer non posso mettere l'emoji imbarazzata, ma fate finta che ci sia). 
Plot twistone, Katherine, Murtagh e company esiliati! Come prenderà Derek la decisione del Congresso? 
Ci vediamo alla prossima!


 
   
 
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