Domenica, parte II
Moroha si era tappata il naso
ficcandosi
due fili di carta igienica su per le narici. Le mani erano impregnate
dell’odore di quel prodotto per lucidare
l’argenteria.
-Mi chiedo perché il
lavoro sporco
tocchi sempre a noi- chiese alle cugine, intente a svolgere la stessa
mansione.
La zia le aveva affidato il compito
di
pulire le posate d’argento, non prima di aver lucidato i
bicchieri. E l’odore
di quel prodotto era davvero nauseante per le sue narici sensibili.
-Aaaaah, non riesco a sopportarlo!-
si
lamentò ancora Moroha.
Towa la guardò incredula.
-Quante storie fai. Se ti sbrighi
facciamo prima-
Moroha sperava di trovare un
appoggio in
sua cugina, ma dopo quella risposta dovette ricredersi. Inutile pure
era fare
affidamento su Setsuna, la quale continuava a lucidare
l’argenteria in
religioso silenzio.
Non era quello il suo piano per quella
mattina: obiettivo primario era quello di scoprire qualcosa riguardo la
situazione sentimentale tra Setsuna e Hisui, se poi avanzava un
po’ di tempo
non avrebbe disdegnato dare una soddisfazione a suo padre punzecchiando
lo zio
per farlo infuriare. Sicuramente Inuyasha sarebbe arrivato con qualche
frase
studiata appositamente per innescare un litigio con il fratello
maggiore.
La testa di Rin sbucò
dalla cucina,
affacciandosi nel salotto dove le ragazze stavano lavorando.
-Tutto bene?- chiese.
Se Towa e Setsuna si limitarono ad
annuire, Moroha prese parola.
-Alla grande, zia Rin, tra poco
abbiamo
finito. Anche perché non ce la faccio più a
sostenere questa puzza- esclamò
strappando un sorriso alla donna.
Si avvicinò al tavolo
per osservare il
lavoro.
Sesshomaru comparve, vestito e con
indosso il cappotto.
-Io vado- disse.
-Dove vai, papà?- chiese
Towa senza
capire.
-Ho chiesto a tuo padre di uscire a
prendere qualche bottiglia di vino per oggi- rispose Rin per il marito.
Gli occhi di Moroha si
illuminarono: era
come se le fosse stata servita su un vassoio d’argento la
battuta
punzecchiatrice. Suo padre avrebbe trovato una situazione fantastica al
suo
arrivo.
-Che cane obbediente che sei,
zietto!- e
rimarcò con enfasi le parole “cane” e
“zietto”.
Le narici di Sesshomaru divennero
più
piccole, stava inspirando profondamente per evitare di scattare contro
la sosia
femminile di suo fratello e staccarle la testa.
Da quando aveva conosciuto Rin, si era
impegnato, senza darlo a vedere, di contenere i suoi istinti omicidi di
demone
nei confronti di quel fratellastro misto.
Inuyasha era una palestra costante,
perché non perdeva occasione per fargli notare come alla
fine si fosse
ritrovato ad avere quello che, anni prima, sosteneva di disprezzare
più di ogni
altra cosa al mondo: una moglie umana e due figlie mezzodemoni.
Buttò fuori
l’aria rumorosamente e per
Moroha fu il segnale che aveva fatto centro.
-Noi puro sangue siamo in grado di
controllarci… al contrario di voi meticci-
-SESSHOMARU!- urlò Rin
furiosa.
-PAPà!- la
seguì Towa.
Setsuna invece continuò
a lucidare la
forchetta che aveva tra le mani. Senza distogliere gli occhi dalla
posata,
sussurrò alla cugina:- Soddisfatta?-
Moroha sogghignò.
-Non ancora!-
***
Izayoi era in bagno intenta a
sistemare
i lunghi capelli neri. Non lo aveva detto al marito, ma ogni mattina
controllava in maniera ossessiva che non fosse spuntato qualche capello
bianco.
Era cosa nota che gli umani
invecchiassero in maniera più veloce rispetto ai demoni, ma
la vanità di una
donna non si accontenta di certe spiegazioni e Izayoi voleva piacere al
marito
il più possibile.
Toga, invece, si godeva la tiepida
domenica mattina seduto sul divano della sua casa e leggeva il giornale
con un
sorrisetto compiaciuto sul viso. Anni ed anni di domande, dubbi e
congetture
sul perché suo figlio maggiore provasse un così
odio profondo nei confronti degli umani, finalmente
avevano trovato il loro riscatto nella figura di suo nuora.
Inuyasha non gli aveva dato grandi
preoccupazioni da quel punto di vista e Kagome era perfetta per lui.
Ma Sesshomaru era sempre stato il
suo
cruccio. Aveva preso malissimo la sua relazione con Izayoi, non tanto
per la
fine del matrimonio con Kimi, sua madre, ma per il fatto che avesse
scelto una
compagna umana. Per non parlare dell’arrivo del suo
secondogenito.
Con il
passare degli anni, per i continui litigi tra i fratelli e
l’ostinazione di
Sesshomaru, Toga aveva perso ogni speranza. Eppure nemmeno Kimi,
nonostante
l’atteggiamento altezzoso che le piaceva assumere, non era
una donna che provasse particolare disprezzo per gli umani.
E
pensare che da bambino era così innocente, aveva pensato spesso.
Per questo l’arrivo di
Rin l’aveva
accolta come una benedizione degli dei, un vero e autentico miracolo.
Un essere
così piccolo e fragile capace di domare il caratteraccio di
suo figlio: cosa
poteva desiderare di più?
E
poi l’arrivo di Towa e Setsuna, due nipoti mezzodemoni. Gli
piangeva il cuore
ogni volta che ritornava con la mente al giorno della loro nascita. Poi
era stata
la volta di Moroha. Tre nipotine nel giro di due anni.
Quando aveva ricevuto qualche
giorno
prima la chiamata di Rin, non riusciva a credere alle sue orecchie: un
pranzo
tutti insieme, un sogno che diventava realtà.
Cullato da quei pensieri, Toga continuava
a sorridere sereno e positivo alla vita. Non pretendeva che Sesshomaru
e
Inuyasha potessero andare d’amore e d’accordo, ma
era grato del fatto che ormai
fossero in grado di trovarsi nella stessa stanza senza tentare di
ammazzarsi.
Il suono dei tacchi di Izayoi sul
pavimento lo ridestarono dai pensieri.
-Ancora in panciolle?- lo
rimbeccò la
moglie.
Toga consultò
l’orologio appeso alla
parete.
-Abbiamo ancora tempo. Siediti qui
con
me-
Izayoi fece come le era stato detto
e
prese posto accanto al marito, infilando la testa nell’incavo
dove il collo e
la spalla di suo marito creavano uno spazio. Si accoccolò
beata.
Poi però prese parola.
-Pensi che faremo bene?-
Il demone non capì.
-Intendo, dirlo proprio oggi. Non
so,
forse avremmo dovuto organizzare noi un pranzo…-
-Forse, ma ormai è
andata così- tagliò
corto lui senza alcuna voglia di incagliarsi in un inutile ragionamento
basato
su quello che gli esseri umani chiamavano buon senso.
Izayoi non andò oltre.
Anche se ancora
titubante, decise di fidarsi del marito.
Rimasero ancora qualche minuto in
silenzio, poi la donna, guardando il grande orologio a pendolo del
salotto,
disse:- Vai a cambiarti. Tra poco dobbiamo andare-
Toga non potè fare altro
che eseguire
gli ordini. Non lo avrebbe mai detto a nessuno, ma in quella casa il
vero
“generale” era proprio Izayoi.
Che fama usurpata!
***
Rin continuava a maledirsi in
qualsiasi
lingua possibile, cercando anche di parafrasare le frasi in maniera
fantasiosa.
China sul lavandino del bagno, sfregava
con energia le mani sulla camicia bianca dove, ormai, troneggiava una
macchia
di salsa marrone. E non accennava ad andare via.
-Ma perché mi sono
vestita quando ancora
non avevo finito di cucinare?- si chiese singhiozzando per
l’ennesima volta.
Aveva spedito anche le ragazze
fuori per
comprare le ultime cose fresche da disporre sulla tavola, come il pane.
Towa si era lamentata: perché non
chiederlo a suo padre, dal momento che era già fuori?
Bella domanda. Ma Rin non aveva coraggio
di dire alle sue figlie che voleva assolutamente un momento di silenzio
per
lei… sarebbe stato troppo crudele.
Con un sorriso in faccia, aveva
snocciolato una scusa non del tutto plausibile. E se ne accorse dalle
facce
perplesse delle tre ragazze.
-Dì la
verità, zia, vuoi che ci leviamo
di torno?- l’aveva canzonata Moroha.
Per sua fortuna Setsuna aveva
provveduto
a dare un pugno in testa alla cugina, per poi afferrarla per il collo
del
maglione che indossava per trascinarla verso l’uscio di casa.
Oltre a quello, Rin si domandò più e
più
volte perché mai le fosse venuto in mente di cucinare un
menù occidentale,
invece del tanto amato cibo giapponese?
Forse sperava che servendo un
arrosto
ben cotto e succulento, sarebbe riuscita ad accaparrarsi
l’ammirazione di tutti…
o forse lo aveva fatto per il semplice fatto di tenere la mente
occupata ed
evitare di fare pensieri strani.
L’acqua scorreva ancora forte dal
lavandino, ma Rin per un momento sembrava non darci peso. Il suo
sguardo si era
perso in un qualche punto nel vuoto e con la mente era tornata a
qualche sera
prima: Towa si era affacciata in cucina e l’aveva vista
intenta a montare una
meringa a mano.
-Perché non usi lo
sbattitore
elettrico?- le aveva chiesto avvicinandosi con una faccia perplessa.
Setsuna, seduta al tavolo della cucina e
impegnata nel pelare le patate, aveva lanciato uno sguardo di fuoco
alla
sorella gemella.
Rin scosse il capo: non era il
momento
di pensare a quello adesso. I suoi ospiti sarebbe arrivati a breve e
avrebbe
fatto meglio a preoccuparsi del fatto che le ragazze e Sesshomaru non
erano
ancora rientrati.
Decise di lasciar perdere la camicia, l’avrebbe
portata in lavanderia il giorno successivo, e risoluta si diresse in
camera da
letto per trovare un’altra cosa da mettere.
Dopo aver meditato a lungo, la scelta
ricadde su un dolcevita verde smeraldo. Lo afferrò e
tornò in bagno per potersi
sistemare il trucco nel caso si fosse rovinato nell’infilare
il dolcevita.
Davanti allo specchio sopra al
lavandino, Rin infilò la testa nel collo alto e
trovò una certa resistenza:
ricordava che era molto aderente e bisognava fare un po’ di
forza per riuscire
ad infilarlo.
Sperò con tutta sé stessa che il mascara
non si sbavasse lungo le guance: non avrebbe retto anche ad una cosa
del
genere.
Ma il Karma per lei quel giorno
aveva in
serbo un bel po’ di sorprese: se infatti riuscì a
riemergere da quell’intreccio
di maglie color verdi, Rin si accorse troppo tardi che lo sforzo che
aveva
fatto per riuscire nell’impresa aveva allentato gli orecchini
che suo marito le
aveva regalato la sera prima. Fu anche troppo tardi quando vide la
forma
piccola di una farfalla cadere nel lavandino.
-NO!- urlò lei cercando
di fermarlo.
Ma fu troppo tardi:
l’orecchino cadde senza
esitazione nel tubo.
Rin rimase imbambolata lì a fissare quel
buco nero con la braccia a penzoloni.
Poi il campanello
suonò.