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Autore: rocchi68    07/03/2021    2 recensioni
Dawn era sempre stata una ragazza che, anche dinanzi alle difficoltà più disparate, affrontava il tutto con un sorriso e una dolcezza disarmante.
Una sera, però, si era ritrovata davanti a un’amara sorpresa.
Non aveva amiche, non aveva un posto in cui stare, era stata tradita dal proprio fidanzato nel momento di massimo splendore ed era frustrata da tutti quei fallimenti in rapida successione che potevano sancire la sua completa rovina.
Poteva spegnersi, cercare una scappatoia per la felicità oppure chiedere un ultimo disperato consiglio all’unica persona che mai l’aveva abbandonata.
Sempre che quest’ultimo fosse d’accordo…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Zoey | Coppie: Duncan/Gwen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Un lunedì sera di diversi mesi più tardi
 
Dawn era stanca e furiosa.
L’ultima volta che un sentimento così negativo e dannoso aveva attraversato il suo esile corpo era quando aveva beccato Beverly a letto con un’altra, costringendola a una fuga precipitosa e a un periodo molto intenso.
Si poteva affermare con assoluta certezza che fosse arrabbiata con Scott e non per un tradimento impossibile.
Dawn non ce la faceva più a vedere il suo ragazzo spremersi sempre più. Era da alcune settimane che lavorava come un mulo e, anche quando raggiungeva il meritato riposo, ecco che Chef lo chiamava per novità o per chiedergli di rientrare a seguito di assenze ingiustificate.
E quando non c’era nessuno in malattia, ecco che era la chat del lavoro a tenerlo impegnato con tante richieste, cui lui rispondeva puntualmente.
La loro intimità era come se non esistesse più ed era messa in secondo piano.
E quella sera, stanca delle tre telefonate consecutive ricevute dal suo ragazzo, rimuginò sulla cosa e pensò di ricattarlo.
Non voleva spingersi a tanto, ma lui era sempre più stressato.
Dormiva sempre meno, mangiava un boccone e scappava via, non riuscivano più nemmeno a parlare che quel dannato cellulare s’insinuava tra loro.
Quando filavano sotto le coperte per dormire o per fare l’amore, la vibrazione estesa del cellulare li interrompeva ed ecco che si staccavano, si ricomponevano e Scott si girava per messaggiare.
Una volta si era infilata di rabbia in bagno e si era seduta sulla tazza per piangere e per sfogare tutta la sua amarezza.
Qualche settimana prima le mani di Scott s’insinuavano tra i suoi capelli, le carezzavano le spalle e la schiena e si appoggiavano sui suoi fianchi, per poi attirarla in un bacio appassionato. Ora era come se avesse la lebbra e quel lungo bacio era diventato un ridicolo stampo o un contatto fugace sulla guancia.
Non ce la faceva più.
Scott si stava esaurendo come una batteria sotto sforzo e lei stessa faticava a riempire quella casa con le sue solite risate.
Finito il dolce, alzò lo sguardo dal suo piatto e fissò intensamente Scott che, nel sentire il suo sguardo addosso, abbandonò la chat e sollevò gli occhi verso la fidanzata.
Davanti si ritrovò un debole sorriso, le occhiaie di Dawn e un respiro piuttosto affaticato. Prima di chiederle qualcosa, lei gli fregò il cellulare e lo allontanò con cattiveria, rischiando di farlo cadere dal tavolo e di danneggiare oltre 300 dollari di spesa.
“Dawn…che cosa c’è?”
“Sono stanca, Scott.”
“Stanca di cosa?”
“Io ti amo tanto, ma in queste settimane mi sento così ignorata.” Ammise dispiaciuta, rendendosi conto che forse era solo un po’ egoista e che le cose sarebbero migliorate un giorno o l’altro.
“Non è vero.” Tentò di difendersi.
“Non ti ricordi più nemmeno che ieri è passata a trovarci Alberta.”
“Io…”
“Eri così preso che non hai degnato di uno sguardo i tuoi nipotini.”
“Ma il lavoro…” Borbottò, venendo interrotto.
“Metti un freno a ciò che fai.”
“Io…”
“Le preoccupazioni del lavoro devono rimanere al Pahkitew e quelle di casa restano tra noi e queste quattro mura.”
“Lo so che è così.”
“I problemi di una cosa non devono intaccare e rovinare l’altro insieme.” Spiegò Dawn, sorseggiando un goccio d’acqua e allontanando il cellulare del fidanzato che aveva ripreso a vibrare e che lui stesso aveva cercato di afferrare.
“Poteva essere una cosa importante.” Protestò lui.
“Oppure poteva trattarsi di una sciocchezza: tipo Duncan che non si ricorda dove ha lasciato la lista della spesa per il bar.”
“Io…”
“Tu non hai il diritto di essere sempre reperibile.”
“Lo so.”
“Ti preoccupi tanto dei problemi altrui, ma dimmi chi mai si è preoccupato di aiutarti quando eri solo al bar e vi erano una trentina di ordinazioni tutte in fila? Io ero lì: ti sei rimboccato le maniche e hai soddisfatto tutti quanti.”
“Già.”
“E sarebbe anche ora che gli altri imparino a camminare senza il tuo continuo sostegno.” Mugugnò Dawn che non avrebbe mai avuto il coraggio di ripetere una lezione simile.
“Io…”
“Ma tanto so che non mi darai mai ascolto e per questo ti propongo un gioco.”
“Come quelli che facciamo di solito in camera?” Chiese Scott con malizia, facendola arrossire.
“Ti piacerebbe, ma non è questo che meriti con queste settimane infernali.”
“Di che gioco parli allora?” Domandò il rosso costretto a resistere alla tentazione d’ignorare una seconda telefonata leggermente più prolungata rispetto alla precedente.
“Questa sera mi prenderai in braccio.”
“Sembra facile.” Commentò il rosso.
“E mi lascerai sulla porta della nostra camera. Io non entrerò, filerò in quella degli ospiti e ripeteremo tutto questo per una settimana.”
“E a che scopo?”
“Potresti capirlo lunedì prossimo.” Affermò lei, sorridendo divertita.
 
E quella breve settimana era volata via in un attimo.
Scott ripeteva volentieri quel rituale piacevole. Non ricordava più l’ultima volta che l’aveva presa in braccio e l’aveva fatta volteggiare per casa, rischiando di sfasciare un vaso da pochi spiccioli.
Faticava pure a ricordare quanto fosse leggera in realtà. Se mai le avesse detto che la ricordava più pesante, di sicuro Dawn l’avrebbe guardato storto, ma sentire quella piuma così vicina aveva risvegliato qualcosa.
Già da giovedì aveva cercato di varcare l’uscio in sua compagnia, ma lei aveva scalciato e aveva preteso di seguire le regole.
Era insostenibile quel gioco stupido.
Quando si rigirava tra le coperte e non sentiva i suoi mugugni, stava male.
Quando allungava un braccio per essere certo che fosse al suo fianco e non sentiva il suo corpo, si svegliava di soprassalto.
E quando provava con una mano a carezzarle il viso, affondava nel suo cuscino e doveva accontentarsi di respirare il profumo del suo shampoo.
Era tutta colpa di quel maledetto cellulare e della sua incapacità d’ignorare le richieste altrui. Stava perdendo Dawn per quello stupido motivo e anche se era in un giorno di riposo, non riusciva a staccare totalmente la spina.
Si sentiva in colpa d’abbandonare i colleghi, anche se spesso le loro telefonate e i loro messaggi erano solo per cavolate di poco conto che si potevano risolvere con pazienza, con tempo e con l’aiuto di un cameriere vicino.
Voleva che lunedì sera arrivasse subito e fortuna volle che fu una settimana abbastanza leggera e spensierata.
La cena era passata, erano distesi sul divano e Scott aveva cacciato il cellulare sopra il tavolino consapevole che non poteva lasciarla vinta a quell’aggeggio malefico. Aveva parlato con Chef e l’aveva pregato di chiamarlo solo per questioni di vitale importanza e non per ricevere conferma della presenza di due bottiglie di Whisky nascoste nel magazzino.
Il capo, scottato dal suo passato e per paura di vedere nel suo dipendente preferito il medesimo sbaglio, aveva promesso di limitare le sue chiamate e aveva preteso dagli altri colleghi di Scott di non esagerare troppo con messaggi e di non intasare la chat.
Aveva abbandonato il cellulare, aveva spento il televisore e aveva preso in braccio la sua ragazza, non fermandosi dinanzi a nulla.
Quella regola non valeva più e voleva dimostrarle che era quasi guarito.
Superato l’uscio, l’aveva fatta distendere sul suo lato e subito si era affiancato a lei, riempiendola di carezze, di baci e di attenzioni.
Diversi tocchi delicati sul viso, molti baci carichi di passione e il sorriso di Dawn era ritornato a illuminare quella stanza.
“Mi sei mancata.”
“Alla fine il mio gioco ha funzionato, vero?” Chiese Dawn, facendolo sospirare.
“Non era mia intenzione ignorarti, ma il lavoro mi spreme sempre…”
“Non importa: tu sei tornato da me e il resto non conta nulla.” Obiettò, mettendo un dito sulle labbra del fidanzato per zittirlo.
“Sono stato davvero ottuso.”
“Già.”
“Come ti è venuta in mente questa trovata geniale?”
“Dovevo trovare un modo per punirti e per farti capire i tuoi sbagli. Sarebbe stato troppo facile spiegarlo a parole o urlarti contro: avevo bisogno di qualcosa che potesse essere talmente sottile da confonderti e da tagliarti.”
“Io…”
“Pensavo di uscire con te, per poi litigare in auto e costringerti a lasciarmi per strada, ma ho troppa paura a camminare da sola.”
“Che cosa…”
“Avevo bisogno di un qualcosa di privato, che rimanesse tra noi, ma che potesse anche sconvolgerti nel profondo.”
“Ci sei riuscita.” Borbottò Scott, mentre Dawn si alzava e si allontanava appena.
“Non ne ero sicura, ma tentare non costava nulla.”
“Io…”
“Se non avesse funzionato, avrei pensato a qualcosa di diverso e solo al colmo della disperazione, avrei usato la carta della separazione.” Ammise, facendolo tremare, mentre lei sculettava appena per farsi ammirare dal suo uomo.
“E ora dove vai?” Domandò leggermente preoccupato.
“Non ho intenzione di tornare nella camera degli ospiti.” Lo rincuorò lei, togliendosi rapidamente il pigiama e infilandosi sotto le coperte.









Angolo autore:

E questo è il penultimo capitolo della serie

Ryuk: No...ne manca davvero solo uno?

Non temere Ryuk: ho due progetti finiti che devono solo vedere la luce
E stranamente sono entrambi a base liceale
Perchè sono così fissato?

Ryuk: Non saprei...

A domenica prossima con i saluti a Alcol e intanto vi auguro una buona settimana
A presto!
 
   
 
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