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Autore: Foxford_Welles    07/03/2021    0 recensioni
Raccolta di one-shots a tema Harry Potter (HP), Hunting Snakes (HS. La mia fanfiction ambientata nel mondo potteriano) e altre saghe fantasy.
Se volete recuperare Hunting Snakes, la trovate sulla mia pagina EFP.
Grazie e buon divertimento!
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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[HS] Ombre nel bosco



Galen sentì un rumore di passi sulla ghiaia, poi un fruscio, e l'entrata della tenda si aprì.

«Buongiorno ragazzi, è meglio che vi alziate. Il sole è già alto» disse Lupin, sbucando con la testa attraverso la fessura.

In verità, Galen era vigile da un po', in preda ai brividi. La notte in quel luogo era terribilmente fredda, e se possibile, la mattina presto era anche peggio.

Accanto, Rilo era girato dal lato opposto, completamente immobile, ma Galen sospettava si fosse già svegliato.

Uscì dalla tenda e si guardò attorno: Lupin aveva parlato di "sole alto", ma in quella foresta di luce ne arrivava troppo poca perché ciò potesse significare qualcosa. Sotto la pesantezza della neve, il colore degli alberi e del terreno era terribilmente spento, e la cupezza di quel posto li accompagnava da giorni.

«Buongiorno professore» salutò Galen.

«Te l'ho detto, non sono più il tuo professore» lo corresse Lupin. «Chiamami Remus» gli disse, porgendo una ciotola contenente una specie di brodaglia acquosa.

«Grazie...» rispose Galen, esaminando qualcosa di simile a una radice che galleggiava nella zuppa.

«Strana mattinata» si sentì dire alle loro spalle, «anche se ormai è diventata quasi un'abitudine».

Aster Pollywog era seduto su un ceppo, e ispezionava l'aria intorno come un segugio, fumando la pipa. Tra un tiro e l'altro, nella sua bocca spuntava il luccichio di un dente d'oro, riconoscibile solo per la brillantezza rispetto agli altri denti ingialliti.

«Cosa intendi?» chiese bruscamente Lupin, preparando un'altra ciotola per Rilo.

«Non hai notato niente stanotte durante il tuo turno di guardia?» ribatté l'uomo. Ghignava vistosamente, tenendo la pipa tra le fauci.

«No, a parte i litigi dei Giganti in lontananza, come ogni notte».

«Che peccato...» mormorò Pollywog. «Speravo che i Lupi Mannari avessero dei sensi più sviluppati».

Lupin rimase in silenzio, ma Galen si accorse che stringeva vigorosamente la scodella.

Nel frattempo, Rilo si era deciso a uscire. Galen gli mise sotto il naso la sua parte di colazione, e sentendone l'odore, Rilo fece una faccia come a dire: "che buono!".

«Tieni. È quello che è, ma vi scalderà e vi darà energia» disse Lupin porgendogli l'ultima porzione. Rilo sembrò felicissimo.

«Quello che voglio dire» rimarcò Pollywog, sentendosi ignorato, «è che qualcosa ci sta seguendo. Sono giorni ormai. Probabilmente da quando siamo arrivati».

«Ah fì? Che cofa?» chiese Rilo con curiosità, masticando uno stoppaccioso pezzo di radice.

«Non lo so ancora» rispose l'uomo, «ma certamente è molto cauto, quasi troppo per una bestia. Ci pedina silenziosamente durante il giorno e la notte si acquatta vicino all'accampamento, dovunque lo piazziamo. Sembra che riesca a vederci nonostante gli incantesimi di protezione». Prese una profonda boccata di fumo. «Qualunque cosa sia, mi inquieta parecchio».

«Se è come dici, dovremmo muoverci a raggiungere la meta» commentò Lupin, sbrigativo. «Finita la colazione, partiremo subito».

 

Poco dopo, i quattro impacchettarono le loro cose e lasciarono la radura. Il terreno era accidentato e fangoso, ma il passo costante, e ogni tanto sembrava quasi possibile godersi la natura intorno.

«Profess... Remus» disse Galen a Lupin, camminandogli di fianco.

«Sì? Galen» Lupin si voltò verso di lui e sorrise.

«Volevo dire... credo di non aver avuto modo di dirti che mi dispiace. Per com'è andata l'anno scorso».

«Apprezzo che tu lo dica, ma non preoccuparti. Sospettavo che prima o poi si sarebbe sparsa la voce. Ho avuto il privilegio di insegnare per un intero anno a ragazzi straordinari come voi, e tanto mi basta».

«Ma adesso cosa fai? Hai trovato un altro lavoro?»

Lupin rise sommessamente. «Non proprio. Purtroppo non posso dirti di preciso cosa faccio ora, ma riesco a mantenermi».

Per una lunghissima manciata di secondi continuarono a camminare. Galen ascoltò il rumore delle scarpe sul percorso scosceso.

«L'importante, in fin dei conti, non è neanche quello» continuò Lupin. «Ma rimanere fedeli ai propri ideali».

«E ci stai riuscendo?»

«In un certo senso, anche se con alti e bassi».

Ancora passi nel silenzio. Dopo essersi inerpicati per un po', il terreno cominciò a calare ripidamente, e dovettero procedere con calma.

«Cosa ne pensi di quello che ha detto il signor Pollywog? Credi davvero che qualcosa ci segua?» riattaccò Galen.

«Me lo sto chiedendo da stamattina» rispose Lupin, assorto. «Nonostante ciò che dice lui, ho una discreta fiducia nei miei sensi. Questa foresta è piena di cose strane, ma proprio non so a cosa possa riferirsi».

«Per caso sai come... insomma...»

«Riconoscere i miei simili? Sì, sono in grado di riconoscere un Lupo Mannaro. Posso capire se ne ho di fronte uno non trasformato e posso percepirne la presenza da una certa distanza. È tutta una questione di olfatto».

Galen ascoltava con vivo interesse. Si sentiva spiazzato da come Lupin spiegasse la propria condizione con calma e tranquillità.

«In realtà, le scorse notti ne ho fiutato qualcuno, ma non è una cosa così insolita, soprattutto in posti come questo. Rimarresti di stucco se sapessi in quanti sono Lupi Mannari senza che la gente lo sappia».

Lupin abbozzò una risatina dal retrogusto amaro.

«Potrei domandarti invece una cosa io?» chiese dopo un po'.

«Certo, che cosa?»

Lupin guardò di sottecchi Rilo, che marciava poco più avanti di loro, dondolando e canticchiando.

«Quella volta, a lezione. Col Molliccio» disse, soppesando le parole. «Ti ricordi cosa accadde?»

Galen annuì, ma abbassò lo sguardo.

«Per caso, siete riusciti a capire cosa fosse quello?» Lupin fissò Galen, indagando la sua espressione, ma lui non rispose.

«So bene cosa siano in grado di fare i Mollicci, altrimenti non ne avrei usato uno a lezione. Il tuo mi ha sinceramente impressionato, ma rientrava ancora in ciò che ritenevo possibile. Non insisterò su quello, tranquillo» sospirò profondamente, emettendo una densa nuvola di vapore. «Ma quando è stato il turno di Ryley... non ho mai visto una cosa del genere. Era terrificante».

Anche Galen fissò Rilo, perplesso. Il ragazzo, nel frattempo, aveva iniziato a calciare i sassi sul sentiero, e ogni volta che centrava una chiazza di neve, la pietra vi affondava senza far rumore.

«Non ho idea di cosa fosse» rispose. «Negli anni ho imparato che esiste un limite alle cose che si possono sapere di Rilo. Credo che, in un certo senso, un limite simile valga anche per lui stesso».

Proseguirono per qualche ora, fino ad essere stremati. Galen sperava che di lì a poco avrebbero fatto una sosta per il pranzo, ma Pollywog, in testa, non accennava a fermarsi. Presto però, raggiunsero una parete rocciosa che gli sbarrava la strada.

«Che c'è Aster? Dov'è il nostro percorso?» chiese Lupin dal fondo della fila.

Pollywog non rispose, ma rimase a fissare impassibile quel muro di pietra.

«Allora? Hai idea di dov...» «Sto pensando!» urlò Pollywog, spazientito.

«Ah! Lui sta pensando! il nostro genio delle strade nel bosco! O magari, dall'alto della tua presunzione, ci hai solo fatto perdere?» sbottò allora Lupin.

«Senti, maledetto cagnaccio! Vaghiamo in questa foresta puzzolente da giorni! Tanto che sto iniziando a chiedermi chi me l'abbia fatto fare a imbarcarmi in questa spedizione senza senso con un meticcio e due ragazzini!»

Aster Pollywog si mise a brutto muso di fronte a Lupin. I suoi lunghi capelli lerci dondolarono a pochi centimetri dalla faccia dell'ex insegnante.

«Foresta puzzolente, eh? Di sicuro rintanandoti nella tua topaia troveresti un ambiente molto più salubre. E poi ti ricordo che sei qui perché hai fatto una promessa al professor Silente! Non puoi tirarti indietro».

«Io a Silente non ho promesso proprio niente! Dovevo un favore a Mundungus, e lui lo doveva al vecchio. Tutto qui».

«Non azzardarti a mancare di rispetto ad Albus Silente! Feccia schifosa!» Lupin scattò improvvisamente, puntando la bacchetta alla gola di Pollywog.

L'altro rise con un verso roco. «Cosa vorresti farmi? Scagliarmi contro una delle magie da cagnolino ammaestrato che ti ha insegnato il tuo preside?»

«Ho imparato i miei incantesimi a Hogwarts. Non accetto lezioni da una nullità ignorante come te!» ringhiò Lupin. Non fosse stato giorno, Galen avrebbe giurato stesse per trasformarsi.

«Hogwarts! Molto bello. Coi vostri mantelli e cravattini! Io ho imparato la magia per strada, dove dietro ogni angolo può nascondersi la morte, pronta a prenderti senza seconde possibilità!»

«Scusa, ma non è così pure a scuola?» chiese dubbioso Rilo a Galen. Questi però non rispose e si avvicinò ai due contendenti.

«Smettetela! Non importa il motivo per cui siete qui, fatto sta che ormai ci siamo!» disse, provando ad allontanarli. «Se anche volessimo tornare indietro, sappiamo che volare o smaterializzarsi sarebbe troppo pericoloso, e a quanto pare, ogni cosa in questo posto è pericolosa».

«Sembra di essere tornati nella Foresta Proibita!» sospirò Rilo.

«Quindi adesso non facilitate il lavoro a Lupi Mannari o Giganti, e mettetevi d'accordo!»

Lentamente, Lupin e Pollywog allentarono la presa l'uno sull'altro.

«E per favore, possiamo fermarci e riposare un attimo? Sto per svenire!» terminò Galen, con un pizzico di frustrazione.

«Forse il bamboccio ha ragione. Dovremmo fermarci» commentò Pollywog. «Questo punto sembra abbastanza riparato. Forza, iniziate a preparare il fuoco!»

Lupin, Galen e Rilo allestirono il bivacco. Purtroppo per Galen, si scoprì che Lupin aveva con sé ancora un po' di radici per la zuppa.

Durante i preparativi, Pollywog fece poco e niente. Continuò a scrutare la roccia, come se si aspettasse di vederla muoversi, poi si tuffò nello studio delle numerose mappe che aveva nello zaino.

«Non ha alcun senso» disse tra sé. «Il percorso è giusto, non c'è dubbio, ma dev'esserci qualcosa che ci sfugge. È come se qualcuno avesse messo qui una montagna dal nulla».

«Non è forse il caso di cercare un'altra strada? Magari possiamo fare il giro largo» consigliò Lupin.

«Impossibile. È un territorio inospitale, e l'unica via a piedi è questa. L'alternativa è saltellare tra i dirupi come capre e rimanere ancora più esposti alle minacce della foresta» si riaccese la pipa con un colpo di bacchetta. «No. Dobbiamo passare di qui».

«Comunque, vedo che almeno adesso sei sorprendentemente calmo. Non me l'aspettavo».

«Certo che lo sono. Questa è chiaramente una sfida di astuzia, ed è proprio ciò che mi stuzzica il cervello. State sicuri che ne verrò a capo».

 

Le ore passarono, e come la parete continuava a sovrastarli, Pollywog continuava a sfogliare e analizzare invano le sue carte.

«Non dovremmo preparare le tende per la notte?» chiese Galen a un certo punto. Il freddo stava ricominciato a farsi pungente, e anche la scarsa luce del giorno sarebbe scomparsa di lì a poco.

«Hai ragione. Siamo rimasti qui troppo a lungo, ormai non ci resta che accamparci» approvò Lupin. «Sei d'accordo Aster?»

In un angolo, Pollywog, sempre più chino sulle mappe, aveva iniziato a bisbigliare parole incomprensibili da solo. D'un tratto, cacciò un urlo agghiacciante, alzandosi in piedi e scaraventando via zaino e carte, che rotolarono per qualche metro. Gli altri tre compagni sobbalzarono.

«Non è possibile! Non ha senso! Al diavolo questo maledetto posto, questi alberi, questi sassi, questa neve! Vi odio tutti!» sbraitò.

«Non ne è venuto a capo...» commentò beffardo Lupin, mentre raccoglieva una tenda arrotolata.

 

La sera giunse più rapidamente del previsto, e presto, rimasero solo le fiamme del falò a illuminare e riscaldare il piccolo accampamento. Neanche i raggi della luna riuscivano ad arrivare fino a loro, ma di questo Lupin sembrava grato.

Si accorse che Galen e Rilo lo fissavano. Succedeva spesso di notte. Ma forse non avevano il coraggio di parlarne.

«Non vi preoccupate. La luna piena non ci sarà prima di una settimana. Il professor Silente è stato abbastanza accorto da organizzare la missione subito dopo l'ultimo plenilunio» li informò, contemplando il fuoco.

«Hai con te una scorta di pozione però, giusto?» intervenne Pollywog, sdraiato per terra nell'angolo più buio.

«Certo, ma non è così tanta, per precauzione sarà comunque meglio aver finito prima della prossima luna piena».

«Capisco...» ponderò Pollywog. «Ma se disgraziatamente non ci riuscissimo, immagino che saremo costretti a lasciarti legato a un albero».

«Cosa succede se rimaniamo troppo a lungo?» si affrettò a chiede Galen per scongiurare un nuovo litigio.

«Prima di tutto, nei giorni immediatamente precedenti alla trasformazione potrei iniziare a non sentirmi bene, come se avessi la febbre. Sicuramente in questo caso vi rallenterei. In seguito, semplicemente mi trasformerei. Ma, se grazie alla pozione Antilupo riuscirei a rimanermi mansueto, purtroppo senza di essa...»

Lupin non riuscì a proseguire. Si era come ipnotizzato guardando il fuoco, ma poi tornò su Galen.

«La trasformazione si ripete per alcune notti, e purtroppo il periodo non è sempre uguale. La pozione che ho portato dovrebbe bastare, ma se così non fosse, dovete giurarmi che ve ne andrete senza di me» disse con grande serietà a Galen e Rilo.

«Promesso!» esclamò Pollywog dal suo angolo.

Lupin, Galen e Rilo andarono a dormire poco dopo, mentre Pollywog iniziò il suo turno di guardia.

La notte era calma e silenziosa come mai da quando erano entrati nella foresta. Galen, sfinito per la camminata e le discussioni, si sdraiò sentendo già gli occhi pesanti, e, in men che non si dica, piombò in un sonno profondo.

 

«Svegliatevi! Svegliatevi subito, maledizione!»

Galen si drizzò di colpo. All'ingresso della tenda c'era Pollywog, con lo sguardo stravolto. Era ancora notte.

«Presto! Ci sono addosso! Non so come abbiano fatto, ma sono qui!»

Galen e Rilo afferrarono le bacchette e corsero fuori dalla tenda. Nel frattempo, anche Lupin era uscito dalla sua, in stato confusionale.

«Che diavolo succede, Aster?»

La terra iniziò a tremare sotto i loro piedi, e tutti notarono che gli alberi a poca distanza stavano vibrando avvolti dal buio. Un continuo frastuono di rami e tronchi spezzati si faceva sempre più vicino.

«Il clan di Giganti delle montagne! Stanno venendo qui! Gli incantesimi di protezione sono spariti! Io non so com...»

Pollywog non terminò la frase, perché dal folto emerse un essere enorme, urlando e mulinando una clava.

La luce del falò non arrivava a illuminarlo completamente, ma sarà stato alto almeno sette metri. Sembrava avere sembianze rozze e terribilmente grottesche, e sulla pelliccia stracciata che aveva addosso, penzolavano numerosi teschi di animali, e altri molto più simili a quelli umani.

«Via! Via!» gridò Lupin. Galen e Rilo riuscirono a schivare appena in tempo un colpo di clava, scattando in direzioni opposte. Lo schianto fece sprofondate la tenda dentro il terreno.

Immediatamente, una salva di dardi rossi partì dalle bacchette di Lupin e Pollywog, bombardando il Gigante.

«Mira agli occhi! Altrimenti non gli farai niente!» urlò Lupin, cercando di sovrastare il crepitio di colpi.

«Lo so, maledetto bastardo! Pensa a te stesso invece!»

Pollywog combatteva in una maniera che Galen non aveva mai visto prima: non pronunciava alcuna formula prima di lanciare un incantesimo, e le sue magie esplodevano dalla bacchetta con molta più forza rispetto a quelle di Lupin, tuttavia, a volte mancava il bersaglio.

«State indietro ragazzi! Non usate la magia se potete, o con la Traccia ci scoprirebbero!» disse Lupin, indicandogli di farsi da parte. Galen e Rilo arretrarono, ma continuarono a stringere le bacchette in pugno.

«Ah, quindi i poppanti non combattono nemmeno? Allora cosa sono venuti a fare!» sbraitò Pollywog.

All'improvviso, un secondo Gigante emerse da un'altra direzione, e per poco non fece volare via Lupin con un calcio. L'altro, non più bersagliato, urlò di rabbia, e si accanì su Pollywog, che fu costretto a indietreggiare.

«Qui si mette male! Se ne arrivano altri non potremo fare niente, e quella maledetta strada è ancora chiusa!» disse, schivando un fendente di clava che gli avrebbe sbriciolato la testa.

«Tu continua a tenere duro!» lo spronò Lupin, lottando col Gigante che quasi l'aveva travolto.

Galen e Rilo si guardarono negli occhi. Non sapevano cosa fare.

Pollywog iniziò ad attaccare il suo avversario con una serie di esplosioni dirette alla testa, mentre Lupin cercò con tutte le forze di bloccare il proprio con l'incantesimo "Incarceramus". I Giganti si agitavano e colpivano tutt'intorno, facendo a pezzi decine di alberi. Stranamente, sembravano più interessati a scacciare i due adulti che a combatterli. Galen si voltò per un secondo verso il Gigante alle prese con Lupin, e si accorse che lo stava guardando con espressione feroce.

Nel frastuono di luci e colpi, nessuno si accorse in tempo dell'arrivo di un terzo Gigante. L'enorme essere colse di sorpresa Pollywog, che fu lanciato in aria, finendo contro la tenda di Lupin.

Galen e Rilo guardarono spaesati il cumolo di legni e tela in cui era finito l'uomo, senza vederlo più: «Professore! Il signor Pollywog!» gridarono.

«No!» strillò Lupin. Impegnato col suo Gigante, tentò comunque di rallentare gli altri due, senza riuscirci.

Galen vide innalzarsi davanti a sé qualcosa di simile a un palazzo con le braccia. Il Gigante sorrise con un ghigno malvagio, poi prese un tronco da terra e lo sollevò in aria.

Pollywog era fuori gioco, forse addirittura morto, e Lupin lanciava disperatamente incantesimi intorno a sé. Nessuno li avrebbe aiutati.

Il pesante pezzo di legno calò su di loro. Non c'era più tempo.

«Confringo!» esclamò Galen, puntando la bacchetta un istante prima dell'impatto. Il tronco andò in mille pezzi, e lui e Rilo furono travolti dalla pioggia di frammenti.

Riuscirono ad alzarsi. Erano ancora vivi.

Galen capì che ormai la Traccia si era attivata, la loro copertura era saltata, e questo avrebbe avuto delle conseguenze. Ora però, l'unica cosa importante era provare a salvare sé stessi e gli altri.

«Mobiliarbus!» gridò. Un grosso pezzo d'albero si sollevò in aria seguendo il movimento della bacchetta. Galen lo lanciò con rabbia contro il Gigante in lotta con Lupin, e lo prese in pieno volto. Il suono fu orribile, e l'enorme creatura cadde all'indietro, senza più rialzarsi.

Galen sentì un brivido vedendo il Gigante accasciato, inerme e in preda a spasmi. Era terrorizzato, ma allo stesso tempo furioso con quegli esseri, così violenti, così feroci. Sentiva l'adrenalina attraversargli il corpo come una scarica elettrica. Dovevano sopravvivere. A costo di ucciderli tutti.

Lupin lo guardò, senza parole, ma non ebbe tempo di farsi domande, e riprese a combattere contro i due Giganti rimasti.

«Incendio!» urlò ancora Galen, e dalla sua bacchetta scaturì una lingua di fuoco che colpì le vesti di un Gigante, avvinghiandolo nelle fiamme.

«Vacci piano! O darai fuoco alla foresta!» gli intimò Lupin. Galen però non lo ascoltava. In quel momento sentiva di poter fare qualunque cosa.

«Sta zitto e guarda! Diffindo!»

Un fascio rapidissimo partì dalla bacchetta di Galen, diretto alla mano dell'altro Gigante. Due dita tozze, grandi come braccia umane, volarono via in un fiotto di sangue nero. Il Gigante strepitò in preda al dolore.

«Basta! Smettila! Dobbiamo fuggire, non ucciderli!»

«E che differenza fa?»

Galen rideva. Non sapeva neanche lui perché, ma rideva incontrollatamente.

«Ehm... ragazzi?»

Entrambi si voltarono. Nonostante il baccano, erano riusciti miracolosamente a sentire la voce di Rilo alle loro spalle. Stava indicando il punto in cui si trovava la parete di roccia, e dove ora era apparsa una fessura di circa due metri, attraverso cui passava una strada lastricata che si inerpicava in alto. Accanto all'imbocco della via, stava appollaiato uno strano uccello dal manto scuro.

«Se recuperiamo il signor Pollywog, possiamo andarcene» suggerì Rilo.

Lupin allora scattò verso i resti della tenda su cui era finito Pollywog, e subito dopo ne emerse portando l'uomo svenuto in spalla.

«Presto, andiamo! Andiamo via!»

Mentre Galen scagliava ancora incantesimi, i quattro si infilarono nella spaccatura tra le rocce. Appena lo fecero, l'uccello emise un verso basso e cupo, e la parete si richiuse subito.

Oltre il muro, si sentivano ancora rimbombare i versi inumani dei Giganti, ma loro ce l'avevano fatta.

 

Non ebbero il coraggio di rallentare finché le urla non si sentirono più, poi si accasciarono a terra, col fiato corto.

Rilo aiutò Lupin a mettere giù Pollywog. Non sembrava messo troppo male, ma aveva un rivolo di sangue che gli scendeva dalla testa e forse un braccio rotto.

«Perché volevi fermarmi?»

Mentre gli altri si occupavano di Pollywog, Galen non riusciva a fare altro che fissarli torvo, stringendo ancora la bacchetta nel pugno.

«Dovevamo scappare, non vincere» rispose freddamente Lupin. «C'è una sottile differenza».

«Ma se li avessimo sconfitti avremmo avuto più tempo! Avremmo recuperato le nostre cose! Pollywog ha perso la sua bacchetta, vero?»

In effetti, era vero. Nel portarlo in salvo, Lupin non si era ovviamente preoccupato di prendere anche la bacchetta, e ora, oltre che ferito, Pollywog era anche disarmato.

«Perché ti sei preoccupato tanto per quei mostri? Erano solo Giganti, e volevano anche ucciderci!»

Lupin lanciò uno sguardo di fuoco a Galen. Se non fosse stato impegnato, probabilmente sarebbe venuto a dargli uno schiaffo.

«Ripeti di nuovo quello che hai detto...» sibilò. «Ripetilo. Ma sostituisci "Giganti" con "Mezzosangue", o "Nati Babbani"» disse, tentando di controllare la rabbia crescente.

«Sai benissimo che non è la stessa cosa!» gli urlò Galen.

«E se ad attaccarci fossero stati dei Lupi Mannari? Eh? Avresti detto lo stesso?»

Lupin si alzò di scatto, lasciando che il corpo floscio di Pollywog cadesse tra le braccia di Rilo. Con le dita sporche di sangue si indicò il volto, dove il morso del lupo lo aveva segnato per sempre.

Galen non replicò, ma sostenne lo sguardo di Lupin con astio. Era così arrabbiato che non sapeva nemmeno spiegarselo.

«Quando torniamo a Hogwarts, vai a fare questo identico discorso a Hagrid! Vediamo se per lui "non è la stessa cosa"» disse in fine Lupin, tornado indietro dopo l'impeto d'ira.

«E comunque non illuderti, non ne avresti ucciso nemmeno uno. Saresti solo riuscito a farli infuriare di più».

«Ma quello che ho colp...» «Quello è solo svenuto, così come Aster. Se avessimo fatto come volevi tu, a quest'ora saremmo poltiglia».

Rilo diede alcuni colpetti a Pollywog. Per un po' non successe niente, ma poi:

«Cazzo! Cosa! Dove! Che!» disse, riprendendo conoscenza.

«Stai buono» gli intimò Lupin, prendendogli il braccio rotto.

«Ma sei pazzo! Mi fai malissimo così!»

«Epismendo!» la bacchetta di Lupin sfiorò il braccio, che riprese una forma quasi normale. «Ora dobbiamo steccarlo, ma almeno la ferita è chiusa» commentò, osservando il risultato dell'incantesimo. «Se non altro, hai ancora il destro libero».

«Lo so che non te ne sei accorto, ma io sono mancino».

«Scusa...»

«Fa niente, tanto sono quasi ambidestro. A proposito, dov'è finita la mia...» Pollywog si frugò addosso con la mano sana.

«Purtroppo è rimasta indietro. Non avevamo tempo» gli confessò Lupin, contrito.

«Ah» Pollywog rimase a bocca aperta. «Diamine. Adesso dovrò rubarne un'altra».

«Ru... rubare?» chiese Lupin, spiazzato.

«Certo! Ti sembro il tipo che ha soldi da spendere per una bacchetta? Che va da Ollivander a sentire tutti i suoi vaneggiamenti sui bastoncini? Tutte le bacchette che ho avuto le ho scippate o vinte a duello».

Per fortuna, Pollywog si stava riprendendo in fretta.

 

Ormai, potevano viaggiare leggeri, avendo perso quasi tutto il loro bagaglio. Non c'erano più carte da consultare, ma almeno la strada era una sola. Le luci dell'alba iniziavano a ridare colore al mondo.

Salirono per un po', finché il canyon di roccia si aprì, mostrando una nuova parte di foresta. Gli alberi di quel posto, tuttavia, erano diversi. I tronchi avevano colori più tenui, e, in un certo senso, sembravano meno selvatici.

Quando li videro, Pollywog si fermò. Galen pensò che avrebbe ricominciato a lamentarsi di tutti quegli alberi, che, in effetti, non finivano più. Invece, notò che aguzzava la vista e l'udito.

«L'ho trovato! Ho trovato lo schifoso che continua a seguirci!» esclamò sottovoce, in una strana euforia contenuta.

«È proprio lì, dietro quell'abete! Se lo accerchiamo non ha scampo!»

«Stai indietro allora. Potrebbe essere pericoloso, e non hai una bacchetta!» gli intimò Lupin. «Io e Ryley passiamo dal lato destro, e tu e... Galen passate dal sinistro, va bene?» propose. Aveva fatto una breve pausa prima di pronunciare il nome di Galen, ma quello non era il momento per mettersi a discutere.

I quattro si avvicinarono di soppiatto al punto indicato da Pollywog. Quando furono acquattati accanto all'abete, Lupin indicò a Galen un conto alla rovescia con le dita, poi, sbucarono dai nascondigli con le bacchette puntate.

Proprio dietro al grosso tronco dell'albero, c'era una creaturina accovacciata.

Aveva tratti umanoidi, ed era grande più o meno come un neonato, anche se sapeva tenersi in piedi sulle proprie gambe.

Lo strano essere li fissò con grandi occhi lattiginosi. Aveva una pelle chiarissima, dall'aspetto molto delicato, e arti esili.

Non fuggì, ma sembrò al pari intimorito e incuriosito dal gruppo.

«Ecco il tuo inseguitore misterioso» sospirò Lupin, riponendo la bacchetta.

«Che cos'è?» chiese Galen.

«Sembra un lontano parente di Lepricani o Pixie, ma più grande» spiegò Lupin. «Siamo molto lontani dall'habitat di creature del genere. Magari è una specie di queste zone».

L'essere li guardava roteando la testa. Tra le lunghe dita aveva una radice mangiucchiata.

«Ora si spiega tutto. Ci ha braccati per le tue radici insipide!» sbuffò Pollywog.

«Può essere. Sono esseri molto intelligenti e con una certa affinità con la magia. Potrebbe essere riuscito ad annullare i nostri incantesimi di protezione».

Lupin si chinò leggermente per vedere più da vicino la creatura. Questa lo scrutò un attimo, poi scattò rapida tra gli alberi, sparendo nel folto con una velocità fulminea.

«L'hai fatto scappare! Quel maledetto ci ha quasi fatto ammazzare!» gridò inutilmente Pollywog.

«Non credo riusciresti a prenderlo, Aster, e comunque, dev'essere totalmente innocuo» commentò pigramente Lupin, stanco per la nottata turbolenta.

«Innocuo un corno! Se quella cosa riesce a sciogliere gli incantesimi di occultamento, non potremo più accamparci senza paura di essere aggrediti!»

«Non penso che servirà più accamparci!»

Galen, Lupin e Pollywog si guardarono intorno. Rilo si era allontanato senza che nessuno se ne accorgesse, e li aveva richiamati da circa cento metri.

Lo raggiunsero, vedendo che tra gli alberi si apriva un ampio panorama, e in fondo, una fortezza grigia dalle forme squadrate, con alle spalle un grande lago ghiacciato, su cui brillavano i raggi del nuovo giorno.

«Non pensavo fosse così bella» commentò Galen, sbigottito.

«Neanch'io, e spero che non dovremo ricrederci».

Lupin sembrava insieme felice e preoccupato.

«Succederà di sicuro» disse Pollywog, sconsolato. «Ora inizia la parte peggiore».

Tutti e quattro iniziarono la discesa. Non sapevano cosa li aspettasse, e in quel momento forse non gli importava nemmeno, perché il castello di Durmstrang era proprio lì, davanti a loro.

 

La creatura dalla pelle pallida corse agilmente verso il fitto del bosco, lasciando delle leggere tracce sulla neve. Stringeva ancora il pezzo di radice tra le mani, quando si fermò sotto un larice morto.

Dall'oscurità, emersero tre figure: una slanciata, un'altra dalle spalle possenti e l'ultima molto più bassa, dai lineamenti deformi. Uno schiocco di bacchetta e il piccolo essere si tramutò all'istante in uno scoiattolo, che annusò l'aria e spari, arrampicandosi su un albero.

«Non l'hanno capito» disse l'uomo muscoloso, con voce cavernosa.

«A quanto pare no, ma sono comunque riusciti a entrare» rispose quello alto, con ancora la bacchetta in pugno.

«Ci sono molte altre difese da superare. Ridotti così, non avranno vita facile» sibilò il terzo, muovendosi goffamente sul suolo imbiancato.

«Sarà, ma non possiamo correre rischi. Gévaudan, manda un messaggio anonimo al professor Duvacek. Digli che stanno per ricevere ospiti indesiderati».

L'uomo rinfoderò la bacchetta, tornando a confondersi tra le tenebre.

   
 
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