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Autore: E_AsiuL    08/03/2021    1 recensioni
Il rapporto tra il medico legale Tessa Beale e il detective Gabriel Giuliani non è mai stato idilliaco. Ma le cose potrebbero cambiare per via di un serial killer, il cui operato toccherà Tessa un po' troppo da vicino.
Genere: Introspettivo, Noir, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ehilà! Torniamo su Tessa e Alex. Ho solo un altro capitolo di "scorta", spero di finirne presto qualcun altro. Se tutto va secondo i piani, dovrete sopportare solo un altro paio/massimo tre capitoli vagamente smielati, prima di tornare a concentrarci sull'assassina. 
Buona lettura!



6

«Spiegamelo ancora», le chiese Alex, esaminandole il braccio. Sopra le vecchie cicatrici – un intrico di linee di lunghezza e spessore differente – erano disegnate delle farfalle.

Tessa ritrasse il braccio. «La mia terapista mi ha consigliato di disegnare una farfalla ogni volta che voglio tagliarmi, e di non lavarla via. Ogni farfalla deve avere il nome di una persona importante per me. Lo scopo è fare qualcosa di creativo invece che distruttivo», spiegò.

Alex le studiò il viso. Era più pallida, le lentiggini sul naso ancora più visibili, cerchi scuri intorno agli occhi grigi. Ne stava facendo una malattia. Prima trovavano quella stronza, meglio sarebbe stato per tutti.

«Ne hai almeno una decina…» commentò, sfiorandole i disegni stilizzati sulla pelle. «Sono tutte di… oggi?»

«Mh-mh», annuì lei. Alex sospirò.

«È per questo che sei venuta da me?» continuò il detective. Tessa annuì, chinando la testa, in imbarazzo.

«Ho bisogno di te», ammise. «Salvami», aggiunse, a voce talmente bassa che Alex pensò di non aver capito. La guardò ad occhi sgranati, sorpreso. Theresa Eleanor Beale, medico legale, non chiedeva mai aiuto a nessuno, nemmeno sotto tortura. Quanto doveva stare male, per ammetterlo così?

Alex le sfiorò di nuovo le farfalle stilizzate che si era disegnata sul braccio. «Come si chiamano?»

Tessa batté le palpebre, aggrottando le sopracciglia.

«Hai detto che ogni farfalla deve avere il nome di una persona importante. Come si chiamano?» spiegò.

Tessa abbassò lo sguardo. I nomi che aveva dato alle sue farfalle potevano essere più dolorosi dei tagli che avevano evitato. Ingoiò rumorosamente e poi sospirò.
«Giselle. Gregory», disse, indicando le prime due. I genitori morti quando era bambina. «Helena. Thomas. Roxane». I genitori e la sorella adottivi.

Alex conosceva bene quei nomi. Aprì la bocca per fermarla, notando gli occhi che le diventavano lucidi.

«O.», proseguì Tessa, la voce che le si spezzava su quella singola lettera. Di scatto, Alex la strinse a sé, con forza. Gli si strinse la gola, su quella lettera. “O” per Oliver oppure Olivia. Non avevano fatto in tempo a scoprirlo. Non avevano voluto saperlo, poi. Era capitato, successo all’improvviso. E altrettanto all’improvviso era sparito. E, da quel momento, Tessa era peggiorata, iniziando a farsi del male con più frequenza, fino a cacciare Alex.

«Alex», sussurrò, il viso contro il suo collo.

«Sono qui, pulcina», le rispose, accarezzandole la schiena.

«Le altre… le altre farfalle… si chiamano tutte Alex».

Alex ingoiò rumorosamente, gli occhi che gli bruciavano.

La strinse più forte, quasi come se volesse farla entrare dentro di sé, avvolgerla completamente e tenerla al sicuro, proteggerla dal mondo e da se stessa. Tessa non protestò.

Rimasero così, in silenzio, per qualche minuto, finché Tessa non si divincolò dall’abbraccio, allontanandosi e tirando su col naso, asciugandosi le guance umide col dorso della mano. Alex la guardò, mordendosi l’interno del labbro.

Il “ding” del microonde ruppe il silenzio, facendo sobbalzare Tessa, colta alla sprovvista, e ridacchiare Alex.

«La cena è pronta», disse il detective, alzandosi dal divano e avviandosi in cucina. Sulla porta, si voltò verso di lei. «Porto qui o mangiamo di là?»

Tessa si stropicciò di nuovo la faccia. «No, vengo in cucina», rispose, seguendolo.

Alex tirò fuori le lasagne surgelate dal microonde, lasciandosi sfuggire un’imprecazione piuttosto colorita quando si scottò con la teglia, per poi praticamente sbatterla sul bancone per esaminarsi la mano. Tessa fu immediatamente al suo fianco, le dita leggere sulla pelle arrossata.

«Acqua fredda», gli ordinò, tirandolo verso il lavandino. Alex obbedì. «E dentifricio», aggiunse.

Alex alzò un sopracciglio. «Questo è il tuo consiglio medico?», la prese in giro, la mano sotto il getto freddo.

Tessa scrollò le spalle. «Non mi intendo di vivi», ribatté, un accenno di sorriso le fece sollevare l’angolo delle labbra.

Alex scosse la testa, divertito, ma seguì il suo consiglio, andando in bagno e recuperando il dentifricio.

«Ma porca…» si lasciò sfuggire. Ovviamente, era alla menta. E, ancora più ovviamente, extra forte. «Il dentifricio è proprio necessario, Tess?» chiese, sperando di scamparsela. Sapeva che avrebbe bruciato come l’inferno.

Tessa si rigirò il tubetto fra le mani, per poi riesaminare le falangi arrossate di Alex. «Vuoi rischiare una vescica e farti prendere in giro dal Coglione Supremo?»

Con un sospiro, Alex si mise il dentifricio sulle dita. Tessa rise.

 
«Lungi da me lamentarmi, ma com’è possibile che con te è sempre o pizza o surgelati?» chiese Tessa, allontanando il piatto vuoto.

«Sono un uomo impegnato, non ho tempo per mettermi ai fornelli», ribatté Alex, trattenendo un sorriso. Gli sembrava che, per fortuna, l’umore di Tessa fosse decisamente migliorato. Rifletté che – modestamente – fosse stato merito suo. Se solo cenare insieme, a casa sua, l’aveva fatta stare meglio, diamine, se il solo passare del tempo insieme la faceva stare meglio, avrebbe anche potuto… no. O forse sì? Iniziò a fare a strisce il tovagliolo. Tessa aveva ammesso di aver bisogno di lui. E lui ne aveva di lei. Gli passò un attimo per la mente l’idea di passare ogni sera così. Allo stesso tavolo. Nella stessa casa. Non era la prima volta che ci pensava. Sì, ma quello era stato prima. Prima di O. Prima che Tessa lo cacciasse, senza mai riuscire a mandarlo via. Senza che lui riuscisse ad andarsene via. Ed erano tornati insieme da così poco…

«Alex? Mi ascolti?» Tessa schioccò le dita, riportandolo al presente.

Alex batté le palpebre un paio di volte. «Sposami», gli uscì di bocca, prima di riuscire a collegare il cervello.

Tessa lo guardò a bocca aperta. «Che hai detto?»

«Sposami», ripeté lui, con più convinzione. Ormai la frittata era fatta, tanto valeva andare a fondo.

Tessa rimase in silenzio, trovando improvvisamente interessanti gli avanzi di sugo nel piatto. Non sapeva cosa – e se – rispondere. Sentì il panico stringerle la gola.

«Non… non devi rispondere adesso», le venne incontro lui.

Tessa si rilassò. Aveva tempo per rifletterci, quindi. Chiuse gli occhi, invidiando tutte quelle colleghe che le avevano raccontato di come avessero accettato immediatamente e senza remore le proposte di matrimonio dei loro compagni.

Perché lei doveva rendere sempre tutto più difficile?

Sentì la mano di Alex sulla propria, calda, confortante.

«Respira, Tess. Pensaci. Tutto il tempo che ti serve», la rassicurò. «Anche un mese, o un anno» aggiunse, chiudendo le dita intorno alle sue.

«È… è stata un’idea improvvisa, o…» si schiarì la gola. «…o ci pensavi da un po’?»

Alex sospirò, grattandosi il naso. «Ci pensavo da un po’». Raddrizzò le spalle. «La sera che mi dicesti di…» si interruppe, ingoiando rumorosamente. «…di essere incinta, avevo l’anello in tasca. Non te l’ho più chiesto perché avevo paura potessi pensare fosse solo per il bambino. E poi…» lasciò la frase in sospeso.
Tessa sgranò gli occhi, senza parlare. E poi lo aveva lasciato.

«Ce l’ho ancora. Non in tasca. Di là. In camera», riprese. Poi si alzò di scatto, un’idea un po’ balzana che gli formava nella testa. «Anzi, te lo prendo. Aspetta qui».

Ovviamente, Tessa non aspettò, preferendo seguirlo in camera da letto. Quando la vide ferma nel vano della porta, Alex sorrise.

«Tienilo tu» le disse, porgendole la scatola.

Tessa esitò, prima di prenderla, senza aprirla.

«Facciamo così. Non solleverò più l’argomento», disse Alex, alzando le mani. «Sai che ti amo, e non da ieri. Sai che voglio stare con te. Sai che voglio vederti felice, cazzo, Tess, voglio farti felice. E che voglio sposarti. Passare ogni notte con i tuoi capelli che mi finiscono in bocca e la lucina accesa. Litigare per l’ultimo biscotto e poi puntualmente cedertelo», a quegli esempi, Tessa accennò un sorriso. «Disegnare farfalle» aggiunse, serio. «Ma ti conosco, e tu hai bisogno di tempo e spazio anche solo per scegliere i cereali, figurarsi per questo. Tieni l’anello. Pensa, rifletti. Se accetti, lo metti, senza bisogno di parole. Ci stai?»

Tessa ci rifletté, rigirandosi la scatola fra le mani. «E se la risposta fosse no?»

Alex ingoiò rumorosamente. «In quel caso, ritornerà nel cassetto, senza rancore», disse, dando una pacca al comodino. «E anche se fosse un no, io non me ne vado, Tess» aggiunse, rassicurandola.

Tessa fece un respiro profondo, stringendo la scatola. Si sentiva scombussolata, e sì, aveva bisogno di riflettere. Annuì, accettando le condizioni di Alex. Lo vide rilassarsi.

«Devo… devo andare», balbettò, facendo un passo indietro.

«Non c’è bisogno…»

Tessa alzò una mano per zittirlo. «Ho quell’udienza, domani mattina», gli ricordò. «Non voglio fare tardi per andare a casa a cambiarmi…»

Ad Alex sembrava una scusa. Non volendo insistere e preferendo lasciarle il suo spazio, annuì.

«Ci vediamo domani, però» aggiunse lei, smorzando il tono distaccato di poco prima.

«Sì, quell’appuntamento col Capo…» ricordò lui, mentre la accompagnava alla porta.

Quando fu all’uscio, Tessa si voltò verso di lui.

«Alex?»

«Mh?»

«Ti amo. Lo sai, vero?» gli chiese, titubante. Alex le sorrise.

«Sì, lo so».

 
Quando, il pomeriggio seguente, Alex vide Tessa bussare alla porta dell’ufficio del Capitano Green, aveva l’anello al dito.

 

A/N: scappa, Alex! (cit.) XD
 
  
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