Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ice_chikay    08/03/2021    4 recensioni
MikasaxLevi
A due anni dalla fine della guerra, Mikasa e Levi si ritrovano insieme ad affrontare le cicatrici e le ferite che la guerra ed i giganti hanno lasciato nelle loro vite. Mentre l'inverno è alle porte, il loro rapporto cambia per sempre... In un mondo popolato di memorie di amici caduti, riusciranno a guarire insieme?
Una storia introspettiva sui miei due personaggi preferiti, ideata e in larga parte scritta prima dell'uscita del capitolo 131, quindi ormai in parte off canon.
Contiene spoiler per chi segue solo l'anime.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti! 
Con un po' di ritardo ecco il nuovo capitolo...volevo pubblicarlo entro venerdì scorso, ma il capitolo 138 ha vagamente distolto la mia attenzione...sto ancora processando a dire il vero!

Volevo avvisarvi che in questo capitolo si parla in parte di episodi legati al disturbo da stress post traumatico. E' una tematica delicata che mi sta molto a cuore e che tornerà qui e là nel resto della storia. Mi sembra giusto avvertirvi nel caso qualcuno avesse problemi a leggere di certi argomenti. 

Detto questo, buona lettura! 


 
VI


Mikasa trattenne il fiato, mentre sentiva la preoccupazione scoppiarle dentro in un secondo. Gli si fece immediatamente accanto, mentre lui si ripuliva la bocca con la manica della giacca. 

«Capitano, stai bene? Forse dobbiamo tornare indietro dai medici!»

Levi la scostò e fece un passo avanti, appoggiando il fianco al muro alla sua sinistra. Le sue mani ripresero a tremare mentre si allentava con foga il foulard attorno al collo. 

«Cazzo, non di nuovo…» mormorò tra sé e sé. Cercò di fare un respiro profondo, senza riuscirci.

«Io...» provò ancora a parlare, mentre i suoi respiri si facevano sempre più corti ed erratici. 

Un attimo dopo, le gambe cedettero sotto al suo peso ed il capitano si ritrovò seduto per terra, con la schiena appoggiata al muro.

«Levi!» gridò Mikasa con orrore, accucciandosi davanti a lui, senza sapere cosa fare.

«Non...non riesco...a respirare…» mormorò lui cercando disperatamente di prendere aria, mentre il suo respiro si faceva ancora più veloce. Si aggrappò al braccio di Mikasa, che la ragazza aveva poggiato sulla sua spalla per sostenerlo e strinse la presa. 

«Vado a chiamare aiuto, aspetta qui»

A quella proposta, i suoi occhi si spalancarono terrorizzati. Questo la spaventò a morte: non aveva mai visto il capitano così, neanche nei momenti più disperati. 

«Ti prego...non...lasciarmi…»

In quell’istante, Mikasa finalmente realizzò cosa stesse succedendo. Levi stava andando in iperventilazione, lo sguardo perso che ormai non riusciva più a metterla a fuoco. 

«Levi. Guardami.» ordinò. 

Lui stava ormai perdendo conoscenza, il respiro completamente senza controllo, le mani che tremavano mentre dei gemiti di dolore gli sfuggivano dalle labbra dischiuse.

«Ehi! Guardami!» ripeté lei, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a guardarla negli occhi. 

«È tutto ok. Stai avendo un attacco di panico. Sono qui. Sei al sicuro.»

«Non...riesco…» mormorò lui con un tono quasi impercettibile, mentre delle lacrime si formavano nel suo occhio scoperto, impiastricciandosi con il sangue che gli imbrattava il viso. 

«Sì, che puoi. Guarda me. Segui il mio respiro, ok?» 
La ragazza aumentò la velocità dei suoi respiri, per cercare di far sì che lui potesse copiarla. 

Lui deglutì e gemette, poggiando di nuovo le mani sulle braccia di lei, mentre cercava di voltarsi.  

Mikasa non glielo permise. Si sporse in avanti e appoggiò la propria fronte su quella di lui. Poteva sentire i suoi respiri erratici sul viso. Chiuse gli occhi, cercando di trasmettergli tutta la calma di cui era capace. 

«È tutto ok...sono qui con te...sei al sicuro» mormorò dolcemente, rallentando gradualmente il respiro, per far sì che lui le andasse dietro. 

A Levi sfuggì un singhiozzo spezzato che le fece stringere il cuore. Le si appoggiò completamente addosso, lasciando che lei lo sostenesse. Mikasa gli accarezzò la guancia destra con delicatezza. 

«Va tutto bene...puoi farcela...non ti lascio…»


 
Dopo un tempo che le parve infinito, finalmente anche il respiro di lui cominciò a rallentare. 

Rincuorata, gli passò una mano tra i capelli, cercando di scostarli dal suo viso, ma senza allontanare la propri fronte dalla sua. 

Levi singhiozzò di nuovo, questa volta con frustrazione, poi alzò le mani ancora tremanti e si coprì il volto, allontanandosi impercettibilmente all’indietro. 

Mikasa lo tirò di nuovo a sé, facendogli poggiare la fronte nell’incavo tra il proprio collo e spalla ed iniziò a carezzargli la schiena e la nuca, abbracciandolo delicatamente. 

«Va tutto bene Levi, respira. È finita...» Lo disse rivolto a lui, ma anche lei rilasciò un sospiro di sollievo, mentre sentiva le proprie mani che tremavano impercettibilmente.
 
 
 
Rimasero fermi per circa un minuto: Levi appoggiato con la fronte alla sua spalla, Mikasa che lo stringeva, passandogli la mano destra sulla schiena. I respiri di lui si facevano via via più regolari, anche se qualche gemito continuava a sfuggirgli dalle labbra appena dischiuse. 

Qualcosa era cambiato in Mikasa. Aveva visto il capitano ferito, dolorante – anche spaventato – altre volte, ma ogni volta le aveva sempre trasmesso la sensazione di avere comunque tutto sotto controllo. Lo aveva visto gestire gli attacchi di panico di tanti commilitoni, non avrebbe mai creduto che un giorno sarebbe potuto succedere anche a lui. Si rese conto con certezza cristallina che l’immagine che aveva costruito di lui le era appena crollata di nuovo davanti agli occhi, lasciandole vedere l’uomo vero, vulnerabile, sofferente, che lottava come lei per affrontare i postumi di una guerra che era durata tutta la sua vita e lo aveva lasciato con cicatrici ben più profonde di quelle che sfregiavano il suo viso. 

Alla fine, Levi si scostò, appoggiandosi con le spalle al muro. Le lanciò uno sguardo esitante, poi abbassò gli occhi e poggiò i gomiti sulle proprie ginocchia. 

Mikasa sapeva di non essere nella posizione di poter parlare per prima, così rimase in silenzio ad osservarlo con la coda degli occhi. Dopo un primo momento in cui si era sentita quasi in imbarazzo per averlo visto così – per aver varcato a gamba tesa i confini della sua riservatezza – adesso paradossalmente si sentiva ancora più a suo agio. Sapeva bene che per lui non era la stessa cosa: Levi non mostrava mai a nessuno le sue debolezze, tantomeno ai suoi sottoposti. Si aspettava che provasse vergogna per ciò che era successo e che la respingesse di nuovo con freddezza.

«Sto bene» mormorò lui, la voce piatta, lo sguardo basso.

«Levi…» provò ad iniziare lei, ma venne prontamente interrotta.

«E tu? Stai bene?» 

Per la prima volta da quando erano usciti insieme dalla distilleria in fiamme, Mikasa si ricordò di quanto avevano appena vissuto. La mano sinistra scattò distrattamente verso la spalla opposta, stringendola per controllare eventuali danni. L’articolazione era ancora un po’ dolorante, ma non le sembrava nulla di grave.

«Sì...tutta intera»

Levi si alzò cautamente, la mano sinistra sempre stretta attorno al ginocchio, la mascella serrata ed evidente sotto lo spesso strato di polvere e sangue che gli ricopriva ancora il volto. Mikasa lo imitò in silenzio.

«Merda...siamo disgustosi…» sibilò il capitano cercando di ripulire le maniche della propria giacca «Vieni, conosco un posto dove possiamo ripulirci…» 

«I cavalli ed i cappotti...aspettami qui, torno indietro a prenderli» si intromise lei.

Lo vide esitare. Era combattuto tra l’idea di dimostrarle che stava bene ed il disagio che gli avrebbe provocato tornare indietro tra la gente. Strinse i pugni, ma non disse niente. 
Mikasa si avviò da sola sui propri passi. 
 


 
Quando tornò indietro dopo aver recuperato le loro cose, Levi la guidò fino all’unica locanda del paese. Legarono i cavalli su un lato dell’edificio prima di varcarne la soglia che si apriva sulla strada principale. L’insegna che si muoveva placidamente nel vento autunnale recitava “La scala di pietra”. Mikasa aggrottò la fronte di fronte alla stranezza di quel nome, ma non commentò. 

Non fecero neanche in tempo ad entrare, che una voce profonda e gioviale li accolse. 

«Levi, ragazzo! Forza, entrate!»

Mikasa spalancò gli occhi incredula. Ragazzo? Chi diavolo era che aveva il fegato di chiamare il Capitano Levi dell’Armata Ricognitiva a quel modo? 

Ad aver parlato era l’oste, un uomo alto e grosso come una montagna. Aveva folti baffi e barba brizzolati, una bandana a coprire la calvizie, braccia grosse e muscolose ed una prominente pancia che dava qualche indizio su quali fossero i suoi piaceri preferiti. 

L’uomo spalancò le braccia a mo’ di invito, spostandosi da dietro al bancone per venirgli incontro. Il resto della locanda era deserto, probabilmente sia per l’orario che per gli avvenimenti alla distilleria, che di certo avevano attirato quasi tutti i paesani. 

«Rufus, devo chiederti un favore» cominciò il capitano, fermandosi appena oltre la porta, con Mikasa subito dietro di lui. 

«Qualunque cosa per gli eroi della giornata!» Levi puntò uno sguardo interrogativo sull’uomo che gli si avvicinava.

«Credevi che le vostre gesta di poco fa nella distilleria rimanessero nascoste? Ne sta già parlando tutto il paese e non è successo neanche mezz’ora fa» proseguì Rufus prima di assestare una sonora pacca sulla spalla di Levi.

«Per questo siamo qui. Siamo sporchi fino al midollo… possiamo usare la tua fontana per darci una lavata?»

«Te l’ho già detto, tutto quello che ti serve. A te e a questa dolce fanciulla»

Levi gli lanciò uno sguardo seccato. «Non è una dolce fanciulla, è un soldato, mostra un po’ di rispetto»

Rufus si rivolse alla ragazza, profondendosi in quello che sembrava un inchino impacciato. 
«Le mie scuse, miss Ackermann, se vi avessi involontariamente offeso»

«Non c’è problema…» mormorò lei, ancora interdetta dallo scambio di battute tra i due. 

Rufus indicò col braccio la porta al di là del bancone.
«Conosci la strada, ragazzo, fate come se foste a casa vostra…»

Il capitano spostò il peso da una gamba all’altra, senza però avanzare. «Siamo coperti di polvere, non vorrei sporcarti tutto il pavimento…»

Ma Rufus lo interruppe esasperato: «Oh per la miseria, Levi! Credi che m’importi? Forza, andate!» e detto questo provò a spingerò dentro. 

Levi si divincolò allontanandogli il braccio: «Smettila di toccarmi. Cercavo solo di essere gentile, vecchio»

Rufus scoppiò in una sonora risata che fece quasi sobbalzare Mikasa. Levi sbuffò e proseguì verso la porta, con lei al suo seguito.


Sbucarono nel cortile della locanda, al centro del quale vi era una fontana con una grossa vasca di pietra, simile a un fontanile di campagna. Sul lato opposto rispetto alla locanda, c’era una tettoia che fungeva da stalla, attualmente vuota, fatta eccezione per un vecchio ronzino che si mise ad osservarli mentre scuoteva placidamente la coda. A sinistra, su un paio di funi tese, erano stese delle lenzuola e degli asciugamani. Levi si diresse lì e ne prese un paio.

Mikasa nel frattempo si avvicinò al fontanile ed immerse una mano nell’acqua limpida. Trattenne il fiato un po’ più rumorosamente di quanto avrebbe voluto, e Levi si voltò di scatto verso di lei, i sensi all’erta, in allarme.

«È fottutamente gelata» borbottò verso di lui, mentre osservava le sue spalle che si rilassavano.

Levi sospirò, avvicinandosi e togliendosi la giacca.

«Lo so… Mi dispiace, è il primo posto che mi sia venuto in mente…»

Mikasa non era abituata a sentirlo scusarsi: era sicuramente quello il motivo per cui si sentiva in imbarazzo, non certo perché lui stava iniziando a slacciarsi il foulard e la camicia.

«Va più che bene, non preoccuparti…Voglio dire, è meglio di niente» farneticò, lanciandosi ampie quantità di acqua gelida in faccia per distogliere lo sguardo dalla sua schiena ormai nuda.

Levi trattenne il fiato a sua volta quando immerse le braccia nell’acqua, ma poi sospirò con sollievo mentre si sciacquava il viso, il collo ed i capelli.

 
«Come vi siete conosciuti, tu e Rufus?»

Un sogghigno gli fece curvare un lato delle labbra e Mikasa provò un’immediata sensazione di sollievo nel vedere un’espressione meno tesa sul suo viso.

«Tanto tempo fa, l’ho battuto a braccio di ferro»

«Per “tanto tempo fa” intendi…»

«…Nella Città Sotterranea, sì, esatto»

«Oh…» fu il solo commento che Mikasa riuscì a fare. Con una titubanza che non le apparteneva, sbottonò la camicia a sua volta e rimase in canottiera. Levi si voltò in quell’istante, afferrando l’asciugamano. Le lanciò uno sguardo penetrante dei suoi, il suo occhio si mosse lungo tutto il suo corpo, come per esaminarla.
Mikasa sentì il calore salirle al volto, anche se sapeva che lui stava solo controllando che non ci fossero ferite evidenti. Si affrettò a strofinarsi le braccia.

«Quindi… ragazzo, eh?»

«Non provare a ripeterlo, ragazzina»

Mikasa ridacchiò.
Ripresero entrambi a lavarsi.

«Levi?»

«Hn?»

Mikasa si morse il labbro inferiore, per un attimo incerta, poi proseguì:
«Prima, nel vicolo…»

Vide Levi irrigidirsi. I muscoli della schiena si tesero in un istante.

«…hai detto “non di nuovo”… ti era già successo?»

Levi rimase in silenzio per qualche secondo con le mani appoggiate al bordo del fontanile che sorreggevano il suo corpo sporto in avanti. Poi annuì con un sospiro.

«Da quanto tempo…»

Anche questa volta, si prese il suo tempo prima di rispondere. Poi disse: «Da dopo Shiganshina»

Mikasa spalancò gli occhi, incredula. Shiganshina risaliva a tanti anni prima, c’erano stati quattro anni di pace, poi la guerra, poi questa nuova strana, definitiva pace senza giganti. In quasi tutto quel tempo, lei era stata accanto a lui, ignara di tutto.

«Non sono la persona che tu pensi, Mikasa…»
La sua voce era piatta, il tono era quello di sempre, ma non riusciva a celare completamente una punta di commiserazione. Si strinse nelle spalle, sempre senza guardarla.

«…sono un rottame»

Mikasa si voltò verso di lui, mentre un sorriso triste le distese leggermente le labbra.

«Quante volte ti è successo?»

«…ho perso il conto»

Questa volta la ragazza non riuscì a controllarsi e trasalì rumorosamente, con sorpresa. Lui le lanciò uno sguardo e si raddrizzò, voltandosi verso di lei e mostrandole il torso nudo, sul quale una cicatrice vistosa come quella sulla schiena compariva sul fianco, sbucando dal bordo dei pantaloni.

«Non è sempre come prima» proseguì, passandosi la mano sinistra nei capelli «…a volte è…» deglutì «…diverso.»

Tornò a guardarla in viso, mentre un’espressione quasi beffarda gli alterava i tratti.

«So cosa pensi…» allargò le braccia «Il soldato più forte dell’umanità. Un po’ deludente»

«Qualcun’altro ne è al corrente?»

«Hange…e… Armin»

Mikasa distolse lo sguardo, fissandolo sulle proprie mani.

«La prima volta…ero con lui» Levi sorrise malinconicamente «Mi ha salvato la vita»

«Non sei un rottame»

Lo sentì sbuffare. «Come vuoi, Mikasa…»

«Sono seria»

Il suo tono lo fece voltare verso di lei. Mikasa poteva sentire il peso del suo sguardo, nonostante non avesse ancora alzato il proprio dalle mani immerse nell’acqua.
«Non sei un rottame»

Con deliberata lentezza, sollevò il viso e lo guardò negli occhi. Lui rimase in silenzio. All’apparenza, quella poteva sembrare l’espressione stoica di sempre, ma la ragazza stavolta riconosceva la domanda nascosta dietro di essa: come fai ad esserne così sicura?

Restarono in silenzio per quello che sembrò essere un tempo lunghissimo, continuando a guardarsi negli occhi.

Lo so e basta, Levi.

Infine, sentendosi stanca come non le succedeva da anni, Mikasa si strinse nelle spalle.

«…un po’ danneggiato, forse. Ma niente che non si possa sistemare» disse quindi, con tono leggero.

Lo sguardo di Levi si addolcì impercettibilmente, prima di abbassarsi.

Rialzò il viso di scatto, inspirando rumorosamente quando lei lo schizzò con l’acqua gelata. Allargò le braccia - ricoperte di un fitto reticolato di cicatrici – e corrugò la fronte, mentre lei ridacchiava.

«Pensa bene a quello che fai, ragazzina»

«Lo sto facendo» rispose lei, con tono provocatorio, lanciandogli uno sguardo di sfida.

Non lo vide neanche muoversi, ma l’istante dopo sentì le sue mani sulle braccia e l’acqua gelida del fontanile la avvolse quando lui ce la spinse dentro. La ragazza si ritrovò completamente immersa nell’acqua, fatta eccezione per la testa e per le gambe dalle ginocchia in giù, ancora appoggiate sopra la vasca. Gli lanciò uno sguardo esterrefatto, mentre tratteneva il fiato per il freddo gelido.
Levi sogghignò, stringendosi nelle spalle.

«Merda! È gelata!»

«Non dire che non ti avevo avvisato»

Mikasa gli lanciò uno sguardo estenuato, prima di provare a tirarsi fuori dal fontanile, senza avere successo.

Tese una mano verso di lui «Sarai contento…almeno aiutami ad uscire»

Lui le prese il braccio sbuffando. A quel punto capì di aver commesso un errore. Con un’espressione dispettosa, la ragazza gli sorrise. L’istante dopo era immerso nel fontanile anche lui, praticamente caduto addosso a lei.

«Diamine, Mikasa!» sibilò
«Chi la fa l’aspetti!» ribatté lei mentre per un istante un'espressione biricchina le illuminava gli occhi. Lui le lanciò uno sguardo torvo e lei per tutta risposta gli schizzò di nuovo la faccia.

«Hai finito?»

«Altrimenti che fai?»

Fu solo dopo aver pronunciato la frase, che Mikasa si rese conto della posizione in cui si trovavano. Lui aveva le braccia – immerse nell’acqua – che le circondavano i fianchi. I loro visi erano vicinissimi, poteva toccare il suo petto con il proprio. Erano così vicini che la ragazza sentiva il respiro uscire dalle sue labbra dischiuse ed accarezzarle il viso. Sarebbe bastato spingersi avanti di qualche centimetro perché le sue labbra sfiorassero quelle di lui…

Si sentì avvampare. Distolse lo sguardo mentre si schiariva la gola e provava a divincolarsi. Levi fu d’improvviso anche lui cosciente della situazione e si spinse indietro con troppa forza, quasi cadendo giù fuori dalla vasca.

«Se non ti comportassi come una ragazzina tutto il tempo, non dovrei fare proprio niente…» borbottò, cercando di darsi un contegno mentre si frizionava con l’asciugamano.

Mikasa si tirò finalmente a sedere sul bordo della vasca, guardandosi i pantaloni zuppi con disappunto. «Se non avevo bisogno di vestiti nuovi prima, adesso ne ho decisamente bisogno, grazie a te»

Levi sollevò le sopracciglia, prima di rabbrividire nel vento gelido che aveva ricominciato a soffiare. Le porse nuovamente la mano e questa volta Mikasa si lasciò aiutare a mettersi in piedi.

«Il negozio di vestiti è a due passi da qui. Dividiamoci e vedi di comprarti qualcosa di pesante. Io andrò alle poste e poi ci rivedremo qui alla locanda»
La ragazza annuì prima di precederlo di nuovo all’interno.




 
Una volta che Mikasa fu uscita, Levi si lasciò cadere pesantemente su uno sgabello davanti al bancone. Rufus aveva già messo a scaldare un bollitore sul fornello.

«Quindi…tu e Mikasa Ackermann, eh?»

Il capitano gli lanciò uno sguardo annoiato e schioccò la lingua, prima di allungare la mano sinistra verso la tazza ora piena.

«Nient’affatto…»

«E allora perché è qui?»

«Credo non abbia altro posto dove andare»

Rufus gli scoccò uno sguardo di sbieco, mentre Levi fissava il fondo della sua tazza facendola roteare.

«Che vuoi dire?»

«È complicato» Levi si passò la mano destra tra i capelli, sospirando.

«Ho visto come vi guardate, Levi… non mi sembra ci sia niente di complicato»

Levi corrugò la fronte, ma non disse niente.

Era vero. Qualcosa era cambiato nel suo rapporto con Mikasa. Si sorprendeva a guardarla più di quanto non volesse ammettere. Si ripeteva che lo faceva per controllarla, assicurarsi che fosse ancora in piedi, che non stesse crollando a pezzi, ma non ne era più così sicuro. Quando lei sorrideva, qualcosa gli si attorcigliava nello stomaco. Si era assuefatto alla sua compagnia discreta come non avrebbe mai creduto possibile. A volte provava questo strano impulso di allungare la mano e toccarla. Passarle una mano sulla guancia o sui capelli, o prenderle la mano, come aveva fatto il giorno prima. Poi la ragione per fortuna subentrava quasi sempre, bloccando questi istinti sul nascere. Perché Levi nel profondo sapeva bene cosa Mikasa ci facesse da lui. E non c’entrava niente questo strano legame che si stava stringendo tra loro.


Un lampo di città infuocata, il vapore del più grande gigante del mondo che si decomponeva gli passarono davanti agli occhi in un istante. Occhi verdi che lo fissavano. Determinazione contro dubbi.


Levi si passò una mano sul viso, scacciando quei ricordi.

«Ehi ragazzo, sei ancora tra noi?» la voce di Rufus lo fece tornare al presente.

«Non è giusto per lei stare qui. Alla fine, lo capirà…» mormorò Levi, quasi parlando a se stesso.

Rufus lo guardò intensamente, cercando di leggere in quella testa dura, ma non commentò.

«Avete messo su uno show piuttosto impressionante giù alla distilleria…Il lupo perde il pelo, ma non il vizio, immagino…»

Il capitano si strinse tra le spalle. «Che vuoi farci, noi eroi siamo fatti così…» ma si concesse un ghigno sarcastico, che precedette di appena un attimo la manata rifilatagli dall’oste.

Lo sguardo di Levi si posò su un giornale poggiato sul bancone. Allungò la mano per avvicinarlo ed osservare meglio la fotografia che spiccava in prima pagina. Dalla guerra, diverse delle tecnologie avveniristiche di Marley si erano diffuse anche a Paradis e la fotografia era una di queste, assieme al telegrafo e ad alcune – rarissime – automobili.

Non appena riconobbe le due figure che spiccavano nel dagherrotipo, Levi rimase senza fiato. La sua espressione doveva essere cambiata parecchio, perché Rufus lo guardò preoccupato: non lo aveva mai visto così espressivo da quando lo conosceva. Levi era rimasto letteralmente a bocca aperta.

«Cazzo…» mormorò.

«Qualcosa non va?» Rufus aveva letto quel giornale ieri e niente di quanto c’era nella foto o di quanto era scritto nelle pagine gli avrebbe provocato una simile reazione. Corrugò la fronte continuando a guardare il capitano.

Levi si riscosse, cercando di dissimulare il suo stupore. «Posso tenerlo?»

«Ma certo…Se mi dici che diavolo hai visto in quella foto»

«Diciamo che riguarda il discorso che facevamo prima…»

«Non vedo come la regina Historia possa rientrare nel discorso…»

«Non importa, lascia perdere. E tieni la bocca chiusa» tagliò corto Levi, mentre piegava il giornale e lo infilava nella tasca del suo cappotto.
L’oste si strinse nelle spalle e aggiunse una dose non indifferente di acquavite alla sua tazza di tè con assoluta nonchalance.
 
 




Mikasa varcò la soglia della sartoria ancora quasi completamente zuppa. Sperava che i proprietari non se ne avessero a male. Una donna di mezza età le venne incontro sistemandosi un camice bianco pieno di spilli addosso. «Mi dispiace, siamo ancora in pausa pranz….oh cielo, cara! Ma cosa ti è successo?»

La ragazza allargò le braccia a mo’ di scusa, ma prima ancora che potesse rispondere, la sarta finalmente la riconobbe.

«Mikasa Ackermann!» sobbalzò portandosi una mano sul petto con aria teatrale «Oh cara, grazie, grazie per tutto quello che hai fatto per noi! E per la distilleria!»

Le si avventò contro, afferrandole un braccio e trascinandola più all’interno dell’ampio locale, riempiendola di complimenti. Mikasa non sapeva bene come rispondere a quelle esplosioni di entusiasmo che ogni tanto aveva dovuto subire da quando la guerra era finita. Si sentiva solo profondamente in imbarazzo e restava praticamente in silenzio tutto il tempo.

«Cosa possiamo fare per te, cara?»

«Io…ho bisogno di vestiti invernali, parecchi vestiti invernali. Maglioni, stivali, un cappotto…»

«Non serve dire altro! Abbiamo tutto quello che ti serve!» cinguettò la sarta continuando a stringerle il braccio. Mikasa cercò di divincolarsi educatamente, ma la presa si fece ancora più ferrea.

«Conti di restare in questa zona per l’inverno?»

Mikasa si trovò a riflettere su quella domanda. Finora si era limitata a restare da Levi senza fare piani e lui sembrava dare per scontato che sarebbe rimasta ancora a lungo a casa sua. La cosa le fece accelerare il battito cardiaco impercettibilmente, mentre qualcosa sembrava agitarsi nel suo stomaco.
«Sì…» mormorò esitante alla fine.

«Oh splendido!» esclamò la donna, allontanandosi finalmente dalla ragazza per andare a tirar fuori una enorme quantità di vestiti da sportelli e cassapanche per poggiarli sul bancone al centro del negozio. «Risiedi alla locanda, cara?»

«No, io…» Mikasa si schiarì la gola «…sono ospite del Capitano Levi»

Abbassò lo sguardo imbarazzata, mentre sentiva di arrossire sotto lo sguardo eloquente e civettuolo della proprietaria.

«Ohhh….ma certo…» commentò quest’ultima, farcendo le sue parole con quante più allusioni fosse possibile infilare in così poche sillabe.

Mikasa si schiarì di nuovo la gola, prendendo a giocare con il lembo della sua camicia. Era certa che la notizia che Mikasa Ackermann avrebbe passato l’inverno a casa del Capitano Levi era appena diventato il pettegolezzo più succulento di tutto il paese. Sospirò, sentendosi d’improvviso vulnerabile e giovane.

La donna, dal canto suo, smise di tormentarla e prese a mostrarle di tutto. In breve, selezionarono diverse cose. Mikasa si riteneva abbastanza soddisfatta, tutto le sembrava di ottima fattura e non troppo costoso. D’improvviso, la sarta aprì l’ennesimo guardaroba e gli occhi della ragazza vennero immediatamente attratti da una sottoveste di raso e pizzo rosa pallido. Trattenne il fiato e spalancò gli occhi. Ovviamente, la venditrice se ne accorse in un istante.

«Cosa ne dici, cara?» iniziò, appoggiando la sottoveste sul bancone «Ti starebbe d’incanto…oh avessi un fisico come il tuo non indosserei altro!»

Mikasa deglutì, ma decise di non commentare che quel fisico derivava da anni ed anni di guerra, una cosa che fa cambiare un po’ la percezione su cose così futili come vesti di seta.

«Sono sicura che anche il nostro Capitano apprezzerà…» continuò la donna a bassa voce, avvicinandosi a Mikasa con fare confidenziale.

Mikasa avvampò fino alle orecchie. Sentì la pressione sanguigna che aumentava con un sordo thud fin nelle tempie al solo terrorizzante pensiero che Levi la vedesse con quella cosa addosso.

«Oh io…» balbettò cercando di nascondere il suo imbarazzo senza riuscirci minimamente «no…è che mia madre aveva una sottoveste simile…» riuscì infine a dire. Era vero,

Mikasa la ricordava bene quando si avvolgeva in un vecchio kimono per nascondersi dal freddo pungente della loro baita, ma la sarta non le credette neanche per un istante. Alzò le sopracciglia ed arricciò le labbra. «Sì, certo, cara… come dici tu…»

La donna prese la sottoveste e gliela porse: «Non vorresti provarla?»
Mikasa scosse il capo con un po’ troppa enfasi. «Io…non credo che ne avrò bisogno, grazie.»

«Ecco cosa facciamo, cara. Questa qui la offre la casa, d’accordo?»

«Non posso accettare!»

«Coraggio, non fare storie. Consideralo un regalo per il tuo aiuto alla distilleria! Ecco, lo metto nel sacchetto e non ne parliamo più!»

Prima che Mikasa potesse protestare ancora, la sarta ficcò la sottoveste sotto a tutti gli altri vestiti e si voltò per andare ad arraffare qualcos’altro. La ragazza si accarezzò il collo incerta, ma non osò obiettare.

«E adesso, l’ultima cosa che ti manca è una bella sciarpa.» Le lanciò uno sguardo da sopra la propria spalla, come per studiarla «Scommetto che il bordeaux è il tuo colore!»
Scese dalla scaletta di legno sulla quale era salita per raggiungere gli scaffali dietro al bancone e le porse un pezzo di stoffa rosso.

Mikasa sentì il cuore precipitarle nello stomaco. Aveva tra le mani una sciarpa rossa, morbida, corposa. Praticamente identica alla sua sciarpa. Vide le sue mani che iniziavano a tremare debolmente, ma le sembrava di essere lontanissima, di guardare la scena dal di fuori, come se quelle fossero le mani di qualcun altro. Qualcosa nella sua espressione doveva essere cambiata, perché la donna corrugò la fronte e le posò esitante una mano sul braccio.

«Stai bene, cara?»

Mikasa provò ad aprire la bocca, ma ci ripensò e si limitò ad annuire. D’improvviso ebbe voglia di piangere. Avvicinò la sciarpa al viso e vi tuffò dentro il naso, quasi per nascondersi. Profumava di pulito e di caldo. Non c’era niente che somigliasse all’odore di Eren. La consapevolezza della mancanza del suo odore le fece stringere le labbra. Niente poteva più avere l’odore di Eren ormai…

«Sei sicura? Sembri sconvolta…»

Mikasa annuì di nuovo. Fece un grande respiro ed abbassò la sciarpa, cercando di rivolgere un sorriso incerto alla sarta. «Preferirei un altro colore…» riuscì infine a mormorare.
La donna sembrò sollevarsi nel sentirla parlare di nuovo e prese ad annuire con foga. «Ma certo, ma certo! Cosa ne pensi di un bel blu?»

Blu. Acqua. Oceano. Armin.

Mikasa scosse di nuovo la testa, questa volta meno titubante. «Avreste una sciarpa nera?»

«Nera, cara? Non vorresti qualcosa di più colorato? Hai scelto solo abiti grigi e marroni…non preferiresti qualcosa di più allegro?»

Mikasa si ricordò di una conversazione con le altre ragazze. Historia e Sasha sostenevano che gli abiti si abbinassero allo stato d’animo e che i loro colori potessero influenzarlo. «Io indosso sempre qualcosa di chiaro quando mi sento giù, e sto immediatamente meglio!» le risuonò nella mente la voce di Historia. Probabilmente avevi ragione…

«Nera andrà benissimo, grazie.»



 
Cosa ne pensate? 

Ammetto che non è stato facile scrivere la prima parte di questo capitolo, ancora adesso non sono soddisfatta al 100%, ma spero di aver reso l'idea! Non ricordavo se in "No regrets" l'oste con cui Levi si sfida a braccio di ferro avesse o meno un nome...così ho deciso di chiamarlo Rufus (: 

Spero di poter postare il seguito al più presto, 
grazie a tutti voi che state leggendo!

Chikay
   
 
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