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Autore: Circe    08/03/2021    0 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Dal grimorio di Bellatrix : “L’ultimo incantesimo”


Andammo avanti a quel modo fino all’ultimo, il mio timido tentativo di essere saggia e di frenare la sua sfrenata vena distruttiva, ovviamente, fu vano. La mattina del 30 aprile di nuovo mi svegliai fra le lenzuola imbrattate di sangue. 
Il mio e il suo. 
Ero sola nel letto, ma assaporai ancora una volta il suo odore sulle lenzuola, mi crogiolai in quella macabra beatitudine che era diventato un rito di accoppiamento esaltante e piacevole.
Rimasi lì a lungo, poi lentamente decisi di alzarmi.
Lui, il mio maestro, come era prevedibile, quella mattina non era lì nel letto con me. Ormai era giunto il giorno che precedeva la notte di Beltane, la notte del suo rito, i nostri incontri sessuali continui e ripetuti, per quel momento, volgevano al termine.
Quella volta, dunque, non mi preoccupai di usare la pozione sulle ferite: sapevo bene che quell’avventura era finita e volevo tenerne i segni in ricordo di quei momenti, il più a lungo possibile.
Quel giorno mi attendeva una dura prova: avrei dovuto vederlo stare male e questo cancellava tutta la gioia di avere l’onore di ricevere la coppa contenente la sua preziosa anima.
Eppure, dovevo affrontare quel momento, non potevo evitarlo, perché così voleva lui.
Sospirai e mi feci forza.
Appena alzata da letto, presi una giacchetta e vagai per le stanze a cercarlo.
Lo trovai velocemente, era intento a lavarsi il viso, lo guardai in silenzio, mi appoggiai allo stipite della porta senza entrare per non disturbarlo.
Era rimasto a petto nudo e non vi era più traccia dei segni del coltello, i pantaloni gli si appoggiavano morbidi sui fianchi magri, scendevano anche leggermente sulla vita, lasciando vedere bene le ossa del bacino che sporgevano leggermente sul ventre piatto. 
Vederlo così mi faceva venire ancora voglia di sesso, voglia di lui.
Non mi bastava mai.
Mentre si tamponava il viso con l’asciugamano, si voltò verso di me.
“Buongiorno, mio Signore.”
Attesi, nessuna risposta.
Lo fissai nei suoi begli occhi, erano normali, non aveva preso ancora nulla e ne fui contenta: volevo stare accanto a lui, volevo mi concedesse ancora qualche istante solo nostro, prima di perderlo di nuovo per quella mania di essere immortale.
Sapevo bene che poco dopo quei momenti insieme, sarebbe ritornato l’inferno. Lo sapeva anche lui infondo, ma era fatto così e io lo amavo lo stesso.
Non mi salutò, non disse nulla, si avvicinò lentamente ed io alzai lo sguardo non appena mi fu vicinissimo: alto e magro mi sovrastava totalmente.
Sempre silenziosamente, mise il braccio attorno alle mie spalle, stringendomi molto, così tanto che mi fece male, ma non ci badai. 
Sembrava un abbraccio, ma senza affetto, più un segno di possesso e mi piacque moltissimo.
Restammo così a lungo, il mio cuore batteva così forte che immaginai lo sentisse anche lui. Le guance mi divennero calde come il fuoco.
Poi, dopo diversi momenti, sempre senza separarci, ci spostammo nel piccolo salotto.
Lì lentamente e si allontanò da me, si mise di fronte e mi guardò serio.
“Sai già cosa devi fare quando ti porterò la coppa, vero?”
Annuii.
“Potete stare certo, mio Signore.”
Lo rassicurai subito, avevo pensato a tutto, gli avevo già spiegato tutto, ma volli ripeterlo ancora una volta, non volevo avesse dubbi, o pensieri per ciò che riguardava la mia parte del piano.
Avrei voluto restare con lui non appena fosse tornato, ma mi avrebbe sicuramente detto di no, dunque avevo preparato una buona scusa.
“Dato che compirete il rito questa notte, custodirò nelle mie mani la coppa fino al termine dei festeggiamenti di Beltane. Quando poi la Gringott riaprirà i battenti, gliela porterò io stessa e verrà custodita là, mio Signore, esattamente come mi avete chiesto voi.”
Feci una pausa e lo guardai attentamente negli occhi.
“Può andarvi bene?”
Lui mi guardò a lungo, poi annuì.
Vidi che iniziò a sistemarsi per uscire, dunque mi rivestii anche io, ripresi il coltello e notai che era ancora sporco di sangue. 
Sorrisi guardandolo, ripensai a quei momenti di passione e dolore che ne avevano macchiato la lama e mi resi conto che mi mancavano già. Impiegai del tempo, ma poi mi decisi a lavarlo e sistemarlo nel suo fodero. 
Mi ravviai i capelli  e sistemai come potevo il trucco sugli occhi. Non mi truccavo da giorni, ma dopo aver fatto l’amore tutte quelle volte, mi sentivo più bella e radiosa che mai. 
Prima di uscire insieme dalla porta di quella stanza, non potei fare a meno di fermarlo per un attimo ancora.
“Mio Signore, fate attenzione…”
Non mi rispose: sapevo che erano le classiche frasi che non sopportava, ma insistetti lo stesso.
“Aspetterò che mi chiamiate attraverso il Marchio, questa notte, come mi avete detto voi.”
Mi guardò fissamente, con un’espressione tra il divertito e lo spazientito.
“Ti ho già detto che lo farò. Ora lasciami fare e goditi la festa.”
Restai zitta, la sua voce, se anche voleva sembrare distaccata e perentoria, risultava tesa e stanca, mi costrinsi a lasciarlo andare, tanto non avrei potuto fare altrimenti: era fatto così.
Uscimmo insieme dalla stanza e davanti a noi ci trovammo, come se si fossero dati tutti un appuntamento simultaneo, vari Mangiamorte in trepidante attesa.
Ci squadrarono entrambi dalla testa ai piedi e ne seguì un lungo silenzio di attesa. 
Approfittai per guardare anche io il mio maestro. 
Era perfetto, a parte il pallore e un’ombra di occhiaie sul viso, appariva come tutti gli altri giorni. Al contrario, io portavo i segni dei suoi tagli orgogliosamente sul mio corpo, probabilmente erano già stati notati da tutti i presenti.
Non potei evitare di pensare, per un attimo, che lui ne andasse orgoglioso tanto quanto me e forse anche di più.
Fu Dolohov a reagire per primo a quel momento di generale attesa e smarrimento, lo prese accanto e si allontanò con lui, a breve distanza li seguirono gli altri Mangiamorte. 
Accanto a me restarono i pochi interessati solo alla mia persona: Rod, Rab e Alecto.
Quest’ultima era stravolta, guardava i miei tagli con gli occhi fuori dalle orbite, non osava chiedere, ma immaginava tutto.
Le puntai lo sguardo addosso.
Abbassai il vestito sulle spalle per mostrarle i segni.
“Hai visto? Non mi odia. Il tuo sciocco piano ha fallito miseramente.”
Sorrisi malignamente e non aggiunsi altro.
Lei non parlava, quasi balbettava.
Mi sfiorò il polso con le dita fredde e tremanti, lì vide altri tagli.
“È stato lui? Lo avete fatto insieme?”
Non le risposi, ma il mio ghigno soddisfatto fu abbastanza eloquente.
Vidi che si tratteneva dal piangere e strepitare. 
Non infierii, mi allontanai e la lasciai cuocere nel suo brodo.
Rimase sola e la incontrai soltanto dopo lungo tempo, non riuscii mai a capire se si fosse rassegnata, ma il solo pensiero che anche lei lo amasse, mi bastava per essere gelosa e crudele, quel sentimento non mi abbandonò più.
Rab quella sera di festa era silenzioso e distante, molto triste.
Non voleva accettare la mia relazione con il Signore Oscuro. Era curioso come avesse accettato il mio amore per il mio maestro, ma ora non voleva piegarsi al fatto che avessimo davvero una relazione.
In quel particolare momento, non provai nemmeno ad avvicinarlo, probabilmente avrei fatto solamente peggio.
Volsi lo sguardo a Rod, che mi guardava beffardamente. 
Non mi stupì quel suo sorriso sfrontato e dolce.
Sapeva bene, evidentemente, che in fin dei conti solo lui era in grado di sopportare il mio carattere e i miei sentimenti e di uscirne a modo suo vincitore.
Gli sorrisi di rimando.
“Signora Lestrange, ce ne andiamo a goderci la festa di Beltane?”
Non ebbi bisogno di rispondere, mi porse il braccio e lentamente ci incamminammo verso il villaggio magico. 
Alla fine, il matrimonio non lo avevamo sciolto, né lui né io ne avevamo più parlato.
Vivevamo a modo nostro in quel rapporto libero e malato, senza volerlo sciogliere del tutto, lasciandolo vivere di alti e bassi continui.
Non volli mai soffermarmi a capire se fosse per noi una comoda facciata, o più probabilmente, qualche sentimento nascosto ci tenesse ancora legati.
 
*** 
 
La giornata passò lenta nonostante i festeggiamenti.
Mentre i riti magici iniziarono già al calar del sole, la mia mente era fissa sul mio maestro e su cosa stesse facendo in quel momento. 
Alle prime luci del tramonto immaginai lui stesse preparando il suo rito privato.
Mi guardai intorno: la notte sarebbe passata così, in mezzo ai fuochi di maggio, tra danze, rituali e accoppiamenti, tra gente che avrebbe raccolto erbe prima del sorgere del sole e gente che avrebbe preso la prima rugiada di maggio.
Durante quelle ore così ricche di energia, avrei potuto usare la magia oscura per accrescere i miei poteri, ma non lo feci, non ci riuscii. 
Non feci assolutamente niente, per la prima volta nella mia vita, di tutta quella notte non mi interessava nulla, non attendevo altro che il bruciore del Marchio sul mio braccio. 
Volevo tornare da lui. Non volevo restasse solo.
Rod lo avevo perso poco tempo prima che iniziasse il vero caos dei riti, forse aveva trovato qualcuna con cui passare la notte.
Camminavo da sola in silenzio, coperta dal mantello e dal cappuccio, così nessuno mi avrebbe riconosciuta né dato noia.
Nell’aria bruciava di tutto, gli odori erano i più svariati, ma li conoscevo perfettamente. Improvvisamente mi venne un’idea: mi avvicinai ad un falò e respirai a pieni polmoni quel fumo denso, più e più volte. Era un trucco che usavamo da ragazzi, serviva per stravolgermi un po’.
Bighellonai senza meta a lungo, ma il tempo effettivamente passò prima.
Appena ravvisai che la notte stava per terminare, guardai verso il primo falò accanto a me, cercavo il fuoco e volevo che mi parlasse.
Il mio elemento non sbagliava mai, mi disse subito che dovevo tornare al Quartier Generale.
Sentii una rabbia pazzesca crescermi dentro: non mi aveva ancora chiamata, ma il suo rito lo aveva terminato. 
Lo avevo letto nelle fiamme, la nostra magia si parlava sempre.
Non capivo perché dovesse essere sempre così cocciutamente convinto di dover stare solo, aveva provato a spiegarmelo in quei folli giorni passati a letto insieme, ma io non lo accettavo.
Aveva me, potevo stargli vicino, non lo avrei mai lasciato solo. Potevo anche non capire il suo dolore più profondo, ma non lo avrei comunque abbandonato.
Giunsi al Quartier Generale, mi feci coraggio e scelsi di bussare alla porta, dopo alcuni istanti di attesa, questa mi si spalancò davanti autonomamente: aveva usato la magia per farmi entrare.
Feci alcuni passi e richiusi, poi mi avvicinai a lui.
Era accanto alla finestra socchiusa, sembrava stesse guardando l’alba ormai imminente.
Mi rassicurai vedendolo in piedi, non sofferente, ma mi dava le spalle, non lo potevo vedere e non si voltava.
Era strano.
“Stavo aspettando per vedere quanto avresti atteso prima di arrivare dal tuo Signore.”
Rimasi stupita, ovviamente mi arrabbiai anche, ma non lo feci notare.
“Mio Signore, mi avete detto voi di attendere il vostro richiamo, io ho aspettato finché ho potuto, poi il fuoco mi ha detto di venire da voi ugualmente e...”
Mi interruppe subito.
“Vorresti dire che è colpa mia se ti ho dovuta attendere?”
Certo che era colpa sua, fosse stato per me non lo avrei lasciato solo un singolo attimo.
“No, mio Signore, certo che no, la colpa è mia che non ho inteso appieno il vostro volere.”
Parlai in tono sommesso, ero comunque desolata di non riuscire mai a capire ciò che lui segretamente vuole da me, ma forse questo non lo sa nemmeno lui.
Si calmò subito, quando si voltò era tranquillo e annuì lentamente.
“Va bene, ora che sei arrivata ascoltami, la coppa è lì, avvolta nel mio mantello, la devi tenere con la massima cura.”
Volsi l’attenzione verso il mantello sulla poltrona, annuii, poi tornai con lo sguardo verso di lui. 
La prima luce del sole gli illuminava un viso stravolto, ciò che di delicato aveva dei lineamenti lasciava lentamente il posto ad un’espressione dura, selvaggia, distante.
Gli occhi erano completamente assenti, le pupille sparivano nelle iridi scure, rosse, inespressive. Era totalmente fatto, ecco perché, nonostante il rito, in quel momento non stava male.
Non sapevo cosa aspettarmi in seguito, non avevo sinceramente idea di cosa fare, ma sapevo che potevo stargli accanto e lo potevo fare solo io.
“L’incantesimo ha funzionato? Siete soddisfatto?”
Non rispose, ma fece cenno di sì.
“Ha provocato i soliti dolori?”
Restò zitto. 
Allora mi avvicinai lentamente, gli presi la mano: era fredda come il ghiaccio.
“Avete freddo?”
Non rispose nemmeno a quello.
Eravamo ormai così vicini da poterci sfiorare, ma non osai.
“Mio Signore, potete parlarmi? L’incantesimo ha già fatto il suo effetto distruttivo, oppure no? Così posso aiutarvi.”
Allora avvicinò le sue labbra al mio orecchio, per sussurrarmi la solita sua frase.
“Ti ho detto tante volte che non ho bisogno di nessuno, neanche di te.”
Dopo di che appoggiò lentamente la sua tempia sulla mia e chiuse gli occhi. 
Mi fece ridere, lui pensava una cosa, ma il suo corpo ne chiedeva palesemente un’altra.
Restammo così per qualche momento, zitti e fermi, sentivo il suo respiro lento sulla mia pelle. 
Chiusi anche io gli occhi, ferma insieme a lui in quell’attimo meraviglioso e tragico.
Solo dopo parecchio tempo lo baciai alla base del collo, sulla pelle lasciata scoperta dalla maglia, respiravo piano e sentivo il suo profumo freddo, inebriante.
Dopo quei lunghi momenti però mi fermai: quella sua calma totale mi faceva paura, era tremendamente innaturale.
“Mio Signore, state bene?”
Allora sentii che rialzava la testa con fatica e si allontanava leggermente.
Mi sorrise. 
Era tranquillo.
Il tempo si era come fermato, ogni cosa andava a rallentatore, aspettavo a lungo una sua minima reazione, mi adeguavo ai tempi indotti da una sostanza che non conoscevo e non comprendevo appieno.
“Non riesci proprio mai a non farmi domande e a non parlare, vero Bella?”
Sorrisi a quelle parole, mi venne spontaneo: si era sforzato di rimproverarmi e questo mi rincuorò parecchio.
“No, mio Signore, in effetti non riesco.”
Si scostò leggermente, sentii il vuoto accanto a me. 
“Non hai ancora guardato la coppa.”
Voltai lo sguardo verso di essa, in effetti non mi interessava affatto sapere che là c’era l’origine di tutti i suoi guai, di tutti i dolori e delle mie preoccupazioni.
Per farlo contento, comunque, mi avvicinai, la guardai e la riposi nel mobile dove l’avevo vista per la prima volta.
“L’ho messa a posto, mio Signore, la porterò al sicuro al più presto.”
Mi guardò ancora una volta, poi si sdraiò sul divano.
“Non mi hai detto nemmeno se ti piace.”
Sul momento non capii, la coppa mi sembrava tale quale all’ultima volta, mi piaceva, ma non immaginavo fosse importante.
Poi forse colsi il significato di quella domanda. Dopotutto entrambi ormai sapevamo che in quella coppa c’era la sua anima, voleva essere certo che avessi capito anche io l’importanza di quell’oggetto.
Cercai di dirglielo, ma senza dirglielo nello specifico, per non contrariarlo.
“Certo, mio Signore, non potevate farmi un dono più grande. Non trovo le parole per esprimere quello che sento davvero per l’onore che mi avete fatto. Custodirò quell’oggetto come se fosse parte di voi.”
Mentre rispondevo così mi inginocchiai accanto a lui, appoggiando il gomito sul divano per ammirarlo come mi piaceva fare sempre.
Vidi che sorrideva alle mie parole. Era soddisfatto.
“L’incantesimo non mi ha fatto male, ho preso la morfina per cui non ho sentito molto. Appena terminerà l’effetto, però, quasi certamente il dolore arriverà tutto in un colpo.”
Fece silenzio.
Non riusciva proprio a dirla quella frase, non riusciva a dire che aveva bisogno di me.
Allora lo tolsi dall’imbarazzo.
“In quel caso, mio Signore, poterei servirvi io.”
Piegò la testa per guardarmi.
“Devi prepararmi quello che ti chiederò, inoltre devi tenermi lontani gli altri Mangiamorte. Non riuscirei a gestirli ora.”
Mi voltai velocemente, guardai verso l’armadietto delle pozioni dove erano sparse boccette, siringhe, ovatta.
“Sempre la morfina, mio Signore?”
Lui annuì.
“Ricordati i Mangiamorte. Non li voglio vedere.”
“Certo, mio maestro, ci penserò io. In ogni caso il problema non si porrà: hanno passato la notte ai falò di Beltane, non credo vi verranno a disturbare all’alba.”
Restammo in silenzio ancora per diversi istanti. Io lo guardavo sempre, mi abituavo a quel nuovo aspetto, sempre più selvatico e crudo.
Mi resi conto però che il nostro rapporto non era cambiato dopo il rito, quel rompersi dentro non aveva intaccato minimamente il suo atteggiamento nei miei confronti. 
Ne fui veramente sollevata: non sempre era stato così.
Allungò la mano sui miei capelli, ne afferrò una ciocca e si mise a giocare con essa, come ormai era solito fare in quei momenti.
“E tu non sei stanca, Bella?”
Scossi la testa.
“Sto benissimo qui con voi, mio maestro.”
Si tirò sui gomiti con fatica e mi guardò fissamente. Gli occhi erano sempre strafatti, le pupille quasi invisibili.
“Quello di stanotte è stato l’ultimo rito di questo tipo, almeno per molto tempo a questa parte. Il mio corpo non li regge più, devo fermarmi, altrimenti rischio di fare peggio.”
Annuii, fui veramente contenta di quella decisione. 
Mi resi conto che talvolta sembrava più lucido e razionale in quello stato, rispetto a quando era totalmente pulito dalla morfina, o dal laudano.
Quando non era fatto, la sua smania di potere e rovina lo portava spesso ad eccessi incomprensibili e controproducenti.
Abbassò di nuovo i gomiti e tornò a sdraiarsi.
“Ci concentreremo su altro.”
Riprese a giocherellare con la mia ciocca di capelli.
“Come volete, mio Signore, qualsiasi cosa desideriate fare voi, potete chiedermela e la avrete.”
Mi guardò ancora a lungo.
“Bene, sei sempre la migliore, mia Bella.”
Si avvicinò piano e improvvisamente mi tirò a sé, approfittando dei capelli che teneva ancora saldi nella mano.
Gridai leggermente, perché mi faceva male, lui invece si mise a ridere. Tutta quella strana e particolare intimità mi piaceva.
Non potei evitare di ridere anche io con lui.
Mi baciò lungamente e languidamente, senza il fuoco della solita passione, poi tornò a sdraiarsi e non mi parlò più.
Restammo così ore, il sole era già alto quando ci addormentammo, probabilmente entrambi, in attesa degli eventi.
 
   
 
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