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Autore: Clodie Swan    09/03/2021    3 recensioni
“Noi non siamo i nostri genitori. Non siamo le nostre famiglie.” le disse con un tono dolce guardandola intensamente. Le sue parole la calmarono subito e annuì con un piccolo sospiro.
“E poi...” cominciò Jughead lasciando subito la frase in sospeso.
Non era da lui balbettare o restare a corto di parole. Betty ne fu sorpresa e lo guardò interrogativa.
Jughead esitò trattenendo il fiato per un istante.
“Cosa?” chiese lei incoraggiandolo con lo sguardo curioso.
Negli occhi di lui vide un lampo di risolutezza e sentì le sue mani sul viso. Un attimo dopo la stava baciando.
Betty e Jughead: due diverse solitudini che si sono trovate. Cosa hanno provato i due ragazzi prima di quel bacio inaspettato?
Scritta in collaborazione con Daffodil.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

Where's My Family Gone


 

I close my eyes there's no one there
I open wide to show I care
But I can't take much of this, you know
But it's gonna take more than this, for sure

And I wanna know, what went wrong
And I wanna know, where's my family gone.

                                                             Andrew Cushing

POV Betty di Clodie Swan

Mentre si avviava verso la fermata dell’autobus, Betty ripensò alle chiamate perse da parte di Polly che aveva trovato sul suo cellulare durante l’estate e si accorse che sua sorella l’aveva chiamata diverse volte proprio il giorno del suo presunto ricovero. In quei giorni si era chiesta se sua sorella non avesse tentato di chiedere il suo aiuto. E lei,invece, era stata completamente assorbita da quello stupido stage, a scrivere articoli sulla carta da parati rimovibile! Cercò di scrollarsi quegli inutili rimpianti e mandò un messaggio a Jughead per dirgli che stava arrivando.

Quando presero posto sul pullman tra loro calò uno strano silenzio. Di solito trovava sempre argomenti su cui chiacchierare con Jughead, ma forse l’ansia aveva avuto la meglio quel giorno. “Insomma, Jughead,” disse ad un tratto per spezzare la tensione. “Stai già cercando un altro lavoro dopo il drive -in?”

Lui fece un sospiro. “Per ora no. Ha alcune cose da sistemare.”Rimase in silenzio poi aggiunse “A casa ci sono stati dei problemi...”

Betty si scoprì più interessata di quanto pensasse. “Mi dispiace. Niente di grave, spero?”

Jughead esitò, poi decise di confidarsi. “I miei non andavano molto d’accordo ultimamente e mia madre è andata dai nonni per un po’ con mia sorella.” Quando nominò la parola sorella la sua voce s’incrinò. Il ragazzo si voltò a guardare fuori, posando la testa contro il finestrino. In quella posa, sembrava il soggetto ideale per un ritratto. Betty notò che aveva dei lineamenti molto belli.

Si sentì addolorata per lui. Jughead era sempre così solo. “Mi dispiace, Juggie.” Voleva aggiungere qualcos’altro ma preferì accarezzargli il dorso della mano per confortarlo. Sentiva di capirlo. Anche a casa sua le cose con i genitori andavano sempre peggio. E anche lei aveva nostalgia di sua sorella.

Jughead guardò la sua mano e arrossì leggermente. Betty si ritrasse.

“Scrivi sempre il tuo romanzo?” chiese con gentilezza.

“Sempre. Scrivo qualcosa tutti i giorni.”

“Lo faccio anch’io. Ho un diario. Mi aiuta a sfogarmi e a tenere il...”non seppe come concludere la frase.

“Controllo.” concluse lui annuendo. Risero entrambi. Betty si sorprese ancora una volta di quanto Jughead la facesse sentire a suo agio, in pace con sé stessa. Aveva creduto la stessa cosa di Archie ma ultimamente i loro rapporti erano cambiati. Archie era preso dalla sua musica e dalle sue canzoni strappalacrime che fino a poco tempo prima l’avevano emozionata, ma ultimamente le facevano solo venire voglia di tagliarsi le vene. Vederlo flirtare con Veronica e con Valerie non le aveva dato un grosso fastidio. Gli avrebbe sempre voluto bene, era suo amico. Era amica anche di Jughead, ma c’era qualcosa di diverso. Anche lo conosceva fin da bambino, le sembrava di cominciare a conoscerlo veramente soltanto adesso.

L’autobus arrivò a destinazione di fronte ad un imponente e minaccioso edificio. Betty e Jughead rimasero immobili a fissarlo, intimiditi per qualche secondo. Lui fece una battuta per sdrammatizzare ma lei si rattristò. “I miei genitori tengono Polly chiusa qui da mesi. Ed io non ho fatto nulla.”

Jughead le posò una mano sulla spalla come stava facendo spesso in quei giorni. “Lo stai facendo ora.” Betty si sentì rincuorata e dopo essersi stretta la coda di cavallo, si fece coraggio e attraversò il marciapiede seguita dal suo fedele amico.

All’ingresso furono subito separati dato che soltanto i parenti erano ammessi come visitatori e Jughead dovette aspettare nell’atrio. Le dispiaceva lasciarlo lì ma lui la esortò a proseguire. Betty gli rivolse uno sguardo riconoscente: senza di lui non sarebbe arrivata neppure al portone.

Polly era nel giardino, in salute, serena ed incinta! Betty la abbracciò troppo felice per parlare e la tenne stretta. Non riusciva a credere a quello che vedeva: sua sorella aspettava un bambino! Ed era di Jason!

“La mamma mi aveva detto che non volevi vedermi, ma io non le ho creduto.” le raccontò Polly entusiasta di averla lì. Betty provò un senso di colpa: neanche lei avrebbe dovuto credere a tutto quello che le avevano detto i genitori! Come avevano potuto rinchiuderla in un istituto solo perché era rimasta incinta? Polly sembrava piuttosto provata dalla sua permanenza in quell’orribile struttura, ma le riferì in maniera lucida e composta tutto quello che era successo l’estate precedente mentre lei si trovava in California.

I Blossom avevano messo sotto pressione Jason affinché lasciasse Polly e lui a malincuore aveva ceduto. Polly aveva litigato con lui per non aver difeso il loro rapporto ed erano stati separati per un po’, finché un giorno la ragazza non aveva scoperto di essere incinta. Quando lo aveva detto a Jason, lui era stato felicissimo: non aveva mai voluto lasciarla e adesso era disposto a lottare per lei. Lo avevano detto solo a Nonna Rose che aveva dato loro la sua benedizione, regalando a Polly un antico e prezioso anello di fidanzamento, un tesoro di famiglia da decenni. Purtroppo non aveva potuto indossarlo per mantenere la relazione segreta e lo aveva ridato a Jason

Il ragazzo aveva cominciato a mettere da parte dei soldi per poter fuggire insieme alla fidanzata e si era procurato una macchina per il loro viaggio. Le aveva dato precise istruzioni per raggiungerlo e aveva inscenato la sua morte per non farsi trovare dai suoi genitori. Sapeva che i Blossom avrebbero rivoltato mari e monti per riportarlo a casa. Una volta insieme, le avrebbe infilato al dito l’anello e sarebbe andati a stare in una fattoria per crescere insieme il bambino.

Le cose non erano andate come previsto: Polly era stata scoperta ed internata il giorno stesso della fuga e non aveva potuto avvisare Jason.

“Gli daresti un messaggio da parte mia?” la implorò Polly quando ebbe finito il suo racconto. Non sapeva ancora nulla dell’omicidio! I loro genitori non glielo avevano nemmeno accennato! Per Betty quella fu la parte più straziante. Con le lacrime agli occhi, fu lei a dover comunicare la terribile notizia a sua sorella, vedendola crollare piangendo quasi incapace di sopportare tutto quel dolore. Betty temette per la salute di sua sorella e del bambino e non seppe come comportarsi, ma all’improvviso una suora le riportò dentro con modi bruschi.

Polly fu condotta via mentre Betty venne accompagnata in una stanza da cui le fu intimato di non uscire. Betty prese il cellulare e mandò un sms a Jughead. “Polly aspetta un bambino da Jason. Non sapeva nulla.” Non aveva fatto in tempo a inviarlo che nella stanza fece irruzione sua madre.

Alice Cooper, elegante nel suo cappotto di cammello, squadrò gelida la figlia. “Do molti soldi alle sorelle. Credi che non mi avvisino se Polly riceve una visita?”

Betty tentò di protestare ma sua madre la prese per un braccio e la trascinò fuori. Nel corridoio trovarono un infermiere che scortò le due donne e Jughead verso l’uscita. Lì incrociarono Polly che veniva riaccompagnata in camera. La ragazza era sconvolta e cominciò a sbraitare e inveire contro sua madre. Betty lanciò uno sguardo impotente a Jughead e corse ad abbracciare sua sorella prima che venisse trascinata via.

“Ti tirerò fuori di qui, te lo prometto!”le mormorò piangendo all’orecchio.

Tutto finì rapidamente: Polly venne rinchiusa nella sua stanza e Alice fece salire Betty in macchina. La ragazza guardò addolorata Jughead che era rimasto sul marciapiede e la fissava pieno di compassione. Quando la macchina fu partita Betty gli scrisse un altro messaggio. “Mi dispiace tanto di averti lasciato lì. E tu abbia assistito a quella sceneggiata. Perdonami, ti chiamerò più tardi. Mi aspetta una serataccia.” Si abbandonò con la schiena sul sedile e si mise a piangere per la frustrazione e la rabbia.


 

POV JUGHEAD di Daffodil


“Kevin, hai visto Betty?” la fiumana di ragazzi diretti alla mensa lì sorpassò senza degnarli di uno sguardo. Keller rimase per un attimo accigliato quando vide chi lo chiamava, distogliendolo da una fitta conversazione con Moose.
“Non è venuta questa mattina!” rispose seguendo il giocatore di football con gli occhi.

Si spostò di lato e tirò fuori il cellulare “Ehi, come va?”. Aveva aspettato tutta la sera prima una messaggio da parte di lei, era passato verso l’ora di cena casualmente per Elm Street… aveva accettato la pasta al formaggio a casa Andrews poiché Fred lo aveva colto in flagrante mentre cercava di capire cosa accadeva nel soggiorno illuminato di Casa Cooper… era tornato al suo rifugio ed era rimasto seduto sul sacco a pelo con le gambe incrociate e il telefono tra le mani fino a che non era crollato e il suo sonno era stato costellato di parole non dette.

In mensa a stento riuscì a inghiottire una forchetta di insalata… frustrato lasciò cadere rumorosamente le posate, prese la sua borsa a tracolla e imboccò la porta.
Conoscendo tutte le scorciatoie di Riverdale, passò abbastanza vicino alla redazione del Register per scorgere i genitori di lei dietro le rispettive scrivanie… e già questo era un dettaglio non da poco… due svolte a destra, due vicoli pieni di bidoni della spazzatura e si trovò a poche villette dalla sua meta.

Era talmente agitato e preoccupato che non aveva pensato a niente altro che a vederla… forse avrebbe potuto passare da Pop’s per un milkshake, o una fetta di torta…

La prossima volta che avrebbe incontrato Fred Andrews lo avrebbe ringraziato… la scala di legno da muratore era esattamente quello che gli serviva…

Quanto arrivò al quartultimo gradino, non era più tanto sicuro della sua trovata, ma ormai era lì e l’aveva scorta seduta alla toletta che si tormentava quella piccola collanina in oro che portava sempre. Attraverso il riflesso dello specchio poteva scorgere il suo sguardo triste e assorto, i denti che tormentavano il labbro inferiore.

Era arrivato il suo momento: bussò. La vide girarsi stupita e il sorriso che le piegò le labbra valse la paura paralizzante che aveva nello stare su quella scala. “Ehilà Giulietta! La balia è fuori servizio?” l’agilità non era proprio il suo forte e nemmeno la coordinazione occhio mano. Lei ancora lo scrutava sorridendo, gli occhi verdi erano tornati a splendere.

  
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