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Autore: DanzaNelFuoco    10/03/2021    1 recensioni
Kyoto era incantevole in primavera.
Il rosa dei fiori di ciliegio che volteggiavano nell’aria sarebbe stato quasi stucchevole in un’altra vita - vomitevole, come se ci fosse tempo da sprecare nella sciocca poeticità della caducità dell’esistenza umana. Ma quella vita se l’era lasciata alle spalle, ora che i suoi debiti di sangue erano stati ripagati aveva tutto il tempo del mondo da buttare.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton | Coppie: Harry/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Reality Challenge - week 3 (24/08/2019) 

 

- Pink flowers falling - 


Kyoto era incantevole in primavera. 

Il rosa dei fiori di ciliegio che volteggiavano nell’aria sarebbe stato quasi stucchevole in un’altra vita - vomitevole, come se ci fosse tempo da sprecare nella sciocca poeticità della caducità dell’esistenza umana. Ma quella vita se l’era lasciata alle spalle, ora che i suoi debiti di sangue erano stati ripagati aveva tutto il tempo del mondo da buttare.  

John Smith - questo era il nome che aveva dato al vecchio affittacamere babbano che gli aveva procurato una stanza - era solo un turista inglese di mezz’età che aveva deciso di girare il mondo. 

I primi tempi erano stati complicati. Nascondersi, fingere, ingannare…. quello lo sapeva fare benissimo. Mentire per lui era ormai più semplice che respirare, inventare molteplici identità da cucirsi addosso come una seconda pelle la normalità. 

La difficoltà era stato rendersi conto che avrebbe potuto smettere di farlo, almeno in parte. Non che avrebbe mai più potuto usare il suo vero nome o raccontare a chiunque cosa avesse fatto prima di intraprendere il suo giro del mondo o mostrare il suo vero aspetto - persino i muri avevano occhi e orecchie e, per quanto lui fosse una brava spia, nessuno poteva ingannare contemporaneamente il Signore Oscuro e il Ministero della Magia e sperare di cavarsela senza mettere in pratica almeno gli accorgimenti più semplici, ma d’altra parte non era che lui ci fosse mai stato particolarmente affezionato al proprio nome o alla propria immagine. 

Così Severus Snape, il professore più odiato di Hogwarts, era morto - e il suo nome riabilitato da niente meno che Harry Potter, com’era ironica la vita - e John Smith, l’uomo più anonimo d’Inghilterra, aveva preso una passaporta per l’Uruguay. 

Da allora erano passati due anni e lui non era mai stato così…. libero. Aveva vinto. Il figlio di Lily era salvo, il Signore Oscuro definitivamente sconfitto, qualsiasi legame con Hogwarts reciso dalla morte di Dumbledore, ogni debito ripagato da quegli argentei ricordi che aveva consegnato a Potter e suggellato dal morso di Nagini. 

Dubbi sulla sua morte non ne erano stati posti - tutti erano talmente sollevati di poter archiviare la faccenda tanto spinosa del suo doppiogioco con la sua morte che il suo processo postumo era durato mezz’ora e alla fine gli era persino stato affibbiato un encomio - ma Snape era abbastanza prudente da sapere di non potersi fermare in pianta stabile in alcun luogo. Oh, certo alla fine, lo sapeva, sarebbe tornato in Gran Bretagna, ci sarebbero voluti anni - una decina probabilmente - ma poi la stanchezza lo avrebbe richiamato a casa, in un piccolo cottage in mezzo al nulla, perché in fondo lui era un nostalgico abitudinario, sempre troppo legato al passato per lasciar correre, e nessun paese al mondo lo avrebbe affascinato tanto da fargli mettere radici e impedirgli di tornare. 

Certo, aveva pensato di fermarsi in Giappone poco tempo - un paio di mesi prima di ripartire alla volta dell’Australia - e invece a Kyoto aveva già passato sei mesi e ancora non si decideva a fare le valigie e andarsene. 

In fondo gli piaceva passeggiare in mezzo alle stradine affollate, mescolarsi tra i turisti senza meta, leggere un libro nuovo ogni settimana sulle panchine nei giardini del Ginkaku-ji, cenare sempre nello stesso ristorante affacciato sul parco Maruyama, tanto che ormai il proprietario lasciava sempre libero il suo tavolino nell’orario in cui sapeva che il “puntuale turista inglese che parla giapponese con un accento buffo” sarebbe arrivato - e una volta gli aveva persino regalato un frutto, come gesto di cortesia, uno di quei costosissimi cocomeri cuboidali che sembravano usciti da un libro di fantasia piuttosto che da una serra e per il quale Snape aveva cominciato a sospettare che la comunità magica giapponese fosse molto più presente di quanto non si sarebbe potuto pensare.

D’altro canto a Severus la comunità magica mancava. Non certo i giochi di potere e gli intrighi e nemmeno la magia in quanto tale dal momento che, dopo essersi procurato una nuova bacchetta a Nocturn Alley, aveva potuto ritornare a fare incantesimi, quanto piuttosto gli mancava essere attorniato da persone che sapessero, a cui non fosse necessario nascondere la propria natura. Ma cercare la comunità magica locale equivaleva a far notare la propria presenza e questo era qualcosa che l’attentissimo Severus non si sarebbe mai permesso. Le domande avrebbero sicuramente generato altre domande - chi era che voleva saperlo? Perché? Era a conoscenza l’istituzione  magica giapponese della presenza di un mago inglese sul suolo nipponico? Ci sarebbero stati fascicoli aperti e una collaborazione con il Ministero Britannico e Severus non voleva correre il rischio.  

Dopotutto bastava evitare di pensarci e lui era molto bravo ad ignorare quello che non voleva vedere. 

Così si lasciva prendere dell’abitudine e continuava a passeggiare in mezzo alle stradine affollate, mescolandosi senza meta tra i turisti, leggendo libri sulle panchine e cenando sempre nello stesso ristorante.

Ed era lì a cena, con un gambero crudo in equilibrio precario sul riso che teneva tra le bacchette, quando la sedia di fronte a lui venne scostata e la sua routine interrotta. 

“È libero questo posto?”   

Senza nemmeno attendere un cenno, l’uomo che aveva parlato si lasciò cadere sulla sedia e cominciò ad armeggiare in una borsa alla ricerca di qualcosa.  

“Prego?” Inarcò un sopracciglio Snape. Doveva ammettere che da quando aveva cominciato ad assumere la Polisucco quell’espressione facciale aveva perso un po’ della sua verve. 

“Oh, è inglese anche lei!” L’uomo emise un sospiro di sollievo. “Io sono William, mi scusi se invado il suo tavolo, ma è l’unico con un posto libero, non riesco a capire una parola di quello che dice il cameriere e non sa che fatica con tutti questi soldi babbani! Ho bisogno di un momento!”

Nel mentre il menzionato cameriere - che in realtà era il proprietario, il signor Aizawa - si era accorto che l’uomo non se ne era andato come gli aveva detto, ma aveva preso possesso dell’altra sedia al tavolo di uno dei suoi clienti più fedeli, quindi con un a mezza imprecazione si era diretto da loro per cacciare l’intruso. 

In un’altra occasione, Snape sarebbe stato più che lieto di lasciarglielo fare, ma la sua attenzione era stata catturata. E d’accordo non era molto prudente, ma in fondo poteva sempre Obliviare l’uomo se ce ne fosse stato il bisogno. 

Così aveva detto al proprietario con il suo giapponese magicamente tradotto di lasciar stare l’uomo, che era suo ospite, e dopo aver fatto da interprete tra i due, aveva ordinato per l’altro. Solo quando il signor Aizawa aveva portato il piatto e si era allontanato, Snape si era rivolto all’uomo. 

“Soldi babbani?”

William quasi si strozzò con la carota in tempura che aveva appena addentato. “Ehm, sì, cioè, intendevo dire gli yen. Sa non mi ricordo bene il nome.” Sembrava imbarazzato, quasi fosse un mago colto in fallo da un Babbano. Eppure… 

Severus lo squadrò. Strano. Se l’uomo era davvero un mago era abbastanza giovane per essere stato un suo allievo ad Hogwarts. Avrebbe dovuto ricordarsene. Invece quel ragazzo alto e dai capelli biondi non gli ricordava proprio nessuno. Men che meno qualcuno che si chiamasse William. “Lei è mai stato a Diagon Alley?” Cercò di sondare le acque, dal momento che chiedere di Hogwarts avrebbe potuto portare l’uomo a chiedersi come mai Severus dovesse conoscere buona parte degli alluni. 

Alla domanda la faccia di William sembrò illuminarsi. “Oh! Ma allora anche lei è un - ” l’uomo si interruppe bruscamente piegandosi sul tavolo con fare cospiratorio. “Allora anche lei è un mago!” bisbigliò.  

Severus annuì, senza sbottonarsi. 

“Non credevo ce ne fossero altri qui! Comunque, a Diagon Alley ci sono stato solo l’anno scorso! So che è il quartiere magico più importante di tutta l’Inghilterra, ma mi sono ritrasferito in Inghilterra da poco. O forse una volta ci sarò stato quando avevo cinque anni, non ne sono molto certo.” 

“Ritrasferito?” Ora che lo notava, la voce dell’uomo aveva una cadenza strana, non troppo marcata, ma le parole risultavano leggermente strascicate. 

“Oh, sì, i miei genitori hanno insistito perché studiassi a Beauxbaton. Non sa! Sono tornato da più di un anno perché mi hanno offerto un buon posto di lavoro!” 

“Ah, e dove lavora?”

“Al San Mungo. Mi hanno assunto come pozionista.”

Questo catturò l’attenzione di Snape. Per quanto avesse odiato il lavoro di insegnante, le pozioni erano l’unica ragione per cui non avesse sbattuto la testa contro la parete del sotterraneo fino alla morte e il fatto di avervi dovuto rinunciare era una delle cose che più gli mancavano dell’essere Severus Piton. 

John Smith dopotutto non aveva abbastanza spazio dove poter istituire un laboratorio, né la possibilità di farsi arrivare determinati ingredienti senza essere costretto ad identificarsi. L’ultima volta in cui aveva tirato fuori le sue arti era stato prima di morire per inventare un modo di stoccare la Polisucco abbastanza a lungo da permettergli di poter fuggire. 

Che l’uomo di fronte a lui fosse proprio inglese e proprio un pozionista era una strana casualità e Snape non avrebbe abbassato la guardia, ma William sembrava innocuo e Severus non aveva una conversazione decente da due anni, men che meno con un ragazzo così piacevole alla vista. 

Così quando, sorprendentemente, William lo informò con le gote arrossate che aveva una stanza in un hotel a pochi passi dal ristorante, Severus accettò di seguirlo.

 

* * * 

 

Severus aprì gli occhi mezzo assonnato, proibendosi di dormire. Aveva un leggero mal di schiena, il futon era troppo scomodo per un uomo della sua età - avrebbe dovuto insistere per andare nella sua stanza, dove il letto era di foggia occidentale - eppure la stanchezza e il calore di William accanto a lui gli rendevano le palpebre pesanti.

Controllò l’orologio. Mancavano ancora dieci minuti allo scadere della Pozione Polisucco - era stato attento a fare una strategica pausa bagno per berne un sorso ed evitare di venire scoperto. 

William si mosse accanto a lui, accoccolandosi contro il suo fianco. 

“William, dovrei andare in bagno.” 

“Non c’è fretta, John. Altri dieci minuti.”

Severus annuì, ma dieci minuti non li aveva. Insistere sarebbe stato fuori luogo, dopotutto sarebbe bastato accontentarlo per un paio di minuti per poi alzarsi. Aveva ancora tempo. 

“Sai, quando ho intrapreso questo viaggio, non avrei mai creduto di finire in questa situazione,” William disse dopo alcuni minuti di silenzio. 

“Abbracciato ad uno sconosciuto su un futon troppo basso in un hotel eccessivamente caro per i servizi che offre?”

“Detto così sembra squallido,” sbuffò divertito William. 

“Però è la verità.” 

“Non è sempre necessaria la verità.”

“No, suppongo di no.” Severus gli diede ragione, rivolgendo lo sguardo al soffitto. La sua vita era tutta lì, in un precario equilibrio tra bugie, verità e vie di mezzo che le mischiavano entrambe. 

“Dopotutto le bugie non fanno male, al contrario della verità.”

“Discutibile” Severus rispose, aggrottando la fronte. C’era qualcosa di strano nel tono dell’altro.  

“No, non lo è. Non fa male la bugia, è pensata perché tu non soffra. Quello che fa male è rendersi conto che è una bugia, il suo confronto con la verità, quando scopri che tutto quello che credevi fosse reale era stato costruito. È quello che ti ferisce, non la costruzione in sé e per sé.” 

“Perché stiamo filosofeggiando di bugie e verità, William?” 

“Perché stiamo aspettando che finiscano gli ultimi dieci minuti della tua Polisucco, John.” 

Snape rimase in silenzio, il sangue gli si gelò nelle vene. 

“E gli ultimi dieci minuti della mia, dopotutto se fossi venuto con il mio vero viso non saremmo qui ora.” 

Dov’era la sua bacchetta? Diamine troppo lontana e William - o chiunque fosse - lo stava tendendo bloccato nel letto. Il gioco era finito. Così come la sua fuga. 

“Chi sei?” 

“Oh, non vuoi la sorpresa tra qualche minuto, Snape? Posso darti un indizio. Dovresti capire chi sono visto che la mia prima vera pozione non distillate in aula - beh, più che mia, di Hermione -, è stata fatta rubando un ingrediente dalle tue scorte. Era proprio una Polisucco, tra l’altro.”

NO. No, non poteva essere. Eppure i capelli biondi stavano già diventando più scuri e ricci. 

“Potter?!”

Non poteva essere lui, era una nozione che trascendeva ogni senso logico. Non poteva aver… fatto quello che aveva fatto ad Harry Potter. E Potter non poteva averglielo lasciato fare, non sapendo che lui era davvero Snape. 

Ma l’uomo stava sorridendo, la carnagione di una tonalità leggermente più chiara, un’ombra sulla fronte che stava per diventare una inequivocabile cicatrice a forma di saetta. 

“Il capello era di un amico di Fleur. Te la ricordi? Campionessa del Torneo Tre Maghi, bionda, mezza Veela, ha sposato Bill Weasley? Ho pensato a tutto. Con un tuo ex studente non avresti parlato e non potevo certo usare l’aspetto di un babbano qualsiasi. Non ci avevo mai fatto caso prima che mi tornasse utile, ma con la Polisucco oltre che il tono e il timbro di voce, cambiano anche accento e cadenza.” 

Severus ormai aveva sentito cambiare la sua conformazione facciale, le carte erano scoperte per entrambi. “Cosa vuoi, Potter? Cos’è stato questo, un piano convoluto per prenderti gioco di me?”

Harry alzò le mani in gesto di resa. “Non mi aspettavo questo, ero sincero. Avevo già il sospetto che non fossi morto quando ho testimoniato al tuo processo. É stato difficile rintracciarti, ci sono voluti due anni, ma dovevo ringraziarti di persona.” 

“Ringraziarmi?” Snape inarcò un sopracciglio e per la prima volta in due anni ebbe l’effetto che aveva sempre avuto, visto che ora era sul suo viso reale. 

“Sì, ringraziarti. Non c’è bisogno di essere tanto sarcastici. Non pensavo che sarebbe successo…questo.” 

“Come se non fossi stato tu a chiedermi di venire qui. Se non è premeditazione…”

“Non lo è stata! Onestamente non pensavo avresti accettato. Pensavo… Pensavo fossi innamorato di mia madre in realtà, ma poi sembravi interessato e allora… non potevo non tentare.” 

“Non potevi?” 

Harry ebbe la decenza di arrossire. 

“Cosa vuoi che ti dica, che mi sono ossessionato a guardare i ricordi che mi avevi lasciato tutti i giorni dalla tua morte a questa parte? O che forse era lì anche prima perché non riuscivo a capire perché mi odiassi e contemporaneamente continuassi a salvarmi. Io - io - sì. Io non potevo non tentare. Tu potevi rifiutarti.”

“Ma io ho accettato William, non il fottuto ragazzo che è sopravvissuto!” 

Harry arrossì di nuovo e solo allora Snape si rese conto del doppio senso. 

“Potter, ti giuro…” cosa? La verità è che non aveva niente con cui minacciare. Non era più il suo insegnante, non aveva più una posizione di potere. Era solo un morto con un nome falso e una bacchetta ricettata. La sua rabbia si sgonfiò in rassegnazione. “E adesso, Potter? Pensi di riportarmi a Londra, sottopormi ad un nuovo processo?” 

Harry si torse le mani. “Veramente ho ancora tredici giorni di ferie prima di tornare in servizio. Pensavo di visitare il Kinkaku-ji domani. Potresti accompagnarmi…” 

Severus era scioccato. Cosa passasse nella testa di Harry Potter era un mistero. 

“Potter, esattamente, qual è il tuo scopo?” 

“Harry.” 

“Come?”

“Penso che siamo arrivati a poterci chiamare per nome dopo stasera.” 

“Io -”

“E penso, Severus, che tu abbia passato troppo tempo tra persone che ti volevano attorno solo per uno scopo. Ora, il tempio apre alle otto domani mattina e io conto di andarci. Tu adesso potresti alzarti urlandomi contro e prendere la passaporta per il Canada che parte tra due ore, oppure potresti tornare a stenderti nel futon e fare colazione con me domani mattina, magari nel frattempo riusciamo anche a dormire qualche ora. A te la scelta.”

Poi prima di lasciarsi ricadere sul materassino, Harry si chinò verso di lui e lo baciò, breve e casto, sulle labbra, lasciandolo vagamente stordito. 

No, non avrebbe mai capito Potter. 

Potter che avrebbe potuto avere chiunque e invece aveva inseguito il suo (non così) odiato professore di Pozioni con quasi il doppio dei suoi anni dall’altra parte del mondo. 

Oh, al diavolo. Severus aveva passato fin troppo tempo della sua vita a fare quello che gli altri si aspettavano da lui per sopravvivere. 

“Po - Harry?”

“Sì?”

“Il Kinkaku-ji apre alle nove.” 

  
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