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Autore: arabesquessence    10/03/2021    0 recensioni
Capitolo V.
Clelia e Luciano sono alle prese con il trasloco nella nuova casa di Torino.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La nuova vita dei Cattegaris'
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Luciano caricò in auto l’ultima valigia insieme alle altre nel bagagliaio e agli scatoloni stipati nella Millecento.
“Questo è per voi. I traslochi possono essere parecchio stancanti e almeno stasera avrete qualcosa di caldo da mangiare.” Rosa porse a Clelia una teglia coperta da un canovaccio.
“Signora Rosa, lei è sempre così premurosa…” Clelia la strinse in un abbraccio affettuoso.
La vecchina le prese il viso tra le mani accarezzandole le guance. “Bambina mia. Mi raccomando, non dimenticatevi di noi, telefonate e tornate a trovarci presto. Con tutta la famiglia.” Allungò delicatamente una mano sul pancino accentuato di Clelia.
“E come potremmo dimenticare quello che avete fatto per noi. Vi siamo immensamente grati e affezionati.”
Gli occhi di Clelia si fecero lucidi e Rosa le baciò entrambe le guance per poi asciugarsi frettolosamente una lacrima in procinto di rigarle il volto con un lembo del grembiule.
Rosa baciò affettuosamente la testa di Carlo scompigliandogli appena i ricciolini biondi e gli diede un buffetto sulla guancia.
Il ragioniere si avvicinò per ultimare i saluti posando una mano sulla spalla del bambino e allungando l’altra in direzione di Luigi che gliela strinse con vigore. Ripeté il gesto con Rosa, ma lei lo attirò a sé stritolandolo tra le braccia.
“Grazie di tutto.” Luciano le prese una mano tra le sue.
“Buona vita.”
 
 
***
 
 
Carlo scalpitava impaziente in auto per vedere quella che sarebbe stata la loro abitazione da quel giorno in poi.
“Mamma, ma perché io devo andare scuola? Lucianone non va al lavoro oggi.”
“Amore, Luciano è grande e insieme dobbiamo sistemare le ultime cose nella nuova casa. La vedrai oggi pomeriggio quando verremo a prenderti.”
Carlo sbuffò accasciandosi sul sedile posteriore a braccia conserte. “No, la voglio vedere adesso.”
Clelia si voltò a guardarlo intransigente. “Carlo, non fare i capricci. I bambini devono andare a scuola. E poi hai iniziato la nuova scuola da poco e devi metterti in pari con i tuoi compagni di classe, non puoi perdere lezioni. Raddrizza quel fiocco.”
Carlo si sistemò il grembiule malvolentieri sbuffando sonoramente per l’ennesima volta.
Luciano intervenne cercando di rallegrarlo mentre al volante svoltava l’ultima traversa prima di raggiungere l’istituto.
“La mamma ed io ti stiamo preparando una sorpresa ma ci metterà ancora un po’ ad arrivare. La troverai al tuo ritorno.” Intercettò lo sguardo del bambino dallo specchietto retrovisore e gli fece l’occhiolino.
“La sorellina o il fratellino?” Luciano era decisamente riuscito a conquistarsi la sua attenzione.
“No amore.” Clelia intervenne sorridendo teneramente al bambino. “Per quella sorpresa ci vorrà ancora qualche mese. Ne avevamo già parlato, ricordi? Starà nella pancia della mamma fino a quando non sarà pronto, o pronta, a nascere.”
“Mh sì.” Carlo sembrò riflettere dubbioso e rimase per qualche istante in silenzio per poi esordire con una frase che fece sgranare gli occhi al ragioniere mentre parcheggiava l’auto lungo il marciapiede della scuola. Tossì rumorosamente.
“Come ha fatto ad arrivare nella pancia?”
Luciano lanciò un’occhiata allarmata a Clelia che al contrario era parecchio divertita dalla sua espressione.
“Ma quante domande! Stai forse cercando di prendere tempo per saltare la lezione?” controllò l’orologio al polso. “Te lo spiegherò un’altra volta o farai tardi.”
Carlo pareva rassegnato ma la prospettiva di una sorpresa, oltre alla curiosità per la casa nuova, lo aveva rianimato un po’. Recuperò la sua cartella dal sedile, scese dall’auto, si sporse a dare un bacino alla mamma dal finestrino abbassato e salutò Luciano con la manina, prima di correre via per accodarsi agli altri bambini che stavano facendo il loro ingresso nell’edificio.
“Salvati dal suono della campanella.”
“Non ero decisamente pronto ad intavolare adesso un discorso sulle api, i fiori e il polline. Sto ancora smaltendo le domande assillanti di Nicoletta e Federico a cena dopo che Federico in quinta elementare è tornato a casa con una lezione di scienze da studiare.”
Clelia scoppiò a ridere. “Tanto lo sai che prima o poi non avremo più scampo.”
 
 
***
 
“Signora, questo è l’ultimo scatolone. Dove lo metto?” Il portiere si era offerto di aiutarli a scaricare i bagagli dall’auto.
“Lo lasci pure qui, grazie Michele. E attenzione che è fragile.” L’uomo posò con delicatezza il carico sull’uscio di casa per poi congedarsi.
Nel frattempo Luciano raggiunse Clelia sul pianerottolo salendo gli scalini del palazzo a due a due col fiato corto, il panciotto sbottonato, le maniche della camicia arrotolate, i capelli insofferenti al gel e il sudore che gli imperlava la fronte.  L’ascensore era guasto quel giorno e, nell’attesa che il tecnico finisse di ripararlo, durante il trasloco aveva percorso la rampa di scale fino al sesto piano e ritorno più volte pur di non far affaticare Clelia, che aveva comunque tentato di opporsi a tutte quelle premure.
“Hanno consegnato la bicicletta. L’ho sistemata in garage così appena scendiamo per andare a prendere Carlo la vedrai anche tu. Sono sicuro che la adorerà.” Era euforico e prima che la donna potesse ribattere precisò “C’è anche il casco, ovviamente.”
“Lei è sempre così previdente, ragioniere.” Clelia si sfilò i tacchi all’entrata e richiuse la porta con un piede. Posò le chiavi sullo svuota tasche in cristallo riposto sul mobile all’ingresso. Tra le mani reggeva la teglia di pasta al forno di Rosa, una borsa di stoffa con la spesa e due mazzi di tulipani di colori vari avvolti in fogli di giornale che si erano fermati a comprare lungo il tragitto e da sistemare nei vasi sparsi per la casa. Appoggiò il tutto sul lungo tavolo della sala da pranzo. “Intanto sistemo queste cose e riempio il frigo. Poi direi che possiamo iniziare a dedicarci alla stanza del bambino.”
“Questa dove va?” Luciano, che nel frattempo aveva recuperato tra le braccia lo scatolone lasciato da Michele, se ne stava in piedi al centro della stanza aspettando direttive dalla donna e domandandosi cosa contenesse tra giocattoli, stoviglie, articoli da cucina, biancheria per la casa e una manciata di altri acquisti effettuati nei giorni precedenti, nonostante l’appartamento fosse già quasi del tutto arredato.
“Sul ripiano in cucina. Ci penseremo più tardi a sistemarlo. Fai attenzione, dentro c’è quel bel servizio di piatti in ceramica decorata che abbiamo comprato la settimana scorsa.”
Ma il ragioniere non fece in tempo a percorrere due passi verso la cucina che un trillo risuonò nell’aria.
“Per caso hai ordinato un’altra bicicletta di cui non sapevo nulla?” Clelia rise inarcando un sopracciglio e si avviò al citofono per rispondere ma Luciano, intuendo l’intenzione della donna, appoggiò nuovamente a terra la scatola senza troppe cerimonie. “No!” le sfilò la cornetta dalla mano e riattaccò. “Lascia, vado io. Sarà… sarà sicuramente il portiere. Devo aver dimenticato la valigetta giù. Sai, la confusione del trasloco…”
Clelia lo fissò con un’espressione alquanto confusa. “Guarda che la valigetta te l’ho messa io di là, nello studio.”
“Ah, allora avrò… avrò dimenticato sicuramente qualcos’altro. Lo sai che dimentico sempre tutto.”
“Tu? Questa è bella! Luciano sei sicuro di star be-” ma non riuscì a concludere la frase che lui la liquidò frettolosamente con un “Arrivo subito.” sgattaiolando fuori dalla porta e richiudendosela alla spalle.
Trascorse circa mezz’ora, durante la quale Clelia finì di svuotare gli ultimi scatoloni e riporre con cura il contenuto, chiedendosi se il ragioniere fosse stato rapito e a breve qualcuno le avrebbe presentato il riscatto. Poi la porta si spalancò.
La donna, che era nella cameretta di Carlo intenta a sistemare vestiti e grembiuli facendo la spola tra cassettiera e armadio, si affrettò attraverso il corridoio per raggiungere Luciano in soggiorno.
“Finalmente! Per un attimo ho creduto che ti-” ma si bloccò trattenendo il respiro. Rimase a bocca aperta e si portò le mani al viso incredula. Si coprì gli occhi per nascondere le lacrime che minacciavano di affiorare ma un sorriso si era dipinto nel frattempo sul suo volto. Tornò a guardare per essere sicura che non fosse solo frutto della sua immaginazione.
“Sorpresa.” Clelia si era ammutolita quindi Luciano continuò “So quanto tu ci tenessi ad averla e così ho pensato di fartela avere qui.”
Più volte la donna aveva espresso il desiderio di far dormire il pargolo nella vecchia culla in cui a suo tempo avevano dormito Carlo e lei stessa, e la frustrazione di non averne trovata una che fosse all’altezza in nessun negozio di articoli per bambini a Torino. Non le sembrava vero di averla davanti a sé in quel momento.
Il ragioniere la spinse verso di lei. “Era solo un po’ impolverata ma l’ho fatta pulire prima di consegnarla.”
Clelia sfiorò delicatamente le tende ricamate, i cuscini, i pizzi e la fodera bianca arricciata che rivestivano la culla in vimini, dentro alla quale era stato piegato con cura un corredino a lei famigliare sormontato da un orsetto in peluche. Lo portò al viso e inspirò profondamente. Profumava di bucato, di buono, d’infanzia.
“Ma come hai fatto?”
“È stato piuttosto semplice. L’indirizzo della casa di Trieste era sui documenti e il vecchio custode si è mostrato molto disponibile ad aiutarmi. A proposito, ti manda i suoi auguri.”
“Ti amo, lo sai?” Riuscì a dire infine. Si asciugò col mignolo l’angolo dell’occhio e lo baciò alzandosi appena sulle punte. Rimase stretta a lui a godersi quell’abbraccio.
“Sì, ma puoi ripetermelo tutte le volte che vuoi.” Affondò una mano tra i capelli stringendola al petto e depositandole un bacio sulla testa. “Ti amo anche io.”
“Quella non è solo una culla, è uno dei miei ricordi più cari. E una delle poche cose sopravvissute all’illusione di serenità tra quelle mura.” Sospirò. Provava una stretta allo stomaco e il cuore si faceva più pesante ogni volta che ripensava al periodo più buio della sua vita. “Un giorno potresti accompagnarmi. A Trieste intendo. Mi sono riproposta più volte di tornare per recuperare alcuni ricordi ma non ho più voluto mettere piede in quella casa per paura dei fantasmi del passato. Però con te a darmi coraggio è tutto più semplice.”
“Ti accompagnerò. Promesso.”
 
 
***
 
 
Un paio d’ore più tardi valigie e scatoloni erano stati svuotati e ogni cosa era al proprio posto nelle varie stanze della casa. O quasi.
Clelia riemerse dalla camera da letto. Portava i capelli, che erano soliti ricadere sulle spalle in ordinati boccoli dalla messa in piega impeccabile, raccolti in una coda da un foulard dalla fantasia floreale annodato a mo’ di fiocco, mettendo in risalto le piccole perle ai lobi. Aveva indossato abiti più comodi e adatti ad ultimare i lavori nella nuova casa, sostituendo la gonna con un paio di morbidi pantaloni color lampone a vita alta simile alle tinte del foulard, che le arrivavano poco al di sopra della caviglia e mettevano in risalto la pancia. Indossava una camiciola bianca a maniche corte, dal largo colletto arrotondato e dal taglio dritto e non aderente, che ricadeva leggera come una casacca pochi millimetri oltre la vita dei pantaloni.
Attraversò a piedi scalzi l’intero parquet di una casa che, grazie anche a qualche cambiamento e tocco personale, sentiva sempre più sua. Nell’aria c’era un buon profumo di fiori, di pulito e di vernice, frutto delle pulizie e delle pareti rinfrescate e imbiancate dei giorni precedenti. Alternandosi e talvolta insieme, quando il giorno libero coincideva e Carlo era a scuola, avevano lavorato sodo affinché la casa fosse pronta il prima possibile.
Finestre e porte finestra che davano sul balcone del soggiorno e sul terrazzo, che dalle camere da letto si affacciava sul cortile alberato, erano spalancate e lasciavano entrare sole, i cui raggi disegnavano le ombre degli oggetti sul lucido legno del pavimento, luce, che pervadeva l’intero appartamento, rumore del traffico cittadino e una brezza primaverile.
Percorse il corridoio accompagnata dalla corrente che si insidiava sotto il tessuto della camicetta facendone svolazzare i lembi e si affacciò a quella che sarebbe diventata la stanza del nascituro, appoggiandosi allo stipite della porta.
Luciano, seduto per terra, armeggiava con un cacciavite, viti e fogli delle istruzioni sparsi sul pavimento e i pezzi che dovevano comporre un lettino in legno.
Si passò il dorso della mano sulla fronte asciugando il sudore. Con i capelli spettinati, la camicia fuori dai pantaloni, stropicciata e mezza aperta che lasciava intravedere la canottiera, e le maniche arrotolate, era l’immagine della sconsolatezza.
“Non pensavo ci volesse un laurea in ingegneria per assemblare un letto.”
“Ragioniere, avrà tempo per mettere a punto le sue tecniche da ingegnere.” Clelia gli porse uno dei due sacchetti che aveva in mano con i panini acquistati in previsione dell’assenza di tempo per mettere in piedi un pranzo degno di essere chiamato tale. Si sedette per terra a gambe incrociate di fronte a lui iniziando a sbocconcellare il panino. “Tanto, adesso che grazie a te abbiamo anche la culla, per i primi mesi dormirà in camera nostra.”
“Per le prime settimane nel lettone.” Azzardò Luciano.
“Nella culla.” Ribatté categorica Clelia.
“Sì però-”
“Nella culla. Altrimenti si abituerà al lettone e non vorrà addormentarsi da nessun’altra parte.”
“Ma la Montessori dice che il contatto dell’infante nei primi mesi di vita con il genitore migliora il suo sviluppo psicofisico.” Addentò il panino come per chiudere la questione.
Clelia sollevò un sopracciglio scettica. “Hai intenzione di propinarmi il manuale della Montessori ogni volta che ti servirà una scusa plausibile per viziare nostro figlio?”
“O nostra figlia. E comunque sto riportando solo dei fatti.” Si giustificò facendo spallucce.
“Allora adesso te lo riporto io un fatto.” Inghiottì l’ultimo boccone e si alzò tendendogli una mano affinché la imitasse. “Abbiamo tre ore per restituire a questa stanza una parvenza dignitosa prima di andare a prendere Carlo a scuola. Forza, al lavoro ragioniere.”
Luciano mugugnò qualcosa di incomprensibile ma non oppose resistenza e le afferrò la mano alzandosi.
 
 
***
 
“Guarda cos’ho trovato.” esordì Luciano entrando nella stanza un’ora e mezza dopo. “Mi sono ricordato di averla vista in uno dei cassetti della scrivania mentre sistemavo lo studio qualche giorno fa.”
Catturò l’attenzione di Clelia, la quale stava rifinendo con un pennello intinto nel bianco le spallette delle finestra, posando una piccola radio sopra alla cassettiera coperta da uno dei teli apposti sopra ai mobili per impedire che la pittura li intaccasse.
“Chissà se funziona.” Raddrizzò l’antenna e ruotò la manopola e la musica invase all’istante l’ambiente.
“C’è una stazione che trasmette musica dall’Inghilterra e da oltreoceano. Non ricordo la frequenza ma l’ho ascoltata spesso, a volte passano anche le canzoni della signorina Amato. Prova a cerc- aspetta!” lo fermò non appena riconobbe la voce di Tony Renis sulle note di Quando, Quando, Quando.
“Sono sempre più convinto che Modugno abbia meritato il primo posto a Sanremo quest’anno.”
“Luciano, ricominci? Il quarto posto a Renis è stata decisamente un’ingiustizia. Doveva almeno salire sul podio con Modugno. E tu dovresti svecchiarti.”
“Scusa, hai appena detto che sono vecchio?”
“Mh, forse.” lo sfidò Clelia mentre continuava a dipingere ondeggiando a tempo di musica.
“Vieni qua.” Luciano la attirò a sé tirandola per un braccio e Clelia per tutta risposta fece una giravolta fino a ritrovarsi abbastanza vicina al suo volto da potergli lasciare un segno di pittura sullo zigomo con il pennello.
Lui la bloccò circondandola da dietro con le braccia e la schiena di Clelia contro al suo petto. Le baciò il collo e lasciò scivolare la mani sulla pancia.
“La sentirà la musica?”
“Credo sia ancora presto. Siamo alla ventesima settimana e di solito l’udito inizia a svilupparsi intorno alla trentesima. O almeno, così ho letto quando aspettavo Carlo. Ma in caso dovesse già sentire qualcosa, vorrà dire che crescerà con gusti musicali migliori dei tuoi.”
Luciano rise contro la sua guancia.
“Sai che anche Carlo mi ha fatto la stessa domanda?”
“Davvero?” Luciano inclinò la testa.
“Sì. Ieri sera mentre ti aspettavamo per cenare alla pensione. Ero sdraiata sul letto e lui ha avvicinato il carillon alla mia pancia sostenendo che così il fratellino o la sorellina avrebbe dormito meglio. A volte lo osservo e penso che ti somigli molto. Ha la tua stessa delicatezza. E poi ti ha preso come modello di riferimento fin da subito.”
Si voltò a guardarlo allacciandogli le braccia dietro al collo. “Ma ti sei commosso? Hai gli occhi rossi.”
“No… è l’allergia…la primavera…”
“E allora curiamola questa allergia. Basta lacrime per oggi. Almeno fino al mio prossimo sbalzo d’umore.”
“Amo anche i tuoi sbalzi d’umore.”
“Ah sì? Anche quando si aggiungono alle voglie e mi fanno scoppiare a piangere come una bambina costringendoti a girare tutti i fruttivendoli di domenica per trovare i mandarini?”
“Assolutamente sì.”
Clelia sciolse l’abbraccio e gli prese entrambe le mani ancheggiando a ritmo di musica e trascinandolo in un ballo su ciò che restava della canzone. Lui un po’ improvvisò e un po’ ne assecondò i passi posandole le mani ora sui fianchi, ora dietro la schiena per attirarla contro il suo corpo, e facendola volteggiare per la stanza. Si scoprì un ballerino di talento più di quanto ricordasse. Sulla presa finale con tanto di casquè dovette sorreggere Clelia per qualche istante prima che la testa smettesse di girarle per quella coreografia decisamente troppo movimentata per il suo stato. Nonostante ciò le risate della donna risuonavano per tutta la casa.
Clelia, ritrovato l’equilibrio, con le guance arrossate, la pelle accaldata e la fronte leggermente imperlata di sudore, si sistemò dietro alle orecchie le ciocche di capelli che erano fuoriuscite dalla coda.
Luciano rimase ad osservarla. Per mesi era stato abituato all’immagine di lei impeccabile, ineccepibile, senza un capello fuori posto. E in quel momento realizzò la fortuna di poterla ammirare tutti i giorni in un contesto domestico, così felice e spensierata, e ancora più bella.
Clelia, lanciando un’occhiata all’orologio al polso, si ricompose e tornò a rivolgere l’attenzione alla confusione che regnava nella stanza. Con un dito sfiorò il muro imbiancato.
“Sembra asciutto. Dovremmo sistem-” Ma non riuscì a terminare la frase che nel voltarsi si ritrovò con la schiena contro la parete e zittita da un paio di labbra che premevano sulle sue. Nella foga del bacio, Luciano urtò un barattolo di vernice col piede e Clelia scoppiò a ridere.
“Faremo tardi.” Biascicò contro la sua bocca. La sua testa diceva una cosa ma il suo corpo lasciava trasparire l’esatto opposto. Sovrastata dal corpo dell’uomo che la bloccava al muro, non riusciva a fermare quell’impeto di passione, o meglio, non era intenzionata a fermarlo, e rimanere vigile a se stessa divenne ancora più difficile quando le dita gelide del ragioniere si insinuarono sotto l’orlo della camicetta accarezzandole la pelle nuda e facendola rabbrividire appena.
Si lasciò sfuggire un gemito quando le labbra si spostarono dalla sua bocca, al collo, scendendo pericolosamente. Clelia portò malvolentieri le mani all’altezza delle clavicole scostando Luciano di qualche millimetro in modo tale da recuperare un minimo di razionalità e lucidità.
“Per quanto la proposta sia allietante, dobbiamo andare a prendere Carlo.” Deglutì a fatica con lui che la osservava annuendo con la testa ad un centimetro dalla suo viso per poi avventarsi nuovamente sulla bocca della donna, che dovette fare uno sforzo per scostarsi ancora.
“Dico sul serio. E hai bisogno di una doccia.” Si fermò a giocherellare con un ciuffo di capelli su cui erano presenti tracce essiccate di vernice bianca. “Hai più pittura addosso tu che i muri.” Constatò. “Però possiamo riprendere il discorso più tardi.”
“Sai che non mi piace lasciare le cose a metà.”
“Hai forse una soluzione migliore?” Clelia lo fissava pendendo letteralmente dalle sue labbra e fu molto contrariata quando si allontanò restituendole spazio vitale.
Luciano si sfilò la camicia rimanendo in canottiera e tirò l’indumento a Clelia che scoppiò a ridere.
“È questo il tuo piano? Sedurmi?”
“Sto solo ottimizzando i tempi.” Le si avvicinò a grandi falcate e la sollevò prendendola in braccio. Clelia, colta di sorpresa, lanciò un gridolino e gli mise le mani dietro al collo reggendosi a lui. “Ti ricordavo più leggera.”
“Porta rispetto ad una donna incinta.” Si avvinghiò maggiormente a lui. “E ora?”
“Doccia, no?”
   
 
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