E
niente narratore d’eccezione
(Ma come mi piace allungare il brodo?).
Spero potrete gradire questo capitolo!
Vorrei ringraziare chi legge/ricorda/segue ed ovviamente chi recensisce
(Grazie
Arwen Fenice <3);
Buona Lettura
RLandH
Puoi
essere e smettere di essere qualsiasi cosa, tranne un genitore
Si era chinato all’altezza di Rafael ed aveva sussurrato qualcosa in spagnolo a suo figlio.
All’inizio loro figlio non parlava altra lingua che quella, ma era stato molto abile nell’apprendere l’inglese, però lui e Magnus ogni tanto la parlavano comunque, infondo era la lingua di nascita di Rafael ed era una delle prime che suo marito aveva imparato. Anche Alec la stava studiando, ma non era particolarmente ecclettico in quello studio.
Di quello che aveva detto suo marito aveva compreso alcune cose. “Proteggi” e “Papà” ed immaginava che fosse più sul genere ‘Proteggi papà per me’ che ‘Papà ti proteggerà’.
“Lo farò!” aveva sinceramente giurato Rafael, in inglese, prima di farsi abbracciare – e strapazzare – da Magnus.
Non era stato un addio particolarmente lungo ne sofferto, probabilmente si sarebbero rivisti in giornata, ma Alec aveva comunque un certo senso di magone. Era la prima volta che lui e Magnus erano ambedue lontani dal loro piccolo mirtillo, dalla parentesi di Shangai, ed ora si stavano di nuovo separando.
Magnus aveva baciato loro figlio sulla fronte e poi aveva baciato di nuovo lui, prima di seguire Ragnor verso il treno, accompagnati da una divertita Ej.
“Spero non combini niente di pericoloso” Alec aveva sentito la voce di Magriet cristallina alle sue spalle, ammiccando a sua nipote, che si era accodata a Ragnor – funereo – e Magnus. “Puoi provare a proteggerli dal mondo, ma sei destinata a fallire” aveva dichiarato poi, mesa.
“So cosa provi” aveva dichiarato Magnus, lanciando uno sguardo a Rafael, che era lì, nella sua mano ma aveva gli occhi luminosi rivolti verso i treni.
“Ho tirato su io, Ej da quando aveva sette anni, praticamente è mia figlia” aveva dichiarato Magriet, incrociando le braccia sotto il seno, “Come Deidre” aveva aggiunto.
Alec poteva comprendere quel sentimento bene, Jace prima di essere il suo parabatai era suo fratello, come Izzy e come era stato Max ed i suoi figli erano i suoi figli anche se non condividevano neanche una goccia di sangue, Alec non gli amava meno che se l’avessero avuta.
“Tranquilla Magnus la proteggerà” aveva detto alla donna con sicurezza.
Magriet aveva sorriso, era una persona spigolosa in tutto anche nel sorriso, “Me lo auguro. Spero non sia il sommo stregone di Brooklyn solo per simpatia, lo dico perché Bo lo è” aveva detto con una punta di cattiveria, che aveva fatto scuotere il capo scuro di Alec.
“Sono felice comunque che tu sia divenuto console, ho votato per te d’altronde” aveva confessato Magriet, “Certo se un decennio fa me l’avessero detto non ci avrei mai creduto” aveva dichiarato.
Alec le aveva rivolto uno sguardo piuttosto confuso, aggrottando le sopracciglia, “Pregiudizi e cose insulse come figli ombre dei propri padri. O almeno diceva sempre così il mio” aveva raccontato con voce spenta.
“Gisbert Ipke Zwartekust” aveva detto Magriet imitando un tono pomposo, come se si stesse rivolgendo al Re di Olanda in persona, “In realtà era un buono terribilmente borioso, presuntuoso ed in alcuni momenti anche terribilmente bigotto ma era il mio paus e io ero la sua prinses” aveva dichiarato lei.
Alec le aveva sorriso di rimando, poi aveva scompigliato i capelli di suo figlio, che osservava i due con interesse. Doveva ammettere di ritrovarsi anche su quegli ultimi pensieri, sebbene facesse male, ancora male, pensare a suo padre. “Cos’è Paus?” aveva chiesto Rafael con i suoi occhi miele, “Papà” aveva dichiarato Magriet, “E Bigotto?” aveva chiesto poi suo figlio scambiando forse anche quella parola per una olandese.
Rafael era una spugna per quanto imparava in fretta l’inglese, ma alcune cose restavano per lui ostiche; “Qualcuno che spero vivamente tu non debba mai incontrare” aveva dichiarato poi Magriet materna, dolce, qualcosa che si sposava male con la sua rigidità, accarezzando con le nocche la guancia del bambino.
“Tuo padre votò perché i miei genitori fossero rinchiusi nella Città di Ossa” aveva ricordato Alec, in qualche meandro della sua testa, nella sua memoria, non sapeva esattamente da dove l’avesse tirata fuori.
Magriet aveva annuito, un leggero colorito rosato di imbarazzo, “Colpevole” aveva riconosciuto lei, “Nonostante abbia vissuto tutta la vita senza mai riconoscere un nascosto o un mondano come suo pari, mio padre credeva ciecamente nell’Istituzione e nel sacro ruolo dei Cacciatori – e non riusciva a tollerare che chi ne aveva fatto un tale sprezzo ne uscisse impunito” aveva dichiarato.
Alec non credeva che i suoi genitori ne fossero usciti in quella maniera, ma forse, ad occhio esterno la loro punizione poteva risultare lieve, un esilio a New York, a capo di un istituto, rispetto ad altri.
“Mia madre era solo preoccupata di come ti avrebbero cresciuto” aveva aggiunto calma, poi, “Sono felice di sapere che entrambi avevano torto” aveva aggiunto, con un sorriso un po’ più sofista sulle labbra.
“Anche io” aveva concordato Alec, mentre suo figlio osservava quello scambio di battute confuso.
“Rafael ti andrebbe di comprare della cioccolata?” aveva chiesto Magriet poi, rivolgendosi a suo figlio, “Ne, volevo prendere per Deidre” aveva dichiarato.
“Non
hai mai avuto
problemi con le barche” aveva valutato Alec, osservando sua
sorella con un
cipiglio preoccupato.
“Non ho mai vissuto così tanto su una
barca” si era difesa sua sorella,
sollevandosi, lanciando uno sguardo nauseato alla bacinella, prima di
roteare
gli occhi.
Il ponte dell’istituto di Amsterdam, continuava a mostrare la
pittoresca città
dai suoi canali. Alec era ammirato da quanto suo figlio Rafael ne fosse
entusiasta, meno erano Izzy che aveva cominciato ad accusare i sintomi
di un
paio di giorni in barca ed il povero Danny, continuamente distratto
dalle
nudità evidenti di Isolde ed un certo interesse di Magriet
per lui – che
sembrava ricambiare.
Rafael in quel momento aveva perso di vista il panorama della
città per
girovagare attorno al mondano Henrich, che approfittava del bel tempo,
per
stare all’aperto e leggere il suo libro, con ancora le
macchie di cioccolata
sulle labbra.
Il mondano doveva dare un esame, perché era un universitario
a quanto pareva.
Era strano come pensiero: uno studente.
Ne Alec ne Izzy ne Jace avevano mai sentito il bisogno di esserlo, universitari,
ma aveva notato nel corso degli anni come quello avesse frustrato
ambedue i
suoi futuri cognati, Simon più di Clary e più di
quanto avesse sofferto
rinunciare alla sua band con gli amici mondani.
Alec non si era mai sentito così sfacciato da voler chiedere
bene,
differentemente da Izzy – e Jace – ma forse
perché in effetti per loro quello
poteva essere un problema.
Erano stati educati così, Clary era nata Shadowhunters e
Simon lo era
diventato, ma erano cresciuti come Mondani ed un certo senso una parte
di loro
lo era rimasta per sempre, avevano avuto un percorso prima …
e sarebbe stato
come se Alec improvvisamente non fosse più stato un
cacciatore.
Suo figlio Rafael sembrava apprezzare il frequentare anche le
attività mondane,
come la colonia estiva e Jocelyn li aveva invitati a provare anche con
una vera
scuola, ma per Alec sembrava difficile dividersi tra
l’addestramento e
l’educazione da cacciatore e il mondo scolastico.
Quanto era fattibile studiare l’enochiano, il latino, la
geometria, allenarsi
come cacciatore e partecipare alle partite di calcio?
“Quando andiamo all’Aia?” aveva chiesto
sua sorella, risvegliandolo dal suo
stato perso, “In giornata, chiamo la mamma ora”
aveva stabilito.
Era anche preoccupato per Magnus, domandandosi come sarebbe andato a
fine il
suo incontro con la Stregona di Leiden, chiedendosi quanto ancora del
mondo di
Magnus li fosse ignoto.
Aveva letto il suo diario, aveva saputo dei suoi amori ed amanti, aveva
conosciuto i suoi amici ed aveva sentito le sue storie, ma ancora tanto
della
vita del suo compagno, di suo marito erano per lui ignoti.
Sapeva che sarebbe stato così anche se Magnus non fosse
stato uno stregone
vecchio di quattrocento anni, ma quello pesava ancora di più.
Certi momenti Alec lo aveva superato, certi altri no, come in quei
giorni, in
cui Alec aveva sentito il suo compagno vomitare nomi e nomi di illustri
sconosciuti, come se fossero stati i suoi buoni amici che incontrava
ogni sera al
pub.
“Guarda,
Mirtillo, è
papà” aveva sentito la voce di Jace bella
melodiosa dall’altra parte della
videocamera del cellulare, aveva chiamato Maryse, ma era stato il suo
parabatai
a rispondere, con un sorriso raggiante e Max, festoso, sulle gambe.
“Ciao Mirtillo” aveva detto subito Alec, sentendo
una fitta nel suo petto a non
poter stringere suo figlio in quel momento e alla mancanza che sentiva
nel
cuore in quel momento.
Alec lo aveva saputo, dal primo momento che lo aveva preso in braccio e
lo
aveva chiamato suo, che nulla sarebbe stato più lo stesso,
che la sua vita non
sarebbe potuta essere più quella di Alec Lightwood
cacciatore, ma sarebbe stato
prima un padre, che tutta la sua vita sarebbe stata devota a Max e poi
Rafael.
Anche in quel momento che era il Console, nella crisi più
profonda mai vissuta
dal mondo Nascosto dall’apertura del Sentiero da parte di
Samael, Alec si
sentiva prima un padre.
Max lo aveva salutato a gran voce e gran gioia, con gli occhi luminosi,
facendo
scintillare le sue dita di magia.
“Ti stai comportando bene, non stai facendo impazzire lo zio
Jace?” aveva
domandato subito Alec.
“No!” aveva risposto risoluto suo figlio.
“No a quale dei due?” aveva chiesto Alec, godendosi
un espressione confusa di
suo figlio per un secondo, “Sono un bravo bambino”
aveva stabilito perentorio,
“E zia Clary lo dirà a babbo natale”
aveva aggiunto.
Alec aveva guardato Jace, che aveva mimato con le labbra un ‘te
lo spiego
dopo’.
Aveva continuato ad interrogare il suo piccolo Mirtillo, evitando
accuratamente
ogni parola relativa a Magnus e perché non fosse
lì, sapeva che aveva provato a
chiamare quella mattina, prima di prendere il treno per Leiden, ma il
Mirtillo
dormiva ancora.
“Rafeeeee! Vieni a salutare tuo fratello!” aveva
esclamato con vigore Alec
attirando l’attenzione di suo figlio, perché
smettesse di cercare di leggere a
tutti i costi il libro di Henrich, nonostante fosse in olandese.
Rafael era arrivato subito, con un sorriso bello pieno, “Oh!
Puffo!” gli aveva
detto chiaro, Max aveva fatto una smorfia a suo fratello,
“Zio Jace! Questo
posto è fantastico ed amo la cucina” aveva
esclamato subito, riconoscendo
immediatamente il biondo, “Rafeee” aveva dichiarato
Max, “Voglio mangiare anche
io” aveva aggiunto poi, con sicurezza, “Papino ha
promesso di farlo!” aveva
dichiarato subito Rafael “Proprio oggi!” aveva
ricordato le parole che il padre
gli aveva detto alla stazione.
Gli occhi di Max si erano illuminati come stelle, “Oh, che
bello! Dove è
papino?” aveva chiesto subito.
Alec aveva avuto una certa prontezza di riflessi – merito di
anni di caccia ai
demoni e che da quando era diventato padre si era fatto crescere gli
occhi
anche dietro la testa – ed aveva urlato immediatamente:
“Izzy vuoi venire a
parlare con tuo nipote?”
L’attimo dopo Isabelle ancora grigia in viso era venuta verso
di loro per
salutare.
“Oh, sembra che ti abbia preso un mostro shax in
faccia” aveva commentato Jace,
guardando sua sorella, “Sono su una barca, Jace, tu che scusa
hai?” aveva
risposto schietta quella, incrociando le braccia sotto il seno.
Poi davanti il faccino blu di suo nipote si era sciolto terribilmente,
“Oh, la
prossima volta verrai con noi, Mirtillo, portiamo anche Simon
– Jace no che è
cattivo” aveva replicato Izzy.
“Niente Babbo Natale per zio Jace” aveva confermato
Max con un tono
terribilmente sicuro.
Era sicuramente il bambino più fermo di sempre, buono, gli
sarebbe stato utile
nella vita, “E neanche per Papà e Papino che mi
hanno lasciato qui” aveva
aggiunto perentorio.
Il resto delle chiacchiere si era esaurito in fretta, per quanto Alec
avrebbe
voluto rimanere a parlare ancora con suo figlio, avevano un mestiere da
fare.
“Devo
rimanere di guardia
con il bambino?” aveva domandato Danny Graymark con
espressione contrita, “Si,
con Henrich, Grootmoder e … Zieg, mi pare” aveva
spiegato subito Izzy, “Non
possiamo lasciare Amsterdam senza valenti Shadowhunters, oltre che mio
nipote
ovviamente” aveva sottolineato, “Ed io non conosco
questi olandesi, ma conosco
te, mi hai spaccato il naso più di una volta, mi
fido” aveva stabilito tassativa
Isabelle, prima di sistemarsi con sicurezza il guanto di pelle dura
sulle mani.
Indossava i pantaloni di pelle nera resistente, gli anfibi ed una
maglietta
aderente, lo stilo legato alla coscia ed il frustino nella forma di
serpente
brillante al polso.
Aveva ancora una carnagione grigiolina sul viso, ma si stava dando un
certo
tono. Magriet al suo fianco indossava lo stesso abbigliamento, solo che
aveva
legato delle protezioni alle ginocchia e i gomiti.
La piccola bambina, coetanea di Rafael, Deidre, la guardava piena di
aspettativa e preoccupazione, somigliava molto alla donna, stesso viso
chiaro
come una perla ed i capelli biondissimi.
Dagli sguardi che Alec aveva visto lanciare Magriet a Danny, poteva
indovinare
non ci fosse nessun compagno della donna. Non erano fatti suoi ed aveva
preferito non indagare in alcuna maniera, sarebbe sembrato indelicato
fare
domande, si conoscevano da troppo poco. Una volta Alec aveva preteso, a
Shangai, di conoscere tutti i segreti di uno shadowhunter, in quel
momento, più
maturo, riconosceva di poter chiedere e pretendere solo quelli inerenti
alla
caccia e alla sacralità della loro missione.
Magriet si era apposta chinata per accarezzare la testa della bambina e
sussurrandole
parole di conforto in quella che immaginava dovesse essere olandese, le
aveva
anche accarezzato il viso, gioviale. Deidre aveva sorriso dando poi un
bacio
sulla guancia di sua madre e saltellando poi per raggiungere Rafael ed
Henrich.
Suo figlio aveva accolto la bambina con un sorriso allegro e pieno di
gioia.
All’infuori di suo fratello Max, Rafael non aveva altri
amici, coetanei con cui
stare, fino a che non avevano seguito il consiglio di Jocelyn e
l’avevano
iscritto alla colonia estiva – sebbene lì dovesse
sempre mentire. Doveva essere
bello per suo figlio avere una coetanea che conosceva il mondo nascosto.
Per
la loro visita non
esattamente di piacere all’Istituto dell’Aia,
Willem aveva selezionato sé stesso,
la sua rigida sorella ed uno Shadowhunters dall’espressione
cupa, l’incarnato
olivastro ed un pizzetto nero e riccioluto. che Alec ricordava non
avesse
spiccicato neanche una parola durante il pranzo del giorno prima.
Anche sua moglie Isolde, che per l’occasione aveva dismesso
la pelle di foca ed
indossava una cotta di maglia di un griglio lucente, che Alec
sospettava non
fosse ferro, sopra pantaloni neri di pelle. “Alcuni miei
amici potrebbero
aggiungersi ed altri nascosti” aveva rivelato subito la
selkie con estrema
sicurezza, “Questa è una guerra di tutti,
infondo” aveva ammesso, strizzando
gli occhi verso di lui, sfacciata.
Willem si era allungato per baciare sua moglie sulle labbra, con un
tocco
veloce, ma rassicurante, “Mi piace vederti
così” aveva detto, ammiccando al
vestiario che la faceva apparire terribilmente simile ad una
cacciatrice,
“L’unico uomo che può preferire sua
moglie vestita che no” aveva risposto
Isolde fingendosi offesa.
“Non è pericoloso per te lasciare la
pelliccia?” aveva domandato Isabelle
avvicinandosi alla donna, “Grazie per
l’interessamento” aveva risposto
prontamente quella, con una certa dolcezza, “Ma ho lasciato
tutto a Grootmoder
… Credo che Satana in persona abbia paura di quella
donna” aveva ammesso
sfacciata, guadagnando una gomitata da suo marito, “Inoltre
durante la Pace
Fredda l’Istituto di Amsterdam ha difeso strenuamente il mio
tesoro” aveva
dichiarato, “Non avrei mai pensato a luogo più
sicuro”.
“Poi sono curiosa di sapere come è andata tra voi,
adoro il gossip nascosto”
aveva ridacchio Isabelle con un certo divertimento, “Oh, si
è una storia
tremendamente bagnata” aveva risposto
Isolde.
“Non è un eufemismo” aveva chiarito
Willem.
Alec non sapeva molto dei rituali di corteggiamento delle ondine,
immaginava
che di quei tempi, come quasi tutti i fey, le cose non fossero troppo
diverse
dal resto dell’universo, ma una volta ricordava di aver letto
in un libro che
era coinvolta la pelle di foca.
“Stiamo aspettando Bo, sarà qui in fretta,
Alec” aveva detto subito Willem,
guardando Alec, per giustificare perché stessero ancora
temporeggiando.
Il capo dell’Istituto di Amsterdam si era rivolto a lui con
titoli formali solo
nelle prime due ore, che si erano conosciuti, preferendo di gran lunga
l’informalità.
Anche Alec la preferiva, si sentiva sempre un po’ stordito,
quando la gente lo
appellava ‘Console Lightwood’ come se stessero
parlando di qualcun altro.
A volte pensava si riferissero a suo padre, anche se non era mai stato
Console
… e non era più lì. Era strano essere
il Console.
Lo aveva desiderato sì, così come aveva
desiderato cambiare il mondo, ma la
cosa lo disorientava ugualmente.
Magriet li aveva raggiunti, aveva un’espressione tesa sul
viso, sfoggiava una
lama bastarda, che teneva legata con una cinta che attraversava il
busto di
traverso.
“Spero che Ej e i vostri amici stiano bene” aveva
detto alla fine con ancora
una punta di preoccupazione, “Stiamo andando noi a
combattere” aveva valutato
Izzy, “Sì, ma mia sorella non può
smettere di preoccuparsi” aveva dichiarato
Willem con un sorriso bonario, dando una pacca sulle spalle della
sorella. “Iemand
zal het moeten doen[1]”
aveva replicato Magriet.
Bo
DeWit era arrivato con
un certo ritardo.
Non ci volle molto né per Alec, né per Izzy,
stabilire fosse un personaggio
piuttosto pittoresco. Era piuttosto alto, anche per gli standard degli
uomini
del nord. La sua pelle era coriacea e squamata come quella di un
rettile, di un
bianco perlaceo, con sfumature grigiastre. Gli occhi erano gialli e con
la
pupilla verticale.
Tutto di lui urlava: Rettile! Nonostante avesse la corporatura di un
uomo ed
anche cinque dita per mano.
“Audace!” si era lasciata incantare Izzy,
ammiccando probabilmente alla camicia
lasciata aperta sul busto, che esibiva una serie di palme in campo
azzurro.
“Bo, ho l’onore di presentarti il Console Alexander
Lightwood e sua sorella
Isabelle Lightwood” aveva dichiarato immediatamente Willem,
presentendoli per
bene. Aveva usato un inglese fluente, forse per avvertire Bo su quale
lingua
usare.
Bo aveva sorriso, scoprendo una serie di denti aguzzi, un po’
inquietanti, ma
tutto sommato nel complesso risultava un po’ buffo. Lo
stregone aveva
cominciato a dire qualcosa che sembrava l’inizio di un
‘Sono onorato di
…’ ma era stato sopraffatto da Magriet e la sua
voce imperiosa.
“Sai di essere in ritardo?” aveva domandato
schietta quella.
“Maggie, non ci sono i manifesti, ma al momento la
comunità degli Stregoni sta
passando quello che si chiamerebbe un brutto quarto
d’ora” aveva risposto
sagace quello.
“Per la questione di Antonius Vir?” aveva indagato
Alec, senza molta
sottigliezza, probabilmente lo stesso stregone si era fatto la sua idea
dall’improvviso desiderio del Famoso Magnus Bane, marito del
Console dei
Nephilim, e del suo altrettanto noto amico Ragnor Fell, volevano
incontrare la
somma stregona di Leiden – a quanto pare molto indaffarata.
“Sì, sua altezza” aveva risposto
immediatamente Bo.
Alec si era lasciato scivolare quel titolo addosso, “Alec, va
bene” aveva
aggiunto poi; “Non conosco Antonius, ci ho parlato, credo,
una volta” aveva
raccontato Bo, cercando di liquidare la faccenda,
“Però tu cosa stavi facendo?”
aveva chiesto Isolde sfacciata, battendo le ciglia scure.
“Io non ti faccio tutte queste domande quando vai alla Coorte
Unseelie” aveva
risposto Bo, senza alcuna incertezza. “Ma perché
io sono stata l’ultima
improbabile Dama di Palazzo della Venticinquesima Principessa[2]”
aveva sminuito la
questione Isolde.
“Ed io ho sempre ignorato piacevolmente il Consiglio a
Spirale” aveva ribattuto
Bo, prima di rivolgersi verso Alec ed Izzy.
“Come dicevo per me è un onore incontrarvi
… Alec ” aveva dichiarato poi con
una certa eleganza, portando una mano sul petto e chinando il capo con
eleganza
e rispetto.
Isabelle aveva rivolto uno sguardo divertito verso di lui, consapevole
di
quanto tutto quel formalismo rendeva parecchio rigido Alec.
“Anche per noi lo è” aveva squittito
Izzy squillante, pareva incredibilmente
divertita dalla situazione. Alec le aveva lanciato uno sguardo
leggermente
indispettito, “Credo dobbiamo, adesso, arrivare
all’Aia ed occuparci dei
Pangborn – non permetterò che il morbo che sono
questi cacciatori rovinino gli
Shadowhunters” aveva dichiarato ferreo.
Credeva in ogni parola.
“Perfetto, mi mancavano queste cose” aveva
canticchiato Isabelle, smorzando la
tensione che si era venuta a creare dopo l’intervento di Alec.
Willem aveva annuito, dicendo qualcosa al suo stregone di fiducia in
quello che
doveva essere olandese.
“Bene, aprirò il portale, conosco un posticino
dove apparire che non dovrebbe
destare troppo sospetto – sapete, l’Aia tende ad
essere sempre brulicante di
gente … e non possiamo apparire all’Istituto,
immagino” aveva rivelato poi Bo,
facendo schioccare le dita, piccole scintille di fuoco verde ne erano
fuori
uscite, poi senza la minima esitazione aveva imposto le mani e dopo un
forte
brivido di vento, nell’aria si era aperto un vortice verde
ribollente e
ventoso, che si era poi rischiarato, fino a che non era diventata una
finestra
su un bugigattolo, nascosto dietro un’ovale perfetto, il cui
bordo scintillava
di verde brillante.
“Una
domanda veloce”
aveva detto poi Alec, attirando l’attenzione di Bo,
“Come era parsa la Somma
Stregona di Leiden all’idea di incontrare Magnus?”
aveva domandato Alec,
cercando di mantenere l’espressione più granitica
che potesse esibire.
Quello aveva cruciato le labbra, o almeno il taglio sul viso squamato,
che
somigliava ad una bocca, “Oh, sembrava entusiasta di rivedere
il Grande Magnus
Bane – a proposito, dispiace a me di averlo mancato
– meno per Ragnor Fell, ha
sciorinato una serie di epiteti molto poco carini in greco
antico” aveva
raccontato.
Alec aveva annuito, rincuorato, prima di ascoltare bene le parole dello
stregone: “Rivedere?” aveva chiesto.
Magnus non conosceva Justine Vale o così aveva detto ad Alec.
“Basta chiacchiere, ci penserai più
avanti” lo aveva richiamato Izzy, “Magnus
se la sa cavare e a noi spetta un assedio” aveva dichiarato.
[1]
Qualcuno
dovrà pur farlo
[2]
In
questo momento si sta rivolgendo ad un’ipotetica sorella di
Kieran (che ai
tempi in cui governava il padre di quest’ultimo non aveva un
gran ruolo, ovvero
quello di venticinquesima figlia femmina – ma non
venticinquesima figlia, per
intendere). Invece il ruolo di Dama di Palazzo era quello
più basso tra le dame
di compagnia (in importanza decrescente: Sovrintendente della casa,
Dama
d’Onore e Dama di Gala) secondo la corte francese.