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Autore: LadyNorin    11/03/2021    3 recensioni
John Watson si era allontanato quanto più possibile da Baker Street. La decisione che lo aveva spinto a fare le valigie era molto semplice: Sherlock Holmes.
Dopo la morte di sua moglie Mary, John decide di allontanarsi da coloro che lo hanno fatto soffrire e iniziare una nuova vita. Ma forse il destino prende le sue decisioni, e nemmeno un uomo razionale come John può contrastarle.
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2:

***

[Revisionato]
Doveva assolutamente cercare di liberargli le vie respiratorie.
Gli aveva slacciato i primi bottoni della camicia, anche se alcuni erano saltati via in precedenza e l’indumento era pieno di strappi e imbevuto di sangue.
«Dannazione qui è tutto pieno di sangue. Deve essersi anche perforato un polmone.»
Avvicinò l’orecchio al cuore. Rantolava, sembrava il suono di una schiacciasassi.
Gli fece un molto breve massaggio cardiaco, il poveretto vomitò una dose di sangue, ma almeno iniziò ad emettere rantoli dalla bocca, con il petto che si alzava ed abbassava
velocemente, segno che più o meno stava respirando, ma con un polmone in quelle condizioni sarebbe durato poco, rischiava inoltre di soffocarsi con il suo stesso sangue.
John si passò una mano sul viso e Lestrade tra i capelli.
In quel momento arrivarono i paramedici. Nemmeno si erano accorti delle sirene dell’ambulanza.
Caricarono la vittima riversa a terra, su una barella e John diede loro tutto il resoconto di quello che era accaduto e di quello che aveva fatto, spiegandogli che era un dottore.
I paramedici si allontanarono, salendo nell’ambulanza.
Fece ritorno da
Lestrade.
«Non ci posso credere. Quindi non abbiamo più un morto.»
L’investigatore sembrava sconvolto.
«Non è detto che sopravviva. Era ridotto male.»
Ora c’era una nuova macchia di sangue fresco insieme a quello rappreso
sull’asfalto del parcheggio.
«Forse questo è il caso di chiamarlo.»
John imprecò mentalmente. Sapeva che
Lestrade avesse ragione.
Avevano bisogno di lui, questo caso era troppo brutale perché lasciassero il colpevole a piede libero. Ogni minuto che passava qualche innocente rischiava di fare una brutta fine.
Sospirò. Non sentiva e non vedeva più Sherlock Holmes da un anno.
«D’accordo.» prese il telefono,
anche se gli sembrò l’azione più difficile del mondo, quell’aggeggio sembrava pesasse dei chili, e sbloccò lo schermo.

Non aveva cancellato il suo numero dalla rubrica, però lo aveva bloccato, quindi sbloccò il contatto, e premette il tasto di chiamata.
Diede le spalle a Lestrade, così non poteva vederlo in faccia e leggere le sue espressioni, o avrebbe capito tutto.
L’idea di risentire la voce di Sherlock gli provocò un brivido lungo la schiena.
Iniziò a squillare dall’altro capo. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Strano, di solito al terzo rispondeva sempre se era per lavoro. Lasciò che andasse a vuoto e
riattaccò. Forse aveva visto il suo numero, per questo non gli rispondeva… Si voltò verso il detective.
«Non mi risponde.»
«Siete messi così male?»
Ignorò la frecciatina.
«D’accordo lo chiamo io. Ma se divorziate i week end gli passo con te.
Almeno il fine settimana voglio divertirmi e lui non è capace.»
John gli rifilò un occhiataccia, a cui il detective rispose con un sorrisetto. Sapeva di colpire nei punti giusti. Bastardo.
Fu il turno di
Lestrade di chiamare Sherlock.
John nemmeno si era accorto di starlo a fissare, ma era troppo concentrato, cercava di
percepire la voce che avrebbe risposto dall’altro capo. Passarono alcuni squilli. Poi finalmente qualcuno rispose. Solo che non era la voce che si aspettava.
«Pronto? Sherlock?» chiese
Lestrade, già stranito da quella situazione.
L’a voce
all’altro capo rispose.
«Ward? Scusa Ward perché stai rispondendo tu al telefono di Sherlock? E’ lì con te?»
«Ma chi Sherlock Holmes?»
«No Ward, la regina!»
Uno strano presentimento scivolò lungo lo stomaco
di John.
«No capo l’ho trovato nel cassonetto qui di fuori.»
John Watson non amava particolarmente correre ora che era in “pensione”, ma a quelle parole aveva letteralmente volato.
Lestrade url
ò il suo nome, ma si era già lanciato all’esterno del viale laterale del parcheggio, dove i poliziotti stavano facendo i rilevamenti, e ora lo fissavano come se avessero appena visto un drago a tre teste.
Non gliene fregava niente.
Cercò
con lo sguardo, in preda alla disperazione.
Doveva esserci una spiegazione logica. La buona cara vecchia logica.
Fece un giro su se stesso. Verso il fondo del viale c’erano alcuni grossi cassonetti buttati contro il muro. Corse verso di essi, scansando alcuni poliziotti.
Un ragazzo sulla trentina, con la divisa e il classico elmetto della polizia, lo stava fissando, in mano, portato all’orecchio, aveva un telefono. Era quello di Sherlock. Lo conosceva molto bene, glielo aveva comprato lui dal momento che quello che aveva prima si era praticamente distrutto. Deglutì e il nodo che aveva in gola lasciò un solco.
Strappò il telefono dalla mano del povero agente, e tremante, se lo portò all’orecchio.
«Greg?»
«John sei tu? Ma che diavolo sta succedendo?»
Avrebbe tanto voluto saperlo.
Mollò quel dannato aggeggio e prese il povero ragazzo che non aveva alcuna colpa se non fare il suo lavoro, per la giacchetta giallo fluo.
«Dove lo hai trovato!» urlò. La pioggia cadeva più fitta rispetto a prima.
L’agente indicò il cassonetto accanto.
Saltò su una delle sporgenze e si arrampicò usando tutte le forze. Il coperchio era ancora sollevato, così gli bastò sporgersi.
Passò ogni angolo al setaccio con lo sguardo, finché non trovò quella che sembrava stoffa scura arrotolata.
«Tienimi!» urlò a pieni polmoni e senza aspettare risposta si infilò con metà del corpo oltre il bordo del cassonetto. Recuperò quello che gli interessava e si lasciò cadere all’indietro, atterrando sull’asfalto.
Tra le mani aveva della pesante stoffa di lana scura. La aprì. Era un cappotto lungo.
Deglutì, e fu talmente doloroso che gli si raggrupparono delle lacrime agli angoli degli occhi. No non poteva essere. Avrebbe riconosciuto quel cappotto ovunque, anche se ora era sporco e
la stoffa interna aveva alcuni strappi.
«Signore?
» chiese confuso l’agente accanto a lui.
C’erano le cuciture rosse…
«Abb-a… Credo che forse sappiamo chi è la vittima.»

Si stava inzuppando a causa della pioggia ma non sentiva niente, solo il gelo che si era impadronito di lui. E non per il freddo causato dagli agenti atmosferici.
No si rifiutava categoricamente di crederci.
Sherlock aveva fatto questo giochetto già una volta. Non ci sarebbe cascato ancora. Iniziò a provare rabbia. Non poteva essere caduto così in basso… E Lasciò cadere tutto, con grande protesta dell’agente Ward.
Non pensava a niente, corse semplicemente in direzione delle luci lampeggianti. L’ambulanza era ancora lì. Corse
maggiormente.

Spalancò gli sportelli anteriori e salì. Altre occhiate.
«Che state facendo ancora qui!»
I soccorritori lo guardarono preoccupati.
«
Andava stabilizzato. Lo abbiamo intubato, ha un polmone collassato, e gli abbiamo fatto un drenaggio.»
John cacciò il paramedico seduto dal lato
da dove era salito e si mise al suo posto. Afferrò la mano di quello che si rifiutava credere fosse il suo migliore amico.
«Sherlock?» a fatica era riuscito a pronunciare quel nome. -Ehi mi senti? Sono io, John. Dai non fare il difficile lo so che mi senti.
Ascolta, se capisci quello che dico, perché non mi stringi la mano?»
Lo avevano già intubato e messo l’ossigeno,
non sembrava nemmeno ci fosse lui la sotto. Pregò con tutto se stesso di non avere risposta. Ma quel tocco leggero, quelle dita che lo stringevano senza forza. Bastò a spezzarlo.
«Signore scusi ma dobbiamo andare.»
«Ehi senti, andrà tutto bene te lo prometto. Sono qui. Adesso sono qui.»
Sherlock
cercò di aprire l’unico occhio che gli era rimasto ‘buono’. C’era solo una fessura con sotto il nero, e lo stava fissando da sotto le lunghe ciglia.
Il dottore mise anche l’altra mano sulla sua e la strinse.
«Andrà tutto bene.» ripeté, quasi più
per essere di conforto a se stesso.
Dovettero tirarlo via quasi a forza e farlo scendere.
Appena i paramedici ebbero richiuso gli sportelli, la sirena si accese e partirono a tutta velocità.
John tornò nel vicolo, recuperò il cappotto e il telefono, che l’agente Ward si era assicurato di impacchettare con cura, e tornò da Lestrade.
La pioggia e l’umidità gli si erano impregnate nelle ossa. La odiava la pioggia.
«John?» Greg era ancora in piedi, esattamente dove l'aveva lasciato prima, e lo fissava confuso.
Gli consegnò i due pacchetti.
Lestrade aprì quello più grande e tirò fuori il cappotto.
John non riusciva nemmeno a parlare.
Il detective si era cambiato i guanti, quindi girò l’indumento tra le mani, ispezionandolo.
Ovviamente lo aveva riconosciuto, ma da bravo investigatore voleva esserne sicuro.
Quindi afferrò il colletto e lo rivoltò verso l’esterno, al centro c’era un etichetta di stoffa, un rettangolino in seta nero, ricamato con una scritta in filo rosso, quel nome lampeggiava come un'insegna al neon.
«Cazzo… John che sta succedendo? John guardami.
»
Lestrade afferrò l’amico per le una spalla e lo scosse con forza, costringendolo a guardarlo in faccia.
«Che cazzo ci fa qui il cappotto di Sherlock?»
John lo fissò dritto negli occhi. Lestrade non era certo un uomo stupido. Capì subito.
«Vieni.»


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Note d’autrice:

Se siete arrivati fino a qui vi ringrazio per la pazienza dimostrata!
Scusate se nel precedente capitolo non ho lasciato note, ma non ricordo più come si usa questo sito e soprattutto non so editare, credo che i codici HTML mi odino, e io di conseguenza odio loro. Cercherò di sistemare meglio anche il primo capitolo.
Questa storia nasce in pieno periodo di auto segregazione dentro casa a causa del voi-sapete-cosa, dal momento che non posso in alcun modo rischiare, ecco il motivo della clausura before it was cool (ovviamente scherzo). Ad ogni modo, era davvero da tanti anni, e per tanti anni intendo almeno più di 10, che non scrivevo nulla.
Ormai era come se avessi perso le speranze oltre che la voglia. Poi causa noia e disperazione, hanno iniziato a tornarmi le idee. Così un bel giorno ho preso il pc, ho aperto il documento di Office, e ho iniziato a scrivere, e in men che non si dica, da 4 righe sono diventati 30 capitoli (non scherzo), e ancora ne mancano prima della fine. Probabilmente sarà scritto male visto che non ho più idea di come si faccia, però ecco volevo provare comunque.
Sto già provando anche a pubblicarla in inglese, che è un impresa dal momento che già faccio fatica a sapere l’italiano, figurarsi un altra lingua, ma con l’aiuto di una beta qualcosa ne sta uscendo. Da qui poi l’idea di creare un nuovo account e tornare a pubblicare su EFP.
A quello che vedo è ancora abbastanza frequentato e ne sono davvero felice! Già solo il primo capitolo ha avuto molte visualizzazioni e delle persone che lo hanno messo tra i seguiti e i preferiti!

Riguardo alla storia, è una specie di WHAT-IF che si colloca dopo il finale della prima puntata della quarta stagione.
Cosa sarebbe successo se John avesse duramente litigato con Sherlock a causa della morte di Mary, e avesse deciso di andarsene?
Da qui è partito tutto il resto (anche perché diciamolo, l’ultima puntata non esiste).
Ovviamente se volete farmi sapere la vostra opinione ne sarei estremamente felice!
Ho anche una pagina Facebook con cui potete trovarmi se volete news su questa storia: https://www.facebook.com/ladynorin/
   
 
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