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Autore: Europa91    12/03/2021    2 recensioni
[Demons & Exorcist AU]
[Soukoku]
[Paul Verlaine x Arthur Rimbaud]
“Quando aveva ammesso a se stesso di amare Dazai, e quando questi gli aveva teso la mano, Chuuya non ci aveva pensato due volte, si era lasciato tutto alle spalle e l’aveva seguito. Umano, demone, qualsiasi forma che l’altro potesse assumere, continuare ad amarlo significava commettere un peccato e ne era pienamente consapevole.”
Quando entrano in gioco i sentimenti nessuna scelta è facile.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Paul Verlaine
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sisters and Demons'
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Cow-t 11 – Quinta settimana – M4

Prompt: 012 – Quando ti sei innamorato – Orietta Berti

Fandom: Bungou Stray Dogs

Rating: SAFE (con precipitazioni di Angst ma leggere)

Numero Parole: 6024

Note: Non ho niente da dire, questa storia si sta scrivendo da sola. Poi se capita un testo che urla Soukoku ad ogni strofa non è colpa mia XD Buona lettura!!!

 

 

 

 

 

Pericoloso sei ma è quello che vorrei
Sembrava tanto eppure non ho niente
Se non ti ho accanto tutto è apparente,
Un’onda senza il mare, un cielo senza stelle,
Solo il mio pianto mi resta senza te

 

 

 

 

 

Era trascorso un mese da quando era tornato all’Ordine e da quando Dazai era scomparso. Se chiudeva gli occhi, Chuuya poteva ancora immaginare di trovarsi nella loro casa, in quel bosco nelle vicinanze del villaggio a sud del convento. Era mattina e lui stava preparando la colazione mentre l’altro ragazzo sonnecchiava a letto, i primi pallidi raggi di sole filtravano tra le finestre, illuminando l’ambiente circostante. Quei giorni passati insieme lontano da tutto e tutti gli sembravano ora come un lungo sogno dal quale era stato svegliato troppo in fretta. Sapeva che non sarebbe potuto durare per sempre, che prima o poi la realtà sarebbe venuta a bussare alla sua porta ma non credeva che l’avrebbe fatto in quel modo, così bruscamente. Dazai si era rivelato essere un demone e ora probabilmente si trovava all’Inferno. Una parte di lui ancora faticava a crederlo ed accettarlo.

Durante quel mese, Chuuya aveva attraversato diverse fasi, passando con il provare emozioni altalenanti mentre cercava di metabolizzare ma soprattutto elaborare il tutto. Non era stato facile scendere a patti con i propri sentimenti, ammettere di essersi innamorato di un altro ragazzo, nello specifico di un idiota come Dazai. Era un novizio dell’Ordine della Maddalena, stava studiando e preparando per diventare un esorcista come Rimbaud, il suo mentore. Aveva giurato vendetta contro la razza dei demoni, responsabili della distruzione del suo villaggio e della morte dei suoi genitori. Aveva finito con l’innamorarsi di uno di loro, anche se non poteva saperlo. L’unica cosa di cui Chuuya era a conoscenza erano i suoi sentimenti. Quelli gli erano chiari da tempo ormai.

Quando aveva ammesso a se stesso di amare Dazai, e quando questi gli aveva teso la mano, Chuuya non ci aveva pensato due volte, si era lasciato tutto alle spalle e l’aveva seguito.

Umano, demone, qualsiasi forma l’altro potesse assumere, continuare ad amarlo significava commettere un peccato e ne era pienamente consapevole. Come aveva detto Arthur, Chuuya ormai era un adulto, aveva preso una decisione e ora doveva vivere con il peso delle conseguenze che essa avrebbe portato.

Aveva peccato, tradito gli insegnamenti dell’Ordine ma non solo, era andato a letto con il nemico, con uno dei demoni che aveva sempre giurato di distruggere. Se ci pensava, si sentiva ribollire il sangue dalla rabbia. Dazai avrebbe avuto mille e più occasioni per dirgli la verità ma non lo aveva fatto, si era preso gioco di lui.

Rimbaud gli aveva detto che non doveva avere fretta, prima o poi il dolore sarebbe passato e le cose sarebbero migliorate. Chuuya non ne era convinto. Ogni giorno stava sempre peggio.

Dal loro primo incontro, Dazai era in qualche modo diventato una presenza, per quanto insopportabile, costante nella sua vita e ora gli mancava, come l’aria nei polmoni. Gli mancava trovarlo appollaiato su un albero o vederlo girargli intorno ogni volta che svolgeva una qualche commissione per conto dell’Ordine. Per non parlare dei baci che era solito rubargli a tradimento e nelle occasioni più disparate. Tutto di quell’essere gli mancava e il non sapere dove fosse non faceva altro che innervosirlo ancora di più. Arthur gli stava sempre accanto, come se avesse bisogno di un baby sitter. Chuuya non aveva ancora avuto modo di conoscere il compagno demoniaco del suo mentore ma sperava che non fosse protettivo quanto lui. Non era un bambino, sapeva badare a se stesso e Rimbaud sembrava non notarlo, dato che lo seguiva ovunque come un’ombra.

«Arthur per la centesima volta, ti ho detto che sto bene»

«Ti ho osservato mentre vangavi l’orto, continuavi a fissare l’albero dove solitamente stava quel demone» il ragazzo dai capelli rossi alzò gli occhi al cielo prima di sbuffare;

«Mi manca. Non puoi farmene una colpa» e aveva ragione. L’esorcista lo sapeva ma non poteva fare a meno di preoccuparsi.

«Domani parto per una missione e vorrei che tu mi accompagnassi» Chuuya lo fissò per qualche istante interdetto;

«Non sono più un novizio dell’Ordine»

«Ma che stai dicendo, certo che lo sei» lo sguardo del rosso si fece all’improvviso più cupo.

«E se non volessi più esserlo? Ho infranto più di un voto» era la verità e lo sapevano bene entrambi.

«Se per questo anche io» il più giovane alzò il volto solo per poterlo guardare negli occhi, odiava ci fosse quella differenza d’altezza tra loro, lo faceva sembrare ancora un ragazzino, anche se paragonato al suo mentore lo era.

«Perché non hai mai lasciato l’Ordine Arthur?»

Era da un po' che se lo domandava, in fondo anche il reverendo aveva infranto i voti, non capiva. L’uomo sorrise debolmente andando a sedersi in una panchina e invitando Chuuya a fare lo stesso con un cenno della mano.

«Provengo da un’importante famiglia di esorcisti»

«Lo so» ammise il rosso. Non era un segreto per nessuno. I libri sui quali studiava avevano interi capitoli dedicati ai Rimbaud. Arthur sorrise prima di continuare a spiegare;

«Purtroppo io e Paul non siamo mai stati molto discreti, il Vaticano ha scoperto praticamente subito la nostra relazione ma proprio per via del cognome che porto riuscii ad ottenere una sorta di compromesso ed evitare uno scandalo; ovviamente Paul non avrebbe ucciso nessuno o fatto qualsiasi cosa potesse far emettere un provvedimento di cattura nei suoi confronti e io avrei continuato a lavorare per l’Ordine, oltre che tenerlo sotto controllo»

Chuuya finse di pensarci per qualche secondo; c’era un’altra domanda che premeva per uscire dalle sue labbra;

«Perché non ve ne siete semplicemente andati?» l’uomo osservò il nipote per un lungo istante, una parte di lui sapeva che quello sarebbe stato il momento perfetto per dirgli la verità. Per rivelare quella parte di storia di cui ancora il ragazzo non era a conoscenza.

Lui e Paul non se n’erano mai andati perché aveva paura dell’Ordine. Temeva una loro reazione. Sapeva di cosa potessero essere capaci i suoi superiori, lo aveva già visto accadere. Poi aveva scoperto di Marie e del suo bambino. Chuuya era comparso nella sua vita e da quel momento Arthur aveva capito che avrebbe fatto il possibile per proteggerlo. Aveva fallito nel salvare sua sorella ma non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Chuuya era diventato una sua responsabilità nel momento stesso in cui lo aveva trovato quella notte, rannicchiato accanto ai corpi senza vita dei genitori. Era anche per lui che era rimasto, per proteggerlo.

«Perché nulla a questo mondo è facile» si limitò a rispondere. Vide il ragazzino gonfiare le guance in un modo che gli ricordò Paul,

«Io l’avrei fatto, cioè l’ho fatto ora che ci penso» l’esorcista scoppiò a ridere. Chuuya era esattamente come Marie, avevano avuto il coraggio di portare avanti le loro convinzioni, quel tipo di coraggio che ad Arthur era sempre mancato. Allungò una mano per scompigliargli affettuosamente i capelli.

«Questo perché sei ancora un ragazzino, non sai niente del mondo»

«E di chi è la colpa? Mi hai cresciuto un una campana di vetro»

«Lo so e non me ne pento. Avresti voluto una vita diversa?» non era certo di essere preparato per sentire la risposta.

«Non lo so, non credo. Da quando ho incontrato Dazai non so più nulla, ha distrutto tutte le mie certezze e messo in discussione ogni cosa. È come se mi fossi trasformato gradualmente in un’altra persona»

L’esorcista sorrise comprensivo, era stato lo stesso anche per lui. Tuttavia non riuscì a scacciare dalla mente l’immagine sbiadita un sogno, che per lungo tempo gli aveva tenuto compagnia nelle fredde notti di solitudine. Quello di lui e Paul in una casa piena di risate, che crescevano Chuuya. Sperò che suo nipote potesse vivere una storia diversa, potesse in qualche modo avere un lieto fine.

«Allora, ci verrai in missione con me? Sei ancora parte dell’Ordine e nessuno ha mai messo in dubbio la tua lealtà»

A quelle parole qualcosa dentro il rosso scattò;

«Cosa gli hai raccontato? Che Dazai mi ha rapito? Me ne sono andato perché lo volevo»

Il cacciatore sorrise,

«Nessuno è al corrente della tua fuga. Non ho consegnato ne redatto nessun rapporto e pure le sorelle hanno preferito rimanere in silenzio»

«Mi avete coperto? Perché?» era senza parole;

«Sapevo che saresti tornato. Mi fidavo di te» Chuuya però si sentiva lo stesso arrabbiato. Odiava quel atteggiamento accondiscendente che il suo maestro aveva assunto nei suoi riguardi. Aveva sbagliato e doveva essere punito, pagare le conseguenze delle sue azioni. Invece tutti continuavano a proteggerlo come si fa con un bambino. Si alzò in piedi per poi dirigersi verso il convento.

«Chuuya» provò a chiamarlo.

«Ci penserò su, ora ho bisogno di stare solo»

Arthur lo guardò allontanarsi. Non era facile avere a che fare con un adolescente ribelle, ma avrebbe fatto il possibile per fargli superare la delusione provocata da Dazai.

 

***

 

Stava passeggiando tra i corridoi della sede principale dell’Ordine, era stato richiamato di gran fretta dai suoi superiori e la cosa era sospetta. Rimbaud temeva che potesse avere a che fare con Dazai o peggio, con Chuuya. Ad ogni passo si lasciava dietro una scia di novizie e novizi dagli occhi sognanti e il cuore infranto. Arthur era una sorta di leggenda vivente all’interno del Ordine. Inoltre era un uomo di bell’aspetto, capitava spesso che qualcuno mettesse gli occhi su di lui. Questo perché in pochi conoscevano la sua relazione con un certo demone o in generale, le sue preferenze.

«Gira voce che da giovane abbia avuto un figlio con una madre superiora, e che lei poi abbia lasciato il convento»

«Eh? Davvero? Ma non è possibile! È un Rimbaud»

«Ti dico di sì. Hai presente quel novizio che ogni tanto è in sua compagnia, quello con i capelli rossi?»

«Si, l’unico superstite dell’incidente di Suribachi»

«Esatto, dicono si tratti di lui»

«Effettivamente lo tratta come un figlio…»

Ogni volta era la stessa storia, quando metteva piede nella sede principale era tutto un susseguirsi di bisbigli e occhiate alle sue spalle. Arthur non ci aveva mai dato molto peso, ne era abituato, era sempre stato così. Al momento però aveva altro per la testa. Preoccuparsi di quei pettegolezzi era davvero l’ultimo dei suoi pensieri.

Quello che non sapeva, era che fuori da una finestra un certo demone dai capelli biondi aveva sentito tutto.

Paul non poteva evitare di preoccuparsi quando Arthur veniva richiamato dall’Ordine, per questo lo seguiva e tratteneva il fiato fino al momento in cui non lo vedeva uscire dall’edificio per tornare a casa. Quella volta, il cacciatore si era trattenuto per qualche giorno, segno che doveva essere successo qualcosa di grosso.

Bastò incrociare il suo sguardo per capire che, anche quella volta, aveva avuto ragione.

«Hanno rinvenuto i corpi di cinque novizie. Si sono suicidate nelle loro stanze» calò un pesante silenzio fatto di molti sottintesi.

«Pensi che possa trattarsi di Dazai?» azzardò a chiedere;

«Dimmelo tu. Lo conosci meglio di me, anzi conosci il suo lato demoniaco, quello che né io né Chuuya abbiamo ancora avuto modo di vedere»

«Descrivimi tutto, non tralasciare nessun dettaglio»

Arthur lo fece. Quando ebbe finito il biondo assunse un’aria pensierosa.

«Non sembra il solito modus operandi di Dazai. Penso che qualcuno stia cercando di incastrarlo, di mettere l’Ordine sulle sue tracce»

«Non ne vedo lo scopo e non riesco a comprenderne bene neanche la tempistica, cioè perché proprio ora?»

«Perché è tornato all’Inferno. Arthur, hai ragione, tu non conosci Dazai è un demone cinico, spietato e senza sentimenti. Può diventare crudele come un bambino capriccioso, non possiede alcuna morale e non ho mai visto nessuno divertirsi tanto come lui nel torturare la gente»

«Ti ricordo che hai permesso a Chuuya di stare per un mese in compagnia di un essere simile»

«Pensavo fosse cambiato, che anche grazie a Chuuya lo fosse, almeno in parte. Per questo non capisco quest’ondata di suicidi. Che si tratti o meno di lui non possiamo abbassare la guardia. Che disposizioni ti hanno dato?»

«Mi hanno affidato il caso»

«Non ne sembri felice»

«Volevo che Chuuya mi accompagnasse in missione per distrarsi ma alla luce dei recenti sviluppi penso sia meglio di no»

«Questa sarebbe decisamente una pessima idea. Dai Arthur non fare come al solito la madre apprensiva. È passato poco più di un mese, tu quanto hai smesso di piangere per me?» l’esorcista si trovò ad arrossire prima di distogliere lo sguardo;

«Non ho mai pianto per te» ed era vero. Lo aveva fatto per Marie, ma mai per Paul, forse perché sapeva che il demone non sarebbe mai scomparso dalla sua vita, che ne avrebbe in qualche modo sempre fatto parte.

«Questa storia avrà mai una fine?» si chiese dopo un po'. Il biondo gli prese istintivamente una mano e la strinse tra le sue;

«Scopriremo cosa c’è sotto e proteggeremo Chuuya, più di questo non posso prometterti»

«Non sei obbligato, potresti anche smetterla di preoccuparti tanto» il demone gli diede un leggero scappellotto in testa;

«Ti amo e considero Chuuya un fratellino da proteggere» ammise ridendo per alleviare l’imbarazzo che le prime parole avevano portato. L’esorcista sorrise alzando un sopracciglio con fare volutamente provocatorio, avvicinandosi di più a lui per specchiarsi in quelle iridi smeraldine.

«Fratellino?» domandò divertito;

«Ho realizzato che sono troppo giovane per essere suo padre» concluse il demone prima di baciarlo.

«Continueremo ad indagare, fintanto che resterà tra le mura del convento sarà al sicuro» disse non appena si staccarono.

Arthur rimase ancora un po' a farsi cullare da quelle braccia, aveva bisogno di credere a quelle parole anche se una parte di lui gli suggeriva che quella fosse solo la quiete prima della tempesta e che a scatenarla questa volta non sarebbe stato il suo compagno.

 

***

 

Dazai osservava pigramente un gruppo di demoni intenti a litigare poco distante da lui. Non li stava realmente vedendo, la sua mente era altrove, ogni suo pensiero era rivolto ad un certo novizio dai capelli rossi e dal carattere irascibile. In quel momento, avrebbe solo voluto parlare con Chuuya, avere un’occasione per chiarire le cose tra loro ma non c’era stato modo. Mori si era disturbato a venire sulla Terra e lui non aveva potuto far altro che seguirlo.

Sapeva che il Boss stava tramando qualcosa, l’aveva intuito da tempo, ma non era ancora nella posizione di poterlo apertamente sfidare. Non si era mai fidato di Mori o delle sue parole, aveva lui stesso imparato molto, osservandone nel corso dei secoli le mosse e strategie. Però questa volta era diverso, Dazai sentiva che il suo piano era molto più complesso e articolato. Avrebbe cercato di fare il possibile per ottenere le informazioni necessarie in modo da poter tracciare un quadro completo della situazione.

Anche l’Inferno era diverso da quando se n’era andato. I demoni erano in fermento. C’era un vago sentore di guerra, come non si respirava da secoli. Questo era un altro fatto da non sottovalutare.

In ogni momento libero però, ogni pensiero di Dazai era rivolto a Chuuya, non poteva farne a meno. Chissà cosa stava facendo, sicuramente era tornato all’Ordine. Si chiese se lo avesse già dimenticato. Gli mancava ogni cosa del rosso, soprattutto poterlo stringere tra le sue braccia.

Una volta giunto negli inferi aveva punito severamente Akutagawa. L’aveva frustato per ore sfogando su di lui tutta la sua rabbia e frustrazione. Era stato il ragazzo a lasciarsi scappare quella verità che in tanti anni il demone non era mai stato in grado di rivelare al rosso. Dazai sapeva che la colpa non era del suo giovane discepolo ma era indubbiamente più facile prendersela con lui. Non sopportava l’idea di essersi dovuto separare da Chuuya, desiderava poter tornare sulla Terra il prima possibile.

Sicuramente l’altro si era sento tradito e abbandonato, e non poteva dargli torto. Era scomparso nel cuore della notte senza che potesse dirgli addio. Avevano lasciato le cose in sospeso. Non era nemmeno stata una lite quella avvenuta tra loro. Chuuya una volta appresa la verità era scappato e lui non lo aveva fermato. Era stata una sua decisione, quella di non inseguirlo, ma ora col senno di poi se ne pentiva. Dazai era convinto che avrebbe in qualche modo aggiustato le cose ma non ne aveva avuto il tempo. Una parte di lui era certa che Chuuya avrebbe finito con il perdonarlo, se solo avessero avuto modo di parlarsi ancora una volta, avrebbe potuto spiegargli tutto.

Lasciare gli inferi in quel momento però era fuori questione. Sentiva dietro ad ogni passo, ad ogni movimento l’ombra di Mori e delle sue spie. Si sentiva come in trappola. Non capiva cosa il suo superiore stesse architettando. Se non ricordava male era stata proprio un’idea del Boss quella di trovargli una sposa. Lui aveva solo disatteso i piani innamorandosi di un novizio dell’Ordine.

Mori non avrebbe avuto il tanto sospirato erede e a Dazai la cosa non dispiaceva, non si vedeva nelle vesti di padre, anche perché non ne aveva mai avuto uno. Da che aveva memoria era sempre stato solo. Ironicamente la sola figura paterna della sua vita era stata proprio il Boss e forse Odasaku, ma quello era un capitolo troppo doloroso da riesumare.

Perdere il suo migliore amico e compagno di tante battaglie era stato difficile ma non quanto si stava rivelando lasciare Chuuya.

«Dazai-san il Boss desidera parlarti»

Akutagawa era entrato nei suoi appartamenti senza bussare, come se fosse un suo diritto. Il demone aveva storto il naso per quell’atteggiamento ma lo avrebbe punito in seguito. Ogni richiesta del Re aveva la precedenza su tutto.

Senza protestare si era quindi alzato dalla comoda poltrona sulla quale era comodamente seduto e lo aveva seguito.

«Dazai-san mi dispiace per…»

«Ti ho forse dato l’impressione di voler sentire delle scuse?»

«No ma…»

«Non ti perdonerò mai Ryu-kun, lascia che ti dia solo un piccolo consiglio, sparisci dalla mia vista, non potrei essere sempre così gentile nei tuoi confronti»

Era quella la vera natura di Dazai, il vero se stesso. Stando con Chuuya lo aveva quasi dimenticato, aveva cercato di sopprimere quel lato di sé solo per lui. Ora però non ne aveva bisogno, poteva tornare ad essere il demone di un tempo. Il rosso era stato la sua luce, ora senza di lui, era tornata l’oscurità.

«Cos’ha di tanto speciale quel novizio, è un esorcista dell’Ordine, dopo quello che i suoi hanno fatto a Oda-san…»

Dazai non lo lasciò terminare. Con un braccio lo afferrò per il collo e sollevò da terra;

«Hai commesso due errori. Il primo, Chuuya non è ancora un esorcista, però credimi non avresti nessuna speranza se dovessi ritrovarti a combattere contro di lui. Il secondo dovresti saperlo, ma lascia che ti rinfreschi la memoria: non osare mai più nominare Odasaku»

Dopo di che lo lasciò andare. Akuatagawa si trovò ad annaspare tendendosi il collo con entrambe le mani. Se solo avesse voluto Dazai avrebbe potuto ucciderlo. Era questa la natura del demone dei suicidi che aveva sempre preso come un modello da imitare. Credeva che la piccola parentesi sulla Terra lo avesse addolcito invece non era stato così, Dazai-san era sempre un demone spietato. In breve tempo raggiunsero le stanze del Boss. Il giovane demone si congedò poco prima che Dazai varcasse l’ingresso, lanciandogli un’ultima occhiata che il maggiore ignorò.

«Dazai-kun sono così contento di vederti» furono le prime parole che Mori gli rivolse;

«Boss»

«Oh suvvia ragazzo mio, non essere così formale. Ti ho chiamato solo per congratularmi»

Il demone non poté evitare di mostrarsi sorpreso. Da quando era tornato all’Inferno, non aveva fatto nulla particolarmente degno di nota o comunque da renderlo meritevole di elogi.

«Credevo che quel moccioso dai capelli rossi ti avesse in qualche modo traviato invece vedo con piacere che non hai affatto perso il tuo tocco. Sono davvero fiero di te, per questo sono sicuro che sia sempre più vicino il giorno in cui mi farai fuori e ti siederai su questo trono»

Dazai continuava ad ascoltare le parole del Boss ma non riusciva a capire a cosa si stesse riferendo. Fu Elise ad intervenire fornendogli maggiori dettagli;

«Portare al suicidio cinque vergini, questa volta ti sei davvero superato Dazai» aggiunse sorridente prima si sedersi sul grembo di Mori.

Il demone non aveva la minima idea di cosa stessero parlando quei due. Decise di rimanere al gioco, forse si trattava solo di uno scherzo di pessimo gusto.

«Non vedo l’ora di vedere la faccia della tua sposa quando il suo Ordine gli parlerà della tua ultima opera d’arte»

Non ci aveva pensato. Dazai aveva ormai capito che chiunque avesse spinto quelle ragazze a compiere un tale gesto era stato così abile che persino il Boss lo aveva scambiato per lui. Sicuramente anche l’Ordine della Maddalena avrebbe fatto il medesimo errore e l’eco della strage sarebbe, presto o tardi, arrivato anche alle orecchie di Chuuya.

Quella storia avrebbe solo fornito un’ulteriore prova a sostegno di ciò che il rosso sicuramente pensava di lui, che era un mostro. Una creatura priva di sentimenti che provava gusto nell’uccidere. In realtà Dazai non provava nulla, per lui vivere o morire, bene o male non facevano alcuna differenza. Aveva vissuto per millenni in una sorta di limbo dal quale si era risvegliato dopo la tragica scomparsa di Odasaku. Era stata la morte dell’amico a decretare l’inizio del suo cambiamento.

Aveva resistito il tempo necessario per ricevere un altro paio di elogi e si era accomiato dal Boss, per poi tornare nelle sue stanze. Aveva bisogno di riflettere su ciò che stava accadendo. Qualcuno si stava divertendo a spargere morte sulla Terra spacciandosi per lui. Non era nulla di nuovo. In realtà, nel corso della sua lunga esistenza gli era già capitato che qualche demone cercasse in qualche modo di emularlo, lo stesso Akutagawa gli aveva più volte ripetuto da averlo preso come esempio e modello. La cosa che maggiormente turbava Dazai era la tempistica con cui queste morti si erano verificate. C’erano troppe coincidenze.

Era rimasto per tre anni sulla Terra, alla ricerca di una moglie e non era sorto nessun tipo d’incidente, mentre ora appena richiamato all’Inferno ecco spuntare dal nulla un imitatore. Qualcuno stava cercando di farlo fuori, anzi più precisamente qualcuno desiderava che l’Ordine lo riconoscesse come una minaccia da abbattere.

Il suo primo pensiero corse a Chuuya, chissà cosa avrebbe pensato di lui. Si chiese da che parte si sarebbe schierato. Sorrise passandosi una mano sul volto. Arrivati a quel punto rosso doveva odiarlo, al loro successivo incontro si sarebbe trovati a combattere su fronti opposti. Dopotutto erano sempre stati nemici. Non c’era posto nelle vite di un demone e di un’esorcista per l’amore. Per breve tempo erano stati un qualcosa, ora però la realtà era arrivata prepotentemente a bussare alla loro porta e il prezzo che dovevano pagare era salato.

Dazai ripensò al loro primo incontro, quando aveva scambiato Chuuya per una suora e come la scoperta del fatto che in realtà l’altro fosse un ragazzo non l’avesse in alcun modo deluso. Si era innamorato a prima vista del rosso, del suo carattere dei suoi modi, se un giorno avesse dovuto combattere contro di lui si sarebbe semplicemente lasciato uccidere. Avrebbe compiuto un suicidio d’amore. Non avrebbe potuto sperare ad una morte migliore se non per mano dell’unico essere che avesse mai amato.

Nel frattempo avrebbe cercato di scoprire che cosa stava accadendo intorno a lui. D’un tratto Mori non era più il solo dal quale doveva guardarsi le spalle.

 

***

 

Paul aveva appena superato il primo cancello infernale. Non fu affatto sorpreso di trovarsi davanti ad una sua vecchia conoscenza che si stava divertendo nel torturare delle povere anime.

«Ehi portatore di tempesta, da quanto tempo non fai vedere la tua faccia da queste parti» lo salutò mentre appoggiava a terra una testa mozzata.

Il demone biondo sorrise prima di abbandonare le sue sembianze umane ed acquisire il suo vero aspetto.

«Salve Nikolai»

«Ahahah ti prego chiamami Gogol, Nikolai mi ricorda i bei tempi andati» scoppiarono entrambi a ridere

«A proposito del passato» iniziò il biondo, lasciando volutamente la frase in sospeso;

«Ahahah lo sospettavo, ogni tua visita non è mai affidata al caso. Allora amico che vuoi sapere?»

«Hai ancora qualche rapporto con gli altri Angeli?»

Il sorriso sul volto di Gogol scomparve venendo sostituito da una smorfia.

«Che sta succedendo Paul?»

«Nulla in particolare, ma sospetto che uno dei tuoi amici stia giocando una partita pericolosa, voglio solo evitare che qualcuno si faccia male»

«Il tuo esorcista per caso? O il mezzo demone che stai proteggendo?» la lieve reazione del biondo lo tradì e Gogol si trovò nuovamente a sorridere,

«Innamorarsi è un brutto affare, non è cosa per demoni»

«Voi un tempo eravate angeli» lo corresse;

«Lo dico per questo. Sai come è finita, sono arrivato con l’uccidere il solo essere che abbia mai amato. C’è chi dice che sia impazzito dopo quel fatto, quando in realtà sono perfettamente sano di mente. Sono un sadico e l’Inferno è il mio personale parco giochi» concluse facendo sventolare il suo mantello dal quale tirò fuori una mazza che usò per frantumare un cranio posto poco distante da dove si trovava Paul.

«Saranno passati circa cento anni dall’ultima volta che ho visto gli altri Angeli, più o meno dalla morte di Sigma» ammise una volta finito con quel macabro divertimento.

Li avevano soprannominati Angeli della Decadenza. Erano un gruppo formato da cinque angeli che all’alba dei tempi avevano seguito il Signore Oscuro accompagnandolo nella sua caduta. Si poteva tranquillamente affermare che quei fedelissimi avessero contribuito nella creazione dell’Inferno stesso. Nessuno di loro però aveva mai accettato di sedere su un trono. Avevano preferito condurre le loro esistenze tranquillamente senza attirare troppo l’attenzione. Ad ogni guerra però, o semplicemente ogni qualvolta mostravano il loro vero potere tutto l’Inferno non poteva far altro che osservarli con adorazione, timore misto a rispetto.

Gogol era uno di quei cinque angeli, come lo era stato Sigma il suo compagno, deceduto in seguito a circostanze ancora poco chiare più di un secolo prima.

Paul aveva avuto modo di conoscerli tutti e in particolare si era sempre guardato bene da uno di loro, che aveva subito catalogato come essere il più pericoloso.

«Hai notizie di Fyodor?»

«Su cosa stai indagando esattamente Paul?»

Il demone biondo indietreggiò quasi inconsapevolmente. Lo sguardo che in quel momento Gogol gli stava rivolgendo non era per nulla rassicurante. I suoi sospetti erano fondati e se Fyodor era realmente coinvolto in quella storia non avrebbe cavato altro da Nikolai. Per quanto odiasse l’ex angelo, e più di una volta avesse giurato che lo avrebbe fatto fuori con le sue mani, Gogol era sempre rimasto fedele ai suoi vecchi compagni dell’esercito celeste.

 

***

 

Poco distante, in piedi su di una roccia, il demone conosciuto come Fyodor osservava la scena dall’alto, giocando distrattamente con un teschio che aveva tra le mani. Un individuo dal volto coperto si avvicinò a lui;

«Spero che lo spettacolo sia divertente, ricordati che mi devi un favore» l’altro assottigliò lo sguardo continuando a fissare le figure sotto di sé.

«Quando avrò ottenuto quello che voglio lo sarà. Sta andando tutto secondo i piani, non immaginavo che saremmo riusciti ad ingannare sia Mori che Dazai. Godiamoci il vantaggio fintanto che dura»

«Che ne facciamo del portatore di tempesta

«Non presenta una minaccia o perlomeno non in questo momento. Paul è sempre stato facilmente manipolabile, basterà minacciare il suo esorcista o il loro prezioso moccioso per fargli fare tutto ciò che desideriamo. Vedilo come una pedina da usare a nostro piacimento»

Entrambi sorrisero;

«Sai Fyodor, devo ammettere che all’inizio ero parecchio dubbioso su questo piano»

«Come ti ho più volte assicurato amico mio, sta andando tutto secondo i piani, ogni pezzo è al proprio posto sulla scacchiera. Ora dobbiamo solo attendere che la regina faccia la sua mossa»

 

***

 

Erano passati quattro anni. Per quattro lunghi anni Chuuya aveva atteso il ritorno di Dazai. Aveva seguito il consiglio di Arthur, si era dedicato anima e corpo nelle missioni per conto dell’Ordine, anche se non aveva ancora preso ufficialmente i voti. In tutta onestà, quello era un passo che non sarebbe mai stato pronto a compiere. Non era degno di diventare un sacerdote, non dopo aver legato il suo cuore a quello di un demone.

La verità, era che non aveva mai smesso di amare Dazai. Ci aveva provato ma ogni cosa gli riportava alla mente quel demone idiota che si divertiva a farlo arrabbiare, per poi baciarlo a tradimento.

Nel corso di quegli anni, Chuuya aveva letto vari rapporti dell’Ordine, una lunga serie di missive che Arthur aveva cercato di nascondere alla sua vista ma senza successo. Erano aumentati i casi di morti per suicidio. I primi dei quali risalivano al periodo immediatamente successivo alla scomparsa di Dazai.

Chuuya aveva sempre creduto nell’innocenza del demone, non aveva mai messo in discussione il fatto che il suo ex amante fosse estraneo a quelle vicende.

Dazai poteva essere molte cose, ma possedeva una mente tanto brillante quanto complicata. Quei suicidi sembravano avvenuti per caso. Non c’erano veri collegamenti tra una pista e l’altra, sembrava quasi che qualcuno avesse scelto le vittime estraendole a sorte. Le prime erano state delle novizie, poi un’anziana vedova, delle madri di famiglia, delle adolescenti. Tutte donne, ma di età e classi sociali differenti.

Per quello l’Ordine aveva subito puntato il dito contro Dazai. Il demone dei suicidi era diventato tristemente famoso per il fatto di aver condotto verso alla morte, attraverso parole seducenti, giovani donne. Erano loro il suo bersaglio preferito. Chuuya aveva provato più volte a far presente quel dettaglio anche ad Arthur e ad altri superiori. Dazai uccideva solo giovani, non vecchie e bambine. Quanto avrebbe voluto urlare che lui lo conosceva e che l’altro non sarebbe mai stato in grado di compiere simili delitti. Ma veramente il rosso poteva dire di conoscerlo? Non ne era sicuro.

A volte nutriva ancora dei forti dubbi su Dazai, in fondo gli aveva celato la sua natura demoniaca. Col senno di poi però aveva iniziato anche a capire il suo punto di vista. Chuuya non si sarebbe mai avvicinato, se avesse saputo la verità. Lui non era come Arthur, già aveva faticato ad ammettere di essersi innamorato di un ragazzo, figurarsi di un demone. Ora però superata la rabbia, la delusione e un sacco di altri sentimenti, al rosso era rimasto solo l’amore, puro e semplice, che malgrado tutto non riusciva a smettere di provare nei confronti di quell’idiota bendato.

Ricordava di avergli chiesto più di una volta perché celasse parti del suo corpo sotto quegli strati di stoffa. Dazai aveva sorriso prima di rispondere;

«Nascondo le cicatrici del mio passato»

Non aveva aggiunto altro e Chuuya aveva smesso di chiedere. Durante la loro prima notte di passione era stato lui stesso a sciogliere con cura ogni singolo bendaggio e baciare ogni centimetro di quel corpo martoriato. Amava tutto di Dazai e c’erano volte che gli mancava come l’aria. Senza di lui si era sentito come un’onda senza il mare, un cielo senza stelle.

C’era stato un momento in cui era arrivato a pensare che sarebbe morto dal dolore. Poi però aveva reagito, aveva ripreso in mano la sua vita armato di una nuova missione, con un nuovo scopo. Non era più un ragazzino, ora era un uomo. Non avrebbe atteso all’infinito il ritorno di Dazai, quattro anni erano già troppi ma gli erano serviti per maturare ed accettare meglio i propri sentimenti. Per questo Chuuya ora non aveva più alcun dubbio, sarebbe andato all’Inferno a riprenderselo.

 

***

 

Gli era bastato seguire dei demoni. Tutti gli esorcisti sapevano che sulla Terra vi erano delle aperture, una sorta di porte che quei mostri utilizzavano per andare e venire a piacimento nel loro mondo. Durante il corso dell’ultima guerra un importante membro della famiglia Rimbaud aveva personalmente guidato un assalto all’Inferno passando proprio attraverso uno di quei varchi.

Chuuya non aveva faticato, anzi si stupì della facilità con cui era arrivato all’ingresso dell’Inferno. Si diede mentalmente dell’idiota per non averci pensato prima.

Ad attenderlo c’era solo uno strano demone. La caratteristica che maggiormente lo colpì era che fosse anziano. Il rosso sapeva che i quegli esseri potevano mutare il loro aspetto a piacimento, ma di solito preferivano assumere sembianze giovanili, anche per poter ingannare meglio le proprie vittime. Invece ora aveva di fronte un vecchio che lo guardava confuso.

«Cosa aspetti a trasformarti giovanotto?» gli chiese osservandolo da capo a piedi

«Come scusa?»

Chuuya non poteva sapere che una volta entrati all’Inferno i demoni erano soliti abbandonare le loro fattezze umane e riacquistare quella che era la loro vera forma. Per fortuna qualcuno venne a liberarlo da quell’impaccio;

«Da qui in poi ci penso io grazie Hirotsu, come sempre stai svolgendo un ottimo lavoro» disse il demone misterioso che era giunto in suo soccorso, prima di prenderlo per un braccio e trascinarlo via senza fatica, come se stesse sollevando un bambino. Una volta soli esplose, letteralmente. Iniziando ad urlare contro di lui;

«Si può sapere che credevi di fare? Arthur sa che ti trovi qui? Ma che sto dicendo, ovvio che non lo sa o non ti avrebbe lasciato venire da solo»

Chuuya fissava il suo salvatore senza capire, prima di mormorare;

«Paul?» l’altro sentendosi chiamato per nome si fece improvvisamente silenzioso;

«Tu sei Paul vero? Sei il compagno di Arthur! Sai dove si trova Dazai? Sono qui per…»

«No, no. Ora tu mi segui e ce ne torniamo all’Ordine prima che qualcuno si accorga della tua presenza. Arthur mi ucciderà quando lo verrà a sapere»

Il rosso impuntò i piedi;

«Io non me ne vado. Sono quattro anni che non ho notizie di Dazai. Non intendo rinunciare proprio ora»

«Ti prego non fare il bambino sto solo cercando di proteggerti»

«Nessuno te l’ha chiesto e io manco ti conosco»

Paul non riuscì a trattenersi;

«La prima volta che ti ho visto eri un moccioso senza denti. Una volta ti sei addormentato persino tra le mie braccia, anche se poi Arthur ti ha svegliato»

«Ma di cosa stai parlando?»

«Ci conosciamo da quando sei nato e bado a te praticamente da allora. Lo faccio per Arthur ma anche perché mi sono affezionato. Per cui non intendo mandare in fumo anni di fatiche solo perché non sai tenere a bada gli ormoni»

Chuuya era senza parole, non si aspettava quella strana confessione, come il fatto che avrebbe finito con l’incontrare il famoso Paul. Arthur si era sempre premurato di tenerlo a debita distanza dal suo demone.

«Non intendo mettermi nei guai voglio solo vedere Dazai, sapere se sta bene» cercò di spiegare con scarsi risultati

«Dazai è Dazai sta sempre bene» fu la pronta risposta dell’altro.

«Non era questo che intendevo» il biondo sbuffò prima di posargli entrambe le mani sulle spalle;

«Ascoltami Chuuya, posso capire che non è facile ma ora dobbiamo andarcene, questo posto non è sicuro per te, non sai cosa stai rischiando»

«Non mi importa» disse prima di spintonarlo via e scappare dalla sua presa. Aveva fatto solo qualche metro quando si bloccò di colpo.

Davanti a lui, circondato da altri demoni stava Dazai. Ovviamente era nel suo aspetto demoniaco ma il rosso non poteva sbagliarsi, avrebbe riconosciuto quegli occhi fra mille come il sorriso di scherno che immediatamente comparve sulle sue labbra. Per un istante che parve durare un’eternità trattenne il respiro;

«Chuuya?» mormorò incredulo.

Il moro era confuso, non si sarebbe mai aspettato di vedere il rosso all’Inferno, era davvero lì, non era un sogno o una visione, lo aveva davvero ritrovato?

Superato lo shock iniziale il ragazzo riprese fiato prima di urlare a pieni polmoni;

«Scusa per il ritardo, sono venuto a dirti che accetto la tua proposta di matrimonio».

 

  
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