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Autore: Demy77    13/03/2021    3 recensioni
Cornovaglia, 1783. Dopo aver combattuto per l’esercito inglese durante la guerra di indipendenza americana Ross Poldark ritorna in patria e convola a giuste nozze con il suo grande amore, la bellissima Elizabeth Chynoweth, che lo ha atteso trepidante per tre lunghi anni.
Due giovani innamorati, una vita da costruire insieme, un sogno che sembra realizzarsi: ma basterà per trovare la felicità?
In questa ff voglio provare ad immaginare come sarebbe stata la saga di Poldark se le cose fossero andate dall’inizio secondo i piani di Ross.
Avvertimento: alcuni personaggi saranno OOC rispetto alla serie tv e ai libri.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Appena arrivati nel cortile di Trenwith, affidati i cavalli ad un domestico che li condusse nelle stalle, i due fratelli Poldark furono accolti dall’abbaiare di un cane di media taglia, un bastardino dal pelo fulvo.
“Buono, Garrick!” – tuonò Charles, e poi si avvicinò all’animale, carezzandogli vigorosamente la testa.
“E questo?” – domandò Joshua, mentre il cane lo annusava e gli si strofinava contro le gambe.
“Garrick è il cane che ha rischiato di fare una brutta fine alla fiera di Redruth! Demelza non avrebbe mai accettato di venire qui senza di lui” – rispose Charles, invitando con un gesto il fratello ad accomodarsi in casa.
Entrati nel salone, dove la tavola era già apparecchiata per la cena, Joshua notò accanto a zia Agatha, intenta a leggerle un libro, una ragazza magra, dai capelli rossi e ricci , tenuti alzati da una fascia color ocra, lo stesso del vestito che indossava. All’ingresso dei due uomini ella interruppe la lettura, si alzò in piedi, sorrise e diede la buona sera a Charles; questi spiegò chi fosse l’ospite ed invitò Demelza ad aggiungere un coperto a tavola per suo fratello, che si sarebbe fermato a cenare con loro. La ragazza rivolse un educato inchino a Joshua, poi sgattaiolò in cucina per eseguire l’ordine che le era stato impartito.
“Allora Joshua? – chiese la zia gongolando – cosa ne pensi di Demelza? Ho fatto un buon lavoro con lei?”
Il nipote rispose che l’aveva vista solo per pochi istanti, troppo poco per giudicare, tuttavia da quel che appariva non si sarebbe mai detto che quella fanciulla fosse stata, fino a poche settimane prima, una monella di Illugan.
Zia Agatha iniziò quindi a tessere le lodi di Demelza, raccontando entusiasta di come avesse preso il posto di Verity sostituendola egregiamente; trascorrevano insieme le giornate passeggiando nel giardino se il tempo lo permetteva, oppure giocando a carte, leggendo, ricamando, facendo musica, semplicemente chiacchierando. La ragazza era attenta, premurosa, gentile; aveva un talento naturale per il canto ed era stata attirata dalla spinetta che giaceva da anni abbandonata nello studio al piano terra, così la padrona le aveva insegnato a suonarla.
Dopo poco Demelza rientrò in sala con piatti, bicchieri e posate, apparecchiò anche per Joshua ed annunciò che la cuoca era quasi pronta per servire la cena. Prima che si ritirasse a cenare con gli altri domestici, zia Agatha volle dare una dimostrazione di quanto aveva appena detto, pertanto chiese a Demelza di mettersi a cantare dinanzi ai suoi nipoti. La ragazza, dopo essersi schernita per timidezza, viste le insistenze della padrona si schiarì la voce ed intonò le note di una melodiosa canzone, una dedica appassionata di una fanciulla innamorata alla sua anima gemella.
Joshua si commosse. Lui aveva conosciuto il vero amore, sapeva cosa fosse la gioia di due cuori che battono all’unisono, e da quando Grace non c’era più quel battito era andato perduto, la sua luce si era spenta…
“Hai scritto tu il testo della canzone?” – domandò a  Demelza.
“Sì, signore” – annuì la fanciulla.
Senza sapere bene perché, Joshua la guardò dritto negli occhi e le disse: “Sono parole molto profonde, hai un animo romantico. Qualunque cosa accada, non smettere mai di credere nel vero amore. È l’unica cosa che possa dare un senso alla vita”.
Demelza lo guardò stupita. Lesse sincerità negli occhi scuri dell’uomo, ma anche una grande sofferenza e si sentì in sintonia con lui, anche se lo aveva appena conosciuto. Non ebbero però modo di parlare ancora perché fu servita la cena e la ragazza, come suo dovere, si allontanò.
Solo una volta seduti a tavola Joshua parve accorgersi dell’assenza di Francis e chiese spiegazioni.
Charles scosse la testa sconsolato.
“E’ partito per Londra qualche giorno fa; ufficialmente, per affari. Pare che abbia in mente di impiegarsi nel settore della vendita di gioielli. Tramite i Warleggan ha conosciuto un mercante di gemme che gli ha proposto di entrare in società con lui; per meglio dire, dovrebbe occuparsi di vendere la merce, e così ottenere una percentuale sul venduto. Secondo voi riuscirà a combinare qualcosa di buono? Io sono molto scettico. Temo che andrà a finire come nella parabola del figliol prodigo: sperpererà tutti i suoi averi tra gioco e prostitute e poi tornerà a chiedere il mio perdono. La storia di sempre, insomma!”
Proprio negli stessi istanti in cui a Trenwith si svolgeva quella conversazione, Francis prendeva parte ad un elegante ricevimento a Londra.
Aveva indossato il suo miglior abito ed aveva cercato di fare colpo su danarosi gentiluomini e dame, riuscendo ad ottenere un paio di appuntamenti l’indomani per esibire la sua mercanzia; se tutto fosse andato per il verso giusto, pensava, si sarebbe finalmente sottratto all’influenza paterna e non avrebbe più dovuto occuparsi di quella maledetta polverosa miniera.
Si avvicinò ad un tavolo in cui si giocava alla roulette e notò, al centro, una graziosa fanciulla bionda, molto giovane, vestita con uno sgargiante abito rosso fuoco, che aveva davanti a sé un cospicuo numero di fiches e puntava con sicurezza cifre importanti. Francis rimase ad osservare vari giri e notò come la fanciulla fosse abile nel gioco ed anche piuttosto fortunata. Era attorniata da un gruppo di giovanotti, che la chiamavano “miss Penvenen”.  Il croupier decretò che quella sarebbe stata l’ultima puntata. La bionda, che aveva vinto ancora, raccolse il denaro in una borsetta di velluto e salutò gli astanti, dirigendosi in una saletta adiacente, dove si lasciò cadere mollemente su una poltrona.
Francis decise allora di farsi coraggio e, raggiuntala, le rivolse la parola.
“Permettete, miss Penvenen? – e continuò, visto che la ragazza lo scrutava perplessa – ho udito il vostro nome poco fa… non ci conosciamo, mi chiamo Francis Poldark e vengo dalla Cornovaglia. Mio padre è un grande amico del giudice Penvenen, che presumo sia vostro zio… ci ha detto della vostra recente perdita. Mi dispiace molto.”
“Ah, sì – rispose la fanciulla – lo zio Ray chiacchiera sempre troppo. Sono trascorsi diversi mesi dalla morte di mio padre, e come vedete ho ripreso la mia vita sociale, ed ho tolto anche il lutto. Non capisco che senso abbia vestirsi di nero: come se potesse riportare in vita le persone!”
“Questo è vero - rise Francis – a volte le convenzioni sono così stupide…”
Caroline chiese poi come mai Francis si trovasse nella Capitale ed egli illustrò la natura degli affari che ve lo avevano condotto; per sua sfortuna la giovane disse che non amava troppo i gioielli, ma preferiva abiti e cappellini. Era sfumato quindi il progetto di Francis di averla come cliente.
“Vi piace Londra, signor Poldark? O preferite vivere in Cornovaglia? Zio Ray mi vorrebbe lì per Natale” - chiese allora la giovane.
“Certamente i ricevimenti da noi sono più noiosi, gli abiti delle signore non sono così alla moda e ci sono pochi teatri e ritrovi – rispose con sincerità il giovane - Tuttavia ritengo che il Natale sia una festa da trascorrere in famiglia, dinanzi ad un camino acceso e ad una tavola riccamente imbandita... tutte cose che a Killewarren potrete trovare. Io stesso credo di rientrare a casa per le feste: potrei farvi compagnia, se lo vorrete.”
Caroline lo guardò beffarda e disse, con tono sprezzante: “Avete un’opinione molto elevata di voi stesso… saprete senz’altro che sono un’ereditiera e che ho una rendita annuale di oltre 100.000 sterline… sono abituata ad essere circondata di uomini che non vedono l’ora di mettere le mani sul mio patrimonio e che fanno i cascamorti, ne ho fin sopra i capelli! Mio zio anela a che mi sposi, ma se non ho trovato nessuno di mio gradimento a Londra, pensate forse che avrei miglior sorte in quell’angolo sperduto di mondo?”
“Non si può mai dire, miss Penvenen, la Cornovaglia non è un posto così orribile come credete… in ogni caso siete fuori strada, perché io per principio sono contrario al matrimonio. La mia offerta di farvi compagnia era assolutamente disinteressata. Se accetterete la proposta di vostro zio e verrete a Killewarren per Natale, chiedete pure di me. Abito nella tenuta di Trenwith”.
“Molto bene – concluse la giovane – Per me si è fatta ora di andare. Arrivederci signor Poldark.”
Francis le baciò la mano e la guardò andare via. Altro che gioielli… sposare quella donna, sarebbe stato un vero affare, si sarebbe sistemato per la vita! Certo che aveva un carattere davvero orribile…
***
Il giorno di Ognissanti, dopo aver accompagnato a Messa la signora Agatha, Demelza aveva ottenuto la giornata libera. Era una splendida giornata di sole, dalla temperatura mite, una vera e propria estate di San Martino in anticipo. Decise di spingersi fino alla spiaggia, passeggiò a piedi nudi sulla sabbia ammirando i riflessi dorati del sole sull’acqua. Non era la prima volta che vedeva il mare, ma quel giorno le appariva così invitante che sollevò i bordi dell’abito, fece alla meno peggio una sorta di nodo con le due balze laterali, in modo da tenere scoperti i polpacci, ed immerse le caviglie nell’acqua. Era fresca, ma non gelida: il calore accumulato nei mesi estivi si dissipava molto più lentamente nel mare rispetto alla terra. Fece un altro passo avanti e si crogiolò in quell’acqua trasparente. Cercò di alzare sopra il ginocchio i mutandoni che portava sotto il vestito e si bagnò ancora.
Inaspettatamente, da dietro gli scogli vide apparire un uomo che, con ampie bracciate, si riportava a nuoto verso la riva: evidentemente qualcuno tanto temerario da fare il bagno in autunno avanzato c’era! Prima che il nuotatore la vedesse in quella condizione sconveniente, Demelza ritornò sulla spiaggia, sciolse il vestito lasciando che la gonna le ricoprisse completamente le gambe e si riavvicinò al luogo dove aveva abbandonato le scarpe e le calze.
Fu solo allora che la giovane si accorse che poco distante da quel punto vi erano dei vestiti ammucchiati, che dovevano con ogni probabilità appartenere all’uomo che era in acqua. Non appena si girò, infatti, vide che un uomo a torso nudo avanzava a passo svelto nella sua direzione.
Non era certo la prima volta che vedeva un uomo senza camicia, ma di solito si trattava di minatori sudici dalle pance prominenti o di adolescenti scheletrici. Questo invece era un gentiluomo, perché aveva la pelle candida e liscia, spalle larghe e pettorali tonici; l’acqua gli faceva aderire i pantaloni alle gambe come una seconda pelle, rivelando dei quadricipiti possenti. Demelza avvampò ed istintivamente abbassò lo sguardo in terra, armeggiando con le calze, che però facevano fatica a scivolare, essendo i piedi ancora troppo umidi.
Si rese conto che non poteva fare nulla per evitare l’incontro con quell’uomo seminudo e cercò di comportarsi con naturalezza. Quando lo vide da vicino, si accorse che era proprio bello… aveva i capelli bruni e ricci, ed un paio di occhi scuri e profondi. Peccato per la cicatrice che gli segnava la guancia sinistra e che gli conferiva l’aspetto di un pirata!
“Vi ho spaventato? Siete fuggita quando mi avete visto!” – disse il bel giovane, frizionandosi vigorosamente la testa e le spalle con un telo.
“No, non mi sono spaventata, è che si è fatta ora di andare, devo arrivare fino a Trenwith prima che faccia buio” – gli rispose.
Udendo il nome della tenuta di famiglia, esclamò: “Ah, allora tu devi essere la famosa Demelza! Mio padre mi ha parlato di te e delle tue doti canore. Io sono Ross Poldark, il pronipote della signora Agatha”.
“Ah, il capitano Poldark! – esclamò Demelza – siete voi, e non io, ad essere famoso…”
“Addirittura? Cosa ti ha raccontato la zia di me?” – chiese Ross curioso, mentre si rivestiva.
“Che siete stato sempre un giovane scapestrato, testardo, ma dal buon cuore; che avete combattuto eroicamente in America e che siete tornato l’anno scorso; che avete una moglie bellissima che aspetta un bambino… ma non è solo da vostra zia che ho udito parlare di voi. Mio padre fa il minatore ad Illugan, e tutti sanno che siete diverso dagli altri padroni, avete molto a cuore le condizioni dei lavoratori e siete generoso con loro. Per questo ho detto che siete famoso qui in zona”.
“Faccio quel che mi è possibile – rispose semplicemente Ross – troppo poco rispetto a quello che andrebbe fatto. Ed anche la zia ha esagerato… tranne che per la bellezza di Elizabeth!”
“La signora Agatha è in collera con voi, sapete? Perché non venite mai a trovarla?” – lo rimproverò Demelza.
“Devo fare ammenda  – ammise Ross – l’ho trascurata molto nell’ultimo periodo”- ed era la verità, perché anche dopo che Joshua lo aveva pregato di visitare la vecchia prozia al più presto Ross aveva avuto dei giorni cruciali per la storia del consorzio e delle fonderie e non aveva mai trovato il tempo di recarsi a Trenwith - “però, pensandoci bene, potrei venire oggi. Non ho impegni questo pomeriggio.”
“Allora andiamo? O preferite venire più tardi a cavallo?” – aggiunse lei, perché il tratto da fare a piedi era abbastanza lungo.
“No no, mi fa piacere passeggiare, in una giornata così bella. Faremo il tragitto insieme” – concluse Ross, ormai pronto ad infilare gli stivali.
“Sarà una bella sorpresa per la padrona” – disse Demelza sorridendo felice; e così si incamminarono insieme alla volta di Trenwith.
Parlarono molto: delle condizioni di vita ad Illugan, dell’infanzia di Demelza, di come si gestisce una miniera, dei consigli che il dottor Enys aveva dato per chi aveva problemi ai polmoni dovuti alle esalazioni di carbone, delle erbe che Demelza raccoglieva quando suo padre aveva la tosse…
E parlarono ancora nei giorni successivi, perché Ross, per farsi perdonare dalla zia, fu più assiduo a Trenwith, e quando non veniva lui veniva suo padre. Entrambi erano così ben disposti nei suoi confronti che qualche volta zia Agatha consentiva a Demelza addirittura di rimanere presente, e si inseriva anche lei nella conversazione tra i Poldark.   
Un giorno , però, Ross si presentò a Trenwith con sua moglie. Era la prima occasione in cui Demelza vedeva la signora Poldark di Nampara: era davvero bellissima come le era stato riferito. Quel giorno Elizabeth indossava un cappottino viola scuro, un cappellino dello stesso colore e portava i capelli annodati in una coda morbida laterale; folti boccoli castani le scendevano dunque su una spalla. Nonostante fosse incinta, aveva il viso ancora magro, la pelle era uniforme e senza macchie. Aveva le mani bianche e curate e sembrava sprigionare una grazia ed eleganza tali che non si poteva non restare ammirati a guardarla.
Demelza, come faceva con tutti gli ospiti, la accolse con un sorriso ed un inchino, la aiutò a togliere il cappotto ed ingenuamente si complimentò per la sua bellezza. Poiché zia Agatha chiedeva ad Elizabeth, come era normale, notizie sulla gravidanza e su quando fosse prevista la nascita del bambino, ad un certo punto Demelza commentò ad alta voce, a proposito della pancia, che secondo la tradizione popolare quando la forma era arrotondata, come nel caso di Elizabeth, si era in attesa di un maschio…
Elizabeth continuò a parlare con Agatha senza degnare Demelza di uno sguardo. Tutti continuavano a parlare come se lei non ci fosse e come se non avesse detto nulla. Sembravano attori che recitavano un copione, non persone della stessa famiglia, ed Elizabeth era la prima attrice, la protagonista, quella su cui si concentrava l’attenzione di tutti.
La signora Agatha, con un cenno, fece comprendere a Demelza che non era il caso che restasse lì, e la ragazza si allontanò.
Sentì il bisogno di uscire in cortile, di abbracciare il suo Garrick. Sentiva gli occhi che le pungevano, le lacrime che erano sul punto di sgorgare, ed una grande frustrazione per come quella donna l’aveva fatta sentire, invisibile… Si era resa conto improvvisamente che, per quanto si sforzasse, per quanto la padrona fosse gentile e le avesse insegnato tante cose, non sarebbe mai stata una vera signora. Elizabeth lo era, quello era il genere di donna adatto a Ross. Che ragione c’era di pensare proprio a lui, in quel momento? Perché si sentiva così arrabbiata nel ricordare gli sguardi adoranti che Ross rivolgeva a sua moglie e la sua mancanza di cordialità, contrariamente al solito? A stento aveva risposto al suo saluto, non le aveva sorriso, non le aveva chiesto come stesse. Ma in fondo, perché avrebbe dovuto interessarsi dello stato d’animo di una sguattera? Che illusioni si era fatta, solo perchè avevano chiacchierato un po’ e la sua compagnia era gradevole? Qualunque cosa fosse quel sentimento che le agitava il cuore, era una sciocca fantasticheria che doveva immediatamente terminare.

 
  
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