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Autore: PrincessintheNorth    14/03/2021    2 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ERAGON
 
 
Correndo in direzione della fattoria con Belle attaccata alla schiena, Killian ed Evan in braccio, ed i vestiti bagnati, mi ricordai di quella volta in cui ero tornato a casa dallo zio Garrow sotto un temporale molto simile, ma con un sacco di farina al posto dei miei tre nipotini. Non ne era stato molto contento.
Se si prendono un raffreddore, Murtagh mi ammazza.
Una volta giunto sotto alla tettoia dell’ingresso principale, feci scendere i tre bambini, che tremavano stretti nei propri mantelli, e bussai alla porta.
Con un cigolio questa si aprì di appena qualche centimetro, rivelando il volto rubicondo e ben poco ospitale di una donna.
«Sì?» lei domandò, squadrandoci con aria disgustata.
«Mi … mi chiamo Mark» mentii. Negli ultimi due giorni usare il mio vero nome non mi aveva portato molta fortuna; anzi, tutto il contrario. «Io ed i miei nipoti …»
Non ebbi, tuttavia, modo di finire, perché il volto della donna si arrossò di furia.
«Fuori dalla mia proprietà!» questa sbraitò, aprendo del tutto la porta solo per spintonarmi. «Cosa credi, che non ti abbia riconosciuto, quando fino a tre anni fa i cartelli con la tua faccia e la taglia sulla tua testa erano ovunque? Tu sei Eragon! Questi sono i tuoi nipoti, dici? Questo vuol dire che sono i maledetti figli di quella stramaledetta Katherine! Marcirò all’inferno prima di ospitare i bastardelli di quella strega in casa mia!»
E così dicendo, ci chiuse la porta in faccia, lasciandomi deluso ma non sorpreso. Da quando ci eravamo messi in viaggio, eravamo stati respinti e buttati fuori da qualunque locanda o casa in cui avessimo chiesto ospitalità. Anche quando avevo evitato di fare il mio nome, la gente, proprio come quella donna, mi aveva riconosciuto a causa degli avvisi di cattura di Galbatorix e aveva fatto i propri conti. La ragione era sempre la stessa: nessuno voleva avere i figli ed il cognato di Katherine sotto il proprio tetto. Da una parte non potevo incolpare la gente di avere paura; tutti eravamo al corrente delle cose che Galbatorix l’aveva obbligata a fare, ed era normale che le persone non volessero avere nulla a che fare con lei; d’altra parte, però, rifiutare un letto ed un pasto a dei bambini visibilmente stanchi, fradici ed affamati era quanto di più ignobile ci fosse.
Tutti e tre iniziarono a piangere, più esasperati che intristiti; dal canto mio, li ripresi in braccio e tornai verso Saphira.
Tu saresti in grado di trovare Lionsgate?, le chiesi. Non era nei miei piani raggiungere il castello quella sera stessa, perché i piccoli erano estremamente provati. In quel momento, però, era la nostra unica possibilità: non potevo farli dormire all’aperto sotto un temporale, e il palazzo di mio padre era l’unico luogo sulla faccia della terra che ci avrebbe accolti.
Penso di sì, ma siamo lontani dalla zona di Dras-Leona. Ci vorranno almeno altre due ore, lei rispose. Non credo che i piccoli bipedi siano in grado di volare ancora a lungo.
Penso che abbiano più bisogno di mangiare, lavarsi e dormire, commentai. Vedrò di rievocare quell’incantesimo che Glaedr ci aveva fatto usare per attraversare la tempesta durante il nostro primo viaggio verso Vroengard. Con un po’ di fortuna, dovrei riuscire a replicarlo.
Proteggere sia te stesso che me ed i bambini ti stancherà parecchio.
Ho delle riserve da parte, non preoccuparti.
«VOGLIO ANDARE DALLA MAMMA!» Evan urlò, il corpicino scosso dai singhiozzi. «NE HO ABBASTANZA! SONO STUFO! VOGLIO LA MIA MAMMA!»
«Ci stiamo andando, dalla mamma» lo rassicurai aiutandolo a salire su Saphira. Tutti e tre mi guardarono con gli occhioni pieni di lacrime e confusione: in volto avevano uno smarrimento tale da farmi angosciare.
«Davvero?» Belle sussurrò.
«Dalla mamma e dal papà?» Killian fece eco ai suoi fratelli.
«Sì, ragazzi» confermai, mostrandomi tranquillo e risoluto. Dovevo restare forte per loro, per fornirgli una guida ed un sostegno. «Tra un paio d’ore al massimo saremo dalla mamma, dal papà e dai nonni».
«Al cattello bello che ha detto la mamma?» Killian chiese.
«Sì. Allora, che ve ne pare? La facciamo un’ultima avventura, tutti insieme?»
Non sorrisero: erano troppo provati dalla giornata orribile che avevamo avuto, e dalle porte sbattute in faccia che avevamo ricevuto. Ma annuirono, e quello mi bastò. Li raggiunsi sulla sella e spiccammo il volo, mentre io pregavo che trovassimo Lionsgate al più presto.
 
 
Grazie agli dei, le torri del castello apparvero in vista solamente un’ora dopo. Saphira si era sforzata al massimo per raggiungere Lionsgate nel minor tempo possibile, e guidata dai ricordi che Dracarys le aveva mostrato, aveva trovato la strada praticamente subito.
Atterrate nella torre ovest, Morzan disse. Saremo lì ad aspettarvi. I bambini?
Hanno fame, freddo e bisogno di un bagno. Non necessariamente in quest’ordine.
Farò preparare il tutto.
Nel giro di dieci minuti, con grande sollievo di tutti e cinque, fummo al caldo e all’asciutto. I piccoli saltarono in braccio a Derek e Morzan, che li aspettavano con coperte e bevande calde; Saphira, invece, una volta liberata della sella, si acciambellò su sé stessa e sprofondò nel sonno, esausta.
«Dove sono la mamma e il papà?» Belle domandò.
«Ora stanno facendo un po’ di nanna, piccola» Derek le spiegò. «Per te va bene andare a salutarli domattina?»
Lei annuì, ma non demorse. «E la mia sorellina?» chiese, infatti.
 «La mamma glielo ha già dato un nome?» Evan fece.
«Si chiama Victoria» questa volta fu Morzan a rispondere, con un sorriso. «Che ve ne pare?»
«È uno nome calino» Killian commentò. 
Appropriato, pensai fra me e me. Che altro nome si poteva dare ad una bimba nata proprio durante la nostra vittoria?
 «Adesso sta dormendo anche lei, e sarebbe meglio non disturbarla» Morzan proseguì. «Eragon, vieni che ti mostro le tue stanze» disse poi rivolgendosi a me. «La cena sarà pronta fra mezz’ora, il tempo di fare il bagnetto ai bambini».
«D’accordo» mormorai e li seguii, camminando lentamente. Dopo ore di volo, le mie gambe erano tremendamente indolenzite. Un bagno caldo sarebbe stato tremendamente utile.
Morzan indicò una porta di mogano e, annuendo, la superai, ritrovandomi in una confortevole camera da letto non tanto diversa da quella che avevo a Winterhaal. Un camino di pietra già acceso, un letto dai tendaggi rossi, un tappeto pregiato d’orso bruno, arredi di mogano.
Tutta roba alla quale non ero ancora del tutto abituato.
Adiacente alla camera da letto c’era una stanza da bagno, con una grande vasca colma d’acqua fumante posta al centro. Senza neanche pensarci, mi spogliai e ci scivolai dentro, godendo del caldo abbraccio dell’acqua.
Finalmente, dopo lunghe settimane in accampamento, dopo la battaglia e dopo il viaggio verso Osilon e Lionsgate, potevo rilassarmi.
Restai nella vasca per un po’, lavandomi dello sporco accumulato e meditando, finché non fui chiamato per la cena; a quel punto, molto più pulito e riposato, mi vestii e, seguendo una domestica, raggiunsi gli altri nella sala da pranzo.
Non appena vi entrai, rimasi completamente sbalordito.
Era immensa.
In teoria, dopo tre anni passati a vivere in due diversi palazzi reali (Winter Manor ed il Tridente), sarei dovuto essere abituato alla grandezza ed alla magnificenza di un castello; eppure, Lionsgate, pur essendo un po’ più modesto, mi lasciò a bocca aperta ben più del Tridente, il palazzo più bello del Nord.
L’intera parete sinistra, che dava sui giardini, era un’unica enorme finestra, che lasciava entrare la luce del tramonto nella stanza; un lungo tavolo era posto al centro della sala, apparecchiato con porcellane e stoviglie d’argento e affollato di piatti ricolmi di qualunque tipo di cibo. I bimbi erano già lì, insieme a Morzan e Derek, e sembravano aver già dimenticato le fatiche del viaggio; urlavano e si rincorrevano intorno al tavolo, facendo a gara per vedere chi era il più veloce.
Per un secondo, sentii una fitta di gelosia: quella sala da pranzo mi ricordava ciò che Murtagh aveva avuto e ciò che a me era stato negato. Poi, praticamente subito, mi ricredetti. Murtagh aveva vissuto nella ricchezza, sì, ma l’esposizione all’alta società gli si era rivoltata contro in modi terribili. Ero io ad aver avuto, oggettivamente, l’infanzia migliore; non avevo molto denaro, certo, ma avevo due cose che mio fratello non aveva avuto: la sicurezza e l’amore di una famiglia.
«Oh, bene, sei arrivato» Morzan sorrise e mi fece cenno di sedermi. «A tavola, gnomi malefici!» urlò poi ai bambini, che stranamente (o forse no, visto che erano figli di Katherine) ignorarono l’insulto e corsero verso il tavolo ed il cibo come falene attirate da una fiamma.
Dimentichi di ogni regola della buona educazione, i tre diavoli iniziarono a prendere tutto dai vassoi direttamente con le mani, con grande sconcerto della servitù presente, che li fissava con tanto d’occhi. Era chiaro che non si sarebbero mai aspettati di vedere tre principi di sangue reale gettarsi sul cibo come dei lupi.
Una cosa per la quale né Murtagh né Katherine mi uccideranno è l’aver permesso ai bambini di mangiare la selvaggina con le mani durante il viaggio, sorrisi fra me e me. Garrow aveva dovuto farmi da padre, e non da zio, ma da quando avevo conosciuto la famiglia di Katherine, e nello specifico Alec, avevo imparato quali fossero i veri compiti di uno zio: viziare i propri nipoti e rendere la vita impossibile ai genitori.
Dell’inselvatichimento dei loro figli, tuttavia, né Murtagh né Kate potevano farmi una colpa: loro stessi li crescevano in maniera opposta ai dettami di corte.
«Ma vi sembra la maniera?» Morzan fece sconcertato, guardando i bambini con tanto d’occhi. «Se vostra madre vi vedesse …»
«La mamma lo fa semple!» Killian protestò.
«Lasciali stare» Derek rise. «Ricordati, educarli non è compito nostro. Lasciamo che facciano quel che vogliono … se la sbrigheranno Kate e Murtagh poi, quando si renderanno conto di avere delle bestiole al posto dei figli».
I due si scambiarono un sorrisetto d’intesa e annuirono, sfregandosi le mani proprio come avrebbero fatto Kate e Murtagh se fossero stati loro a progettare quel tiro mancino.
Fu sufficiente quel pensiero a farmi stringere il cuore. E se non si fossero risvegliati da quello strano coma in cui erano intrappolati?
Il mio sguardo cadde sui bambini. Avevano già sofferto così tanto … non meritavano di perdere anche i genitori. Tre anni prima, infatuato com’ero di Kate e sotto l’influenza e le minacce di Galbatorix, avrei gioito della morte di mio fratello. Speravo che accadesse: sognavo quell’evento, di consolare Kate, di farla innamorare di me e di costruirmi una famiglia sulle macerie di quella che aveva iniziato a fare con lui.
Ora, il solo pensiero di perderlo mi faceva orrore. Eravamo fratelli da ben prima di venire a sapere di avere un legame di sangue. Murtagh non era una perdita che ero pronto ad accettare.
Mandai giù un sorso di vino e mi scusai da tavola. Lo stomaco mi si era chiuso.
Iniziai a vagare per il castello, esplorando la casa in cui, se le cose fossero andate diversamente, io e Murtagh saremmo cresciuti insieme: grandi sale, arazzi, soffitti dipinti, infiniti corridoi sorvegliati da armature vuote. Passo dopo passo, svuotavo la mente e lasciavo che i piedi mi portassero dove volevano loro, finché non mi ritrovai davanti alla porta di una camera. Meravigliosi decori di draghi e scene di lotta impreziosivano l’ebano, e rimasi a fissarla incantato per lunghi minuti.
«È qui che è nata».
Sobbalzai e mi voltai: Derek era dietro di me. Era stato lui a parlare: aveva un sorriso sulle labbra, ma era triste e colmo di nostalgia.
«Chi?» domandai, sforzandomi di mantenere un tono di voce normale. La sua improvvisa comparsa mi aveva, neanche a dirlo, colto di sorpresa.
«Katherine» fece. «Venne al mondo proprio in questa stanza».
Aprì la porta e mi guidò fino nella camera da letto, dove, per istinto, sapevo che li avrei trovati.
Sapevo che erano vivi, ma non appena posai lo sguardo su di loro mi sentii strozzare dall’angoscia.
Se non fosse stato per il flebile suono dei loro respiri, li avrei dati per morti. Sia Kate che Murtagh erano perfettamente immobili, gli occhi chiusi, i volti pallidi.
Quella che avevo davanti era una visione spettrale.
«Che cos’hanno che non va?» mi ritrovai a chiedere.
«Non lo sappiamo» Derek rispose. «Fisicamente sono sani, ma le loro menti sono irraggiungibili».
Non so per quanto tempo rimasi lì, immobile, con lo sguardo fisso sul letto.
Quello che vedevo non era mio fratello. Il Murtagh che conoscevo era il combattente più determinato ed ostinato di tutta Alagaesia, l’amico che mi aveva salvato la pelle innumerevoli volte, lo stronzo che aveva istigato le proprie nipoti a farmi le puzzette sul letto, il ragazzo innamorato che avevo beccato ben più di qualche volta in atteggiamenti intimi con Katherine nei luoghi più impensabili, il fratello che conosceva ogni mio segreto … non questo corpo disteso, privo di qualunque soffio vitale.
«Immagino che vorrai stare un po’ con lui» Derek disse. «Se ti va, puoi restare a sorvegliarli mentre io e Morzan cerchiamo di capire come riportarli indietro. Ti garantisco che non sono di grande disturbo» una risatina colma di tristezza gli sfuggì dalle labbra. «L’impegno più grande è controllare che Victoria dorma e chiamare la balia se ha fame».
«Non sarà un problema» gli assicurai, notando solo in quel momento la culla posta a pochi piedi di distanza dal camino. «Filerà tutto liscio come l’olio».
Derek annuì, chiaramente rigido ed in difficoltà a lasciare la stanza. Non era difficile capire il perché: il modo in cui guardava Kate era chiaro come il sole.
«È la tua preferita, vero?» la domanda mi uscì involontariamente, e l’attimo dopo mi misi una mano sulla bocca, maledicendomi. Ma che diavolo mi era venuto in mente? «Perdona la mia maleducazione, non so che mi è preso … mi dispiace» iniziai a profondermi in un mare di scuse, ma mi interruppi quando notai che Derek stava sorridendo.
«Non è possibile, per un genitore, avere un figlio preferito» mi spiegò con pazienza. «Lo capirai quando sarai padre. Con
 tutti i miei figli è stato amore a prima vista … non ne ho uno preferito. Capita però di avere più intesa con uno piuttosto che con un altro … è una cosa legata al carattere, Eragon, non all’amore. Kate ed io abbiamo avuto fin da subito una certa affinità di spirito».
Fece una carezza sulla guancia alla figlia ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
MURTAGH
 
«Murtagh ed io siamo davvero morti?» Kate sibilò, fissando suo nonno negli occhi. Nonostante cercasse di mantenere un’aria di sicurezza ed aggressività, potevo vedere che le tremavano le mani e che aveva gli occhi lucidi, colmi di lacrime. Era sul punto di scoppiare a piangere – di rabbia, paura o disperazione, o tutte e tre le cose insieme.
Re George rimase in silenzio, con un’espressione indecifrabile sul volto, ed io approfittai quel momento di quiete per riflettere.
Da una parte, volevo disperatamente che Katherine avesse torto. Venire a patti con la consapevolezza non tanto dell’essere morto, ma del fatto che non avrei mai più rivisto né i bambini, né Castigo, né nessun’altra delle persone a cui volevo bene era già abbastanza doloroso; accettare la teoria di Kate mi avrebbe dato una speranza che, se strappata via, avrebbe aggiunto solamente sale alle mie ferite.
Dall’altra, volevo anche io una risposta. Volevo sapere se ero davvero morto, se davvero ero condannato a passare l’eternità in quel prato infinito.
«RISPONDI!» Katie urlò. In quel momento mi accorsi che lei stava per crollare: il tremore si era esteso al resto del suo corpo ed alla sua voce, ed aveva le guance bagnate di lacrime.
Reagendo di puro istinto, mi alzai e corsi da lei; non appena la abbracciai, Kate scoppiò a piangere, scossa da singhiozzi così violenti che temetti mi si sarebbe spezzata fra le braccia.
Avendo cura di reggerla, visto che sembrava che le sue gambe non stessero assolvendo allo scopo, mi sedetti per terra, per poterla stringere meglio a me.  
Tenendola stretta, mi spremetti le meningi per capire cosa fare, cosa dire per aiutarla, ma stavolta non ebbi alcuna idea, né brillante né stupida: il che era estremamente frustrante, perché quella era la prima volta, da che la conoscevo, che non sapevo cosa fare per darle una mano.
Ma d’altra parte, io cosa potevo dirle? Nel giro di poche ore (togliendo, ovviamente, tutte quelle in cui era rimasta incosciente) aveva vissuto talmente tante esperienze forti da bastarle per una vita intera, fra Galbatorix che le aveva fatto ricordare le torture subite, il parto, il risveglio in quello strano luogo e l’incontro con George. Il tutto dopo una battaglia.
«Va tutto bene, amore …» provai a dirle, e mi diedi dell’idiota l’attimo dopo.
Non c’era nulla che andasse bene, e lo sapevamo benissimo entrambi. Dirle altrimenti sarebbe stato insultare la sua intelligenza, soprattutto in un momento in cui anche io non avrei voluto far altro che rannicchiarmi fra le sue braccia e piangere per l’ingiustizia che ci era capitata.
E sostanzialmente, quello fu ciò che feci. La tenni stretta ed appoggiai il mento sui suoi capelli, senza tuttavia riuscire a piangere, perché mi sembrava di non aver più lacrime. Il dolore, però, c’era, e non potei far altro che lasciarlo libero.
«Kate …»
Con la coda dell’occhio vidi suo nonno avvicinarsi a noi, con un’espressione sofferente e dispiaciuta in volto. Improvvisamente, lei si dibatté nella mia presa e si allontanò di scatto, per mettere la maggiore distanza possibile tra sé stessa e lui.
«TU STAMMI LONTANO!» strillò. «IO NON TI CONOSCO! COSA VUOI DA ME? STAI INDIETRO!»
«Hai ragione» lui le disse, senza perdere un briciolo di calma. «Katherine, principessa mia, hai avuto ragione fin dall’inizio».
Sentirgli dire quelle parole fu come ricevere un pugno nello stomaco: mi lasciarono inebetito, sconvolto, completamente senza fiato. Per un lungo momento l’unica cosa che fui in grado di fare fu guardarlo con gli occhi sbarrati, completamente focalizzato su quell’affermazione.
Katherine aveva ragione.
Non … non ero morto.
«Cosa?» il sussurro di Kate mi scosse dall’intontimento, e mi resi conto che lei si era alzata in piedi, mentre io ero ancora a terra come un idiota.
George sorrise. «Hai ragione, Katie. Né tu né Murtagh siete morti. Mavis, gli altri tuoi nonni ed io abbiamo impedito il vostro ingresso nell’aldilà, come lo chiamereste voi, per dare ai vostri padri il tempo di salvarvi la vita».
A quel punto rivalutai seriamente le intenzioni che avevo avuto di rimettermi in piedi. Visto quanto tutte quelle informazioni mi stavano facendo venire le vertigini, forse era meglio che me ne stessi seduto. Per fortuna, Kate e George mi raggiunsero dopo un attimo: evidentemente quelle rivelazioni avevano fatto girare la testa anche a lei. O forse volevano solo essere solidali con me.
«Spiegati meglio, per favore» Katie mormorò, e George si strinse nelle spalle.
«Non è che ci sia molto da dire, tesoro. Le vostre ferite vi avrebbero ucciso, e nessuno di noi riteneva che la vostra morte avrebbe giovato a qualcuno. Dunque, come ti ho già detto, vi abbiamo impedito di entrare nell’aldilà. È per questo che ora vi trovate qui».
«E dove sarebbe questo “qui”?» domandai, forse con più aggressività del dovuto. Tuttavia, non potevo farci niente: avevo sempre avuto un certo astio per la gente che non si esprimeva in maniera chiara, e George non solo stava girando intorno al punto della questione, ma aveva lasciato passare chissà quanto tempo durante il quale sia io che Katherine avevamo creduto di essere morti. Che razza di uomo si comportava così? Non insegnavano la buona educazione, ai suoi tempi?
«Murtagh, dagli il tempo di spiegare» Kate fece. «Anche io ho delle domande. Teniamocele per dopo».
«Questo» disse George. «È un luogo al di là del tempo e dello spazio. Non mi dilungherò oltre, Murtagh, perché né tu né Katherine, non essendo morti, avete la possibilità di comprendere fino in fondo certe cose. Le vostre coscienze, o le vostre anime se preferite, sono state portate qui preventivamente, in caso qualcosa con la guarigione dei vostri corpi fosse andato storto ed essi non fossero più stati in grado di ospitarla. Per fortuna, così non è stato».
A quel punto fece una pausa, probabilmente per permetterci di metabolizzare quelle informazioni.
«Dunque» dissi a Kate, per ricapitolare. «Non siamo morti, ma non siamo nemmeno nei nostri corpi».
«Mi sa che è così».
«Avete capito bene» George rispose. «Desiderate sapere cos’è accaduto nel mondo, mentre voi eravate qui?»
Entrambi annuimmo, avidi di informazioni. Sentivo quasi il bisogno fisico di sapere cos’era successo, il che era ironico, visto che in quel momento non potevo avere bisogni fisici.
«Come immagino avrete già capito, la battaglia è stata vinta e, grazie a voi, Derek e Morzan sono riusciti ad uccidere Galbatorix in via definitiva» sorrise. «Vi hanno trovati pochi minuti dopo e vi hanno portati a Lionsgate per curarvi. La vostra bimba sta bene ed è perfettamente in salute; le è stato dato il nome di Victoria Kirk».
Non potei non sospirare. Era un bel nome, ovviamente, peccato che era anche una gigantesca freddura. Davvero avevano chiamato Victoria una bimba nata proprio durante la vittoria?
Impensabile.
Katherine sembrava essere del mio stesso avviso, perché sospirò e si portò una mano alla fronte, scuotendo la testa.
«Questa è sicuramente opera di mio padre» disse.
«No» ribattei. «Solamente Morzan poteva inventarsi un’idiozia simile. Bisogna smetterla di permettergli di dare nomi ai neonati, perché o ne usa di orribili come il mio o inventa … barzellette!»
«In realtà» fece George, senza preoccuparsi di nascondere il proprio sorriso divertito. «Il nome è stato scelto dalle vostre madri».
Sia io che Katherine rimanemmo a bocca aperta.
Selena e Miranda avevano avuto quella brillante idea? La regina e mia madre, le persone più razionali e adatte alla maternità (a parte Katie) che avessi mai conosciuto?
Evidentemente avevo giudicato male.
Povera creatura.
«Dorme e mangia come dovrebbe?» chiesi. Lo stomaco mi si strinse dall’ansia; e se la risposta non fosse quella che speravo?
«Come un ghiro e come un lupo» George rispose, e potei rilassarmi, almeno un po’. «È adorata da tutti e controllata a vista, e riposa nella vostra stessa stanza. Eragon è riuscito a portare gli altri vostri bambini a Lionsgate, ma ovviamente non li hanno portati a vedervi. Le loro camere gli piacciono molto e stravedono per la sorellina, soprattutto Belle».
Certo che l’adora … ha passato quasi un anno a chiedere una sorella.
Mi sembrava di impazzire di felicità per tutte quelle belle notizie. Victoria stava bene, i bambini l’amavano, tutti e quattro stavano bene … non avrei potuto chiedere di più.
Solamente poter assistere alla loro felicità.
Non appena ebbi formulato quel pensiero, però, George trotterellò verso di noi con un sorriso, tendendo le braccia verso Katherine, che lo raccolse da terra e lo strinse a sé senza pensarci due volte.
Se Kate ed io non eravamo morti, molto probabilmente c’era un modo per noi per tornare a casa; ma farlo avrebbe voluto dire abbandonare George.
George, il bambino che non avevamo mai potuto conoscere. Il bambino che, sebbene fosse arrivato in un momento inaspettato, avevamo amato immensamente fin da subito.
Con il cuore in gola ed un’orribile sensazione di disagio, guardai Kate stringere e coccolare il piccolo, che si crogiolava nel suo abbraccio.
A casa avevamo quattro figli che ci aspettavano, ma lì ne avevamo uno che non aveva mai avuto una mamma ed un papà. Non meritava anche lui di ricevere quel tipo di amore?
«Riguardo alla vostra permanenza qui» re George continuò, stavolta più serio. «È necessario che vi spieghi alcune cose. Questo è un luogo, come dire, di transizione. Ciò significa che dovrete compiere una scelta; noi vi abbiamo impedito di entrare nell’aldilà, di abbandonare definitivamente la vostra vita mortale, ma non è possibile per nessuno togliere a qualcuno la scelta di andare oltre o meno. La decisione che dovrete prendere è se andare avanti ed entrare nell’oltre oppure tornare indietro, dalla vostra famiglia, dai vostri draghi e alle vostre responsabilità. Sfortunatamente, non avrete un’infinità di tempo per decidere; ogni momento che passa, i vostri corpi mortali diventano man mano meno capaci di ospitare la vostra anima, perché ovviamente la natura fa il suo corso. Il vostro tempo qui è limitato ad ancora qualche ora … vi farò sapere quando sarà tempo per voi di scegliere».
Così dicendo si allontanò, lasciandoci lì con nostro figlio e  l’enorme peso di quella scelta sulle spalle.
Dovevamo tornare dai bambini che ci aspettavano o restare con il piccolo che ci era stato tolto?
 
 

 
   
 
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