EDIVAD: LE ORIGINI
Anche quella mattina, il cinguettio delle civette rosa lo svegliò dolcemente. Non riposava così dai tempi di Moga, dove la culla del mare accompagnava il suo sonno ogni notte.
«Altro giorno, altra corsa»
L’uomo pensò ad alta voce, quasi come se cercasse di darsi la carica per compiere il passo più arduo della giornata: alzarsi dal “letto”, sempre che un cumulo di foglie rinsecchite si potesse definire tale. Una volta in piedi, tirò fuori dallo zaino un cosciotto crudo e il suo girarrosto portatile, quindi cominciò a cucinare la sua colazione, che divorò con la stessa voracità con cui un Deviljho spolpa una carcassa. Riempitosi lo stomaco, l’uomo prese un taccuino su cui aveva scribacchiato la sua lista delle cose da fare: a quanto pareva, la “missione” del giorno era trovare e mappare le falde acquifere su quell’isola unica al mondo, la cui strabiliante caratteristica era la coesistenza di diversi biomi completamente diversi fra loro.
Ancora una volta, si rincuorò facendo un profondo respiro e, quasi distrattamente, raccolse le sue cose. Un piccolo ciondolo a forma di sorgente termale ruzzolò via dalle scartoffie sparpagliate ovunque che si era messo a riordinare; non fece in tempo a recuperarlo, che una serie di nostalgici ricordi cominciarono a riaffiorare nella sua mente. Dapprima sospirò, lo fissò per qualche istante e poi disse:
«Visto, miscredente di un wyverniano? Alla fine anch’io sono diventato un avventuriero, proprio come te!»
Dunque, dopo che ebbe riordinato il borsone e impugnato la sua spada e scudo di Tetsucabra, Edivad uscì dalla casetta che aveva costruito in cima ad una delle altissime guglie di roccia rossastra che dividevano l’isola dal clima misto in innumerevoli anelli concentrici, strati geologici e sentieri. Era pronto per continuare i suoi studi segreti.