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Autore: kurojulia_    17/03/2021    0 recensioni
Una raccolta di vicende. Una raccolta di speciali episodi per ognuno dei personaggi del mondo di
Vampire Devil. Eventi importanti, eventi insignificanti.
[Da leggere DOPO la storia principale.]
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Dusk & Madness.




 

Ne avevo sentito parlare.

E da come ne parlavano, sembrava una sorta di sogno etereo. Un'utopia fatta di carne e di ossa. La Elena di Troia del 1400. Una dea scesa in mezzo a noi, creature immonde – scusate, mi sono fatto prendere la mano. In ogni caso, non c'era una voce che fosse in contrasto con le altre, era un fatto su cui nessuno pensava di aprire un dibattito – meno male, perché altrimenti la nostra comunità avrebbe dovuto decisamente rivedere le sue priorità.

Ah, di cosa sto parlando?

Della mia futura sposa. Della futura Imperatrice di tutti i vampiri e di tutti i demoni.

Sapevo qualcosa di lei. Sapevo che Lilith non era il suo vero nome, bensì Lullaby; che sua sorella era morta in circostanze che mi erano oscure e che Lilith era il nome di quest'ultma, adottato poi dall'altra, per salire al trono al posto suo. Ascoltando una storia del genere chiunque giungerebbe alla conclusione che la mia futura sposa abbia assassinato sua sorella, giusto? – intrecciai le dita davanti al mio naso, osservando la sala gremita, le luci basse, la notte che indugiava intorno a noi.

A breve, sarebbe apparsa. Non avevo esattamente idea di come fosse fatta né di quale fosse il suo carattere. Eravamo promessi sposi sin da bambini ed in effetti l'avevo incontrata, per allora. Avevo cercato di richiamarla alla memoria, ma... ricordavo solo un'unica cosa, su di lei.

 

La porta in fondo alla sala si aprì con un boato. La gente, negli abiti eleganti da ballo, spostò l'attenzione in quel punto. I loro occhi, celati da maschere veneziane, e i loro sorrisi, convergevano sulla porte a due ante. Sollevai lo sguardo, appena sopra le mie dita, osservando i tre uomini in completo nero. Erano attenti ad ogni minimo spostamento d'aria, al pulviscolo concentrato nell'atmosfera, al respiro del gentiluomo due metri più in là. Solo quando gli ospiti si fecero indiero, ben consapevoli dell'etichetta, gli uomini entrarono nella sala, seguiti da altre figure. Venivano verso di me.

Io, accomodato sulla poltrona di velluto di fronte alla finestra, attesi.

Gli uomini si divisero, aprendomi la visuale sull'invitata.

Sorrisi. «Lady Lilith Akawa». La luce fioca delle candele gettava una calda penombra sui capelli color del miele, lisci e infinitamente lunghi sulla sua schiena. La maschera veneziana celava i suoi rinnomati occhi oro, consentendomi di osservare solo le labbra sottili e rosa. Non sorrideva, nemmeno un po'.
La vidi piegare appena la schiena e prendere due lembi del suo vestito rosso. Inclinò la testa in avanti, chiuse le palpebre.

«Sir Bael Thàrros». Le sue labbra erano ancora immobili. «È un piacere incontrarvi dopo tanto tempo. Spero che... ».

«Ma davvero?».

Lei fece uno scatto con la bocca, richiudendola. «Scusate?».

Gongolai. Forse non avrei dovuto punzecchiarla. Non ancora, per lo meno. «Perché non balliamo, Lady Lilith?».

 

Fu la prima volta che toccai la sua mano. Il suo guanto, per la verità, perché ogni nobildonna indossava i guanti ad un ballo. Eppure, nonostante la sua pelle mi era lontaa, fu abbastanza per percepire tutti i suoi stati d'animo – tutta la riluttanza, la diffidenza, la freddezza. Tutto ciò che albergava in lei. I nostri palmi si toccarono, mentre giravamo, guardandoci negli occhi delle maschere, entrambi intrattenitori per un pubblico di vampiri e demoni.

Era come se il tempo e lo spazio si fossero fermati, annebbiando lo sfondo, trasformando tutto questo in uno strano sogno sfocato.

«Ne è passato di tempo, vero?».

«Mi dispiace non riuscire a ricordare molto di voi, sir Bael».

«Nemmeno io ricordo molto». Ridacchiai. «Ma ricordo bene che eri molto più allegra di così».

Lei sembrò sul punto di ritirarsi. «Ero solo una bambina, a quel tempo, perciò... ».

«Perché tante cerimonie? Dammi del tu. Se dobbiamo sposarci, almeno impariamo a conoscerci». Avvicinai il mio viso al suo, fin quando i nasi delle nostre maschere non si toccarono. «No, Lilithuccia?».

Senza smettere di danzare, il suo viso si rabbuiò. Una fitta ombra. «Vuoi litigare, genio?».

Molto meglio, pensai. «Voglio conoscerti. Voglio quella bambina di molti anni fa».

«Quella bambina è... ».

«Morta?», bisbigliai. «Con... la tua cara sorella?». Non erano affari miei, eppure Lilith non sembrava restia dal parlarne. O accennarne. Annuì lentamente, mentre le sue dita si intrecciavano alle mie. «Mi dispiace molto, Lilith. Spero che quelle due bambine riescano a trovare la felicità, prima o poi», le dissi, abbozzando un sorriso. «Lo spero sinceramente».


Lilith sollevò il viso verso di me. La mano sulla mia spalla si spostò sulla sua maschera, sollevandola fino a rivelare il magnetico sguardo di sole. Era leggermente sorpresa – ma soprattutto concentrata. Come se stesse leggendo uno strano codice. Infine, mi sorrise dolcemente.

 

Ciò che ricordavo di quella bambina – di quell'incontro –, e mai avrei dimenticato, era quel raggiante sorriso pieno di luce.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Il suo sangue mi colava dalle mani come una pioggia rossa. I denti, loro urlavano di dolore.

Mossi un piede sulla pozzanghera. Scivolai, sul pavimento bagnato, e mi ritrovai in ginocchio, con il suo fianco sotto al mio viso – e il suo corpo, che non si muoveva, che se ne stava fermo come un manichino. Intorno a noi, su quel solitario terrazzo, tiravano fischi di vento.

Allungai le dita sul suo braccio. La scossi. La scossi.

La scossi.

«Lul... ». La mia voce era un ringhio gutturale. Il verso che farebbe una bestia in catene. E se ero davvero una bestia, allora Lullaby non stava dormendo. Afferrai il suo avambraccio, serrandoci le dita intorno. Mi tremavano.

No, un momento. Non ero stato io, giusto? Non potevo essere stato io.

Era stata la fame. Era stato questo fuoco nella mia gola e nella testa. Questo caos che era sprigionato dentro di me. Le placche di ferro che pressavano il mio cervello, fino a schiacchiarlo completamente.

Aprii gli occhi e la guardai. Aveva le palpebre socchiuse e tutto l'oro insito nei suoi occhi era sparito. Non riuscivo a distinguere i suoi colori. I suoi bellissimi colori. La bocca socchiusa faceva spuntare i denti bianchi, come se qualche parola le fosse rimasta sulla punta della lingua.
Strisciai, mi sollevai sulle ginocchia, per poterla guardare – ancora e ancora e ancora.

Lullaby era morta. No. Io avevo ucciso la mia Lullaby.

 

E fu in quel lampo di lucidità – effimero, breve, inutile – che mi recisi la gola.

E sprofondai nel letto rosso, accanto a lei.

Con un cielo stellato sopra di noi, la sua mano stretta. Per l'ultima volta.

 

 

   
 
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