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Autore: Soul of Paper    17/03/2021    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 56 - Figlia del Demonio


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


Maledizione, rispondi!

 

Continuava a richiamare il numero di Imma, ma niente, non era raggiungibile.

 

Aveva chiamato Chiara Latronico, come gli aveva chiesto, ma quando aveva sostenuto di essere dell’ENEL, citandole pure tutti i dati e il numero di fornitura, grazie al database, gli aveva comunque riattaccato in faccia e, con tutti i suoi tentativi di richiamarla, non rispondeva più.

 

Solo che non sapeva come avvisare Imma ed il peggio era che non sapeva nemmeno il perché dovesse distrarre la Latronico, e se ora Imma potesse essere in pericolo.

 

*********************************************************************************************************

 

Si voltò, di scatto, ed un brivido la scosse dalla testa ai piedi.

 

Chiara Latronico era sulla soglia dello stanzino, bloccandole il passaggio, gli occhi scuri che brillavano come quello che Imma aveva appena versato sulla sua mano.


Un sacchetto di diamanti purissimi. Molta gente era stata ammazzata per un centesimo del valore che dovevano avere e non riusciva a decifrare l’espressione di Chiara.

 

“Allora è per questo che sei qui?” pronunciò, con un tono duro, quasi metallico.

 

“Per i diamanti?” domandò di rimando, stupita e spaventata.

 

“No, per un’indagine. Stai ancora indagando sui Latronico? Magari pure su di me?”

 

“Sto indagando, sì, ma sul mio passato,” rispose, che, in fondo, era la verità anche se… se avesse trovato qualcosa che c’entrava con le indagini o con risvolti penali, mica poteva ignorarla.


Chiara, con quello sguardo quasi fisso, si avvicinò, un passo alla volta, sempre più vicina, troppo.

 

La vide sporgersi verso di lei e, mentre ragionava su cosa avrebbe potuto fare per difendersi, in caso di attacco, Chiara emise come un suono strozzato ed allungò una mano, ma verso la cassaforte.

 

Imma fece un passo di lato, per cercare di recuperare distanza e per studiare le mosse della Latronico. La vide sfiorare i lingotti d’oro, ammassati nella cassaforte ed aprire un altro sacchetto di velluto che, come quello che ancora teneva tra le dita, conteneva altri diamanti.

 

In tutto ci doveva essere un valore di svariati milioni di euro, indubbiamente.

 

“Come… come facevi a sapere di questa stanza?”

 

“Perché? Tu lo sapevi?” chiese a Chiara, col fiato in gola.

 

“No, no, figurati e non credo lo sapesse nemmeno Angelo se no… sarebbe già sparito tutto.”

 

“Tuo padre ha lasciato degli indizi molto vaghi e li ho seguiti fino a qui.”

 

Chiara per un attimo non disse niente, ma poi allungò la mano ed estrasse una busta, dall’aria un po’ ingiallita.

 

Si voltò verso di lei e, secca, le disse, “leggila, è per te.”

 

Le dita le tremarono terribilmente, mentre si costringeva ad allungare una mano verso quella di Chiara per afferrarla. Ad ogni gesto le sembrava di camminare su un filo sottile, sottilissimo e che sarebbe bastato un minimo passo falso a condurla nel baratro.

 

Prese la carta rovinata dall’umidità, anche quella con su scritto A mia figlia Imma, spezzò l’onnipresente sigillo dei Latronico e la aprì.

 

Imma,

 

se sei arrivata fino a qua, vuol dire che non mi sbagliavo sulle tue capacità investigative e sul tuo intuito.

Questa è la fetta di eredità che ti spetterebbe e che ti ho tenuto da parte, piano piano, mano a mano che il mio patrimonio cresceva. Sta a te decidere cosa farne. Ti lascio anche un dossier su alcuni casi che non sei riuscita a risolvere in passato. Non mettere di mezzo gli altri miei figli, se puoi, soprattutto Chiara, che è sempre stata lontana dagli affari di famiglia. Consideralo un mio regalo di addio per te, anche se non ci siamo mai conosciuti davvero.

Tante volte avrei voluto avvicinarmi a te e dirti la verità, soprattutto dopo che Rocchino Tataranni è morto e che ho visto in che difficoltà eravate, e poi quando eri più grande, e forse avresti potuto di più comprendere le ragioni della mia distanza. Ma temevo di metterti in pericolo e non volevo leggere il disprezzo nei tuoi occhi. So che sei integerrima e che non avresti mai potuto accettare un padre come me.

Ma, anche se ti potrà sembrare assurdo, sono fiero di ciò che sei diventata, da sola, senza aiuti, e, se sei arrivata fino a qua, se c’è qualcuno che merita di riuscire a scardinare certi giri della Matera Bene sei tu. Volevo che sapessi che non hai mai inseguito fantasmi sul tuo lavoro, anzi, l’unico fantasma ero proprio io.

Con il bene che ti ho sempre voluto,

 

Cenzino Latronico

 

C’aveva come un nodo in gola che non andava né su né giù.

 

Alzò gli occhi, leggermente appannati, e fece un salto: Chiara era a qualche centimetro da lei ed aveva uno sguardo febbrile, che non si sarebbe mai scordato.

 

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“Maledizione!”

 

“Calogiuri, che c’è?”

 

Fece un segno verso Chiara, che lo guardava preoccupato, ma non aveva tempo di spiegare. Imma era ancora irraggiungibile e si sentiva ormai nel panico più totale.

 

Pensa, non fare il cretino, pensa! - si intimò: doveva agire e in fretta, per lei, non poteva andare nel pallone.

 

Digitò nel database il numero di telefono che Imma gli aveva fornito e trovò l’indirizzo di un casolare poco fuori Matera, intestato a Chiara Latronico.

 

Prese il cellulare e selezionò il contatto di Capozza, sperando che gli rispondesse e che non fosse impegnato.

 

“We, maresciallo!! Come va la vita ora che hai pure la sorella a Roma e un matrimonio da organizzare?”

 

“Va che ho bisogno di un favore, Capozza. Mo ti mando un indirizzo, devi andarci subito, con discrezione però, ed accertarti che Imma stia bene.”

 

“Imma? Ma perché, ancora qua sta la dottoressa?”

 

“Capò, non c’è tempo. Imma potrebbe essere in pericolo!”

 

“Ma tranquilli voi mai, eh! Va bene, mandami l’indirizzo che ci vado subito.”

 

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Chiara le era praticamente addosso. Con la coda dell’occhio la vide sollevare le braccia e le mani verso il suo collo. In due secondi le vennero in mente le poche nozioni di autodifesa imparate, ma quasi tutte implicavano di colpire un uomo.


E una donna dove si colpisce?

 

Non fece in tempo ad avere una risposta, perché si trovò stretta a morsa, sì, ma in un abbraccio che fu tanto inatteso quanto di sollievo. Anche se una parte di lei continuava a temere una pugnalata alle spalle, letteralmente.

 

“Grazie….”

 

La voce di Chiara, roca e bassa, le solleticò l’orecchio.

 

“E di che?” chiese, completamente spiazzata.

 

“Grazie perché mo ho avuto la prova che mio padre, in fondo in fondo, qualcosa di buono ce l’aveva davvero e che… pure i miei ricordi belli con lui non sono fantasmi.”

 

Le tornò il nodo in gola, ma ancora peggio. Perché una parte di lei capiva benissimo Chiara e non solo per Latronico ma anche per l’uomo che aveva chiamato papà. Il temere che i bei ricordi fossero solo sogni, sepolti com’erano sotto a quelli di suo padre che manco si reggeva in piedi e se ne stava chiuso nel suo mondo.

 

Diede due pacche sulle spalle a Chiara, che si staccò leggermente, e poi specificò, “comunque tutta questa… fortuna… se così la vogliamo chiamare, non-”

 

“Imma, è tua. E non voglio sentire discussioni.”

 

“Chiara, sapendo come è stata ottenuta, non posso accettarla, lo sai benissimo.”

 

“Devi accettare, così come devi usare quei dossier. Anche se mi sa che… il grosso del lavoro di pulizia a Matera lo hai già fatto, pure senza papà. Poi dei soldi… ne puoi fare quello che vuoi, pure buttarli per strada, non mi riguarda.”

 

“Chiara, di sicuro con il mio stipendio non posso andare in giro a dispensare diamanti ed oro a destra e manca senza spiegare da dove provengono.”

 

Chiara sospirò ma poi le strinse più forte le spalle con un “effettivamente… dovresti dare spiegazioni. Raccontare tutto.”

 

Ed accadde una cosa che le era capitata poche volte nella vita, per la maggior parte con Calogiuri: seppe istintivamente che lei e Chiara avevano avuto la stessa folle idea.

 

“Chiara, lo sai che è una pazzia, sì? Veramente saresti disposta a farlo?”

 

“Sì, a parte che io già sono la figlia di un criminale, Imma, quella che ha più da perdere sei tu. E poi… dopo aver letto questa lettera, penso che in fondo sia quello che avrebbe voluto papà, con la buona pace di Angelo. E, pure se il cognome Latronico è legato a tanto male, io sarei orgogliosa di far sapere a tutti che almeno una cosa buona papà l’ha fatta: tu.”

 

“Pure te, pure te…” rispose, commossa, venendo di nuovo stretta in un modo in cui non era abituata.

 

Le ricordò sua madre e Valentina negli ultimi anni. E, in modo diverso, gli abbracci di Calogiuri.

 

La mente le viaggiò a mille all’ora, calcolando costi e benefici derivanti, da un lato, dall’usare la parte di quei soldi che non si sarebbe tenuta - giustamente - il fisco, per beneficenza, e dal fare uscire quei dossier. Dall’altro canto, i problemi che tutto ciò avrebbe causato al maxiprocesso. Ma poteva davvero tenere tutto sepolto, un’altra volta?

 

Si staccò da Chiara e guardò meglio il contenuto della cassaforte, trovando il faldone con i dossier. Lo aprì e, in una busta di plastica attaccata agli anelli, vide un piccolo cofanetto.

 

Rimase senza parole, riconoscendo perfettamente la marca.

 

Lo aprì e si trovò di fronte la famosa spilla. Un brivido le corse lungo la schiena, pensando che stava tenendo in mano il valore di una casa praticamente.

 

Dietro, incise nel metallo prezioso c’era incisa una I - senza nessun cognome però, né una T, né una L - e poi Per i tuoi trent’anni.

 

Lo richiuse di scatto, lo ripose nella cassaforte e cominciò a sfogliare rapidamente le cartelline rilegate.

 

Nomi, nomi a lei molto familiari, casi vecchi, fin dall’inizio della sua carriera a Matera. La maggior parte tutt’ora irrisolti.

 

Vide un altro raccoglitore, posò quello che aveva in mano ed aprì pure quello.

 

Ma, al posto dei nomi di casi che si aspettava di trovarci, vide invece delle fotografie.

 

Quelle di quando era piccola le riconosceva, perché pure la buon’anima di sua madre ne teneva una copia. Forse ne mandava un’altra pure a Latronico quando le stampava. E poi… altre prese per strada, all’aperto, dall’infanzia all’adolescenza, di cui non sapeva se essere inquietata o meno. C’erano perfino alcune foto di suoi convegni fatti a Matera e dintorni, quindi Latronico doveva essere venuto a vederla parlare.

 

Un rumore forte ed improvviso, come un botto, le fece cascare il raccoglitore di mano. Guardò Chiara: il rumore proveniva da sopra, dalla casa.

 

“Aiutami a richiudere tutto, veloce!” le disse, perché preservare quelle prove per lei era la cosa essenziale e, soprattutto, nascondere il movente per cui qualcuno potesse volersi introdurre lì con loro presenti.

 

Stavano infilando dentro tutto alla rinfusa nella cassaforte e l’aveva appena finalmente chiusa quando un, “c’è nessuno?! Identificatevi!” molto familiare le fece tirare un sospiro di sollievo.


“Capozza…” mormorò e poi, realizzando chi lo aveva chiamato, sorrise tra sé e sé.

 

Calogiuri era veramente il suo angelo custode.

 

Si avviò verso la tromba delle scale, urlando, “Capozza, tutto bene!” e, salendole, si trovò davanti il brigadiere, vestito come sempre come se fosse appena uscito da un concerto rock anni Ottanta, che la guardò come se avesse visto un fantasma.


“Dottoressa!”

 

“Ma avevi già chiamato i carabinieri?”

 

La voce di Chiara, alle sue spalle, la sorprese talmente tanto che per poco non perdeva l’equilibrio sul gradino. Aveva un tono ed un’aria feriti.

 

“No, no,” cercò di spiegare, mentre faceva gli ultimi scalini e tornava insieme a Capozza alla luce solare, “ma è che-”

 

Non fece in tempo a dire altro, perché il suo telefono cominciò a vibrare fortissimo nella tasca, come impazzito.

 

Lo estrasse e ci trovo un sacco di chiamate perse.

 

Calogiù

 

“Calogiuri deve avere provato a cercarmi. Sapeva che stavo qua e… non sentendomi più si è preoccupato, che là sotto non si è raggiungibili.”

 

Chiara sospirò.

 

“Non si fida di me. E nemmeno tu.”

 

“Chiara, la fiducia va conquistata e tu mo lo hai fatto e mi fido e… spero che ti possa fidare pure tu di me.”

 

Chiara sembrò un poco esitante ma poi annuì.

 

“Comunque sono qua da solo eh, Calogiuri mi aveva dato istruzioni precise di usare la massima discrezione.”

 

“Vedi?” rispose Imma con un sorriso, “lo devo chiamare mo e… forse c’è pure qualcun altro che dovremmo chiamare.”

 

“E chi?”

 

“Oltre ad avvisare Calogiuri che sono viva e… parlare con mia figlia di… di quello di cui abbiamo parlato lì sotto… devo anche avvisare il dottor Vitali. Se per te va bene. Può fare una cosa… discreta per l’appunto e magari darci pure un consiglio su come procedere.”


“Va bene. Se va bene a te, sta bene pure a me.”

 

“Dottorè, io però non ci sto capendo niente!”

 

“E dove starebbe la novità, Capozza?!”

 

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“Calogiuri, ma che hai? Non stai fermo un attimo e tremi pure.”

 

Si guardò le mani e Mariani teneva ragione ma… ancora nessuna notizia da Imma e nemmeno da Capozza.

 

Cominciava a temere veramente il peggio.

 

La vibrazione in tasca per poco non gli fece prendere un colpo. Estrasse alla velocità della luce il telefono, pregando che fosse o Imma o Capozza e maledicendo già chiunque altro fosse.

 

Dottoressa

 

Quel nome sul display fu come aria nei polmoni.

 

“Imma?! Dov’eri? Mi è preso un colpo, mi è preso!!” esclamò, ignorando l’occhiata stupita di Mariani ed allontanandosi per parlare più liberamente.

 

“Scusami, ma è che… sotto là non prendeva il telefono e… ti dirò… pure a me ha preso un colpo ma tutto bene, tranquillo, pure senza la cavalleria. Anche se ti ringrazio per il pronto intervento, pure se… la qualità delle truppe scarseggia un poco.”

 

Sorrise: Imma era sempre Imma, anche se c’aveva un tono strano, pareva preoccupata, più che spaventata.

 

“Che succede, dottoressa?”

 

“Succede che ti devo parlare, maresciallo.”

 

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“E quindi… penso che… forse è giusto uscire allo scoperto mo, anche se… già so che mi massacreranno.”

 

Silenzio.

 

Un silenzio che le sembrò eterno. Immaginò che Calogiuri volesse dirle che era folle, pazza a volersi tuffare in un altro scandalo e a trascinarci pure lui.

 

“Per me… per me va bene, Imma, in un senso o nell’altro. Puoi decidere solamente tu che cosa è giusto in questo caso, non sta a me o a nessun altro.”

 

Sentì una fitta di commozione: Calogiuri sapeva sempre trovare le parole giuste al momento giusto.


“Lo sai che… che questo potrebbe provocare problemi al maxiprocesso, sì? E pure a te. E che… potrebbero farmi rientrare a Matera o spedirmi chissà dove?”

 

“In qualche modo faremo, dottoressa, come abbiamo sempre fatto. E non saresti tu se non facessi quello che ritieni giusto, pure se non ti conviene.”

 

“Calogiuri….”

 

Ma quanto era fortunata?

 

“Ti posso raggiungere: prendo la macchina ed arrivo in nottata, così non stai da sola e-”

 

“No, Calogiù: stasera c’hai l’uscita da solo con Melita ed i suoi amici, no? E non puoi non andarci. Ne va del maxiprocesso e del tuo lavoro.”

 

“V-va bene. Però fammi sapere subito se succede qualcosa e… e come stai.”

 

“Va bene. Buon lavoro, maresciallo!” lo salutò, orgogliosa di lui come raramente prima.

 

Ma non poteva perdersi troppo a pensare a Calogiuri ed al suo abbraccio di cui in quel momento avrebbe avuto tanto bisogno. Perché doveva assolutamente avvertire Valentina.

 

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“E quindi… lo so che, essendo tu sangue del mio sangue e quindi… molto alla larga pure del suo, questo potrebbe procurare casini pure a te, ma… per me mo parlare è la cosa più giusta per tutti.”

 

“Cazzo!”

 

Non sapeva se fosse stato meglio il silenzio di Calogiuri o questo.

 

“Valentì, lo capisco che sei sconvolta, ma io-”

 

“Mà, altro che sconvolta! Cioè questo ti ha lasciato tipo una caccia al tesoro con il caveau alla fine, che manco in un film di spionaggio? Mo ho capito perché sei matta e paranoica: è genetica.”


“Guarda che la genetica vale pure per te, signorina!” le ritorse contro, ma si sentiva molto sollevata dal tono di Valentina, che sdrammatizzava pure nello sconvolgimento.

 

“Comunque mà… non è che mi faccia piacere che si sappia in giro che c’avevo un nonno non solo famoso ma pure famigerato. Che almeno quello alcolista era innocuo. Però… tanto a Matera già non ci posso tornare per il momento, che tutti mi fissano manco c’avessi tre teste, una cosa più o una in meno… via il dente e via il dolore. E poi… mo lo so come ci si sente a dover nascondere una parte importante di chi si è, quindi… se vuoi dire a tutti che c’ho un nonno uscito dal Padrino, per me va bene, se va bene a te. E poi… per come si è comportata… sta bene pure a nonna beccarsi il consuocero della Matera bene ma criminale.”

 

Le venne da sorridere: Valentina era proprio tale e quale a lei su certe cose. Tanti giri di parole e frecciatine, ma alla fine le aveva detto più o meno quello che le aveva detto Calogiuri.

 

Era davvero fortunatissima!

 

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“Dottoressa, lei ne è proprio sicura?”

 

Vitali stava con le braccine conserte, il baffetto che vibrava nell’aria della sera di fine estate Materana.

 

“Scoppierà un macello, lo sapete, sì? Ed io non potrò più proteggervi, visto che… questi dossier riguardano reati avvenuti in gran parte qua, sui quali lei ha indagato, dottoressa. E che, pure se riapriremo, temo dovranno essere necessariamente passati ad altri per il… conflitto di interessi.”

 

“Lo so, dottore, ma lei al posto mio che farebbe?”

 

“Non lo so, dottoressa… non lo so. Io non ho il suo coraggio, o forse dovrei dire la sua incoscienza. Ma sicuramente chi aspetta giustizia per questi casi le sarà grato, così come chi riceverà i frutti della sua beneficenza… pure se bisogna vedere quanto sopravvive all’Agenzia delle Entrate. Comunque… potremmo almeno sostenere che… che la scoperta della sua paternità sia più recente, dottoressa, sempre se Angelo Latronico non ci smentisce. Che la dottoressa Latronico lo ha scoperto mo per via del cofanetto della collana e poi, aprendo il caveau, avete avuto la conferma definitiva.”

 

“Se Angelo ci regge il gioco e se qualcun altro non lo sa, sì. Ho… ho un po’ di paura di come la prenderà mio fratello… sia per i soldi che… per il nome di famiglia.”

 

“Eh beh, certo, sia mai che possa essere tacciato di avere una sorella onesta, anzi, onestissima!” ironizzò Vitali, per poi precisare, allo sguardo addolorato di Chiara, “cioè, non intendevo dire che-”

 

“Non si preoccupi, dottor Vitali. Lo so che la coscienza di Imma è assai più specchiata della mia. E comunque… sarebbe possibile avvisare Angelo, che non faccia idiozie?”

 

“Ci penserò personalmente a parlare con lui. Immagino che l’ormai ex avvocato voglia mantenere la buona condotta per arrivare il più presto possibile a misure alternative al carcere. Quindi… ci penso io,” si impegnò Vitali ed Imma in quel momento lo ammirò molto, pure più di quanto fosse arrivata a fare quando lavorava per lui, anche se ci era voluto molto tempo.

 

Non era coraggioso come lei o come Mancini, ma alla fine, quando c’era da rimboccarsi le maniche e tenere il punto su qualcosa di importante, lo sapeva fare.

 

“Dottoressa, prima di tutto questo però, lei ne deve parlare subito con Giorgio. Io posso tenere la vicenda riservata per qualche giorno, tra me, il brigadiere qua presente e poco altro ma… non posso tenere questo ritrovamento nascosto per sempre, anche perché questi beni di immenso valore vanno tenuti in debita custodia.”

 

“Eh… magari evitando che il deposito delle prove finisca in fumo pure stavolta!” esclamò, senza riuscirsi a trattenere, “e comunque voglio parlare a Mancini tra poco, lo chiamerò e-”

 

“Dottoressa, dia retta a me… per fargli digerire una simile patata bollente a Mancini, meglio che gli parli di persona, a quattr’occhi. Ed è meglio che non sia qui, anzi che non siate qui quando uscirà la notizia. Consiglio anche a lei, dottoressa Latronico, di andare in un posto tranquillo, lontano dal clamore.”

 

“Dottore, io non voglio dare l’impressione di scappare. E poi quei dossier-”

 

“Glieli terrò al sicuro, dottoressa, stia tranquilla. Ed eviterò di assegnare i casi riaperti a gente non di sua fiducia. Ma qua non si tratta di scappare, si tratta di non gettarsi inutilmente in pasto ai leoni, che è diverso.”

 

“Io… potrei andarmene nel mio casolare in Puglia….”

 

“Veramente, preferirei che venissi a Roma da tuo figlio. Almeno gli uomini di Mancini ti possono tenere d’occhio, che non ti succeda niente.”

 

Le parole erano state pronunciate così, senza pensare, e se ne stupì, mentre Chiara sorrise in un modo brillantissimo che le ricordava i pochi sorrisi pieni di Valentina, pre e post adolescenza.

 

“Sono d’accordo con la dottoressa Tataranni.”

 

“Io… è… è bello sapere che… che ti preoccupi per me e che non ti dà più fastidio che io stia a Roma.”

 

“Avrei detto lo stesso pure se al posto tuo ci fosse stato qualcun’altra, Chiara, ma-”

 

“Appunto. Qualcun’altra ma non io, fino a qualche mese fa, anzi, forse fino a qualche ora fa,” le fece notare, puntuta e con uno sguardo che, di nuovo, le ricordò tremendamente sua figlia.

 

Ed il peggio era che non c’aveva torto.

 

“Va beh… diciamo che… l’idea che stai a Roma è… meno peggio che qualche tempo fa.”

 

La risposta fu l’ennesimo abbraccio da boa constrictor. Ma che muscoli c’aveva Chiara in quelle braccia così minute?

 

“Che bello vedere una famiglia così riunita, al di là di tutto!”

 

Guardò Vitali, trovandolo commosso, gli lanciò un’occhiata come a dire ma che davvero?!

 

Ma, forse, era giunto il momento, finito tutto il polverone che le avrebbe investite, di dare a Chiara una possibilità vera di farsi conoscere e di conoscerla.

 

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“Ottà… ti capisco, eccome se ti capisco, ma porta pazienza che quasi ci siamo!”

 

Vedeva due zampe che cercavano di artigliare la grata del trasportino, mentre due occhi gialli la fissavano come a dire questa me la paghi!

 

Già era ancora incazzosa dal Giappone, figuriamoci mo.


“Capozza! Che non può guidare meglio?! Che dopo aver quasi fatto vomitare me chissà quante volte, il vomito di gatto se lo pulisce lei dai tappetini, se andiamo avanti così!” urlò, picchiando sul finestrino posteriore.

 

Sentì Chiara, seduta accanto a lei, ridere - almeno il mal d’auto non ce l’avevano in comune - mentre Capozza si voltò con un, “dottorè, se dobbiamo arrivare in fretta da sto Mancini….”

 

“Veloci magari sì, ma vivi! Guardi la strada, Capozza! Ottà, ringrazia che Calogiù guida bene, va, almeno lui!”

 

“Calogiuri è troppo prudente, dottoressa: un po’ di guida sportiva non ha mai fatto male a nessuno!”

 

“La invito a rivedere le statistiche delle morti per incidenti stradali causati dall’alta velocità, Capozza!”

 

“E comunque siamo a Roma!” annunciò lui, orgoglioso, puntando verso il cartello dell’autostrada che indicava l’uscita.

 

“A quest’ora ci stavamo pure con Calogiuri e senza aver voglia di vomitare pure il cenone di natale scorso, Capozza. Mo però rallenti un attimo, che devo chiamare il procuratore capo e vorrei evitare di fargli sentire i miei conati, grazie.”

 

Estrasse il cellulare, cercando di tranquillizzare Ottavia che fischiava come na pazza - e come non capirla? - e poi selezionò il contatto del procuratore capo.

 

Bastarono giusto un paio di squilli, nonostante fosse ormai l’una di notte passata, e Mancini subito rispose.


“Dottoressa?” le domandò, la voce assonnata ma pure preoccupata, “è successo qualcosa a Matera? Ci sono problemi?”

 

“In realtà sono a Roma, dottore, sto per arrivare a Tiburtina. Avrei bisogno di parlarle urgentemente di alcuni fatti che sono emersi.”

 

“Si tratta di qualcosa di grave, dottoressa, immagino?”

 

E mo era solo preoccupato.

 

“Sì, dottore. Ma per certi versi forse pure risolutivi. Ho bisogno di parlargliene in privato.”

 

“Può venire a casa mia, se vuole. Nel tempo che arriva da Tiburtina cerco di rendermi presentabile.”

 

Ci pensò un attimo. Erano quasi le due di notte e Calogiuri forse non ne sarebbe stato felice. Ma era solo lavoro.

 

“Va bene, dottore. A tra poco. Capozza, vada all’indirizzo del figlio di Chiara. Poi mi accompagna da Mancini e, mentre sto dal procuratore capo, mi riporta Ottavia a casa, prima che distrugga tutto.”

 

“Agli ordini, dottoressa!”

 

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“E dai, vieni a ballare! O senza Imma non balli?”

 

Melita gli sorrideva, i denti bianchissimi che contrastavano ancora di più con la pelle scura e la penombra del locale sulla spiaggia dove lo avevano portato lei ed i suoi amici.


“No, è che… da solo un poco mi vergogno. Mi hanno sempre detto che ballo in un modo strano.”

 

Sebbene fosse una scusa, alla fine era la verità: a parte i commenti terribili di Maria Luisa, ma perfino sua sorella tanti anni prima gli aveva detto che si muoveva come un orango.

 

“E allora balla con me, che in coppia lo sai fare, no? Poi mica sono balli lenti, che Imma si può ingelosire.”

 

“Va beh, ma Imma di me si fida, te l’ho detto,” rispose, decidendo di lasciarsi trascinare perché alla fine, ballando con lei, magari poteva parlarle senza che gli altri sentissero, grazie alla musica.

 

“A Maiorca me la ricordavo un poco più gelosa, ma devi essere stato bravo a rassicurarla allora,” rise Melita, prima di mettergli le braccia sulle spalle ed iniziare a muoversi in una specie di reggaeton, “io fossi in lei, lontana da qua, sarei molto gelosa di saperti a ballare. Ma sarà che ho sempre avuto ragazzi fin troppo gelosi. Sai, gli spagnoli in questo sono anche peggio degli italiani, quindi….”

 

“Immagino! Ma pure io sono geloso di Imma, eh, gelosissimo, solo che… mi fido di lei e la fiducia è ancora maggiore della gelosia.”

 

“Quando la guardavi ballare con Jonathan non mi sembravi così tanto zen,” lo punzecchiò, facendogli l’occhiolino, e si sentì arrossire.

 

Se ne era accorta allora.

 

“Ma tu non ti stanchi mai?” le chiese, per cambiare discorso, “è tutta la sera che balli, dove la trovi tutta questa energia?”


“Sono fuori allenamento in realtà ma… la spiaggia, i locali all’aperto… se mi concentro solo sulla musica e sul mare mi sembra di essere tornata a Maiorca.”

 

“Ti manca tanto?”

 

“Diciamo che… ci ho lasciato un pezzo di cuore… e forse pure un pezzo di me….”

 

Era malinconica, improvvisamente, tanto da sembrargli quasi sull’orlo di scoppiare a piangere. E poi la sentì inciampare e se la trovò addosso, riuscendo a tenerla appena in tempo, a peso morto, prima che cadesse sulla sabbia.

 

“Melita! Melita?!” gridò, accasciandosi insieme a lei e toccandole il viso.

 

Niente, era svenuta.

 

Per fortuna era un locale all’aperto e non erano schiacciati come in una discoteca normale.

 

Si guardò intorno, cercando gli amici di Melita.

 

Ma li vide dall’altra parte della pista, intenti a broccolare con due ragazze.

 

Sospirando, si caricò Melita in braccio e si avviò verso il bordo della pista, notando con disgusto che neanche uno della security si preoccupò che avesse una ragazza incosciente addosso.

 

Avrebbe potuto essere il peggiore dei criminali e nessuno avrebbe mosso un dito.

 

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“Dottoressa!”

 

Mancini le aprì, in jeans e polo.

 

L’informalità la mise ancora più in imbarazzo, perché le ricordò la sua visita precedente in quella casa.

 

“Si accomodi,” la invitò a passare, chiudendole la porta alle spalle, “ma che è successo? Sembra che abbia visto un fantasma e mi pare stanchissima, persino più di quando faceva i turni di notte.”

 

“Lo so, dottore, ma… è complicato ed è una storia lunga.”

 

“E allora vorrà dire che me la racconterà dall’inizio. Lo vuole un caffè? Ha cenato prima di venire da Matera?”

 

“No, non ho fatto in tempo, dottore, ma non voglio niente, tengo lo stomaco chiuso.”

 

E poi temeva sinceramente che, dopo aver saputo tutto quello che c’era da sapere, piatti e tazzina Mancini avrebbe voluto tirarglieli in testa, altro che cenetta.

 

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“Siamo quasi arrivati, forza!”

 

Stava provando a far salire Melita in ascensore ma lei barcollò e gli finì addosso. Alla fine riuscì col proprio peso a farle fare gli ultimi due passi necessari per richiudere la porta scorrevole.

 

Tenendola per le braccia, la condusse alla porta, cercò le chiavi di lei nella borsa, la aprì e si guardò intorno.


Per fortuna poco distante c’erano il salotto ed il divano.

 

Sempre a forza di braccia, ce la portò e provò a farla stendere, ma lei di nuovo inciampò e sul divano ci finirono tutti e due. Lui seduto con lei in grembo.

 

E poi notò, con ancora maggiore imbarazzo, che la profonda scollatura del vestito di lei si era spostata ed un seno era scappato fuori. Per fortuna aveva una specie di strana roba di plastica a coprirle il capezzolo, ma si sentì comunque tutto il sangue andargli in faccia.

 

“T-ti puoi coprire?” le chiese, non volendo certo toccarla lì e lei, sembrando ancora un po’ fuori fase, annuì e ripose il seno al suo posto, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

 

Forse però per lei lo era: in fondo a Maiorca molte ragazze immagine ballavano praticamente in topless.

 

Se la sollevò da in braccio e la aiutò a stendersi, prendendola poi per le caviglie e alzandole le gambe, facendo attenzione che la gonna rimanesse al posto suo.

 

“Sei sicura di non volere proprio andare in ospedale? Non è normale continuare a sentirsi svenire così.”

 

“Ma no… sarà solo un calo di pressione… forse non ho mangiato abbastanza.”

 

“Hai la macchinetta per misurare la pressione?”

 

“No, mica ho ottant’anni!” ribattè lei, con un sorriso debole.

 

“Dove lo tieni lo zucchero?”

 

“Nell’armadietto accanto al frigo.”

 

Annuì, le rimise le gambe sul divano e si avviò verso la cucina, aprendo l’anta che gli aveva indicato.

 

Oltre allo zucchero, c’erano alcuni integratori e medicine, ma nulla di utile per uno svenimento.

 

Prese due bustine di zucchero e tornò da Melita.

 

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“E quindi… per usare quei dossier e poter dare quel denaro in beneficenza, devo necessariamente rivelare da dove provengono e… la mia paternità.”

 

Mancini stava a bocca spalancata, ma notò ben presto un cambio netto nell’espressione e nel clima che irradiava.


Dalla preoccupazione e incredulità, pareva incazzato, anzi, proprio nero.

 

“Da quanto è che sa di questa storia che Latronico è suo padre, dottoressa?”

 

Rimase per un attimo interdetta, ma Mancini non era uno stupido, questo da mo lo aveva capito.

 

“Se lo avesse scoperto oggi, o pure solo da pochi giorni, sarebbe ancora sconvolta e di sicuro non penserebbe ai dossier e alla beneficenza.”

 

C’aveva ragione, c’aveva, la mente che le andava al pomeriggio passato a piangere a casa di Calogiuri a Matera, attaccata a lui.

 

“Dottore… ufficialmente, per quanto suggerirebbe Vitali, da mo… ufficiosamente… diciamo che questo fatto era emerso durante le indagini a Matera ed è uno dei motivi per cui ho chiesto che venisse trasferito il processo e di non occuparmi più io primariamente della difesa, oltre che per le ramificazioni di Romaniello nelle istituzioni locali.”

 

Mancini si levò gli occhiali, si massaggiò gli occhi e si passò una mano tra i capelli.


“Ma perché non me lo ha detto?!”

 

“Dottore… era una cosa che non doveva mai uscire, e che nessuno che ne era a conoscenza aveva alcun interesse a fare uscire. Latronico non l’ho mai conosciuto, se non quando ero troppo piccola per avere ricordi coerenti. E, con tutto il rispetto, quando mi sono trasferita di sicuro non volevo raccontare una cosa del genere e mettere la mia vita in mano ad uno sconosciuto, per quanto amico di Vitali.”

 

“Va bene, all’inizio, magari. Ma dopo lei avrebbe dovuto sapere di potersi fidare di me, con tutto quello che ho fatto per lei! E doveva rifiutare il caso in cui c’era coinvolto il figlio della Latronico: ora rischia di essere invalidato pure quello!”

 

“Quando mi ha assegnato il caso non sapevo del coinvolgimento di Galiano e poi… che dovevo fare? Venire da lei a dire che rinunciavo al caso? E con quale giustificazione? Inoltre si è trattato di un suicidio assistito, quindi non c’è un bel niente da invalidare. Ed io non ho mai in alcun modo favorito il Galiano, che si è pure fatto diversi mesi in carcere. Non ho mai frequentato Chiara Latronico, nemmeno successivamente, se non in rare volte che ci siamo viste mentre indagavo sulla mia… paternità. E quando ho capito di potermi fidare di lei, ormai il caso era chiuso, non c’era nessun reale colpevole, almeno non per la morte di Spaziani e… non aveva senso riaprire questa cosa che non aveva più nemmeno rilevanza.”

 

“Peccato che il maxiprocesso non sia finito, dottoressa, e perché farlo uscire ora? Per i soldi?”

 

“I soldi, come le ho già detto, se mi rimarrà qualcosa, li destinerò a qualche causa benefica. Ma i dossier… sa quante persone potranno avere finalmente giustizia? Magari troppo tardi ma….”

 

“Ma intanto ci andranno di mezzo tutte le persone coinvolte nel maxiprocesso e non rischiano di avere giustizia neanche loro!” esclamò Mancini, ancora furente, “e pure chi se ne occupa, tipo la dottoressa Ferrari e-”

 

Si bloccò, sembrando ancora più incazzoso.


“Il maresciallo Calogiuri sapeva già tutto, presumo?”

 

“La scelta di omettere questa vicenda personale è solo mia, dottore, come quella ora di uscire allo scoperto. Lasci Calogiuri fuori da questa storia!”

 

“Sarà difficile lasciarlo fuori, visto che si occupa tutti i giorni del maxiprocesso, dal quale dovrebbe essere rimosso e-”

 

“Mi posso fare io da parte, dottore,” lo bloccò, perché non voleva assolutamente che Calogiuri avesse problemi al lavoro per lei.

 

Ah, quello è sicuro, dottoressa, ma il suo rapporto con il maresciallo ed il suo lavorare nella stessa procura dove si svolge il processo…. Per intanto si tenga i giorni di ferie che si è già presa e poi vedrò come fare riguardo alla sua posizione e a quella del maresciallo. Su di lui dovrà decidere anche Irene, visto che la sta aiutando molto.”

 

Sospirò: aveva già capito, dal tono e dal modo di fare di Mancini, che lei stava fresca ma… Calogiuri magari una possibilità ancora ce l’aveva.

 

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Aprì la porta di casa e trovò soltanto il buio.

 

“Calogiuri?” chiamò, ma l’unica risposta fu un miagolio un poco incazzoso e due occhi che brillavano.

 

“Ottà! Che non è ancora tornato Calogiù?” le chiese, accendendo la luce e la micia rispose con un sopracciglio alzato che pareva un secondo te? non verbale, prima di allontanarsi con aria ancora offesa.

 

Del resto, dopo la guida di Capozza, altro che offesa poteva essere!

 

Guardò l’ora: ormai erano quasi le quattro del mattino.

 

Decise di chiamarlo, preoccupata, pure se era in missione.

 

Qualche squillo e sentì la voce stanca di lui dire, “pronto?”


“Calogiù! Ma dove stai?” gli domandò e sentì una voce femminile chiedere, “ma è Imma?”

 

“Sto da Melita, a casa sua. Si è sentita male, è svenuta e pure adesso sembra molto debole. Sto cercando di convincerla ad andare al pronto soccorso, ma lei niente, è di coccio.“

 

Sentì una mezza fitta di gelosia, ma alla fine Calogiuri aveva risposto subito e poi… sapeva quanto fosse professionale e pure la sua smania da crocerossino. La reticenza di Melita ad andare in ospedale però era strana.

 

“Ascolta,” gli disse in un sussurro, perché Melita non potesse sentire nemmeno vagamente, “devi cercare di parlarle non appena si sente un poco meglio. Un’occasione del genere probabilmente non si ripresenterà più.”

 

“Va… va bene,” lo sentì rispondere e udiva chiaramente che fosse felice e sollevato.


“Lo sai che mi fido di te, maresciallo. Ma torna presto che… sono qui a Roma e ti devo parlare molto, ma molto seriamente.”

 

“Mo mi preoccupo, però. A dopo.”

 

Mise giù la chiamata e sospirò.

 

In un secondo, nel silenzio e nella calma di quell’appartamento, fu come se le arrivasse addosso tutto insieme. Comprese le lacrime.

 

Per la sua carriera e la sua reputazione che sarebbero andate ancora di più in frantumi. Per il futuro di Calogiuri. Perché forse si sarebbero dovuti dividere nuovamente, proprio mo che speravano in un figlio. E poi… perché su due padri che avrebbe potuto avere, di fatto non ne aveva avuto nessuno. E forse era stato meglio così, anzi, sicuramente era stato meglio così ma… avrebbe voluto parlare con sua madre, sfogarsi, chiederle tante cose, e non poteva più farlo.

 

Un tocco sul polpaccio la fece sobbalzare. Abbassò gli occhi ed era Ottavia, che la fissò per un attimo, con i suoi occhioni gialli, e poi, con un balzo felino, il suo peso le finì in grembo.

 

Le vibrazioni ed il rumore delle fusa sulla pancia, come non gliele faceva da prima del Giappone.

 

Se la accarezzò e poi si distese, piazzandosela sul petto, “tu capisci tutto, eh, Ottà?” le chiese, occhi negli occhi, “mannaggia a te! Che ci voleva tutto sto casino per farci fare pace?”

 

Per tutta risposta, se la trovò appallottolata al collo e le venne ancora di più da piangere, ma di commozione.

 

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“Spero di non averti creato problemi con Imma.”

 

“No, no, come ti ho già detto si fida di me.”

 

“Ma, se si fida, come mai è sveglia a quest’ora?”

 

“Soffriamo entrambi un poco di insonnia quando non stiamo insieme,” buttò lì, perché era la prima scusa che gli era venuta in mente e, in fondo, era pure la verità.

 

Melita fece un’altra di quelle espressioni indefinibili e poi il volto le si contrasse in un lamento.

 

“Senti, è chiaro che non stai bene. Perché non vuoi andare al pronto soccorso? A quest’ora ce la caviamo in fretta. Se ti succede qualcosa è una mia responsabilità che ero con te e non ti ho soccorso adeguatamente, sia eticamente che da un punto di vista lavorativo: sono sempre un pubblico ufficiale.”

 

“De- devo andare in bagno!” esclamò lei e, con un sospiro, ce la portò praticamente in braccio e si assicurò che fosse seduta prima di uscire per lasciarle la sua privacy.

 

Ma alla fine il lavoro era lavoro e quindi, anche se si sentiva un poco un maniaco, si mise ad origliare.

 

Melita aveva aperto l’acqua ed i suoni erano molto ovattati, ma gli parve che stesse parlando al telefono.

 

Il flusso d’acqua si interruppe e la sentì chiamarlo.

 

Aprì la porta con un poco di esitazione e per fortuna era vestita, per quanto succintamente.

 

“Va bene… portami al pronto soccorso. Ma non sarà niente, già te lo dico.”

 

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Sono al pronto soccorso, Melita è a farsi visitare e la sto aspettando. Mi puoi dire che succede?

 

No, Calogiuri, devo farlo di persona. Anche se forse già te lo puoi immaginare. Ti aspetto a casa. Ti amo.

 

Quel ti amo da un lato lo sollevò, che sicuramente ciò di cui doveva parlargli non fosse qualcosa di successo per colpa sua, d’altro canto però… lo preoccupò ancora di più. Imma non era una che lo diceva sovente o con leggerezza, scriverlo ancora meno.

 

Il fatto che fosse venuta di corsa a Roma, dopo quello che era successo a Matera… non prometteva bene.

 

“Ippazio.”

 

Sollevò lo sguardo e trovò Melita, ancora un poco grigia in volto ma che sembrava molto più tranquilla, “tutto a posto, niente di grave.”

 

“Ma che ti è successo?” le domandò, sapendo che non poteva certo parlare con il medico ed accertarsi che lei dicesse il vero.

 

“Cose… cose da donne….”

 

Si sentì avvampare, però pure sua sorella era svenuta una volta in quel periodo del mese.

 

“Va bene, dai, ti riaccompagno a casa.”

 

“Ma no, tanto ormai è mattina, il taxi posso prendermelo pure da sola, così tu te ne prendi uno per casa.”

 

“No, ti riaccompagno, non che stai di nuovo male, pure se è una cosa che si risolve da sola.”

 

Per fortuna sembrava molto meno traballante e riuscì a camminare senza aiuti fino al taxi che aveva chiamato.

 

Diede al tassista l’indirizzo di Melita e, dopo poco che il taxi procedeva nelle strade sgombre - ancora per poco - della capitale sentì qualcosa sulla spalla.

 

Guardò Melita, temendo che fosse svenuta, ma pareva dormire.

 

“Ehi…” la toccò su un braccio, per accertarsi che fosse solo quello.

 

“S- scusa ma… mi hanno dato un antidolorifico e… sono un po’ intontita.”

 

“Tranquilla, e poi siamo quasi arrivati.”

 

La strada dell’appartamento di Melita gli apparve poco dopo. Pagò il tassista e la aiutò nuovamente a salire le scale e la accompagnò fino al divano, dove lei si lasciò cadere, esausta.

 

“Hai… hai bisogno di aiuto per metterti a letto? Cioè… non in sensi strani e-”

 

La sentì ridere, ma scosse e il capo e gli fece segno accanto a lei sul divano.

 

Si sedette, chiedendosi se fosse finalmente giunto il momento di parlare o se, con le medicine, si sarebbe di nuovo addormentata.

 

“Lo so. Sei un bravo ragazzo tu. Sei sicuro che ad Imma non abbia dato fastidio che siamo stati tutta la notte insieme, vero?”

 

“No, no. Si fida di me e… e pure di te.”

 

Melita fece una smorfia.


“Che c’è, hai ancora male?”

 

“Un po’. Ma… più che altro ti invidio, vi invidio, tanto… ad avercelo un rapporto così! E invece io-”

 

“Bella come sei c’avrai la fila.”

 

“Sì… come no: la fila di maiali. E pure tra i maiali riesco sempre a scegliermi quello sbagliato. Ma le scelte si pagano. Care. E alla fine intorno c’hai solo terra bruciata.”

 

“In che senso? Ma i tuoi amici?”

 

“Amici? Conoscenti, che è diverso. Io non so quasi nulla di loro e loro non sanno quasi nulla di me. Ma è meglio così.”

 

“Perché? Che succederebbe se… se sapessero qualcosa di te?”

 

Melita si morse il labbro, come se fosse terribilmente indecisa se parlare o no, l’espressione di chi stava ad un bivio.

 

“Sei… sei finita in qualche brutto giro?”

 

Melita scoppiò a ridere, ma era una risata amara.


“Brutto è dire poco. Ma se entri non ne esci più, non sulle tue gambe almeno.”

 

Provò come una morsa allo stomaco, la voglia di strozzare l’avvocato o chi per loro.

 

“Se mi dici di che si tratta ti posso aiutare, ti possiamo proteggere.”

 

“Non penso che mi potete proteggere, nessuno lo può fare.”

 

“Imma ha scardinato un’organizzazione criminale che comandava a Matera da secoli, certo che può farlo.”

 

Di nuovo quell’espressione strana, poi Melita si passò una mano davanti agli occhi e sospirò.

 

“Mi… mi sto frequentando con uno potente. Un avvocato. Credo che tu ed Imma lo conoscete, lavora proprio al processo su Matera. Ci siamo incontrati in un locale, una sera che non stavo lavorando da un po’ e… avevo bisogno di lavoro e di soldi. Diciamo che… è uno che sa usare gli argomenti giusti e poi… non gli si può dire di no.”

 

“Ma quindi ti obbliga a… a stare con lui?”

 

“Diciamo che… ho sentito alcune cose che non avrei dovuto sentire e….”

 

“Se sai cose su di lui, Imma ed io, e pure la PM che si occupa del maxiprocesso, ti possiamo dare ancora più protezione. Non permetterò che ti succeda niente di male, te lo prometto,” le garantì, prendendole le mani e guardandola negli occhi.

 

Per tutta risposta, Melita scoppiò a piangere. Gli venne spontaneo abbracciarla: sembrava una bambina, con la testa bassa ed il corpo scosso dai singhiozzi.

 

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“Bel lavoro, Calogiuri, sarò lì tra poco! Meglio non farla venire in procura, per la sua sicurezza.”

 

Chiuse la chiamata con Irene e selezionò il contatto di Imma. In fondo, per le parti importanti del maxiprocesso, era stata sempre presente anche lei.

 

“Calogiuri? Ma stai ancora al pronto soccorso? Come va?”

 

“No… no… siamo a casa e… se vuoi venire qua… Melita ha bisogno di... parlare.”

 

“Parlare? La gattamorta lo sa?”

 

Gli venne da ridere che Imma, pure nel conversare in codice, non si trattenesse dalle frecciatine su Irene.

 

“Sì, lo sa. Ci raggiunge.”

 

“Bene. Allora ti aspetto a casa, Calogiù, mo non posso proprio venire.”

 

“Come non puoi?”

 

“Ne parliamo a casa, non ti preoccupare. Sono fiera di te.”

 

Di nuovo, non avrebbe saputo dire se fosse di più la contentezza o la preoccupazione.

 

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“Già da poco dopo che ci siamo conosciuti… ho notato che mi faceva seguire, che mi controllava spesso. Che non gradiva che facessi alcuni tipi di lavori. E… a quel punto sono rimasta con lui per paura, sperando che si stancasse presto di me. Ma poi… da quando ho assistito a un incontro tra di lui e… alcune persone poco raccomandabili… ne ho avuta ancora di più e le cose sono peggiorate.”

 

“E chi sarebbero queste persone poco raccomandabili?” chiese Irene, con un sopracciglio alzato.

 

“Gente potente che sta a Milano. Noi ci vedevamo a Roma perché a Milano lui si sentiva troppo controllato.”

 

Ecco perché tutte le intercettazioni ed il lavoro di Ranieri non avevano portato a quasi nulla!

 

“Va bene, ascolti, io adesso le mostro delle foto, deve dirmi se riconosce qualcuno.”

 

Irene estrasse il suo tablet, mentre lui ancora scriveva la deposizione e mostrò a Melita alcune foto.

 

Prima dei politici coinvolti nel caso di Milano e poi di membri della famiglia malavitosa locale, quella che c’entrava con chi aveva ammazzato la madre di Bianca.


“Lui e… lui e lui,” disse Melita, decisa.

 

“Ne è sicura?” chiese Irene, lanciandogli un cenno di intesa.

 

Perché una delle tre foto era del figlio del Boss.

 

Sarebbe stato un colpo incredibile per loro.

 

“Sì.”


“Di cosa avete parlato? E come mai l’avvocato l’ha voluta presente in un colloquio così… delicato?”

 

“Il problema era proprio questo. Lui non voleva che ascoltassi, anzi, ma… sono arrivati all’improvviso in un locale, qua a Roma. Stavamo nel privè. Ci hanno praticamente accerchiati al tavolo e si sono seduti con noi. E hanno iniziato a parlare. Ho capito poco ma… discutevano di un processo a Milano e hanno detto all’avvocato che doveva far condannare il suo cliente ma solo lui o avrebbe fatto una brutta fine.”

 

“Il capro espiatorio, insomma,” sospirò Irene, che non sembrò sorpresa del metodo, facendogli di nuovo un cenno col capo.


“Non so ma… da lì lui ha iniziato a minacciarmi, dicendo che dovevo dimenticare quello che avevo sentito e che se non stavo zitta… mi ci avrebbe fatto stare lui zitta e per sempre. E io avevo paura. Paura di lui, paura di… di quei tizi di Milano perché poi… ho capito chi erano esattamente e… praticamente mi costringeva ad uscire con lui e controllava ogni mia mossa.”

 

“Ma allora come mai non ha avuto obiezioni alle sue uscite con il maresciallo?”

 

“Perché la prima volta è successo per caso e… poi gliel’ho dovuto dire ovviamente. Mi ha lasciato uscire di nuovo con Calogiuri ma voleva un rapporto dettagliato di… di quello che ci dicevamo… insomma… gli dovevo fare la spia.”

 

Lo sguardo di Melita era carico di dispiacere e di nuovo di qualcosa di strano ma lui cercò di rassicurarla, “non ti preoccupare, lo capiamo che c’avevi paura. Ti terremo sotto scorta e presto l’avvocato non potrà più fare niente.”

 

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Aprì piano la porta, per non rischiare di svegliare Imma, anche se ormai erano le dieci di mattina.

 

Fece due passi e la vide distesa sul divano, la testa poggiata sopra ad un braccio.

 

Non riusciva ancora a capacitarsi di quanto fosse bella.

 

Si avvicinò, con l’intenzione di portarla a letto, ma lei aprì gli occhi, che tradivano una stanchezza incredibile, mentre una pallotta di pelo si alzò dal suo fianco, stiracchiandosi.

 

“Dovevi andare a letto.”

 

“Eh… come facevo a dormire? E non solo per te ma… ti devo parlare,” gli rispose, mettendosi anche lei a sedere con un movimento felino quasi come quello di Ottavia, che le toccava la mano col muso.


“Avete fatto pace?”

 

“Sì, l’unica buona notizia di oggi.”

 

“Non l’unica: Melita collaborerà e ha confessioni risolutive da fare sia per il caso di Milano che per quello di Roma.”

 

Si trovò seduto sul divano senza quasi accorgersene, Imma che lo abbracciava forte, “bravo, Calogiuri, anzi, bravissimo! Però… ho purtroppo delle brutte notizie da darti e-”

 

“E non possono aspettare dopo qualche ora di sonno?”

 

“No. Io… ho detto tutto a Mancini e… e mi ha detto che per ora me ne sto in ferie e poi deciderà. Ma sicuramente non potrò più occuparmi del maxiprocesso, neanche alla lontana. Su di te valuterà il da farsi ma… per me la vedo grigia, Calogiù. Dubito che mi permetterà di continuare a stare qua a Roma.”

 

Fu come una doccia gelida, anche se era già consapevole che la possibilità ci fosse. Ma che mandassero via Imma, come se fosse una criminale, non lo poteva accettare.

 

“Ma non può e-”

 

“Sì che può. Forse… forse avrei dovuto dirgli prima di Latronico e ho sbagliato ma… la verità era che temevo non accettasse il mio trasferimento qui, anche se solo temporaneo, di non poterti raggiungere. E poi… non volevo separarmi da te. Ma mo….”

 

“Se te ne vai tu, me ne vado anche io e-”

 

“No. Tu a Roma devi stare, Calogiuri, per il concorso ed il corso: è un ordine! Io troverò una soluzione, vedrai. Mo però portami a letto, maresciallo. Solo per dormire,” precisò, con un sorrisetto.

 

“Dopo stanotte, anche volendo, non credo avrei la forza per fare altro, dottoressa.”

 

“Non mi sfidare che poi sai che succede… ma meglio che ci facciamo una bella dormita prima.”

 

La prese in braccio e, quando lei si strinse forte al suo collo, provò la stessa assurda tenerezza che aveva provato la prima volta che lo aveva fatto, ormai diversi anni prima.

 

Ed era certo che, almeno quello, non sarebbe cambiato mai.

 

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“E quindi ora Melita sta in un luogo protetto, almeno finché non avrà testimoniato.”

 

“Bene! Sono contenta! Sia per il processo che per lei che… si è tirata fuori dai guai. E tu sei stato bravissimo a farla parlare.”

 

“Grazie…” le sussurrò, toccandosi il collo: era incredibile come, nonostante tutti gli anni passati, fosse ancora così felice ed imbarazzato ad ogni riconoscimento lavorativo che gli dava.

 

“Oggi devi andare in procura?” gli chiese, prendendo un morso del bombolone che lui aveva cavallerescamente procurato.

 

“No, no. Il weekend ce lo dovrei avere comunque libero e-”

 

Una specie di esplosione di trilli, notifiche e vibrazioni lo interruppe.

 

Imma guardò il cellulare suo e poi quello di Calogiuri. Erano impazziti entrambi.

 

“Guardi tu o guardo io?” le domandò lui, preoccupato, perché sapeva esattamente, come lo sapeva lei, cosa doveva essere successo.

 

“Guarda tu. Io non so se c’ho la forza,” sospirò, lasciandosi andare sulla testiera del letto.

 

“Vitali e Mancini… hanno fatto un comunicato ufficiale. C’è un articolo sul sito del corriere. Vuoi che ti leggo?”

 

“E leggi….”

 

Il dottor Vitali ed il dottor Mancini hanno indetto un’ora fa una conferenza stampa congiunta per rivelare che è stato scoperto un caveau nelle campagne di Matera, in un’abitazione appartenente a Cenzino Latronico, imprenditore edile accusato di essere stato uno dei cardini del clan malavitoso che dominava su Matera e buona parte della Basilicata. Il dottor Vitali ha dichiarato che, da alcuni elementi rinvenuti nel caveau, appare evidente come Cenzino Latronico ritenesse che la dottoressa Imma Tataranni fosse in realtà sua figlia, seppur illegittima e mai riconosciuta. Il ritrovamento è stato possibile grazie alla collaborazione di Chiara Latronico con la dottoressa Tataranni e poi con la squadra di Matera. Il dottore ha dichiarato che i beni ritrovati nel caveau, insieme ad importanti incartamenti, saranno conservati in attesa di accertare, tramite test del DNA, la fattiva paternità della dottoressa Tataranni. Alle domande su dove si trovasse la dottoressa, il dottore ha risposto che, a seguito di vicende così scioccanti, la dottoressa starebbe vivendo un momento di ritiro e riposo. Ai dubbi sollevati al dottor Mancini su come queste rivelazioni scottanti potranno influire sul maxiprocesso, in cui ricordiamo che Angelo Latronico, presunto fratello della dottoressa, è uno dei testimoni ed imputati principali, il dottor Mancini ha risposto che la dottoressa si è immediatamente offerta di non occuparsi più, neppure come consulente, del maxiprocesso. E che finito il suo periodo di riposo, si valuterà il da farsi, perché, a detta del dottor Mancini, il primario interesse di tutti, compreso quello la dottoressa, sarebbe non compromettere il maxiprocesso per un legame di sangue ancora da accertare con un uomo che, secondo quanto asserito dal procuratore capo, la dottoressa non ha mai frequentato né conosciuto da che ne ha coscienza e che risulta quindi un perfetto estraneo per lei. Cosa che, a quanto pare, sarebbe confermata dai documenti rinvenuti nel caveau. Stanti le parole pronunciate in conferenza stampa, ci chiediamo quindi se questo processo realmente potrà non risultare irrimediabilmente viziato nella fase investigativa e se, oltre alla dottoressa, anche il suo giovane compagno, anzi, promesso sposo, secondo alcune voci raccolte negli ambienti della procura, si farà da parte.

 

“E chissà di chi sono ste voci raccolte negli ambienti della procura! E comunque Vitali e Mancini hanno salvato il salvabile ma… se già questo giornale è così, figuriamoci gli altri,” Imma era amara, disillusa, e questo gli fece malissimo, “e poi non… non avrei voluto che il nostro fidanzamento uscisse fuori in… in questo modo. Che le reazioni sarebbero state pessime lo sapevo ma… non voglio che ti mettano in mezzo a questa storia di mio padre.”

 

Vide Calogiuri spalancare gli occhi e non capì.

 

Fino a che realizzò di aver chiamato Latronico mio padre.

 

“Va beh… tecnicamente è quello che è. In realtà non è stato un vero padre, ma non lo è stato nemmeno Rocchino Tataranni, quindi… per fortuna c’ho avuto mamma. Ma… credo di capire mo, molto alla lontana, il conflitto di Chiara nei confronti di… di nostro padre. Era il demonio di Matera, ma era pure un essere umano, con delle idee in testa sulla morale, sull’etica e sulla famiglia completamente assurde. Ma pur sempre umano era.”

 

“Beh… io gli sono grato soltanto perché ti ha messa al mondo, per il resto tu sei tu e sei quello che sei soltanto grazie a te stessa.”

 

“In buona parte sì ma… se sono quello che sono oggi, rispetto a quattro anni fa, il merito un poco è pure tuo, Calogiuri.”

 

“Eh… sai che merito… che rischi di perdere il lavoro!”

 

“Ma sono felice e non ho più paura di chi sono davvero. E questa libertà vale più di tutto il resto, pure del mio lavoro.”

 

Si sentì stringere forte forte.

 

Ma poi squillò il maledetto cellulare.

 

Avrebbe voluto non rispondere, ma era Mancini.

 

Mise il vivavoce.

 

“Pronto, dottore?”

 

“Dottoressa, non so se ha visto le dichiarazioni mie e di Vitali e le reazioni dei media.”

 

“Le dichiarazioni le ho appena lette, dottore, le reazioni dei media, no ma posso immaginarle.”

 

“Ecco, appunto. Ho chiesto un test del DNA di urgenza. Oggi pomeriggio alle ore quindici deve recarsi presso l’istituto di medicina legale, per il tampone.”

 

Mancini era meccanico, gelido, pure più di prima.

 

“Va bene, dottore, sarà fatto.”

 

“Per il resto vi consiglio di stare il più possibile in casa e di non farvi vedere in pubblico, a lei e al maresciallo. C’è una folla di giornalisti fuori dalla procura ancora adesso, probabilmente sperano di vedervi arrivare.”

 

“D’accordo. Grazie per… il consiglio. A fare il tampone andremo in moto, dovrebbe essere più difficile bloccarci.”

 

“Dica al maresciallo che sto leggendo la sua trascrizione delle ultime dichiarazioni rese. Ne parleremo lunedì nel mio ufficio. La saluto.”

 

Ammazza che freddezza!

 

“Hai sentito?”

 

“Sì, e ovviamente ti accompagno dottoressa. E lunedì sentirò che ha da dirmi.”

 

“Vediamo ste reazioni della stampa, Calogiù, tanto non lo possiamo evitare.”

 

I titoli erano i più fantasiosi da Latronico o Tataranni? a La Pantera di Matera cambia cognome e non solo per le nozze a La Pantera, Il Toyboy ed il Demonio fino ad un simpaticissimo Tataranni figlia del Demonio! ad opera di Zazza e Lucania news.

 

“Ci mancava un fotomontaggio di me con la bimba dell’Esorcista e stavamo apposto.”

 

“Veramente lo hanno fatto ma con Rosemary’s baby, che a quanto pare è una storia su-”

 

“Sì, una incinta del demonio. Andiamo bene, proprio, e-”

 

Squillò di nuovo il telefono, ma stavolta era quello di Calogiuri.

 

Lo vide sbiancare, che già era pallido di suo.

 

“Che c’è? Mancini?”

 

“No, molto peggio!” rispose lui, mostrandole il display.

 

Mamma

 

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“Ca' davvèr te fidanzàst cu chella senzà ricere nientè? Disgraziat’ si!”

 

“Mà…” sospirò, alzando gli occhi al soffitto, “non ho bisogno del permesso per fidanzarmi, che trent’anni tengo. E poi, con quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti, non pensavo proprio che volessi sentirmi.”

 

“Eh certò ca' nun te volevò sentirè! Ppe me tu nun esistì cchiu'!”

 

E si sentì attaccare il telefono in faccia.

 

“Ha saputo del fidanzamento e non l’ha presa bene?”

 

Imma lo guardava da mezza distesa sul letto, e poi gli porse la mano e lui gliela strinse.

 

“Diciamo di sì, dottoressa. Ma peggio per lei.”

 

Si sentì tirare giù e finì con la testa sul petto di Imma, il solletico dei suoi baci tra i capelli.

 

Quanto era fortunato!

 

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“Fammi sapere come va con Mancini. Subito, mi raccomando!”

 

“Tranquilla, dottoressa. Appena ho notizie ti chiamo.”

 

Un bacio e Calogiuri sparì dietro alla porta.

 

Ottavia la guardò, confusa, e le girò tra le caviglie.

 

“Eh… non sei abituata a non vedermi andare al lavoro, eh, Ottà? Temo che ci dovremo abituare tutte e due.”

 

Nemmeno l’avesse chiamato col pensiero, il suo cellulare squillò, il nome di Mancini che fu una botta d’ansia.

 

Che la chiamasse prima di parlare con Calogiuri… poteva essere un ottimo o un pessimo segno.

 

“Dottore, mi dica.”

 

“Ho ricevuto in anteprima i risultati del test del DNA, dottoressa, che confermano quello che lei si immagina.”

 

Mancini pareva sempre più un automa nelle sue telefonate, o quella scassapalle della signorina di google.

 

“Capisco. Ma immagino non sia questo l’unico motivo della chiamata.”


“No, infatti. Dottoressa… in seguito alle dichiarazioni di Melania Russo, in arte Melita, è stato deciso il rinvio della prossima udienza qua a Roma, a febbraio, in attesa che la Russo possa testimoniare al processo a Milano e per dare tempo alla difesa di prepararsi, visto che molto probabilmente l’avvocato verrà sospeso dall’incarico.”

 

“E questo… era prevedibile, dottore, ma non è un cattivo segno, se la fanno testimoniare a Milano, pure se chiunque l’avvocato sceglierà per sostituirlo le preparerà un plotone di esecuzione.”

 

“No, infatti. Probabilmente si avvarrà del suo braccio destro, più giovane ma assai tosto… come bisogna essere per lavorare in quello studio legale.”

 

“Capisco. Quello che non capisco è perché mi sta dicendo tutto questo, visto che devo tenermi lontana dal maxiprocesso, a quanto ho capito.”

 

“Ed è proprio per questo che glielo anticipo, dottoressa. Il maresciallo Calogiuri, per quanto lei sa che non approvo in tutto i suoi metodi ed ho spesso dubitato di lui, ha probabilmente portato a casa non uno ma due processi con la testimonianza della Russo. Irene insiste che deve continuare ad occuparsi del caso, che è il suo braccio destro e quindi… nonostante il vostro legame personale, non lo rimuoverò dal maxiprocesso.”

 

Prima una botta di sollievo. Ma sapeva che c’era un ma nell’aria.

 

“Ma….”

 

“Ma sarebbe meglio per tutti se lei tornasse a Matera, dottoressa. Non può più occuparsi del maxiprocesso e, visto il legame con il maresciallo, la sua presenza in procura è ormai….”


“Scomoda?” sospirò, i suoi peggiori timori che diventavano realtà.

 

Ma erano giorni che ci pensava e sapeva cosa doveva fare.

 

“Dottore, ho… ho intenzione di chiedere l’aspettativa. Dopo tutti i miei anni di servizio mi spetta. Capisco che la mia presenza geografica a Roma possa comunque suscitare delle critiche ma… starò ben lontana dalla procura, salvo mi sia richiesto, glielo garantisco.”

 

Silenzio dall’altra parte della linea.

 

“Va bene, dottoressa, è un suo diritto. Sta arrivando il maresciallo. Le consiglio di evitare di venire in procura a ritirare i suoi effetti personali almeno per qualche giorno. Sarebbe preferibile glieli riportasse il maresciallo.”

 

Ammazza, pareva un’appestata, pareva!

 

“Va bene,” acconsentì, perché sapeva di non poter fare altrimenti, e chiuse la comunicazione.

 

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“Che cosa?!”

 

“La dottoressa Tataranni ha chiesto l’aspettativa, maresciallo. Mi invierà documentazione ufficiale ovviamente. Immagino che lei non sia sordo.”

 

Strinse i pugni ai fianchi, non solo per la battutina, ma perché Imma in aspettativa… non ci poteva credere!

 

“Ma… ma non è da lei e-”

 

“L’alternativa era il ritorno a Matera, maresciallo. In ogni caso non le sarebbe stato possibile tornare a lavorare qui.”

 

“E perché?! Perché è stata onesta, invece di nascondere tutto sotto la sabbia?!” esclamò, furioso.

 

Onesta. Onesta con un paio di anni di ritardo, maresciallo. E, in ogni caso, le consiglio di rivedere il suo tono e di essere grato di avere la possibilità di continuare a prestare servizio qui e a lavorare al maxiprocesso. In condizioni normali le avrei dovuto togliere il caso. Ma devo ammettere che con la Russo è stato bravo. Non butti la sua carriera per niente.”

 

“Imma non è niente!”

 

“La dottoressa ha fatto la sua scelta, sicuramente anche per lei. Poi se vuole farsi sospendere pure lei, maresciallo, non ha che da dirmelo e provvederò con molto piacere.”

 

Contò fino a dieci, perché aveva una voglia matta di saltare addosso a Mancini e spaccargli la faccia. Ma Imma poi gliel’avrebbe spaccata a lui e non voleva dargli soddisfazione a quello stronzo. Come minimo, se Imma ci fosse stata con lui e se non avesse sfoggiato l’anello di fidanzamento, col cavolo che a quest’ora le avrebbe impedito di stare lì.

 

Ma doveva parlare con Imma, perché non poteva accettare che lei si sacrificasse in quel modo per lui, a costo di farsi Matera - Roma in bus ogni fine settimana.

 

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“Non puoi fare questo per me e-”

 

Alzò una mano per fargli segno di starsene zitto un attimo, perché era tornato dalla procura come una furia e le aveva fatto una capa tanta da farle venire il mal di testa.

 

Era tenero, da un lato, ma la sua pazienza non era infinita, nemmeno con lui.

 

“Calogiù, tu mi conosci, lo sai che quando prendo una decisione quella è, no?”

 

“Sì, ma non sei mai stata senza lavorare!”

 

“E mica mi sto licenziando, Calogiuri. Sarà questione di qualche mese. Tu ti fai il concorso e si spera il corso, così potrò aiutarti con lo studio e… potremo concentrarci sulle frecce. Magari nel frattempo, se tutto va bene, avrò la possibilità di prendere la maternità e, dopo che avrai passato il corso, decideremo insieme dove andare a stare.”

 

“Ma io ti conosco, dottoressa. Tu a casa non ci resisti, già hai faticato in questo periodo e-”

 

“E mica devo restare murata viva come la monaca di Monza! Ho comunque i processi già avviati da portare a termine, tranne il caso Spaziani, ovviamente. Nel frattempo ho sentito Vitali, spiegandogli la mia posizione - anche se praticamente lui già la sapeva da Mancini - e, in via non ufficiale, mi farà contribuire ai casi trovati nel dossier, perché dovrò istruire chi verrà incaricato ufficialmente. E poi… in qualche modo faremo. Ma di sicuro non voglio stare tutti questi mesi senza di te e, soprattutto, non voglio mollarti qua da solo con tutti i casini, con il maxiprocesso, il concorso ed il corso. Mal che vada, vorrà dire che organizzerò il matrimonio nei minimi dettagli.”

 

Per tutta risposta, Calogiuri rise e la guardò in quel modo amorevolmente esasperato che adorava.


“Non ti ci vedo proprio a fare la Wedding Planner, dottoressa. A perdere ore per scegliere le bomboniere e tutte quelle robe lì.”

 

“Ah, nemmeno io mi ci vedo… e scordati il matrimonio in grande stile ma… almeno tu hai più tempo di pensare allo studio, se ti fidi del mio gusto, naturalmente…” lo provocò, con un sopracciglio alzato.


Si trovò aggrappata in un mezzo abbraccio.

 

“A me basta sposarti, dottoressa, pure se mi dovessi tappezzare la sala comunale di drappi leopardati.”

 

“Scemo!” gli disse, dandogli un colpo, “ma ti amo lo stesso, mannaggia a me!”

 

“Pure io, dottoressa. E non dimenticherò mai quello che stai facendo per me.”

 

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“Che cos’è Calogiuri, la tua bella non ha più il coraggio di farsi vedere qui e devi farle tu le pulizie di primavera?”

 

Guardò verso la porta dell’ufficio di Imma.

 

Lui ed Asia stavano raccogliendo gli oggetti personali di lei e già era incazzato nero all’idea che non potesse nemmeno farlo lei di persona, anche se da un canto si era risparmiata l’umiliazione.

 

Ma vedere il sorrisetto di quel cretino di Carminati era pure peggio.

 

“La dottoressa ha più coraggio di dieci di te messi insieme, Carminati. Sul cervello non ne parliamo, perché uno zero moltiplicato per qualsiasi numero uno zero resta.

 

“Mo che non c’è più lei a coprirti le spalle, dovrai abbassare la cresta, maresciallo. Che mo non sappiamo neanche se diventerai il signor Tataranni o il signor Latronico.”

 

Strinse i pugni ma non voleva dargli soddisfazione.

 

Si avvicinò a Carminati, lentamente, guardandolo dritto in faccia e vide un lampo di paura in quegli occhietti da topo.

 

“Forse non hai capito, Carminati. Io non ho alcuna cresta da abbassare o alzare. Sono il tuo superiore e tu mi devi trattare con rispetto. Alla prossima battuta di questo genere, ti faccio rapporto, includendo un elenco dettagliato di tutto ciò che hai detto e fatto in questi mesi, e vediamo dove finisci a lavorare. E mo torna al lavoro che il tuo turno non è finito e oggi sei pure entrato dieci minuti dopo.”

 

Carminati sbiancò e si levò di torno.

 

Non ci sperava del tutto che la piantasse, ma… doveva reggere il fortino anche per Imma.

 

“E bravo, Calogiuri! Vedo che sei migliorato nel farti rispettare!”

 

Si voltò verso la porta e sorrise.

 

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Suonarono alla porta.

 

Strano. Aspettava Calogiuri di ritorno dal lavoro e… con gli effetti personali che aveva lasciato in procura.

 

Da un lato si era risparmiata l’umiliazione, dall’altro… neanche un addio aveva potuto dare a quel posto dove aveva trascorso quasi due anni di vita.

 

I più belli, oltre che i più assurdi.

 

Guardò dallo spioncino e si trovò di fronte una chioma biondissima.

 

“Mariani?!” chiese, sorpresa, aprendo la porta, per poi esclamare, vedendoci meglio, “Conti? Che ci fate qua? Vi ha mandato Mancini?”

 

“No, no, ci siamo mandati da soli e… abbiamo i suoi effetti personali, dottoressa, il resto è in macchina e lo sta portando su Calogiuri, possiamo entrare?”

 

Ancora sorpresa, li fece passare e, dopo poco, sentì i passi un poco goffi di Calogiuri salire le scale.

 

Fece entrare pure lui e chiuse la porta.

 

“Che… che è questa rimpatriata?”

 

Mariani mollò i sacchetti che aveva in mano e, mentre gli altri due facevano lo stesso, estrasse da uno una bottiglia di spumante.

 

“Lo so che… non c’è molto da festeggiare, dottoressa, ma… volevamo darle un saluto come si merita e poi… dobbiamo ancora farvi le congratulazioni per le nozze. E… volevamo farle sapere che ci siamo, dottoressa, per qualunque cosa.”

 

“Sì, siamo dalla sua parte, dottoressa,” confermò Conti, con una decisione talmente inusuale per lui che la fece commuovere.

 

“E non perché siamo amici di Calogiuri, eh. Che Conti qua ogni tanto fa pure ancora l’offeso ma… non si merita quello che le sta capitando e spero davvero che possa tornare presto al lavoro.”

 

“Ne dubito, Mariani, ma… vi ringrazio ragazzi, non so cosa dire….”

 

“E allora nel dubbio stappiamo lo spumante ed apriamo i pasticcini,” ribattè Mariani e le venne voglia di abbracciarla.

 

La vecchia Imma si sarebbe trattenuta.

 

Lei lo fece, nonostante la bottiglia che le finì dritta dritta sulla schiena, facendole un male cane.



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci qua. Il primo dei Grandi Casini è scoppiato ma siamo solo all’inizio: nel prossimo capitolo scoppierà pure tutto il resto. Avrei voluto arrivare a IL Grande Casino principale ma… sarebbero venuti due capitoli insieme e ho pensato fosse meglio dividere. Imma deve starsene a casa, ma riuscirà veramente a stare lontana dalle indagini? E, soprattutto, come andrà a finire con Melita e Milano e Roma? Sarà realmente tutto finito o… siamo solo all’inizio?

Dal prossimo capitolo entriamo nel vivo dell’ultimo vero giallo di questa storia, che sconvolgerà tutto e tutti, minando tutto alle fondamenta. Il rosa… ci sarà ma… dopo il dolce sta arrivando l’amaro, quindi preparatevi, sapendo che comunque il finale sarà lieto ma… prima ci sarà molto ma molto da faticare.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia continui a mantenersi interessante. Vi ringrazio per avermi seguita fin qui, ringrazio chi ha recensito la mia storia e chi l’ha messa nelle preferite o nelle seguite.

Come sempre le vostre recensioni e i vostri pareri oltre a farmi un piacere enorme e a motivarmi tantissimo mi aiutano a capire cosa c’è da correggere nella scrittura.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare domenica 28 marzo. In caso di ritardo di qualche giorno, avviserò sulla mia pagina autore qua su EFP.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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