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Autore: Soul of Paper    02/03/2021    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 55 - Il Ghiaccio


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Addio ai petali ed alle composizioni floreali! Qua tutto abbiamo distrutto, Calogiù. Almeno i vestiti si sono salvati!”

 

“Chissà perché, però, nonostante la distruzione, hai un tono stranamente soddisfatto,” la punzecchiò, pure lui con un sorrisetto più che soddisfatto ed uno sguardo che... altro che impunito!

 

Gli diede una cuscinata, anche se effettivamente aveva ben donde di essere orgoglioso: l’aveva fatta impazzire, mannaggia a lui!

 

“Menomale che questo cuscino è di piume. Con quello degli hotel tipici mi avresti spaccato il naso!” scherzò lui ed Imma rise, ricordando come in un incubo lo scomodissimo cuscino con dentro i noccioli di chissà quale pianta, “un altro calice di vino, dottoressa? E un altro po’ di frutta?”

 

“Con quello che costa qua?! Manco un acino d’uva dobbiamo sprecare, Calogiù!” esclamò, gustandosi insieme a lui i resti del benvenuto e degli auguri dell’hotel.

 

Si accoccolò sul suo petto, godendosi la pelle d’oca che gli si formava toccandolo con le dita ghiacciate e poi, forse per la rilassatezza, le uscì spontaneo un, “voglio parlare a Valentina quando torno. Non… non magari della cerimonia di oggi, ecco, ma di tutto il resto sì. Soprattutto del fatto che… che stiamo provando ad avere un bimbo. Voglio che si senta coinvolta e che sia pronta, anche se, purtroppo, probabilmente non succederà niente.”

 

Lo guardò e lui aveva un sorriso incredibile.


“Mi sembra giusto: è tua figlia! E poi… lo sai che sono soltanto che felice che si sappia che un giorno, si spera non lontanissimo, sarai mia moglie.”

 

“Contento te…” rise e aggiunse, più seria, “e poi… lo voglio dire anche a Pietro. Mi pare giusto che lo sappia da me. E dopo… insomma… penso che potrò finalmente continuare ad indossare questo anello, che ormai mi ci sono abituata.”

 

“Vuoi dire che…” le chiese lui, e altro che sorridere, sembrava irradiare luce talmente era felice.

 

“Sì. Lo dirò in procura, Calogiuri, a Mancini per primo e poi… chi lo scopre lo scopre, e chissenefrega.”

 

Si sentì quasi stritolare in un abbraccio che un poco di vino finì sulle lenzuola, a parte che tanto ormai….

 

“Non vedo l’ora di vedere la faccia di Mancini,” sussurrò lui, e lei esclamò un “Calogiuri!”

 

“Perché? Tu non vedi forse l’ora che lo sappia Irene?”

 

In effetti… non c’aveva torto, l’impunito.


“Ma Mancini è il capo, Calogiù. E lo sai che dipende da lui se possiamo stare nella stessa procura.”

 

“E tanto se passo il concorso devo restare a Roma per forza, dottoressa: Mancini può dire tutto quello che vuole, ma finché ho il corso non mi può spostare.”

 

“Hai pensato a tutto, eh, Calogiù?” gli chiese, piacevolmente impressionata.

 

“Abbastanza. Io… lo vorrei dire anche a Modesto. E poi a Mariani. Il resto… come hai detto tu: chi lo scopre lo scopre.”

 

“Con Conti ancora in lite siete?” sospirò, che già Calogiuri c’aveva pochi amici.


“Eh… è un testone. Speriamo gli passi, prima o poi.”

 

“Speriamo. Nel frattempo, lo sai che quando torniamo a Roma ti farò una capa tanta per lo studio, sì?”

 

“Ma a me piace imparare da te, lo sai. E poi… se le lezioni andranno bene…  magari la professoressa potrà darmi qualche… incentivo allo studio.”

 

Gli mollò un’altra cuscinata, gridando, “mo abbiamo finito, Calogiù, mo!”.

 

E stavolta, se ne beccò una di risposta, ma si lasciò schiacciare ben volentieri sul materasso.

 

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“Che vuoi fare oggi?”

 

“Mi tocca comprare i souvenir, Calogiuri. Che se no mia figlia e Diana chi le sente. E poi dobbiamo regalare qualcosa a tua sorella, che ci ha tenuto Ottavia.”

 

“Eh pure a me tocca.”


“Che ne dici se ci dividiamo, Calogiù? Che almeno facciamo prima. Ci troviamo più tardi per fare un ultimo giro e poi a cena. Per festeggiare, sushi, in un altro locale di quelli buoni e stavolta offro io.”

 

“Ma… sei sicura di voler girare da sola?” le chiese, un poco preoccupato, ed anche stupito da quella richiesta.

 

“Calogiù, a Tokyo ormai mi so muovere. La criminalità qua, nonostante i Zenigata, è quasi zero e che mi può accadere? Al peggio ti telefono, ti mando la mia posizione e mi raggiungi.”

 

Sorrise: glielo aveva insegnato all’inizio del viaggio, in caso si perdessero, e pregava che Imma si ricordasse come fare.


“Guarda che lo so a cosa stai pensando, Calogiù. Ma è colpa tua che ti sei scelto una fidanzata vecchia generazione!”

 

Si beccò un pizzicotto ed un bacio sulla guancia, e poi Imma si avviò verso la stazione, camminando in quel modo che aveva solo lei e che faceva girare persino i giapponesi, nella loro frenesia.

 

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Gli lanciò un’occhiata e non avrebbe dovuto farlo.

 

Calogiuri aveva quell’espressione da cucciolo triste che l’aveva fregata dagli inizi della loro storia, rendendole impossibile tenerlo troppo lontano.

 

Altro che illegale: era da spaccare il cuore.

 

“Prima o poi ci vorrei tornare in Giappone…” gli sussurrò, perché anche lei sentiva la stessa malinconia, “per vedere altri posti. Anche se… dovremo risparmiare per un bel po’.”

 

“Ti prometto che viaggeremo ancora tanto, dottoressa, frecce permettendo,” le garantì e, alla menzione delle frecce, si aggiunse un altro motivo di commozione, “e pure con le frecce… possiamo viaggiare lo stesso.”

 

“Ah, beh, Calogiù, in Italia tutti viaggiano con le frecce. Tranne per Matera, che ci toccano ancora i bus scassati.”

 

La voce registrata annunciò che il volo sarebbe decollato a breve.

 

Gli prese la mano, come faceva sempre per partenze ed atterraggi, e se la sentì sollevare, e poi lui ci piantò un bacio.

 

“Mi… mi ero abituato a sentirlo questo anello…”

 

“Pure io, Calogiù. Ma magari non ci dovremo disabituare troppo. E mo scegli un film. Allegro stavolta.”

 

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“Mamma!!”

 

Un grido e si trovò travolta da un abbraccio.

 

Strabuzzò gli occhi, trovandosi davanti Valentina e, subito dietro di lei, Penelope, abbronzatissime dopo la vacanza nelle isole greche.

 

“Ma che ci fate qua?”

 

“Ah, grazie per l’entusiasmo, mà!”


“Eddai, Valentì, è chiaro che mi fa piacere vederti ma… non mi aspettavo quest’accoglienza.”


“Lo so. Ma è che io e Penelope abbiamo noleggiato un’auto, sai per girare un po’ qua per il Lazio, in giornata, finché stiamo in vacanza e… abbiamo deciso di venirvi a prendere.”

 

Se la abbracciò lei, stavolta.

 

Fino a qualche anno prima una cosa del genere sarebbe stata impensabile.

 

Forse più di una cosa buona l’aveva fatta davvero.

 

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“Eccoci qua.”

 

“Grazie ragazze. Penelope, guidi proprio bene, brava! Meglio della maggior parte dei carabinieri che ho avuto come autisti. Tranne te, naturalmente,” specificò, mica che quel gelosone di Calogiuri se la prendesse.

 

Poi però raccolse il coraggio e annunciò, “Valentì… io… ti dovrei parlare di una cosa importante. Che domani a pranzo sei libera?”

 

Valentina e Penelope si guardarono e la ragazza di sua figlia annuì.

 

“Va bene ma… mi devo preoccupare?”

 

“Non più del solito, credo.”

 

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“Siamo a casa!”

 

Si trovarono davanti un salotto decisamente incasinato e Rosa e Noemi che stavano facendo giocare Ottavia con una delle sue amate cannette con piuma attaccata.

 

L’odio per i volatili permaneva.

 

“Tata!!!!! Zioooooo!!!”

 

Un piccolo uragano corse loro incontro, gettandosi addosso per farsi prendere in braccio da qualcuno ed Imma sorrise, mentre lo zioooooo provvedeva ad accontentare la nipote.

 

“Bentornati!” sorrise Rosa, avvicinandosi pure lei, “non vi aspettavamo così presto.”

 

“Eh, abbiamo trovato un passaggio, sorellì.”

 

Imma guardò verso Ottavia, che se ne stava ancora vicina al divano ed al gioco abbandonato, ma la micia fece uno sguardo sdegnoso, sollevò il muso in aria e si voltò, camminando a passo regale verso il corridoio e, presumibilmente, il bagno.

 

“Mi sa che qualcuna è offesa per essere stata lasciata a casa…” commentò Calogiuri, con una risata.

 

“Ogni tanto sembrava un poco triste, che guardava la porta, ma ha giocato tantissimo con la peste e si è divertita un sacco, quindi è proprio una drama queen.

 

“Eh… speriamo che ci perdoni presto,” sospirò Imma, perchè a lei il rifiuto di Ottavia, che le era sempre stata attaccatissima, faceva molto male, per qualche strana ragione.

 

“Se ha imparato da te, ne dubito,” scherzò Calogiuri, guadagnandosi un colpo sui reni e poi un abbraccio.

 

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“Allora noi andiamo!”

 

“Posso pottare bambola nuova?” chiese Noemi, saltellando mentre brandiva il regalo che le avevano portato dal Giappone, insieme ad un videogame portatile: una bambola in abiti tradizionali.

 

“Sì, ma occhio a non rovinarla, signorina, che mica possono tornare in Giappone a ricomprartela,” la avvertì Rosa, avviandosi con lei fuori dalla porta.


“Vedrai che andrà tutto bene, dottoressa. Chiamami appena sai…”

 

Gli diede un bacio e chiuse la porta alle sue spalle.

 

Con la scusa dei lavori all’appartamento di Rosa, l’avevano lasciata sola per il pranzo con Valentina.

 

Vide qualcosa muoversi in un angolo ed era Ottavia, ma la miciotta di nuovo la squadrò malissimo e poi se ne andò per i fatti suoi.

 

“Sei pure più capa tosta di me, Ottà,” sospirò, mentre si preparò ad un’attesa sfibrante.

 

Per fortuna, dopo poco suonarono alla porta e ben presto Valentina era davanti a lei, con un’aria preoccupata.

 

“Dai, se ti lavi le mani poi a tavola è pronto.”

 

“Sì, mà!” sospirò, alzando gli occhi al soffitto ma obbedendo e tornando dopo poco.

 

“T’ho fatto l’insalata di pasta, quella che ti piaceva di più,” spiegò, servendo una porzione a sua figlia e una per sé.


“Mà, senti… è inutile che ci giriamo intorno. Prima che la pasta mi vada di traverso, che mi devi dire?”

 

Deglutì: Valentì era quasi più diretta di lei, quando ci si metteva.

 

Sapendo che il momento era giunto, si levò il grembiule, portò di nuovo le mani alla nuca per aprire la catenina, ne sfilò l’anello e se lo mise al dito, per poi mostrarlo a sua figlia.

 

Che spalancò occhi e bocca in un modo comicissimo, non fosse stato un momento serissimo.

 

“Ma… ma….”

 

“Calogiuri mi ha chiesto di sposarlo e… e ho accettato,” confermò, affrettandosi poi ad aggiungere, “lo capisco che per te potrebbe non essere una cosa facile da digerire, Valentì, ma io Calogiuri lo amo moltissimo e non è che ci sposeremo subito. Lui prima c’ha un concorso e si spera un corso da fare, quindi organizzeremo con calma. Ma volevo che lo sapessi prima che la cosa potesse venire fuori.”

 

Trattenne il fiato, perché Valentina pareva ‘na sfinge, pareva.

 

“L’unica cosa difficile da digerire qua sarà sta pasta, con tutto quello che ci hai messo!”

 

Le parole ed il sorriso di Valentina furono come se un peso le si fosse levato dal cuore. Incurante delle proteste della figlia, girò intorno al tavolo e se la abbracciò, sedendosi in braccio a lei.

 

“Certo che il tuo maresciallo non ha proprio badato a spese,” disse poi Valentina, sollevando la mano per guardarle l’anello, “almeno la tirchieria non ce l’avete in comune.”

 

Le diede un colpetto sul braccio ma poi si rese conto che c’era ancora una parte importante di discorso da fare ed il peso tornò, pure aumentato.

 

“Valentì, ascolta, c’è pure un’altra cosa che ti devo dire.”

 

“Perché ho l’impressione che menomale che sto già seduta?”

 

“Abbiamo… abbiamo pure deciso che… che vorremmo avere un figlio o una figlia. E quindi dopo le nozze tenteremo con l’adozione ma nel frattempo… insomma… è molto improbabile che io possa rimanere incinta ma… ho deciso di smettere con la pillola e… se verrà, verrà, ma è quasi impossibile.”

 

Valentina, di nuovo, le parve un pesce bollito per l’espressione che le fece e la sentì irrigidirsi come un palo.

 

“Lo capisco se… se la cosa non ti rende felice… ma… Calogiuri sarebbe un padre fantastico, è giovane, e non voglio privarlo di questa gioia, senza nemmeno provarci, soltanto perché io ho già dato e il mio orologio biologico sta per farmi gli ultimi saluti.”

 

Valentina rimase ancora un attimo bloccata, poi richiuse la bocca di scatto e fece un sospiro.

 

“Mà… e che ti devo dire? Un poco me lo aspettavo che prima o poi… però mi farebbe strano avere un fratellino o una sorellina, così tanto più piccoli poi. Ma che c’era nell’aria in Giappone?”

 

L’umorismo era comunque un buon segno e le venne da sorridere.

 

“Comunque… se ne sei veramente convinta e se lo volete tutte e due… che vi posso dire… basta che non me lo o la appioppate a fare da babysitter, e poi fate come volete-ééé!”

 

Valentina si lamentò perché praticamente la stava stritolando, ma sapeva benissimo che, nel linguaggio di Valentina, quella era una specie di benedizione e si sentì leggera come non mai.

 

“Però voglio essere la prima a saperlo, a parte il tuo maresciallo ovviamente.”

 

“Ma certo che sì! In caso lo saprai subito e-”

 

“Ma vuoi dirlo a papà?” la interruppe, sembrando improvvisamente preoccupata.

 

“Del matrimonio sì, Valentì, del figlio… potrebbe non venirne niente ed è inutile farlo magari star male per nulla.”

 

“Papà mi verrà a trovare tra tre giorni. Si ferma qualche giorno qua a Roma, che sai che per me tornare mo a Matera…. Magari potresti….”

 

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“Grazie ancora eh, per avermi aiutato a lasciare Imma da sola.”

 

“Ma figurati, con tutto quello che mi avete aiutato voi! Spero solo che Valentina la prenda bene. Ma è una ragazza sveglia e poi… con tutto quello che ha passato dovrebbe essere comprensiva, no?”

 

“Lo spero… ma… c’è pure un’altra cosa che ti devo dire, ma che rimanga tra di noi. Non devi dire neanche ad Imma che te l’ho detto.”

 

“Che hai combinato, mo, fratellì?” gli chiese, mollando il rullo con il quale stava ridipingendo una parete.

 

“Con Imma… abbiamo deciso di provare ad avere un bambino e-”

 

Lo squittio che seguì per poco non lo assordò e si trovò con Rosa appesa al collo e, a giudicare dalla sensazione umida, pure col collo ridipinto.

 

“Ma è una cosa meravigliosa e-”

 

“E molto difficile. Le probabilità che Imma rimanga incinta sono basse ma… ci proveremo. E se no proveremo ad adottare. Chiederemo un consulto medico ma… non so bene cosa posso fare per… per starle vicino e… non voglio che si senta in colpa o che stia male se non ci riusciamo. E che… magari questo possa rovinare il nostro rapporto.”

 

Rosa gli sorrise, in un modo quasi materno, stranamente.
 

“Fratellì, sei proprio cresciuto. Ma con Imma non puoi fare altro che continuare a starle vicino e farle capire che la ami e che con lei stai bene, con o senza figli. Certo che… deve amarti proprio tanto… per prendersi il rischio e la fatica di una gravidanza all’età sua. Sono felice che hai trovato una donna come lei. Beato te!”

 

“Come va con Salvo? Ma è mai venuto a vedere l’appartamento?”

 

“Ancora no… e… non so più cosa pensare, fratellì. Una volta che ci sarà il trasloco definitivo vedremo come andrà. Però tu mo pensa solo al concorso e ad Imma, che al mio matrimonio ci penso io.”

 

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“Pietro?!”

 

Il cuore gli rimbombò nel petto.

 

Quella voce… quella cadenza… possibile che?

 

Si voltò e sì, era proprio Rosa, con aria stanchissima, ma comunque sempre bellissima, Noemi in braccio ed in fila con altri per salire sul bus per il viaggio di ritorno dopo il cambio di autista.

 

Un attimo di imbarazzo, le parole che non gli venivano e pure a lei, mentre la vedeva arrossire.


“Pietto!!”

 

L’urletto della bimba lo riscosse dalla paralisi e lo fece sorridere, mentre si proiettava verso di lui, come al solito, e Rosa, non riuscendo a trattenerla, gliela mise in braccio.


“Petté non ti vediamo più?” gli chiese, con un faccino triste che lo fece sentire in colpa.

 

“Pietro ha avuto tanto da lavorare, Noè….”

 

“Come papà?”

 

Il senso di colpa svanì, sostituito da rabbia nei confronti di quel demente del marito di Rosaria.

 

“N-no, sono due cose diverse,” balbettò Rosa, diventando ancora più fucsia.

 

Noemi annuì e poi esclamò un, “lettaletta?!” speranzoso che lo fece sorridere.

 

“Noè, dai: Pietro come fa ad avere i leccalecca, che-”

 

“Puoi tenerla tu?” la interruppe, passandole la piccola, nonostante le proteste, e poi si abbassò, aprì una tasca del trolley e ne estrasse un sacchetto di leccalecca.


“Mo si saranno un poco squagliati, con questo caldo, ma….”


Li porse a Noemi che, per tutta risposta, gli si ributtò al collo ed iniziò a riempirlo di bacini su di una guancia, esclamando poi “babba uvida!”

 

“Ma… ma…” chiese Rosa, con gli occhi pieni di lacrime.


E pure lui non stava messo bene.

 

“Sapevo che stavate a Roma e allora… metti caso che ci incontravamo… mi sono premunito.”

 

“Eh… però noi mo torniamo a Matera per… le ultime cose prima del trasloco definitivo.”

 

Quelle ultime due parole furono come un macigno per lui, ma sapeva che la realtà era quella e che fosse inevitabile.

 

“C’è… c’è già una data?” le chiese, perché forse sapere era meglio di immaginare e basta.

 

“Sì… il dodici settembre torniamo definitivamente a Roma, che così Noemi può iniziare l’asilo con gli altri bambini.”

 

Un altro pugno nello stomaco.

 

Ma tanto ormai poco cambiava.


“Allora… spero che riuscirai ad organizzare tutto per tempo. Se hai bisogno di una mano… io ci sono, lo sai.”

 

“Lo so,” confermò lei con un sorriso, “Pietro, io-”

 

“Ah, signò, se ha finito di tubare con su marito... capisco la creatura che deve salutare a papà, ma qua ce dovemo movè!”

 

Rosa ormai era color peperone, pure lui si sentì arrossire, almeno finché Noemi si guardò intorno speranzosa chiedendo “dov’è papà?” e gli venne di nuovo rabbia.

 

Come si faceva ad avere una famiglia del genere e a trascurarla? Per dare ragione a quell’arpia della suocera poi!

 

“Mo dobbiamo andare signorina, dì ciao a Pietro,” esclamò Rosa e, dopo altri due bacini, riuscì a rimettergliela in braccio.

 

“Dai, che c’hai i leccalecca durante il viaggio,” le disse, facendole l’occhiolino, visto che aveva un faccino delusissimo, e Noemi annuì.

 

Le salutò, anche se a fatica, mentre salivano sul bus e vedeva la porta richiudersi.

 

La verità era che aveva voglia di vedere Valentina, certo, ma in quel momento l’istinto - sbagliatissimo - sarebbe stato di salire insieme a loro e farsi almeno un viaggio tutti insieme.

 

Gli mancavano ancora di più di quanto credesse, soprattutto Rosa.

 

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“Pà!”

 

“Valentì! Ma sei ancora più bella!” 

 

“Pure tu! Stai benissimo, sembri sempre più giovane!”

 

Gli faceva piacere sentirselo dire, da sua figlia poi. Anche se Valentina lo aveva sempre trovato bello, ma… mo stava cercando di mantenere il look che gli aveva fatto Rosaria, seppur andando dal suo solito barbiere.


“Buongiorno.”

 

“Penelope,” salutò, un poco in imbarazzo, perché non era stato gentilissimo con lei i primi tempi della loro conoscenza, affatto.

 

“Allora, ragazze, che cosa volete fare oggi?” chiese, per cercare di togliersi le castagne dal fuoco.

 

“In realtà… prima dobbiamo aspettare qualcuno.”


“E chi?” domandò, sorpreso dalle parole della figlia, ma in quel momento suonò il campanello.

 

Valentina aprì e vide comparire la chioma rossa ed inconfondibile della sua ex moglie.

 

“Imma?”

 

“Pà, Penelope ed io dobbiamo andare a comprare un paio di cose. Avvisateci quando avete finito, così ce ne andiamo a pranzo. Fate i bravi!”

 

Nel giro di due secondi, sua figlia e Penelope erano sparite ed era da solo con Imma.

 

“Ma… ma che succede?” chiese, preoccupato, “che è, un agguato?”

 

Imma rise.

 

“Scusale ma… è che avevo bisogno di parlarti da soli, di una cosa importante ma… non sapevo se saresti stato a tuo agio a farlo a casa mia… e… e quindi.”

 

“Mo altro che preoccupato sono! Che succede?” ripetè e, quando Imma si sedette sul divano, facendogli segno di accomodarsi, non fece che inquietarlo di più.

 

La vide aprire la borsa, cercare qualcosa al suo interno e poi si voltò di nuovo verso di lui.

 

Non avrebbe saputo dire cosa fu, ma d’istinto gli occhi gli caddero sulle mani di lei e lo vide.

 

Un anello fin troppo bello, all’anulare della mano sinistra.

 

“Calogiuri mi ha chiesto di sposarlo e… e ho accettato. Non so se sarà l’estate prossima o quella dopo ancora, dipende da tante cose di lavoro ma… pensavo fosse giusto che lo sapessi da me, Piè, prima che la cosa diventi di dominio pubblico.”

 

Si sentiva come paralizzato, il tempo che andava al rallentatore. Era come se ci fossero tante sensazioni forti dentro di lui che facevano a pugni tra loro, lasciandolo senza parole.

 

“D- di dominio pubblico?” balbettò, perché era la prima cosa che gli venne in mente, “in che senso?”

 

“Non è che indiremo una conferenza stampa, Pietro, ovviamente, ma… non lo nasconderemo ecco….”

 

“Valentina già lo sa, immagino?”

 

Imma annuì.

 

“E chi altri lo sa?”

 

“La sorella di Calogiuri,” esordì e, al solo pensiero di Rosa, sentì un altro pugno allo stomaco, “e poi Diana e Capozza, ma soltanto per motivi logistici, Piè. Tu sei il primo dopo Valentina a cui l’ho detto.”

 

“Non… non so che cosa dire…” ammise, perché era la verità, “insomma… Imma, non posso dirti che sono contento per te, perché sarebbe una bugia ma… apprezzo almeno che tu mi abbia voluto avvertire e… senza il tuo maresciallo presente.”

 

Imma sembrò quasi sgonfiarsi, in un sospiro di sollievo.

 

Lui era ancora troppo scombussolato per definire esattamente ciò che sentiva.

 

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Buttò la chiave sul comodino e si buttò sul letto.

 

Era uscito a pranzo con sua figlia e Penelope, ma si sentiva ancora come in una specie di bolla, come ovattato.

 

Di impulso, prese il telefono e selezionò un numero che era da tanto che, purtroppo, non contattava più.

 

Un po’ di squilli, temeva sinceramente che non gli rispondesse, ma poi sentì un, “pronto, Pietro?” sorpreso.


“Scusami, lo so che… forse non ti dovrei chiamare, ma è che… mi è successa una cosa ed ho bisogno di parlarne con qualcuno e tu sei l’unica con cui lo posso fare. Sei a casa?”

 

“Sì, sono arrivata da poco. Che è successo?”

 

“Ho parlato con Imma e….”

 

“E ti ha detto del matrimonio?” gli chiese, intuitiva come sempre, sembrando preoccupata.

 

“Sì.”

 

“E… come ti fa sentire?”

 

“Non… non lo so. Forse è questo il problema. Da un lato sono triste, da un altro provo come… un rimpianto e un po’ di risentimento. Da un altro ho capito ancora di più che devo andare avanti e poi… c’è come una parte di me che non sente niente.”

 

“Pietro, è normale che sei sconvolto. Ma mo devi pensare a te e alla tua vita. E poi avrai tanti mesi per preparati all’idea di questo nuovo matrimonio, a quanto mi ha detto mio fratello.”

 

“Lo so, ma… Matera mo sarà ancora più un inferno. Era da pochi mesi che mi lasciavano in pace, con le battute su come fossi cornuto e mo-”

 

“E mo devi solo far vedere a tutti che sei andato avanti e che la cosa non ti tocca, pure se non è vero.”

 

“Come hai fatto tu con tua madre?” gli uscì, anche se non sapeva nemmeno lui bene il perché.

 

“Sì, come ho finto di fare io con mammà.”

 

“Mi… mi manca parlare con te, al di là di tutto,” ammise, la lingua che stupidamente parlava prima del cervello.

 

“Anche a me.”

 

“Come va con tuo marito? Cioè non per saperlo per me, ma perché… dai commenti di Noemi….”

 

“Con quello che è successo tra noi non so se è giusto parlarne con te, Pietro. Ma… diciamo che non ci sono novità. Continuo a vederlo pochissimo, perché finito il lavoro lui va più spesso a Grottaminarda di quanto viene qua a Matera. Vedremo se mo con Roma… le cose cambieranno in meglio o in peggio.”

 

“L’importante per me è che sei serena e pure Noemi.”

 

“Lo so. Ma mica è facile per me essere serena, mo, Pietro. Ma… in qualche modo spero di riuscirci, soprattutto per mia figlia.”

 

Gli venne come una fitta al petto: quanto avrebbe voluto poterla abbracciare.

 

“Mà, mà!”

 

L’ululato di Noemi si sentiva pure al di là della cornetta, come se stesse lì.

 

“Mo devo andare. E comunque tre leccalecca si è mangiata durante il viaggio, tre! Il dentista prima o poi ti strozzerà.”

 

Gli venne da ridere, ma poi dovette salutarla, anche se con tanta malinconia.

 

Rimase imbambolato sul letto, a fissare il soffitto, non sapendo dire se gli dispiacesse di più del matrimonio di Imma o il pensiero di non poter più vedere e sentire Rosa.

 

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La Cara Irene?”

 

“Devo rispondere, dottoressa,” sospirò, anche se la sua gelosia, in fondo, gli faceva piacere.

 

Almeno finché non creava problemi tra loro.


“Pronto?”

 

“Calogiuri. Spero tutto bene con le ferie, tra poco si torna al lavoro, lo sai.”

 

“Lo so, tu, tutto bene?”

 

“Abbastanza. Ascolta, lo so che stai ancora in vacanza ma… devi tenermi d’occhio i movimenti di Melita, soprattutto sui social, dobbiamo capire se e come contattarla e non ci resta molto tempo.”


“Da Milano ancora niente?”


“L’avvocato è molto furbo, Calogiuri, e chissà quanti telefoni ha. Mo ci giochiamo il tutto per tutto con questa pista. Mi raccomando!”

 

“Va bene, mi metto subito al lavoro,” acconsentì, notando come Imma si mise subito seduta più dritta sul letto, pronta anche lei all’azione.

 

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Si fermarono all’ingresso, subito dopo aver salutato gli agenti e richiuso la porta dietro di loro.

 

Calogiuri, che ancora le teneva la mano sinistra nella sua, le chiese, “sei sicura di volerlo fare da sola?”

 

Lei gli sorrise, grata, ma annuì e, dopo un’ultima stretta, gli lasciò le dita.


“Mi sembra la cosa più giusta da fare, Calogiuri. Pure se normalmente non sono proprio il tatto fatto persona ma….”

 

Annuì pure lui, rassegnato, e con un, “fammi sapere subito com’è andata, però!” si avviò verso la PG.

 

Coprendo la mano sinistra con la borsa e sentendosi un poco come una novella Giovanna d’Arco, pronta per il patibolo, salì le scale, a passo marziale, e, fiera e decisa come non si sentiva affatto, raggiunse l’ufficio di Mancini, dove la sua segretaria stava prendendo posto alla scrivania.

 

“Il procuratore capo è già arrivato?” le domandò, ma la donna non fece in tempo a rispondere, perché la porta si aprì e ne uscì Mancini, abbronzatissimo e con un sorriso sulle labbra.


“Dottoressa. Appena tornata dalle ferie e già al lavoro, vedo? Ha bisogno di me?”

 

“Sì, dottore, le dovrei parlare con urgenza.”

 

“Va bene, si accomodi. Vuole un caffè?” le chiese e, al suo diniego, chiuse la porta.

 

“Allora, mi dica… la trovo bene.”

 

“Pure io a lei, dottore: è andato al mare?”

 

“Sì… a Capri. I miei genitori avevano una casa lì e… insomma… sole, nuoto, immersioni, aria buona. E lei, dottoressa? Com’è andata… in Giappone, giusto?”

 

“Giusto. E… in Giappone è andata molto bene, anzi, benissimo, anche perché spero almeno lì i fotografi non ci abbiano raggiunto,” scherzò, prima di prendere un respiro e specificare, “però, a proposito di questo, dottore, c’è… c’è qualcosa che dovrei dirle.”

 

“A proposito dei fotografi?”

 

“No… di… di una decisione maturata di recente,” gli disse, non facendo più nulla per tenere la mano nascosta e, come Pietro, pure Mancini sembrò avere un radar, perché lo sguardo gli finì subito lì.

 

Nonostante l’abbronzatura, lo vide sbiancare.

 

“Il maresciallo Calogiuri mi ha chiesto di sposarlo e… ed io ho accettato. E non ho intenzione di nasconderlo, dottore, quindi… pensavo che fosse giusto che lei lo sapesse prima che... si sparga la voce.”

 

Mancini quasi si accasciò sullo schienale della sedia: si vedeva che doveva essere stato un duro colpo per lui e provò una fitta di senso di colpa, perché non si meritava di stare male per lei.

 

Ma non poteva farci niente.

 

Nel giro di qualche secondo però, si era ricomposto, una maschera professionale sul volto.

 

“Chi lo sa fino ad ora?”


“Soltanto familiari stretti, dottore.”

 

Mancini sospirò, passandosi una mano sulla fronte.


“Non lavorando ormai a casi insieme non cambia molto da un punto di vista lavorativo ma… potrebbero esserci problemi col maxiprocesso, o meglio, potrebbe essere un’ulteriore arma della difesa.”

 

“Lo so, dottore, ma… di fatto il rapporto tra me e il maresciallo resta lo stesso di prima. Già conviviamo.”

 

“Insomma… dottoressa… cambia eccome, e lei lo sa. E comunque, se non sbaglio, il maresciallo ha fatto domanda per il concorso da ufficiali e… tra quello e le nozze… spero che tutte queste cose non lo distraggano e che non compromettano la performance lavorativa di nessuno dei due.”

 

“Dottore, le nozze in ogni caso non saranno a breve, che Calogiuri deve studiare, ma ho già lavorato con il maresciallo in passato, quando era ancora appuntato e stava studiando per il concorso da sottufficiale e le garantisco che non è mai mancato ai suoi impegni, anzi, lavorava perfino oltre l’orario necessario.”

 

Mancini fece un’espressione che fu un e te credo! non verbale, per non dire altro, ma poi annuì.

 

“Va bene, dottoressa. C’è altro?”

 

Il tono era molto freddo, ma del resto non poteva aspettarsi altrimenti.

 

Non se lo fece ripetere due volte ed uscì, salutando con un cenno della mano la segretaria e per poco non scontrandosi con una figura che avanzava nel corridoio.


“Imma!”

 

La gattamorta, in tutto il suo splendore, con un tubino leggero che sembrava cucito su di lei.

 

“Bentornata! Spero la vacanza sia andata bene. Anche Calogiuri è già arrivato? Che ho bisogno urgentemente di lui.”

 

E te pareva!

 

“Sì, dovrebbe essere in PG. E comunque la vacanza è andata benissimo, grazie!” sottolineò volutamente, ma non fece in tempo a lanciare altre frecciate, perché beccò una chioma bionda che, furtiva, appariva sopra le scale.

 

“Signorina Fusco!” la riprese, che già di dieci minuti era in ritardo, e a lei non la si faceva.

 

“Buongiorno, dottoressa!” sospirò la platinata cancelliera, le spalle abbassate e l’espressione da ma non potevi startene di più in vacanza?

 

“La puntualità, la puntualità è fondamentale, glielo dico sempre! Che mica la pago io, ma i contribuenti! E comunque mo andiamo a lavorare, subito!” le intimò, ma sentì un altro “dottoressa!” ad ultrasuoni, che manco le giapponesi.


Si voltò per fulminarla con lo sguardo, ma Asia le indicava la mano, “ma… ma è...?”

 

La gattamorta strabuzzò gli occhi e, per sua immensa soddisfazione, scoppiò in un attacco di tosse.

 

“Un anello di fidanzamento, sì,” fu più che felice di confermare.

 

“Congratulazioni, dottoressa!” esclamò la ragazza, avvicinandosi come per darle un abbraccio e due baci ma bloccandosi, probabilmente alla sua occhiataccia.

 

Di nuovo, guardò verso la Cara Irene, che però, finito l’attacco di tosse, aveva un sorrisetto stampato sul volto.


“Devo dire che mi hai sorpresa, Imma: non pensavo che… ti volessi di nuovo impelagare nelle beghe legali di un matrimonio. Tanti auguri!”

 

E, mentre la gattamorta rientrava in ufficio, il sorrisetto sempre sul volto, si chiese quante probabilità ci fossero che quegli auguri non fossero sarcastici.

 

Probabilmente le stesse che quel tubino non fosse firmato.

 

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“Mi cercavi?”

 

“Sì, Calogiuri, accomodati. E… ho saputo della novità.”

 

Si sentì avvampare, ma sorrise, orgogliosissimo, “sì, io ed Imma ci sposeremo.”

 

“Sapevo che tu fossi tipo da matrimonio, su Imma avevo molti dubbi ma… immagino che le congratulazioni siano d’obbligo. Anche se spero che questo non interferisca con il concorso, né il maxiprocesso.”

 

“No, assolutamente. Anche perché il matrimonio sarà tra un anno o forse pure due, vogliamo fare le cose per bene. Anzi, sono ancora più motivato di prima, sia a chiudere bene il maxiprocesso, che a salire di grado.”

 

Inaspettatamente, Irene gli fece un sorriso e gli sembrò quasi… intenerita?

 

“Calogiuri… Calogiuri… alla tua età anche io sognavo il matrimonio. Poi è successo di tutto ed ora l’idea di legarmi legalmente a qualcuno mi provoca l’orticaria ma… se ti aiuta ad impegnarti di più e soprattutto a credere più in te stesso, ne sono felice per te.”

 

“Grazie…” sussurrò, colpito da quanto Irene lo conoscesse bene.

 

“Ma ora concentriamoci sul lavoro, che qua l’udienza si avvicina. Hai informazioni su Melita?”

 

“Sì, sì. Effettivamente ha postato un paio di foto di recente, in locali in cui c’era pure l’avvocato, anche se mai insieme. E poi… ho notato che in una foto ha una di quelle borse dai prezzi folli, quelle che sembrano un piumino che abbiamo visto a Milano.”

 

Irene scoppiò a ridere.


“Coco si starà rivoltando nella tomba, Calogiuri, ma non hai del tutto torto. E a questo punto la devi contattare, Calogiuri: è ancora estate e dà meno nell’occhio se lo fai ora. Però dobbiamo trovare una scusa credibile.”

 

“Ho visto che frequenta spesso un locale, una specie di ristorante che fa anche drink e musica dal vivo fino a tarda notte, molto di moda. Pensavo magari di provare ad incontrarla lì, per caso, lei di solito ci va di venerdì sera.”

 

“Sì, mi sembra una buona idea, ma come pensi di andarci, da solo?”

 

“No, credo che sembrerebbe strano… pensavo di andarci con Mariani, magari.”

 

“No, Calogiuri. Due colleghi… è troppo sospetto, specialmente se ora frequenta l’avvocato e non ti ha mai visto lì. O se qualcuno ti tenesse d’occhio.”

 

“Allora… allora potrei chiedere a mia sorella, che tanto fa avanti e indietro da Roma per il trasloco. E così passa una serata diversa, invece di starsene sempre con mia nipote.”

 

“Meglio non coinvolgere parenti, Calogiuri, soprattutto se hanno figli piccoli, fidati.”

 

“E allora… e se ci andassi con Imma? Alla fine è normale che usciamo insieme, no? E Melita conosce pure lei e… potremmo dire che… che stiamo festeggiando il fidanzamento.”

 

Irene fece un’espressione incredula, ma poi sospirò, “potrebbe essere un disastro o… o potrebbe funzionare, effettivamente. Anche perché Imma non è certo nuova alle nottate in bianco… in discoteca.”

 

Il volto gli divenne caldissimo, mentre si chiese se solo lui ci notava un doppio senso o se fosse voluto.


“Comunque, devi trovare il modo per attaccarci bottone, da solo, mi raccomando, e gettare l’amo per i contatti successivi.”

 

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“Che non mi dici niente?”

 

“Chiara!”

 

Gli aveva teso un agguato appena rientrato in PG e lo squadrava tra il finto offeso e l’ironico.

 

“Chiara niente! Ti fidanzi e non mi avvisi? Che l’ho dovuto sapere da quel viscido di Carminati!”

 

La voce si era già sparsa a macchia d’olio, evidentemente.

 

“Ha… ha fatto commenti spiacevoli su Imma?” le domandò e Chiara sospirò.


“Non più del solito. Ma che te frega di quel cretino! Congratulazioni!”

 

Si trovò stretto in un abbraccio ma poi un, “dovrei passare!” lo portò a scostarsi.

 

Conti.

 

Si guardarono per un attimo, il collega che scosse il capo con un sospiro.

 

“E dai, Conti! Ci si sposa pure con la sua Imma. Con la Ferrari non c’è mai stato niente, lo hanno capito tutti tranne te. Per quanto ancora gli vuoi tenere il muso?!

 

Si voltò verso Chiara, stupito, ma lei aveva le braccia incrociate in un modo che stranamente gli ricordò Imma.

 

“Va beh… ma ora che ti devi sposare… spero starai alla larga dalle altre donne! Soprattutto da una!” gli disse con un tono di avvertimento, prima di sospirare di nuovo, dargli una pacca sulla spalla ed aggiungere un, “congratulazioni!” che gli sembrò sentito e pure un poco sollevato.

 

Non erano esattamente delle scuse e non sapeva se fosse una riappacificazione, ma era qualcosa.

 

“Già, congratulazioni al Signor Tataranni! Pensi di cambiare cognome dopo il matrimonio?”

 

“Carminati!” sibilò, perché quell’idiota non si smentiva mai, “e comunque la battuta sul signor Tataranni ormai è vecchia, devi rinnovare il repertorio, che sei diventato noioso! E ci sono da archiviare i rapporti compilati nell’ultimo mese. Che ci pensi tu?”

 

Carminati digrignò i denti, ma non poteva rifiutarsi: era pur sempre un suo superiore.

 

E non si sarebbe fatto mai mettere più i piedi in testa

 

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“Speriamo in bene, Calogiuri. Sei sicuro che stia qua, sì?”

 

“Sì, dottoressa, dovrebbe stare qua. Almeno secondo i suoi post.”

 

Il locale era bello, aveva l’aspetto di un bar inglese di quelli antichi ed eleganti, da film.

 

“Abbiamo prenotato per due. Calogiuri.”

 

“Sì, prego, accomodatevi al bancone, in attesa che vi liberiamo il tavolo.”

 

Seguirono il cameriere fino al bar e si sedettero sugli scomodissimi sgabelli ma, proprio in quel momento, vide una ragazza uscire dal bagno.

 

Era ancora più bella di quanto la ricordava: fasciata in un abito dorato, pareva quasi una divinità egizia. Si era diretta, decisa, verso la sala lì accanto, prendendo posto ad un tavolo centrale.

 

Quello accanto sembrava libero, ma aveva su un cartellino di riservato.

 

“Mi scusi, quel tavolo è prenotato?” chiese al cameriere, lanciando un’occhiata di intesa a Calogiuri.


“In realtà… sì… c’è un nostro cliente affezionato che predilige quel tavolo e quindi….”

 

“Ma tra quanto dovrebbe venire? Perché… potrebbe darlo a noi e dare a lui il nostro tavolo,” insistette, guadagnandosi un’occhiataccia sia dal cameriere che dal barman.

 

“No, è che… siamo qua per festeggiare il nostro fidanzamento,” intervenne, a sorpresa, Calogiuri, “e, insomma… vorrei che fosse una serata indimenticabile.”

 

Capendo l’andazzo, fece un altro cenno a Calogiuri e si allontanò leggermente, fingendo di dover andare in bagno, e riuscì chiaramente ad udire il cameriere dire, “così giovane già ti vuoi inguaiare? E poi con una che mi sembra molto più grande di te e pure con un bel caratterino!”

 

“Appunto. E non voglio sfigurare con lei. Per favore, di solito non glielo chiederei mai, ma-”

 

Aveva appena messo la mano sulla maniglia del bagno, quando il cameriere rispose, “e va bene, dai, sono stato giovane pure io! Se avvisi la tua… fidanzata, vi lascio il tavolo.”

 

“Imma!” si sentì chiamare, e si voltò rapidamente, incrociando il sorriso sulle labbra e negli occhi di Calogiuri.

 

Una volta non avrebbe mai osato: quanto era diventato bravo!

 

Seguirono il cameriere, che li squadrava in modo evidentissimo, fino al tavolo.

 

Stavano per sedersi quando Melita alzò la testa ed i loro occhi si incrociarono.

 

“Imma? Ippazio?” chiese, sembrando molto stupita, e pure lei esclamò un “Melita!” che sperò suonasse meravigliato.

 

“Ma vi conoscete?” chiese il cameriere, il cui volto, all’assenso della ragazza, si aprì improvvisamente in un sorriso, “ma dovevate dirlo che siete amici di Melita! Che il tavolo ve lo liberavo pure prima!”

 

Lo avrebbe voluto strozzare, che poteva distruggere la copertura, ancora prima di iniziare, ma, non appena si allontanò verso il bar, spiegò a Melita, “sai, ci aveva prospettato un’attesa lunga e... abbiamo dovuto insistere per avere questo tavolo, che era già libero.”

 

“Eh, qua spesso si siede un onorevole… mi sa che lo tengono riservato per lui.”

 

“Ma quindi lo frequenti spesso questo locale?” le chiese, sperando che non le si leggesse, come sempre, la verità in faccia e che gli anni di menzogne a Pietro fossero serviti a qualcosa.

 

“Sì, sì, è uno dei miei preferiti e poi ci collaboro come PR. Voi invece? Non vi ho mai visti qua.”

 

“Eh no, è stata un’idea di Calogiuri….”

 

“Sì, ne ho sentito parlare molto bene e… cercavo un posto speciale, per una serata speciale, che abbiamo molto da festeggiare.”

 

Imma, per non sbagliare, mostrò l’anello: ormai si sentiva peggio di Kate Middleton dopo il fidanzamento. Sperava quantomeno che fosse l’ultima volta che le toccava farlo.

 

Melita spalancò gli occhi e fece un’espressione strana, ma poi sorrise ed esclamò un “congratulazioni! Ah, questi sono Matteo, Jonathan e Sonia. Loro sono Imma ed Ippazio e… mi hanno aiutata a Maiorca.”

 

Capì dall’accento che erano tutti de Roma. Pure Jonathan, a dispetto del nome.

 

“Immagino che stasera vorrete starvene in pace, giusto?” chiese poi Melita, ed Imma non avrebbe saputo dire se fosse per educazione, o se realmente avrebbe avuto piacere a passare la serata con loro.

 

“Magari per la cena sì… ma poi… so che qua si balla e se non dobbiamo farlo da soli, che mi vergogno e mi sento fuori età, sarebbe pure meglio!”

 

“Ma se stai benissimo!” esclamò, lanciando uno sguardo di approvazione all’abito, quello leopardato ed attillatissimo che aveva comprato per il teatro con la Cara Irene, “e poi te la cavi eccome a ballare, Imma! Che a Maiorca avete fatto chiusura!”

 

“Consigli per il menù?” chiese poi Calogiuri, con un tono che le sembrò naturalissimo.

 

“Sì, anche se forse non sono molto romantici… il tris di primi romani: cacio e pepe, amatriciana e carbonara. E poi i cocktail qua sono buonissimi.”

 

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“Tutto quanto una squisitezza era, grazie del consiglio!”

 

Sollevò il calice di vino verso il tavolo accanto e Melita sorrise: effettivamente i primi erano deliziosi, una poesia proprio.

 

Il cameriere, solerte, arrivò a sparecchiare. Poi però piazzò davanti a loro delle posate piccole.


Lanciò un’occhiata a Calogiuri perché, dopo i fritti d’antipasto, non avevano ordinato il dolce.

 

Ma, in quel momento, vide arrivare un altro ragazzo con una torta rossa, a forma di cuore.

 

“Calogiù, ma sei matto?!” gli chiese, un po’ imbarazzata.

 

“Veramente non l’ho ordinata io…”

 

“E infatti offre la casa, con tanti auguri!” spiegò il primo cameriere, mentre il secondo portava loro pure due bicchierini a testa, una bottiglia di sherry ed una di porto.

 

“Non potevate festeggiare senza la torta! E la red velvet che hanno qua è una bomba.”

 

Si voltò verso Melita, che alzò di nuovo il calice e fece loro l’occhiolino.

 

“Grazie ma… la torta per solo noi due è enorme. Perché non la dividiamo?” propose, cogliendo al volo l’occasione per proseguire con l’avvicinamento serrato.

 

Fecero il brindisi e spazzolarono il dolce, che era davvero eccellente. Si sentì un poco in colpa, per la finzione nei confronti di Melita, che era così gentile.

 

“Scusate….”

 

Un rumore fastidiosissimo di dita picchiate su un microfono la fece voltare verso la band della serata.

 

Tre uomini, sulla quarantina, l’aria molto radical chic, con chitarra, basso e batteria.

 

“Stasera è una serata speciale per due persone che festeggiano il loro fidanzamento. E quindi la prima canzone è per voi!” annunciò, rivolto a loro due.

 

Avrebbe voluto che la terra la inghiottisse.

 

O che inghiottisse la band.

 

“Che vi suoniamo? Siamo una band rock ma eccezionalmente possiamo fare anche qualcosa di più pop, pure italiano.”

 

Ammazza, che sforzo!

 

L’emozione non ha voce di Celentano. Oppure E ti vengo a cercare di Battiato.”

 

Incrociò gli occhi di Calogiuri come a dire, ma che stai a fare?, anche se la scelta dei brani fu un tuffo al cuore.

 

“Canzoni un poco… vintage. Ma almeno è pop di qualità. Allora, sapete che vi dico? Proviamo a farle tutte e due, anche se non garantiamo!”

 

La band smanacciò un po’ sui tablet e, senza quasi rendersene conto, si trovò abbracciata a Calogiuri a ballare sulle note di Celentano, nell’imbarazzo più totale.

 

“Chiudi gli occhi e non pensare agli altri,” si sentì sussurrare, ma, per fortuna, pure altre coppie si alzarono e si unirono, riducendo la sensazione di essere un pesce - pure un bel po’ vintage - in un acquario di pesciolini troppo giovani.

 

“Sta copertura sta venendo fin troppo bene, Calogiù,” mormorò, e, per tutta risposta, lui la strinse più forte.

 

“E va beh, dottoressa. Almeno festeggiamo come si deve pure in patria.”

 

Nemo propheta in patria, Calogiù,” gli ricordò, ma poi si lasciò zittire più che volentieri con un bacio.

 

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Nonostante la situazione, non riusciva a smettere di sorridere.

 

Stavano ballando sulle note di una canzone rock che non conosceva, insieme anche a Melita e ai suoi amici, ed Imma, dopo essersi sciolta, ormai era scatenatissima.

 

Ma era anche per quello che la amava: perché alla fine se ne fregava dei giudizi degli altri e faceva sempre ciò che si sentiva.

 

La fece roteare su se stessa, per farla cadere poi nel suo abbraccio. Stava per darle un altro bacio, quando una sua occhiata ed un “guarda!” lo fecero avvedere che Melita era andata a sedersi al tavolo, aveva fatto un segno ad un cameriere per un cocktail e si stava massaggiando un polpaccio.


“Vai!”

 

Annuì, obbedendo all’ordine, e pure lui si staccò da Imma, che riprese a ballare con Jonathan, come se niente fosse.

 

Ignorò la leggera fitta di fastidio quando lui le prese le mani e raggiunse Melita al tavolo.

 

“Posso?” le chiese, prima di sedersi accanto a lei, che sembrò presa in contropiede, “volevo ringraziarti: la mia serata con Imma non sarebbe potuta andare meglio di così, ed è soprattutto grazie a te.”

 

Melita fece un’espressione indefinibile, ma poi sorrise con un, “dovevo ancora sdebitarmi per Maiorca, in fondo.”

 

“E mo che fai? Sei più tornata alle Baleari?”

 

“No, sono stata qua a Roma. Faccio più che altro la PR, per locali come questo, attiro i clienti. E poi faccio ancora feste, animazioni, e… diciamo che sto cercando di guardarmi intorno, che non rimarrò giovane e bella per sempre.”

 

Si chiese se nel guardarsi intorno ci fosse ricompreso anche l’avvocato ed i suoi regali.


“E che cosa ti piacerebbe fare lo sai?”

 

“Sì, vorrei aprire un locale tutto mio, un posto tipo questo, ovviamente non all’inglese ma… ci vogliono molti soldi, quindi al momento è solo un sogno.”

 

“Ti auguro di riuscirci. Pure io sto cercando di migliorare la mia carriera, sai?” le disse, per cercare di far sembrare il tutto meno un interrogatorio, “tenterò un concorso per passare di grado.”

 

L’espressione di Melita si fece di nuovo incomprensibile, per qualche secondo, ma poi gli sorrise e disse, “sono sicura che andrà bene!”, poi guardò verso Imma, ancora scatenatissima, fin troppo - che a quel Jonathan, se proseguiva a stringerla così, le mani gliele avrebbe mozzate - e poi commentò, “faccio fatica ad immaginarvi tutti seri nella vostra professione, anche se so che Imma ha fama di essere severissima.”


“Lo è. Ma sa anche divertirsi, quando può farlo.”

 

“E… quando pensate di sposarvi?” gli domandò, bevendosi un sorso del cocktail multicolore che le avevano portato.

 

“Non lo so. D’estate sicuramente ma… fosse per me lo farei pure domani, ma voglio che sia tutto perfetto.”

 

Melita sorrise, in modo un poco malinconico, “piacerebbe pure a me, trovare un amore così grande ma… nel frattempo… ci si prende quello che c’è.”


“E che cosa ci sarebbe?” incalzò, perché era l’apertura che cercava per parlare dell’avvocato.

 

“C’è che è complicato…” svicolò però Melita, prima di aggiungere, in un chiaro tentativo di cambiare discorso, “non sarà gelosa Imma, se stai così tanto a parlare con me?”


“Imma è gelosissima, ma non di te.”

 

E di nuovo quell’espressione strana.

 

“Non so se prenderlo come un complimento o se offendermi,” rise Melita, ma poi si alzò, il cocktail in mano, per tornare a ballare e pure lui non potè fare altro che raggiungere Imma, provando una certa soddisfazione nel picchiettare sulla spalla del caro Jonathan e farlo spostare.

 

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“Calogiù, ma casa non è per di qua! Dove mi stai portando, maresciallo?”

 

“Un poco di pazienza, dottoressa, se non sei troppo stanca per una sorpresa.”

 

“Calogiù, qua ormai sono le tre di notte passate, la stanchezza… addio.”

 

“Non hai freddo, vero?”

 

“No, no, sto benissimo,” rispose, stringendosi di più a lui, godendosi l’aria fresca della notte estiva, coperta dalla giacca antivento che lui aveva estratto dal baule della moto.

 

Il tempo sembrò trascorrere velocissimo: lasciarsi trasportare da Calogiuri l’aveva sempre rilassata tantissimo ed in moto era pure meglio.

 

In men che non si dica, il cartello Ostia annunciò che erano arrivati al mare.

 

“Non potevamo festeggiare senza il mare, dottoressa,” proclamò infine lui, fermando la moto vicino ad un chioschetto che già vendeva i bomboloni caldi caldi, per i giovani usciti dai locali notturni e che attendevano l’alba.

 

Si misero in fila e con sacchetto di carta e tazze di plastica in mano, si trovarono un angolino un poco riparato, per godersi la prima colazione. Sicuramente, dopo la dormita, ce ne sarebbe stata una seconda.

 

“Alla fine è stata una bella serata, no, dottoressa?”

 

“Fin troppo, Calogiù, mi sono sentita quasi in colpa verso Melita. Hai scoperto qualcosa da lei?”

 

“Mi ha detto del suo lavoro, che vuole aprire un locale notturno e quindi-”

 

“E quindi le servono soldi,” concluse per lui, che annuì.


“Su… sull’amore… mi ha solo detto che in attesa del grande amore ci si prende quello che c’è. Ma quando ho provato a chiedere dettagli ha svicolato ed è tornata a ballare. E non potevo insistere troppo.”

 

“No, no, hai fatto bene,” confermò, dopo l’ennesimo boccone di crema, “ascolta, devi scriverle con la scusa di ringraziarla. Domani, anzi, ormai oggi. E poi… non so prova ad attaccare bottone, magari con la scusa di rivedere lei ed i suoi amici, visto che ci siamo trovati bene.”

 

“Va bene. Anche se… mi sento pure io un poco stronzo, a prenderla in giro. Lei è stata tanto gentile.”

 

“Ti ci abituerai, Calogiù. E comunque, la stiamo levando dalle mani di un tipo pericoloso, pensiamo a questo e andiamo avanti. Se proprio deve trovarsi uno più grande e ricco, che almeno sia uno con una parvenza di onestà e che al massimo abbia commesso la classica e prevedibile evasione fiscale.”

 

Lui rise e la strinse in un mezzo abbraccio.

 

“Tu sei l’unico che se l’è scelta vecchia e povera, Calogiuri.”


“Rispetto a me sei ricchissima, dottoressa e poi… stando con te mi sento il più ricco del mondo.”

 

A rieccolo, con ste frasi sdolcinate che però la facevano sciogliere per come erano pronunciate.


“Pure io, Calogiù, pure io,” gli confermò, stringendosi di più a lui e stampandogli un bacio - e un poco di crema - su una guancia.

 

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“Papà, c’è una donna che ti fissa da un po’.”

 

“Magari guarda te.”

 

“Sì, certo… mica ce l’ho scritto in fronte che sono bisex. Prova a voltarti, con discrezione, è al tavolo dietro alla tua destra.”

 

Lo fece e vide una donna bellissima, sulla quarantina, bionda, molto elegante, che gli fece un sorriso, non appena incrociò il suo sguardo.

 

Lui non sapeva bene che pesci pigliare ma la donna si alzò e si avvicinò al loro tavolo.

 

“Hi. Is this your girlfriend or-”

 

“No, no, daughter,” specificò, ripescando il poco inglese che sapeva e notando che la donna aveva accento americano.

 

“Oh, so you are married?”

 

“Divorced!” specificò subito Valentina, per suo stupore, e la donna sorrise.

 

“I am sorry to bother you, but… your father is the most attractive man I have seen during these holidays and I was wondering if we could go out one of these days.”

 

Non capiva tutto, ma essere definito attraente da una donna del genere e che gli chiedesse pure un appuntamento… era una novità per lui.


“I am in Rome for little time.”

 

“Me too, only a few days. But when in Rome….”

 

Non capì molto ed era esitante ad accettare, ma Valentina saltò su con un, “of course he can go out with you!”

 

E quindi si trovò con il numero dell’americana - Juliet - scritto su un tovagliolo.

 

“Valentì, ma-”

 

“Ma che? Capo primo, almeno è una diretta e non una gattamorta. Capo secondo, mà tra un po’ si sposa e dopo quel macigno di Cinzia hai bisogno di un po’ di leggerezza e di capire che la vita va avanti.”

 

“Ma questa tra qualche giorno se ne torna in America!”


“Appunto. Magari è di questo che hai bisogno, qualche uscita senza impegno. E non posso credere che devo fare io questo discorso a te! Insomma, goderti un poco la vita da single, senza fare il patetico che ci prova con le ragazzine, però.”

 

Sospirò, chiedendosi se Valentina avrebbe considerato Rosa una ragazzina.

 

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Grazie per la serata, spero ci saranno altre occasioni di vederci, ci siamo divertiti moltissimo.

 

Il messaggio fu letto dopo pochi minuti - del resto ormai era pomeriggio, pure loro si erano svegliati che era mezzogiorno passato - e per un po’ non ricevette risposta, tanto che temette di aver fatto un buco nell’acqua.

 

La vibrazione del cellulare gli fece venire un colpo, ma le prime parole lo tranquillizzarono.

 

Perché no? Mi sono divertita pure io ed ho un bel po’ di locali da far conoscere a te e ad Imma.

 

Volentieri!

 

L’amo era stato lanciato.

 

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“My god, the food here is so good! I wonder how you can be in such a good shape with all this delicious food!”

 

Stava riaccompagnando Juliet all’hotel e, a furia di sentirla parlare, qualcosa in più capiva. E, se non aveva capito male, gli aveva fatto un complimento sulla sua forma fisica.

 

“Not eat like that every day,” spiegò, e lei sorrise e lo prese a braccetto.

 

Bella era bella, elegante, poi aveva un profumo speziato inebriante.

 

“This is my hotel,” gli disse infine, giunta di fronte ad un albergo bellissimo e sicuramente carissimo, “would you like to come up?”

 

Le guance gli andarono a fuoco, mentre cercava conferma a gesti di aver capito bene e lei gli sorrise ed annuì.

 

Non era da lui, non era mai stato tipo da cose di una notte, nemmeno da ragazzo. Ma… forse Valentina aveva ragione e magari era un modo per levarsi qualcuna dalla testa.

 

Quindi annuì, un poco timidamente, e si sentì prendere a braccetto e trascinare verso la hall.

 

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“If I come back to Italy, maybe we can do this again. Thank you for the wonderful night.”

 

Si beccò un bacio e poi uscì dalla stanza d’albergo, lasciandoci Juliet, in camicia da notte, bellissima, e sembrava pure essere rimasta soddisfatta dalla serata.

 

Lui… gli era piaciuto, innegabile, poi dopo tutti i mesi di astinenza. Ma… c’era qualcosa di strano, come un tarlo che non lo lasciava in pace. Si sentiva come se avesse appena tradito qualcuno. Se Rosa o se se stesso difficile a dirsi.

 

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“Imma? Ci sei?”

 

Era tutto buio e la cosa lo fece immediatamente preoccupare, perché sì, era tornato più tardi perché doveva lavorare con Irene, ma di solito quando al rientro trovava la casa così… era un pessimo segno.

 

Un movimento e per poco non gli venne un colpo, gli occhi di Ottavia che gli saettarono davanti.

 

Almeno lei al buio ci vedeva.

 

Notò una fioca lama di luce provenire dalla camera da letto ed ebbe un senso orribile di deja-vu.

 

Raggiunse la porta, spinse la maniglia col cuore in gola, ma per fortuna si aprì. Il sollievo però lasciò spazio alla preoccupazione quando trovò Imma già a letto, un libro in mano ma un’aria mogia mogia sul volto.

 

“Imma…” sussurrò ed il fatto che lei si fosse accorta della sua presenza ma non lo guardasse negli occhi lo impensierì ancora di più, “che succede?”

 

“Mi è… mi è arrivato il ciclo,” pronunciò lei infine, abbandonando il libro sulle gambe e finalmente incrociando il suo sguardo, “lo so che… sarebbe stato strano il contrario ma… un poco ci speravo.”

 

Se la abbracciò forte, dandole due baci sul collo, per poi mormorare, “però non ci devi rimanere male, dottoressa. Io voglio che tu vivi questa cosa serenamente. Te l’ho già detto, se viene bene, se non verrà, faremo in altro modo e comunque stiamo benissimo così, almeno io sto benissimo con te.”

 

“Pure io, Calogiù, ma… vorrei tanto poter fare questa esperienza insieme a te. Nonostante le nausee, i gonfiori ed il fatto che probabilmente vorrò uccidere chiunque per nove mesi, te per primo.”

 

Sorrise: quando sdrammatizzava con l’umorismo era un buon segno.

 

“Comunque… voglio andare da un ginecologo, per capire che possibilità ci sono, così… non ci facciamo illusioni. Solo che bisogna trovarne uno bravo e… a Roma non conosco nessuno.”

 

“Beh, potremmo chiedere a-”

 

“Alla Cara Irene?” lo interruppe, fulminandolo con un’occhiataccia da manuale.

 

“Beh, di sicuro non possiamo chiedere a Mancini,” ribattè, beccandosi un colpo sul petto ma pure una risata, “e dai, dottoressa, tanto c’è il segreto professionale, no? E poi Irene sceglie sempre il meglio, lo sai.”


“E infatti aveva provato a prendersi pure te, Calogiuri.”

 

“Ma io non sono prendibile, se non da te,” la rassicurò, trovandosi trascinato in un bacio.

 

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“Irene.”

 

La cara collega si voltò, la tazzina del caffè ancora in mano, e le chiese, professionalissima, “cosa c’è Imma, hai qualche novità sul maxiprocesso?”

 

In effetti era rarissimo che la cercasse per prima, se non per cose lavorative.

 

“No, in realtà… avrei bisogno di un consiglio.”

 

“Se è per il matrimonio, io sono proprio la persona meno indicata di tutte: il mio romanticismo è al minimo storico.”

 

Perché di sicuro i consigli per il matrimonio li andava a chiedere alla gattamorta!

 

“No, non c’entra il matrimonio. E per quello me la cavo benissimo da sola, grazie,” precisò, con una punta di orgoglio, “ma… tu per caso conosci un bravo ginecologo o una brava ginecologa?”

 

Irene inarcò entrambe le sopracciglia, “perché, c’è qualche problema?”


“No, no, ma… c’ho i controlli annuali e… sai… non è che posso tornare a Matera tutte le volte.”

 

“Beh… ti posso dare il nome della mia ginecologa che è bravissima. Dille che ti mando io, che c’ha una lista d’attesa infinita, se no!”

 

E te pareva che la gattamorta non avesse pure la ginecologa più richiesta della capitale!

 

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“Dottoressa Tataranni! Piacere di conoscerla e mi scusi per l’attesa per l’appuntamento ma… sono tornata ieri dalle vacanze estive.”

 

“Si figuri!” rispose, perché era stata fin troppo veloce, che detto da lei….

 

Poteri della cara Irene!

 

“Mi saluti tanto la cara Irene!” esclamò la dottoressa e per poco non le scoppiò a ridere in faccia, anche se per l’altra donna il cara sicuramente non era sarcastico, “allora, mi diceva Irene che aveva bisogno di un check-up di routine, giusto?”

 

Ecco… e mo arrivava la parte difficile, imbarazzante e forse pure un poco mortificante.

 

“Vede, in realtà… ho un compagno più giovane di me e-”

 

“Sì, vi ho visti sui giornali con Irene,” rise la dottoressa, ed Imma si chiese se non avesse fatto un errore madornale ad andare da lei, “allora? Mi dica pure.”

 

“Beh… insomma… noi… noi vorremmo tentare di avere un figlio o una figlia ma… all’età mia… lo so che non è facile. Ho smesso la pillola da un po’ di settimane, sicuramente prima dell’ovulazione ma… purtroppo niente. E avevo già provato qualche anno fa, con il mio primo marito, ad avere un secondo figlio, ma anche lì niente.”

 

La ginecologa sospirò e poi annuì, “dottoressa, alla sua età le probabilità di concepimento e, soprattutto, di portare a termine la gravidanza, sono basse, immagino che lo sappia già. Ma non è impossibile. Ci sono modi per incrementare queste probabilità. Innanzitutto dovremo fare tutta una serie di analisi ed esami, per capire com’è lo stato del suo apparato riproduttivo ed i suoi livelli ormonali. Vorrei sottoporre ad alcuni test anche il suo compagno, seppur giovane: non si sa mai ed è meglio avere la certezza che non ci siano problemi da parte sua.”

 

“Va bene. Cioè, per me va bene e penso che neanche Calogiuri, cioè, il mio compagno, avrà obiezioni. Ma… riguardo ad Irene….”

 

“Stia tranquilla, dottoressa,” la rassicurò la ginecologa, con un sorriso, “capisco che questo sia un argomento molto delicato ed io sono professionale e discreta. E comunque, sono riuscita a fare diventare mamma più di una donna anche quasi sulla cinquantina. Quindi non prometto niente ma… se è possibile, è venuta dalla persona giusta.”

 

Sperava che alla sicurezza verbale della dottoressa seguissero pure i fatti. Anche se dipendeva soprattutto da lei e lo sapeva.

 

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“Grazie!”

 

“S- si figuri!”

 

Aveva aperto la porta per una signora che doveva uscire dalla posta, come da sua abitudine, ma questa gli aveva lanciato uno sguardo molto diverso dal solito - non sembrava solo di gratitudine - anche se forse era la sua immaginazione.

 

Come magari era solo nella sua testa il fatto che più donne sembrassero guardarlo per strada, salutarlo, o provare ad attaccare bottone.

 

Di sicuro non ci era abituato. Cioè, per la carità, le fidanzate non gli erano mai mancate, pure prima di Imma le sue esperienze se l’era fatte ma… le aveva conquistate col tempo, non di sicuro al primo sguardo.

 

Ma, mentre la venditrice di lupini all’angolo gli lanciò pure lei un’occhiata strana, pensò che non voleva proprio andarsi ad infilare in un’altra relazione con qualcuna di Matera. Non voleva di nuovo il peso di aspettative che non poteva realizzare, né di avere qualcuno a cui rendere conto di ogni sua mossa.

 

Però… però doveva levarsi dalla testa Rosa e forse… e forse Valentina c’aveva ragione.

 

“Excuse-moi!”

 

Si voltò e si trovò davanti una turista francese, con un caschetto sbarazzino nero ed un bel sorriso, che gli mostrava una mappa sul cellulare e gli chiedeva come andare al “Sassò Barisanò!”

 

“Se vuole l’accompagno,” si offrì ed il sorriso compiaciuto della turista gli fece capire che era proprio ciò che sperava.

 

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“Allora, dottoressa, per il suo compagno tutto a posto, anzi, ha valori ottimi, sopra la media.”

 

Eh, certo! - pensò Imma: che Calogiuri fosse ben sopra alla media pure in quello non la sorprendeva.

 

“Lei invece… i suoi valori per la sua età non sono così male e a livello strutturale è tutto in ordine. Ma… le consiglierei una terapia ormonale ed alcuni integratori, sia per incrementare la probabilità di concepimento, sia soprattutto per ridurre la probabilità di aborti spontanei nel primo trimestre. Inoltre dovrà fare il test di ovulazione, per essere sicura di tentare nei giorni più fertili e… consiglio a lei e al suo compagno di… contenervi nei giorni precedenti all’ovulazione, in modo da poter tentare al massimo del potenziale per entrambi.”

 

Le venne da sorridere: quello sarebbe stato veramente, ma veramente difficile, per tutti e due.

 

“Quanti mesi ci vorranno per… per avere qualche effetto?”


“Dipende. Può succedere già dal primo mese, ma non c’è una regola. Le fornirò le compresse ormonali e dovrà attendere l’arrivo delle prossime mestruazioni per assumerle e poi dovrà tenersi pronta per l’ovulazione.”

 

Per lei fare l’amore era sempre stato un piacere, mentre parlare di conti ed orari lo faceva diventare quasi un esame ma… sperava soltanto che funzionasse.

 

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“Rosa?”

 

Gli era sembrata quasi un miraggio, tra lo scaffale dei sottaceti e quello del caffè, ma la ragazza che si girò era proprio lei.

 

Ed era da sola, senza nessuna piccola peste in braccio o che corresse avanti e indietro tra gli scaffali.

 

Era sorpreso di vederla: erano mesi che doveva avere cambiato orari e che non la incontrava più.

 

“Pietro…” gli rispose con un mezzo sorriso.


Era giovedì dieci settembre, due giorni dopo ci sarebbe stato il trasloco definitivo e non l’avrebbe più vista, se non magari a qualche festa comandata. Forse al braccio di quel cretino del marito.

 

“Come stai?”

 

La domanda lo prese alla sprovvista ed avvertì una specie di fitta di senso di colpa per l’avventura con l’americana e pure con la francese, anche se loro non stavano insieme e mai lo sarebbero stati.

 

“Abbastanza… e tu? Dov’è Noemi?”

 

“Con Capozza e Diana. Me la stanno tenendo in queste sere, che almeno riesco a finire le cose per il trasloco, che con lei che corre per le stanze….”

 

Gli venne da ridere: poteva immaginarsela chiaramente, a fare disastri tra gli scatoloni e gli oggetti da spostare.

 

“Ma stai facendo tutto da sola?” le chiese, preoccupato che non si facesse male.


“Non è che avessi tante cose qui, in realtà, ma… domani sera verranno il fratellino ed Imma a darmi una mano a caricare tutto sul furgone.”

 

Una lama al cuore: ormai era veramente questione di ore.

 

Arrivarono alla cassa, pagarono, parlando del più e del meno, e lui non sapeva se trovare il coraggio per offrirsi di aiutarla con la spesa o se avrebbe solo fatto peggio.

 

Ma lei continuò il discorso sull’asilo di Noemi - che già temeva sarebbe stata la più discola della classe e si sarebbe fatta subito riconoscere - e lui la seguì, guardandosi bene dal dire qualcosa in proposito.

 

“Mo… mo che starai a Roma e che staremo tanto lontani fisicamente e… non c’è più pericolo… magari possiamo ricominciare almeno a sentirci per telefono?” provò a chiederle, quando lei finì il suo discorso, perché gli piaceva tantissimo parlare con lei.

 

Rosa si bloccò un attimo e si morse il labbro.

 

“Pietro, lo sai che… mi mancano le nostre chiacchierate ma… non lo so… perché per me tu pure a distanza sei pericoloso.”

 

Rimase un attimo di sasso, non sapendo se essere più dispiaciuto o più lusingato da quell’ammissione che… che anche a lei quello che c’era stato tra loro non era ancora passato.

 

“Pure tu per me, assai,” le disse, affrettandosi per raggiungerla, “ma… ma spero che tu sappia che… non farò più niente per metterti in imbarazzo e crearti problemi.”

 

“Lo so, Pietro. Ma i problemi ci stanno lo stesso e devo risolverli da sola.”

 

Ormai erano arrivati sotto casa della mamma di Imma. I momenti con lei stavano per finire.

 

Rosa aprì il cancelletto e non fece cenno a riprendersi le borse, quindi salì con lei per le scale, fino ad arrivare di fronte alla porta dell’appartamento.

 

“Forse… forse mo è meglio che vado…” le disse, perché non si fidava di se stesso ad entrare di nuovo in quell’appartamento.

 

“Sì, è meglio,” confermò lei, con uno sguardo malinconico.

 

Poi la vide chiudere gli occhi, sentì un tonfo - la spesa di lei che cadeva sul pavimento - e si trovò stretto in un abbraccio fortissimo.

 

Un altro tonfo, stavolta erano le sue di sporte che finivano a terra e ricambiò l’abbraccio, più che poteva.


Quanto gli erano mancati quel calore, quel profumo, che gli ricordava i panni stesi, asciugati al sole, da bambino!

 

Gli veniva da piangere, come un cretino, all’idea che sarebbe stato l’ultimo contatto. Rosa si staccò, bruscamente, e vide che pure lei aveva gli occhi colmi di lacrime.

 

Rimasero per un attimo come paralizzati, poi finì contro al muro, travolto da un bacio appassionato che lo lasciò senza fiato, una specie di fuoco che gli bruciava dentro.

 

E, di colpo, non la sentì più, se non per due dita sul viso.

 

Sconvolto, ancora più sconvolto che dopo il primo bacio, non potè fare altro che seguire la mano di lei mentre gli lasciava la guancia.

 

La porta si aprì e, con un ultimo sguardo, lei era già sparita, lasciandolo da solo, sul pianerottolo, con le sporte della spesa mezza rotta ancora ai piedi.

 

Altro che turiste! Stava di nuovo da capo a dodici, stava.

 

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“Imma, lì ci stanno le cose tue… non ci ho mai messo niente, ma se magari ti vuoi prendere qualcosa da portare a Roma, già che abbiamo il furgone.”

 

“C- ci penso grazie!”

 

Rosa le sorrise ed uscì da quella che era stata la stanza da letto di sua madre, seguita da Ottavia, che le trotterellava intorno alle caviglie, dopo aver lanciato ad Imma l’ennesima occhiataccia.


Tre settimane erano passate ormai, pure di più, e ancora così stava.

 

Capa tosta!

 

Si avvicinò al comò ed aprì il bauletto delle poche gioie di sua madre. Ci trovò dentro il cofanetto di velluto con la collana regalatale da Latronico, dove aveva riposto anche il braccialetto.

 

Lo aprì, per guardarli, chiedendosi che senso avessero avuto, anche se i gesti di Latronico per pulirsi la coscienza probabilmente un senso non ce l’avevano.

 

In quel momento, sentì qualcosa alle caviglie ed un’ombra le piombò davanti agli occhi, spaventandola.

 

Il cofanetto le cadde di mano, aperto, e si schiantò a faccia in giù, mentre la collana ed il bracciale rotolarono sul pavimento.

 

“Ottà!” sospirò, vedendo la micia che, con fare quasi orgoglioso, si leccava le zampe sopra al comò: va bene che era incazzata con lei, ma mo pure gli agguati era troppo.

 

Si chinò per raccogliere il tutto, sperando che non si fosse rotto niente, anche se non avrebbe saputo dire il perché le importasse. Per fortuna collana e bracciale erano ancora interi.

 

E poi prese il cofanetto, che non era stato altrettanto fortunato: la parte superiore, imbottita, si era staccata e penzolava.

 

Stava per cercare di incastrarla nuovamente, quando notò che, dietro alla cornice, oltre al bianco c’era del blu.

 

E non era stoffa, né plastica, ma carta.

 

Il cuore in gola, staccò del tutto il pezzo in plastica e stoffa e le mancò per un attimo il respiro.

 

A Mia Figlia Imma

 

Quello c’era scritto, in lettere un poco tremolanti, in inchiostro blu, su una piccola busta bianca.

 

La estrasse con cautela, chiedendosi se fosse il caso di chiamare Calogiuri prima di aprirla, ma ormai la curiosità aveva deciso per lei e non poteva rischiare che venisse pure Rosa e poi… avrebbe dovuto aspettare quella sera per leggere.

 

Spezzò il sigillo dei Latronico ed estrasse un foglio, ripiegato quattro volte per farlo stare nella busta.

 

Nonostante ciò, c’era ancora un peso, oltre che nel suo cuore pure in mano, e vide che in fondo alla busta c’era una chiave, di quelle per casseforti o cassette di sicurezza.


Imma,

 

se hai in mano questa lettera vuol dire che… che ho avuto abbastanza coraggio, se non di dirti la verità, almeno di farti avere questo regalo.

Tante volte avrei voluto rompere il ghiaccio con te, ma non ci sono mai riuscito, se non in alcuni rari momenti, quando eri bambina, ma non credo che tu lo possa ricordare. Questo è il mio modo di cercare di romperlo finalmente questo ghiaccio.

Non so se sarei stato un buon padre per te, ma… volevo che tu conoscessi le tue origini e che sapessi che non ti ho mai voluta abbandonare.

Non avrei potuto riconoscerti, questo no, nella Matera degli anni Settanta poi, vi avrei fatto più male che bene. Ma… quando avevi un anno, ho comprato questa collana, per donarla a tua madre, in modo che… che potesse rivenderla o, magari, si sperava, dartela quando saresti stata adulta. Avrei voluto esserci, se non come tuo padre, almeno come uno zio, un amico di famiglia e festeggiarli tutti i tuoi compleanni. Ma… in quel periodo ho avuto dei problemi con gente senza scrupoli, mi seguivano sempre, in ogni mia mossa, e… non volevo metterti in pericolo avvicinandomi a te. E quando ho avuto la possibilità di farlo, ormai era troppo tardi, per tutto.

Vorrei dirti di più ma non vorrei che questa lettera finisse nelle mani sbagliate. So che sei brava con le indagini e quindi ti lascio questa chiave, nella speranza che tu riesca ad andare oltre questo muro di ghiaccio che ci ha sempre diviso, trovare le risposte che meriti di avere e a fare luce sul mio passato e su quel frammento, troppo breve, che è stato pure nostro.

Parla con tua madre, lei è custode del nostro segreto.

 

CL

 

CL… ovviamente non si era firmato per esteso, in caso la lettera cadesse in mani ancora più sbagliate di quelle del mittente.

 

Parlare con sua madre! Una seduta spiritica le ci sarebbe voluta, purtroppo!

 

“Imma?”

 

Si girò di scatto verso la porta, tanto che quasi perse l’equilibrio, ed incrociò gli occhi di Calogiuri.

 

Per fortuna era da solo.

 

Gli fece segno di chiudere la porta ed avvicinarsi, in quel linguaggio non verbale che ormai avevano perfezionato in tutti quegli anni di conoscenza. E poi, quando lui fu vicino, la fronte corrucciata dalla preoccupazione, gli passò il foglio.

 

Calogiuri lo lesse, con occhi e bocca spalancati e poi le chiese, palesemente in ansia, “che pensi di fare?”

 

“Indagare, Calogiuri. Pure se è un’indagine vecchia di quasi dieci anni ormai. Chiederò a Mancini qualche altro giorno di ferie, che tanto ne ho ancora un po’.”

 

“E allora accompagno Rosa a Roma, ma poi torno subito qua e-”

 

“E non se ne parla, Calogiuri! Capo primo, c’hai il concorso e devi studiare. Capo secondo, sei nel bel mezzo dei contatti con Melita e manca poco all’udienza. Anzi, così c’hai pure la scusa buona per avvicinarla da solo, che magari se non ci sto io avete più occasione di parlare e si apre di più.”

 

Calogiuri sembrò sorpreso ed anche un po’ preoccupato, ma poi le fece un sorriso grato.

 

“Che c’è? Lo sai che mi fido di te, no? In che lingua te lo devo dire, maresciallo? E pure tu ti devi fidare di me. Questa è una cosa che devo affrontare e forse è più giusto che lo faccia da sola, anche per dare meno nell’occhio.”

 

“Ma se succede qualcosa o se hai bisogno, lo sai che basta che mi chiami e da Roma torno subito?”


“Lo so…” gli sussurrò, grata, abbracciandoselo, “ma non credo che sarà necessario.”

 

“E… e per le frecce?” le chiese poi, con un poco di esitazione.


“Tanto il ciclo ancora mi deve venire, Calogiù, e le pastiglie le posso prendere pure da me, e poi… dobbiamo aspettare per l’ovulazione. Così quando torno, tu sarai prontissimo.”

 

“Fin troppo, dottoressa, fin troppo!”

 

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“Buongiorno, mi scusi, avrei bisogno di alcune informazioni su… su alcuni gioielli....”

 

“Dottoressa! Che piacere vederla! E congratulazioni!” esclamò la commessa, facendo segno verso l’anello.


“Gra- grazie,” rispose, un poco in imbarazzo.

 

“Sono felice che la proposta del maresciallo sia andata bene. Sa, era agitatissimo quando è venuto qua, faceva tenerezza: si è studiato ogni minimo dettaglio. Lui e la sorella sono due perfezionisti, ma spero che il risultato finale sia valso la pena.”

 

“Certo, è un anello bellissimo, sicuramente il gioiello più bello che ho mai avuto,” si complimentò, perché bisognava dare a Cesare quello che era di Cesare, mentre una parte di lei saltellava dalla contentezza come le giapponesi alla conferma di quanto ci si fosse impegnato Calogiuri.

 

“Bene. Allora… per caso è interessata ad abbinarci qualcosa?” incalzò la commessa, in piena modalità venditrice.


“No, in realtà… avrei bisogno di informazioni su alcuni gioielli degli anni Settanta. Il titolare mi aveva già aiutato una volta al riguardo. Per caso c’è?”

 

La commessa fece un’espressione delusa e poi impensierita, ma annuì ed andò nel retrobottega, da cui uscì dopo poco con il proprietario della gioielleria.


“Dottoressa, che piacere vederla! Congratulazioni per le future nozze! Mi dica, cosa aveva bisogno di sapere?”

 

Era una maschera di studiata professionalità ma sapeva benissimo, da quello che le aveva detto Chiara Latronico, che probabilmente lui già sapeva di che gioielli volesse parlargli.

 

“Si tratta non solo di questo bracciale, che già le ho mostrato in passato, ma anche di questa collana. So che sono state entrambe comprate da Cenzino Latronico negli anni Settanta.”

 

“Sì, sì. Ma posso chiederle da dove ha avuto la collana? Si tratta di un’indagine ufficiale?”

 

“La collana me l’ha consegnata spontaneamente Chiara Latronico e… diciamo che si tratta di un’indagine ma non sono qui in veste ufficiale. Voglio capire di più degli investimenti e dei movimenti patrimoniali di Latronico,” mentì, almeno in parte, perché le interessavano veramente, “per caso… aveva acquistato altre cose del genere, negli anni successivi?”

 

Il canuto gioielliere sembrò rifletterci un attimo, “con i rubini e l’oro giallo aveva comprato anche un paio di orecchini ed un anello… ma… più di recente… intorno al 2000, più o meno, l’anno esatto non lo ricordo.”

 

Più o meno il periodo in cui si era sposata con Pietro ed aveva poi avuto Valentina, anche se magari era solo una coincidenza.

 

“Altro? Altri rubini? O altri pezzi particolari, magari?”

 

“No, rubini no. Il cavalier Latronico era un affezionato cliente, ma era principalmente un collezionista di diamanti, sfusi, come investimento.”

 

“Diamanti? Non ricordo menzione di diamanti nei documenti patrimoniali ed ereditari dei Latronico. Lei sa dove li tenesse?”

 

“Dottoressa, come posso sapere una cosa del genere? Cosa ne facesse una volta uscito dal negozio, non era affar mio.”

 

“Mi scusi, ma uno viene qua, bello bello, e compra diamanti sfusi regolarmente e lei non pensa di denunciare l’accaduto?” chiese, sforzandosi di non alzare troppo la voce.

 

“E perché mai, dottoressa? Il cavalier Latronico pagava con regolari assegni bancari, mica in contanti, come i mafiosi. Come quei soldi fossero arrivati sul suo conto corrente non era certo mio compito stabilirlo, e a quell’epoca era uno stimato e rispettato imprenditore, tanto che appunto l’avevano pure fatto cavaliere.”

 

Imma sospirò, trattenendosi dall’alzare gli occhi al cielo: come se non ci fossero già voci sulla fortuna dei Latronico a Matera. Ma effettivamente non era compito del gioielliere indagare.

 

“Va beh… e a parte i diamanti, altre cose particolari?”

 

“Ma… guardi… la signora Latronico aveva gusti molto classici: gioielli raffinati e discreti, seppur di grande valore. E lui comprava principalmente quelli. Però una volta ha comprato qualcosa di molto stravagante, ora che ci penso: una spilla di Cartier, di un valore enorme, a forma di pantera. In platino, tempestato di diamanti, onice e smeraldi.”

 

“Valore?” chiese, preparandosi a sentirsi male per la risposta.

 

“Il valore dell’epoca glielo posso reperire, ma diciamo che a valore di mercato di oggi, tranquillamente oltre i centomila euro.”

 

Ad Imma prese un colpo: il costo di una casa, praticamente.

 

“Per caso ha una foto da mostrarmi?”

 

“Venga,” fece segno, camminando verso una vetrina, piena di oggetti a forma di pantera - o di leopardo - “era simile a questa, ma questa è molto meno preziosa, non avendo i diamanti ed essendo più leggera.”

 

Si chiese come si potesse spendere una cifra del genere per un gioiello.

 

“Vede, è una cosa molto diversa da quello che il cavalier Latronico comprava abitualmente, molto vistosa. Non mi era parso come qualcosa del gusto di sua moglie.”

 

“E lei che ne ha pensato di questa… stranezza?”

 

“Dottoressa, noi siamo noti per la nostra discrezione. Sapesse in quanti vengono qua a comprare sia per la compagna ufficiale che per quella o quelle ufficiose. Avevo pensato ad un’amante, sicuramente molto amata per regalarle una cosa del genere.”

 

“Si ricorda in che anno era?”

 

“No, ma se mi aspetta qua, questi gioielli hanno un registro online. Vado a consultarlo e glielo dico.”

 

“Va bene.”

 

Lo vide sparire nel retrobottega: alla fine sembrava essere abbastanza collaborativo, nonostante le desse i nervi l’ossequiosità che aveva nei confronti di Latronico con quel cavalier.

 

Mentre era in attesa, vide che la commessa aveva come una specie di sorrisetto.

 

Temette per un attimo che avesse capito del motivo dell’interesse per Latronico, anche se era impossibile.

 

“Che c’ha da ridere?”

 

“Niente, dottoressa,” corresse il tiro, le labbra nuovamente in una posizione neutra.

 

“Vuole che la faccio arrestare per reticenza?”

 

“Ma se non è qui in veste ufficiale.”


“Senta, è chiaro che c’aveva qualcosa da dire. La dica.”

 

“Ma no, è che… sa… a volte le coincidenze… qualche anno fa un certo maresciallo è venuto qui a comprare un anello di fidanzamento. Che, se quando è venuto per quello che indossa lei ora, sapeva vita morte e miracoli di come lo voleva, lì… si figuri che lo aveva fatto scegliere a me. Mi aveva messo una tristezza, come tutti quelli che si sposano troppo giovani con la prima fidanzatina che poi… si sa già come va a finire.”

 

“E allora?” Che c’entra mo? chiese Imma, sebbene fosse ben felice di sapere che Calogiuri fosse più entusiasta di sposare lei che quella scema di Maria Luisa.

 

“C’entra, perché… prima di uscire dal negozio è passato davanti a questa vetrina e ha sorriso, guardando i gioielli, soprattutto un bracciale simile a questo,” le spiegò, indicandole il monile che scintillava alla luce artificiale, “ovviamente era di molto al di fuori del suo budget ma… mi rincuorò un poco, perché pensavo che sorridesse pensando alla sua fidanzata e invece… mi sa che probabilmente pensava già a qualcun’altra.”

 

“E allora?!” ripeté, un sopracciglio alzato, perché, se una parte di lei era lusingatissima, un’altra ci notava una ben poco velata frecciata al loro rapporto da amanti.

 

Anche se all’epoca ancora non esisteva.


“Niente, ma… mi è sembrata una strana coincidenza, che per indagine lei anni dopo sia venuta a chiedere di un gioiello della stessa collezione. Anche perché, dottoressa, diciamoci la verità, tra il costo e… il gusto particolare che ci vuole per indossarli… ne vendiamo pochissimi.”

 

“E allora?!” ribadì, il sopracciglio che ormai aveva raggiunto la cima della fronte, come la pazienza il suo - scarso - limite.

 

“E allora… va beh… questo è il suo stile, dottoressa, però… di solito non sono cose che compra chi è ricco di famiglia, come i Latronico. Più gente che si è arricchita da poco e vuole fare scena. E poi… è un regalo strano per un’amante: molto costoso, molto impegnativo e soprattutto che dà tanto nell’occhio.”

 

Le toccò ammettere che la commessa tutti i torti non li aveva, anzi, e pure che avrebbe potuto fare la detective, con le doti di osservazione e di memoria che aveva.

 

“Guardi, dottoressa, ho qua il numero di serie. Acquistato da noi ad inizio novembre del 2004.”

 

Afferrò il foglio che le stava porgendo il gioielliere. Il cuore le saltò un battito, perché l’undici novembre del 2004, lei aveva compiuto trent’anni.

 

Poteva essere anche quella soltanto una coincidenza?

 

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“Porzia!”

 

“Imma! E che bella sorpresa! Che ci fai qua? Che non ti si vede mai!”

 

“Ma se stavo qua alla Bruna! E comunque ti conviene che non mi si vede mai.”

 

Le aveva teso un agguato all’uscita dalla parrucchiera. Porzia ci andava sempre ogni settimana, stesso giorno e stessa ora. Era un rituale a cui non rinunciava nonostante non navigasse nell’oro ed il lavoro che faceva non fosse certo l’ideale per mantenere intatta la messa in piega.

 

“In che senso?” le chiese, confusa.

 

“Che ce li hai due minuti per venire un salto da me?”

 

A quell’ora, per via della bella giornata di settembre, il centro di Matera era ancora pieno di gente e non era una cosa di cui potesse arrischiarsi a parlare in pubblico.

 

“V- va bene,” sospirò Porzia, sembrando però stranamente titubante e preoccupata.

 

Mica scema!

 

In silenzio, arrivarono a casa di sua madre e Porzia, nell’entrarci, sembrò ancora più esitante.

 

“Mi fa… mi fa ancora un poco di effetto tornare qua e… e pensare che la buonanima di tua madre non ci sta più.”

 

“Eh, pure a me, Porzia, pure a me. Accomodati. Ti posso offrire qualcosa?”

 

“Un bicchiere d’acqua, magari,” rispose l’altra, schiarendosi la voce.

 

Tornò con l’acqua, due bicchieri e la sua migliore aria da interrogatorio ed esordì, volutamente, con un “Porzia, mo però la devi piantare di raccontarmi palle su mia madre. In che rapporti era veramente con Latronico?”

 

“In… in che senso?” deglutì Porzia, il bicchiere che le tremolava in mano.

 

“Nel senso che… mo c’ho pure dei ricordi su di lui, di quando ero piccolissima. Con lui e con mia madre.”

 

“Imma! Ma perché vuoi rivangare questa storia che può portarti solo dolore? Il passato è passato ormai.”

 

“Il passato può avere pure un presente, visto che Latronico sarà anche morto, ma i suoi figli no. Allora?”

 

“E va bene…” sospirò Porzia, passandosi una mano tra i capelli, “sì, tua madre all’epoca si confidò con me, anche perché… insomma… con tuo padre rapporti ne avevano avuti per anni ma figli niente e poi… sta con Latronico e puff, rimane subito incinta. Ma lo scandalo… figuriamoci. Pensa che la più grande paura di tua madre era che potessi nascere con gli occhi azzurri, come a Latronico, che nella famiglia sua e quella dei Tataranni… occhi azzurri non ce ne stavano. Poi quando sei nata, un poco si è rassicurata, che magari fosse tutto a posto e che tu fossi figlia di Rocchino. Certo… quando poi ha visto quanto ti sei fatta alta, qualche dubbio le è venuto, ma ormai tu eri grande.”

 

“Ma che è successo tra mia madre e Latronico dopo il braccialetto?”

 

“E che è successo… niente, Imma… tua madre pensava che era un gesto giusto per lavarsi la coscienza e che Latronico ci avesse rinunciato. Ma quando era in giro con te nella fascia, spesso lo incontrava. Lui cercava sempre di parlarle con discrezione, le diceva che voleva farti un regalo per il tuo primo anno di vita, che voleva essere presente in qualche modo. Ma poi, all’improvviso, sparì. Tua madre pensò che erano state tutte chiacchiere, magari un modo per capire se lei aveva intenzione di dargli problemi o per tenersela buona.”

 

Imma, che aveva letto la lettera, capì invece il perché: tutto quadrava con la versione di Latronico.

 

“E quindi poi non si è fatto più vedere? Perché i ricordi che ho-”

 

“Aspetta, Imma, aspè! Passò qualche anno, ma… dopo l’incidente sul lavoro di papà tuo, Latronico riapparve. Disse a tua madre che non voleva che una figlia sua facesse la fame, inoltre aveva saputo che papà tuo teneva qualche problema con… con il bere… ed era preoccupato che vi trattasse male. Ma tua madre non volle soldi da lui, orgogliosa com’era e poi… temeva da dove venivano quei soldi. Figurati che quando papà tuo è morto, Latronico le propose pure una casa per voi, in campagna, a tenere una delle sua massarie, ma tua mamma ebbe paura di perdere la sua indipendenza, delle malelingue e… del pericolo di finire isolata a casa di un uomo del genere. E quindi rifiutò.”

 

Le venne da sorridere: sua madre alla fine, nonostante avesse avuto un pessimo gusto per gli uomini, i suoi principi non li aveva traditi.

 

“Ma io come mai ho ricordi di lui, allora?”

 

“Perché Latronico ti voleva conoscere e… insistette tanto che alla fine tua madre cedette, ma a patto che fosse solo finché tu eri abbastanza piccola da non ricordare. Ti aveva portato qualche volta da lui, non so dove esattamente, soprattutto negli ultimi tempi quando tuo padre… stava messo peggio. Era anche un modo per farti svagare e… non farti vedere alcune cose.”

 

Allora non erano solo suggestioni! E forse proprio in quei ricordi c’era la chiave di tutto, non solo nella lettera di Latronico.

 

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“Non sai quanto sono contenta che mi hai chiamata!”

 

Due braccia un poco ossute la stritolarono in un abbraccio, che un poco la mise a disagio.

 

“Chiara, non… non sono qui soltanto per una visita di cortesia,” specificò, prima che la Latronico si facesse strane idee.

 

Chiara sciolse il contatto e apparve un poco delusa, ma anche come rassegnata, e le fece cenno di entrare.

 

“Che succede? Spero non ci siano altri problemi con mio fratello o per la nostra famiglia.”

 

“No, non proprio, almeno, ma è che… mi sono tornati dei ricordi con tuo padre.”

 

Chiara spalancò gli occhi, chiedendo poi, emozionata, “c- cioè?”

 

“Quello più chiaro è di me e lui, con mia madre, in una stanza, con un tavolone di legno con sopra un blocco di ghiaccio. Lui preparava tipo la grattachecca con la menta e me la offriva.”

 

Vide come gli occhi di Chiara si fecero lucidi.

 

“Sì, nostro padre amava i gelati e le granite. A volte li preparava pure a me e ad Angelo quando eravamo bambini.”

 

“E dove?”

 

“A casa sua, cioè a casa di mio padre, ovviamente. Tenevamo una ghiacciaia in cantina una volta, poi l’abbiamo rinnovata.”

 

“Mi… mi ci potresti portare? Vorrei capire se… se è il luogo che ricordo.”

 

“S-sì, sì, dammi solo qualche minuto che allerto i custodi, che aprano e… poi ci lascino il campo libero. Immagino tu non voglia che ti vedano, no?”

 

“No, infatti,” confermò, grata a Chiara per l’assenso e per quella premura.

 

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“Allora?”

 

“No… niente… non vedo niente di familiare.”

 

Si sentiva un po’ delusa anche se, in fondo… che poteva aspettarsi andando alla ricerca di un ricordo di più di quarant’anni prima?

 

“Ora che ci penso però… c’avevamo pure un’altra ghiacciaia, in una masseria in campagna dove andavamo spesso d’estate. Non è tanto distante, un venti minuti al massimo in auto. Se vuoi….”

 

“Va bene,” acconsentì, anche se le sembrò di stare andando, letteralmente, a caccia di fantasmi.

 

Ma non poteva lasciare niente di intentato.

 

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“E qua c’era la cucina e le stanze del personale di servizio.”

 

Si bloccò di colpo, un brivido lungo la schiena: il tavolone della cucina era lo stesso, ma pure le piastrelle, le ceramiche, alcune sbeccate, le sembrava di aver già visto tutto quello in un sogno.

 

Si mosse per la stanza, quasi ipnotizzata, e poi guardò verso la zona di servizio e sì, pure quella, con i divanetti consunti, il tavolino con quattro sedie attorno e quello con la macchina da cucire… facevano tutti parte di quella specie di visione, che veniva a galla lentamente.

 

Guardò poi fuori dalla porta finestra, che dava su un cortile e, pure attraverso i vetri sporchi, notò delle stalle, appena oltre il prato, ormai tenuto malissimo e pieno di erbacce.

 

Mani… mani grandi e forti, ma non ruvide, intorno alla vita.


Il nitrito di un cavallo e… crine biondo tra le dita.

 

Una voce che le diceva di tenersi forte e poi un urletto di una bimba, felice, che le ricordava uno di quelli di Noemi.

 

Le mani e la voce… erano le stesse del ricordo della grattachecca.

 

“T- tuo padre… teneva i cavalli qui?”

 

Chiara parve sconvolta.

 

“Sì, sì, avevamo i cavalli qua: è qua che ho imparato a cavalcare, da bambina.”

 

E forse non era stata la sola.

 

La cavalcata con la figlia dei signori per cui sua madre faceva le pulizie, che ricordava chiaramente, andando già alle elementari all’epoca, forse non era stata affatto la prima.

 

Si rese conto, di colpo, del perché le fosse sembrato così familiare.

 

“Imma, va tutto bene?” le chiese Chiara, preoccupata, “sembri un lenzuolo da quanto sei pallida. Ti vuoi sedere?”

 

“No, no, sto bene… è che… forse ci ho cavalcato pure io qua… con tuo padre e… e pure questa cucina mi pare quella del mio ricordo.”

 

Lo sguardo di Chiara si aprì in un sorriso, colmo di curiosità, eccitazione e pure un poco di commozione.

 

“Ha senso, in effetti, che non vi abbia portate a casa… dove ci stava anche mia madre. E poi… se vi avessi viste sono sicura che mi sarei ricordata di voi. Qua invece… ci venivamo d’estate appunto ma non così spesso, di solito in giornata. Sai… la masseria essendo molto vecchia all’epoca non era stata ancora ristrutturata e… non era neanche del tutto collegata alla corrente elettrica e con l’acqua. C’avevamo il pozzo e il ghiaccio appunto, in ghiacciaia.”

 

Un altro brivido.

 

Il ghiaccio!

 

Nella lettera quel rompere il ghiaccio tornava spesso. Troppo spesso per essere soltanto una metafora, come quelle che Calogiuri pensava fossero un insulto, in quella che sembrava essere una vita precedente.

 

“Senti ma… questa ghiacciaia ci sta ancora?”

 

“Sì, sì… cioè, come puoi vedere la casa è da un po’ che è disabitata, da quando è morto l’ultimo custode. Facciamo fare giusto la manutenzione, ma niente di che. Papà aveva voluto mantenere la cantina, che ci teneva molti dei suoi vini, e la ghiacciaia intatte, anche se aveva fatto rifare gli impianti… qualche anno prima di morire. Ma perché ti interessa?”

 

“No, niente… è che… sarei curiosa di vederla… sai… magari altri ricordi.”

 

“Col freddo che ci faceva dubito ti ci avrebbe portata, però… se non sei allergica alla polvere posso cercare le chiavi e possiamo scendere.”

 

Sì, potevano scendere… ma lei quella ghiacciaia voleva potersela studiare per bene, da sola.

 

Nel frattempo erano tornate in salotto e notò su un tavolino tra due finestre un vecchio telefono, di quelli a rotella.


“Chiara… non è che avresti un bicchier d’acqua, prima? Tengo un poco la gola secca e….”

 

“Dovrebbe esserci ancora una cassa d’acqua in dispensa, sai per chi viene a fare i lavori. Vado a vedere.”

 

Non appena si fu allontanata, alzò la cornetta e sentì il suono che segnalava che la linea era attiva.

 

Compose il numero del suo stesso cellulare, per avere quello della massaria.

 

E poi lo copiò in un messaggio per Calogiuri, a cui aggiunse:

 

Non ti posso spiegare mo, ma quando te lo scrivo, aspetta cinque minuti e poi chiama questo numero. Fingiti chi ti pare a te, con la voce modificata se puoi, e tieni Chiara al telefono il più possibile.

 

Pregò che lo leggesse, perché chiamarlo sarebbe stato troppo rischioso.

 

Per fortuna, poco dopo, comparvero le spunta blu e la risposta.

 

Ma che stai combinando? Mi devo preoccupare? Comunque sono in procura, predispongo tutto.

 

In quel momento, tornò Chiara, con un bicchiere in mano, che si sbrigò a bere, fingendo di avere molta sete.

 

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Calogiuri, 5 minuti.

 

Aveva inviato il messaggio prima di scendere in cantina, temendo lì non prendesse la linea, poco dopo che Chiara era tornata con le chiavi, di quelle vecchie, enormi e pesantissime.

 

Con il cuore in gola, scese i gradini che parevano scavati nella pietra e raggiunse prima la cantina, ormai praticamente vuota, a parte le ragnatele e qualche bottiglia mai portata via da lì, e poi, finalmente, Chiara aprì una porta molto spessa, in pietra, e si trovò in una stanza tonda, anch’essa ricavata dalla roccia.

 

Isolamento termico come si faceva anticamente.

 

C’era una specie di pozzetto centrale in legno, dove probabilmente si teneva la maggior parte del ghiaccio, e la parete circolare era completamente ricoperta da scaffalature impolverate.

 

Chissà che ben di dio ci doveva essere una volta lì, mentre quasi tutta Matera faceva la fame. Altro che grattachecca!

 

“Ti viene in mente qualcos’altro?” chiese Chiara ed Imma cercò di prendere tempo, guardandosi intorno attentamente, anche per facilitare il lavoro successivo, finché squillò un telefono in lontananza.

 

Per fortuna si udiva con le porte lasciate aperte.

 

“Che strano! Qua non chiamano mai!”

 

“Magari è qualcuno che ti cerca, che il cellulare qua mi sa che non prende. Vai pure, io intanto sto qua con la polvere a vedere se mi viene in mente qualcosa.”

 

“Va bene, torno subito, se hai bisogno chiama!”

 

Come no! - pensò, mentre Chiara correva oltre la porta e sentiva i suoi passi su per le scale.

 

No, la ghiacciaia non le aveva portato alla mente alcun ricordo, era quasi sicuramente la prima volta che ci metteva piede in vita sua.

 

Ma ci doveva essere qualcosa, se lo sentiva!

 

Estrasse il cellulare, avendo conferma che non ci fosse campo, attivò la torcia ed iniziò a fare luce tutto intorno, sperando di fare davvero luce su qualcosa.

 

Un bagliore, come uno scintillio, la fece fermare. Spostò di nuovo la torcia, tornando indietro e lo rivide, nella piccola intercapedine tra due scaffali.

 

Non c’era abbastanza spazio per infilarci le dita e, a differenza delle eroine dei telefilm, non aveva forcine o limette a disposizione.

 

Tastò gli scaffali, da una parte e dall’altra, per capire se ci fosse qualcosa di strano.

 

Stava perdendo le speranze quando il retro del penultimo scaffale si mosse leggermente. Fece più forza ed il legno si spostò, rivelando una leva dall’aria arrugginita e vecchia.

 

Pregando che funzionasse ancora, la spinse con tutta la forza che aveva e quella sezione della scaffalatura si aprì, a cerniera, talmente bruscamente che dovette fare un balzo indietro per non trovarsela addosso.

 

Dietro c’era un buco.

 

Ci diresse la torcia e ci vide una stanzetta, poco più di un ripostiglio, forse un rifugio segreto per il boss, nel caso le cose si fossero messe male.

 

Altro che i pizzini qua!

 

E poi, in fondo a quella specie di sgabuzzino, l’origine dello scintillio: la porta blindata di una cassaforte.

 

Il fiato quasi azzerato, si avvicino, notando subito il foro di una toppa.

 

Con mano tremante, aprì la borsa ed estrasse da una tasca interna LA chiave che aveva trovato nel cofanetto della collana.

 

La infilò nel pertugio e quasi non riuscì a trattenere un’esclamazione di trionfo quando non solo entrò perfettamente, ma girò e si aprì, rivelando…

 

Una seconda porta blindata, stavolta con un tastierino numerico.

 

Mannaggia a te! - pensò, che Latronico pure da morto le dava problemi.

 

Ma in quella cassaforte doveva esserci davvero qualcosa di incredibile, per darsi tanto disturbo.

 

Pensa, Imma, pensa! - si spronò, perché la combinazione doveva essere da qualche parte, ma dove?

 

Nella lettera non c’erano numeri, salvo ci fosse un codice cifrato, magari fosse stata ancora viva sua madre, ma-

 

A quel pensiero si paralizzò.

 

Mamma era stata la custode del segreto.

 

Le venne in mente, come se ce l’avesse davanti agli occhi, la foto di lei bambina, appesa per tanto tempo in bacheca a casa di mamma, e quelle parole scritte sul retro.

 

“Cenzino Latronico, 5543!” esclamò, premendo, con dita tremanti, per due volte i tasti centrali e poi quello accanto e subito sotto.

 

E, come in un film di spionaggio, o nella storia di Aladino, la chiusura scattò e la porta blindata si spalancò.

 

Quello che ci vide dentro, la lasciò del tutto senza fiato.

 

Non ci poteva credere! Non ci poteva credere!

 

Forse per quello, si accorse tardi dei passi che rimbombavano alle sue spalle, ormai troppo vicini.





 

Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo luuungooo capitolo con parecchio giallo oltre a parecchio rosa.

Imma è in una situazione estremamente rischiosa e delicata e… chissà come andrà a finire e che cosa ha scoperto in quella cassaforte. Calogiuri inoltre è nel bel mezzo delle uscite con Melita per il maxiprocesso… e… diversi eventi di questo capitolo ci stanno conducendo verso il Grande Casino, anzi, i Grandi Casini, che ormai sono praticamente alle porte e che romperanno tutti gli schemi e tutti gli equilibri.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la lettura continui a mantenersi interessante. Vi garantisco che ci attendono capitoli pieni di eventi e di colpi di scena, quindi… spero vorrete seguirmi anche durante lo tsunami che si prospetta. Alla fine ovviamente c’è sempre il… lieto fine… ma nulla sarà scontato, anzi.

Come sempre, le vostre recensioni oltre a farmi un piacere immenso mi motivano tantissimo e mi aiutano a capire come sta procedendo la scrittura, quindi grazie fin da ora se mi farete avere i vostri commenti.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare puntuale il 14 marzo.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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