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Autore: Evali    18/03/2021    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Epidemia


Il caldo soffocante lo raggiungeva sempre.
Si artigliava alla sua pelle, alle sue ossa, come lava incandescente.
Una lava tossica, velenosa, che puzzava di zolfo, di piombo e di mercurio.
Non era il fuoco che lo spaventava, ma il veleno dentro di esso.
Si era scottato, innumerevoli volte, con il metallo fuso.
Ma mai come in quel momento.
- Blake … - lo richiamava quella voce tremendamente arrochita.
- Blake … - non riusciva più a sentire il suo nome pronunciato da lui.
Lui non avrebbe più dovuto essere in grado di parlare.
Il Giudice, senza più occhi, con la lingua mozzata e due i moncherini in fondo alle braccia, deambulava pesantemente, totalmente ricoperto d’oro: collane, pepite, crocefissi, gioielli di ogni tipo, tutti suoi, proprio come desiderava.
- Dovrei essere felice … che tu mi abbia ricoperto d’oro … proprio come ti ho chiesto … sei stato tremendamente diligente … - esalò nuovamente la voce gracchiante, mentre l’uomo continuava a cercarlo a tentoni. – Dove sei finito, Blake …? Non credi sia il momento che il tuo viaggio maledetto giunga al termine …?
Sentiva di star soffocando, con quella voce a rimbombargli nelle orecchie in lontananza.
Era immerso in qualcosa di pregnante, pesante, nero, vischioso.
Cercò di nuotare immerso dentro quel liquido velenoso, percependo il peso dei massi legati al collo trascinarlo giù, insieme all’asfissiante abbraccio del piombo bollente.
Si liberò dei sassi e risalì in superficie, la vista ostruita dal liquido che gli si era incollato addosso. Si aggrappò ai bordi della superficie con le mani e fece leva per tirarsi su, scivolando fuori, tossendo e sentendosi consumato.
Il Giudice era in piedi dinnanzi a lui, che lo attendeva pazientemente.
- Eccoti qui … - disse, nonostante non riuscisse a vederlo. – Non ti libererai di me, figlio del Demonio.
Non ti libererai mai di me …
D’altronde … sei la mia gallina dalle uova d’oro …
Sarai in grado di darmi tutto ciò che voglio …
Sarai in grado di rendermi il più ricco del mondo …
Il mio alchimista, fatto della stessa sostanza di cui è fatto il metallo …
Attento, Blake, attento …
Fai attenzione a diventare oro e non piombo, quando arriverà il momento … - gracchiò non lasciandogli il tempo di riprendersi, poiché, con solo l’aiuto dei moncherini, gli avvolse una corda d’oro intorno al collo e cominciò a tirare e a tirare sempre più forte, fin quando non gli staccò la testa dal collo.
- Mi hai ingannato. Come è potuto accadere …?
Blake si svegliò di soprassalto facendo scattare il busto in avanti, respirando affannosamente, ritrovandosi, per la terza notte tormentata di fila, dentro al letto della stanza nella casa della famiglia di Selma.
Un corpo caldo si mosse accanto a lui, sotto le coperte pesanti.
Sybil aveva solo una leggera vestaglia addosso, e le uniche fonti in grado di infondere il calore necessario alla sua pelle erano le coperte di lana e il corpo che dormiva accanto a lei, dentro il giaciglio.
Blake la guardò muoversi in dormiveglia, infastidita dalla sua improvvisa lontananza.
La fanciulla aprì gli occhi chiari, sbattendo le palpebre più volte per mettere a fuoco la sua figura, il suo busto eretto e teso come la corda di un’arpa e le sue dita artigliate al lenzuolo sotto di loro.
In quei tre giorni aveva imparato alcuni aspetti della personalità di Sybil.
Ella si infilava nel suo letto ogni notte, approfittando dei piaceri che il corpo del ragazzo era in grado di donarle, piaceri che egli non le negava mai.
E lei era come certa che non glieli avrebbe negati, come se fosse abituata ad ottenere tutto ciò che voleva, a prenderselo senza guardare in faccia nessuno.
Blake era rimasto incuriosito da quell’atteggiamento pretenzioso, quasi prepotente e capriccioso a volte ma, al contempo, contaminato da una tristezza e una necessità di calore sconfinate, date dal suo turbolento vissuto.
E dopo ogni notte passata con lui, a soddisfarsi a vicenda e a dormire avvinghiati sotto le coperte, ella se ne andava da Ephram la mattina, facendo lo stesso con lui, fino all’ora di pranzo.
Se poteva e, soprattutto, voleva averli entrambi, perché privarsene?
Questa era stata la spiegazione di Sybil riguardo il proprio comportamento.
E ad entrambi andava bene, poiché ella era solo uno sfogo temporaneo, un effimero vezzo che sarebbe durato fin quando fossero rimasti in quel luogo maledetto, sempre se non si fossero stufati di lei prima.
Questo lo sapevano Blake ed Ephram, e sembrava saperlo anche Sybil.
Come promesso, ella gli aveva raccontato tutto riguardo le credenze e le usanze del proprio villaggio, non risparmiandosi in dettagli neanche per quanto riguardava la storia della propria famiglia allargata.
Se si stavano trattenendo qualche giorno in più del previsto, la colpa era solo di Selma e delle insistenze dei suoi zii, i quali sembravano intenzionati a recuperare gran parte del tempo perduto con lei.
- Che hai …? Un altro incubo? – gli sussurrò la ragazza, restando a guardarlo con la testa ancora sprofondata nel cuscino.
Blake sospirò e lasciò ricadere la testa all’indietro, cercando di rilassare le membra.
Dopo di che, si voltò verso di lei, la quale gli sorrise subito con uno sguardo lievemente turbato e il volto ancora insonnolito. – Che cosa ti è successo in quel villaggio …? – sussurrò.
Blake appoggiò la schiena alla parete con la quale combaciava il fronte del letto, restando seduto e allungando un braccio per afferrare il libricino sgualcito e il carboncino, abbandonati sopra un piccolo comodino. Strappò un foglio e vi scrisse sopra qualcosa, per poi porgerlo alla ragazza sdraiata accanto a lui.
- “Non mi hai detto in che modo lo avete fatto. In che modo tu e Julia avete ucciso i vostri genitori.” – lesse ella, ripiegando il foglio su se stesso e sistemandosi più comodamente sul cuscino, lo sguardo ora incupito, ma con il pieno controllo di sé. – Julia ha pensato alla mamma. Io ho pensato a nostro padre – rispose con semplicità. – Julia è riuscita a disarmarla per miracolo, facendola cadere per le scale. La mamma ha battuto la testa, svenendo. Julia si è semplicemente assicurata che non si risvegliasse più – fece una pausa prima di riprendere. – Io l’ho attirato dentro la stalla, correndo a perdifiato per scappare da lui. Sono sempre stata molto più veloce di lui a correre. In realtà, sono sempre stata la più veloce di tutti, qui al villaggio – disse accennando un piccolo sorriso pregno di nostalgia. – Quando è entrato nella stalla, io ero già nascosta sotto una montagna di fieno. La mia puledra, quella che lui mi ha dato in dono per imparare a cavalcare, era in calore e io conoscevo bene tutti i metodi per farla imbizzarrire. Ho atteso che lui fosse di spalle e ho agito, liberando il cavallo dalle corde e facendolo scagliare contro mio padre, tramortendolo. Quando fui certa che lui non riuscisse a muoversi e fosse in fin di vita, volevo lasciarlo lì, ma lui mi fermò. Con voce ansimante mi disse che dovevo completare il lavoro, finire ciò che avevo iniziato. A ciò, mi sono sfilata una scarpa e ho cominciato a colpirlo forte in testa, fin quando non ho visto la sua fronte schiacciarsi e del sangue fuoriuscire copioso dalla ferita sopra di essa.
Blake rimase a guardarla assorto, mentre ella gli rivolse i suoi occhi nuovamente, poiché, durante il racconto, era entrata in un calmo stato di trance.
- Sembrerà qualcosa di tremendo alle tue orecchie.
Cause di forza maggiore hanno plasmato il tuo istinto di sopravvivenza. Eri costretta a commettere delle atrocità.
Io che scusa ho, invece?
- A quell’età, i bambini vengono considerati al pari degli adulti nella battaglia per la sopravvivenza. Ed effettivamente, è così. Qualche genitore decide di agire qualche anno prima o qualche anno dopo, a volte. Chi decide di agire prima ha solo voglia di vivere più di quanto gli si imponga e non vuole a nessun costo rischiare di lasciare il posto alla generazione successiva. Sono spinti unicamente dall’egoismo.
Blake scrisse qualcos’altro su un foglio e glielo porse.
- “Non potrebbero, invece, desiderare di porre fine a tutto il prima possibile, prima di affezionarsi troppo ai loro figli, sapendo che, prima o poi, dovranno ucciderli?” – lesse la ragazza, riflettendovi su. – Potrebbe essere. Non l’avevo mai vista sotto quest’ottica, in realtà. Ad ogni modo, coloro che agiscono dopo l’età prevista, invece, come immaginerai, lo fanno perché vorrebbero posticipare il più possibile il momento funesto, e godersi quanto più tempo possibile con i propri figli. È ciò che ha fatto zia Sarah con Fie, Islay e Selma. Ha atteso. Più del previsto.
Ad ogni modo, sono contenta per come sia andata. Alla fine zia Sarah è morta e Selma è ancora qui con noi.
Blake la guardò esprimendogli qualcosa che alla ragazza parve limpido come l’acqua. – Sì, lo so, è morto anche Islay, tuttavia. E hai ragione, la sua vita è stata sacrificata invano. Eppure, non posso fare a meno di essere felice che almeno una delle mie cugine sia di nuovo qui con me, malgrado la morte di Islay e di zia Sarah.
Oramai Sybil aveva imparato a leggere la sua espressività meglio di chiunque altro e a comprenderlo anche senza che egli si esprimesse scrivendo, quasi come se fosse sempre stata in grado di leggerlo.
Blake pensò fosse una dote innata di quella fanciulla, poiché non era possibile fosse riuscita in ciò in soli tre giorni. Sybil accennò un sorriso curioso, alzandosi dal cuscino e avvicinandoglisi maggiormente, segno che volesse cambiare discorso. – Voglio sapere che cosa hai sognato. Voglio sapere cosa invade la tua mente, quando ti agiti ogni notte. Non posso leggertelo negli occhi, questo.
A ciò, Blake l’accontentò, prendendo a scrivere su un foglio.
- Che cosa hai intenzione di fare se la voce non dovesse più tornare? – gli domandò ella, mentre lui continuava a scrivere. – Perdere la voce alla soglia dei diciassette anni sembra una catastrofe, ma non credo sia così grave come appare. Sono certa che impareresti a farne una peculiarità, un dono. E poi, le persone imparerebbero a leggerti gli sguardi, come faccio io – gli disse facendo scorrere le dita sottili sul suo polso, percorrendo tutto il braccio, sino alla spalla.
Blake terminò di scrivere velocemente e porse il foglio alla ragazza, la quale prese a leggere nuovamente.
La calligrafia era chiara e concisa come sempre, alcune parole erano fuori dal gergo che si usava solitamente a Morag, erano più ricercate e inusuali, mentre alcune lettere, con quel tratto elegante e allungato, sembravano quasi voler uscire via dal foglio, sfuggendole.
- “L’uomo che mi ha tenuto prigioniero mi perseguita nel sonno.
La sua avidità, la sua fame mi tormenta.
La mia crudeltà mi perseguita.
Non so neanche io, di cosa ho realmente paura, nel sonno. Se di me, di lui o del metallo.”
Sybil rialzò lo sguardo su di lui. – Non te ne libererai – gli disse schietta. – Dovrai convivere con questo. Lui sarà sempre nella tua mente, a tormentarti. Così come i miei genitori con me e Julia. E zia Sarah con Selma. E Jean, Harin e Derick con zia Anya e zio Cam. Non puoi liberartene, Blake.
“Non è la stessa cosa” le mimò egli in labiale.
- Lo so che non lo è. Non potresti neanche immaginare i tuoi genitori che cercano di ucciderti, non è così? Ma se fossi nato e cresciuto qui, credimi, non ti sarebbe sembrato tanto mostruoso. Ho visto come sei, Blake, sebbene abbiamo trascorso poco tempo insieme. E, credimi, se ti dico che, se tu fossi nato a Morag, non solo saresti riuscito ad uccidere i tuoi genitori, ma lo avresti anche fatto in modi molto peggiori rispetto a quelli che ti ho narrato io. Non ti saresti ribellato. Non lo fa nessuno, poiché è inconcepibile anche solo pensarlo.
A Bliaint, un padre e una madre sarebbero stati capaci di uccidere i propri figli solo per gelosia, riflettè il ragazzo.
Per tale motivo, a Blake non parve tanto assurda l’idea di immaginarsi i suoi genitori tentare di ucciderlo in fasce.
Myriam non lo avrebbe mai fatto, invece.
Myriam non lo avrebbe mai fatto, poiché Myriam non era sua madre. Ironia della sorte.
E lui? Lui sarebbe stato in grado di porre fine alla vita delle persone che lo avevano messo al mondo e cresciuto? La facilità con la quale avrebbe potuto farlo era a dir poco disarmante.
“Egoismo” mimò nuovamente con le labbra.
- Egoismo? Immagineresti un figlio che uccide suo padre o sua madre … se fosse l’egoismo a spingerlo? – chiese conferma ella, ed egli annuì, alzandosi dal letto e rivestendosi con calma.
- In ogni caso ciò che è passato, è passato, oramai.
Il ciclo si ripete sempre – affermò la ragazza rialzandosi a sua volta.
- Sai cosa ha tormentato Selma al punto da farla scappare lontano da qui, e che non fa altro che tormentarla ancora? – gli domandò dopo essersi rivestita a sua volta, poco prima di uscire dalla stanza.
A ciò, Blake si voltò a guardarla, in attesa.
L’aria fredda della stanza stava cominciando gradualmente a scaldarsi grazie alle lampade a olio che aveva appena acceso Blake, le quali diffondevano una luce calda e fioca, in contrasto con i colori gelidi e cerulei che entravano dalla finestra sulla parete, i primi colori di una mattinata d’inverno come tante altre.
Sybil abbassò lo sguardo. – Non essere riuscita a permettere che suo fratello realizzasse i suoi progetti di vita. Non aver avuto la forza e la prontezza di essere lei a proteggere lui e non viceversa.
Si porterà questo rimorso sino alla tomba.
Detto ciò, la ragazza uscì dalla stanza, lasciandolo solo.
 
Anche quella mattinata trascorse placida, tra le chiacchiere della colazione, le letture dei tarocchi di Selma ai membri della famiglia, e le partite a quel nuovo e complesso gioco giunto da poco da oriente, che portava il nome di “Scacchi”, per il quale Ephram sembrava aver sviluppato una sottile ossessione.
Come ogni mattina, dato che era quasi l’unico momento in cui i membri della famiglia allargata erano riuniti, senza contare i pasti, Blake si fermò a parlare un po’ con la piccola Maila, o meglio, a “comunicare” con lei. Sembrava essere uno dei pochi, se non l’unico, che riuscisse nell’impresa.
La bambina era seduta su una sediolina, con le gambine penzolanti, e lo guardava con espressione persa e ridente.
Blake era seduto a terra, sul legno del pavimento a gambe incrociate, dinnanzi a lei.
Le chiuse gli occhi con la mano, poi le poggiò un oggetto tra i palmi aperti, una semplice candela spenta dalla forma allungata. La bambina la tastò e la toccò attentamente, poi Blake la riprese con sé e la poggiò a terra, accanto ad un’altra candela dalla forma tonda.
Dopo di che, tolse la mano dagli occhi di Maila e le indicò le due candele, chiedendole implicitamente quale fosse quella che aveva toccato quando i suoi occhi erano tappati.
Maila indicò la candela giusta ricevendo un sorriso di assenso da parte Blake, che la fece ridere di gusto e auto applaudirsi soddisfatta, mentre il vociare degli altri faceva da soffice sottofondo.
Sybil e Julia, sedute al tavolo, iniziarono a guardare i due, interessate.
Dopo ciò, Blake sventolò la candela lunga dinnanzi agli occhi della bambina, per farle concentrare l’attenzione su di essa, e cominciò a muoverla, prima da una mano all’altra, poi a nascondersela dietro la schiena e sotto le gambe piegate.
Quando la bella candela sparì dalla sua vista, Maila non la cercò con lo sguardo. Semplicemente e passivamente, guardò il ragazzo in attesa che facesse qualcosa, rassegnandosi alla scomparsa dell’oggetto che l’aveva attratta.
- Non riesce a capirlo – commentò Sybil da lontano, continuando a guardare la sua nipotina e Blake interagire. – Non riesce ad appurare l’esistenza tangibile di un oggetto, a meno che non le rimanga davanti agli occhi. Pensa semplicemente che non esista più se sparisce dalla sua vista – spiegò, disillusa.
Blake, senza prestarle davvero ascolto, proseguì. Indicò con un dito Maila, facendole ben intendere di riferirsi a lei, poi indicò se stesso, vedendola ridere e annuire. A ciò, cominciò a muoversi lentamente, per darle il tempo di osservare i suoi movimenti a dovere: alzò un braccio verso l’alto, piegandolo, e aprì la mano precedentemente chiusa a pugno.
Maila, lentamente, lo imitò, facendo esattamente le stesse mosse.
Dopo di che, il ragazzo spostò la mano alzata dietro il collo e l’altra la fece scorrere dalla gamba sulla quale era abbandonata, fino agli occhi, tappandoseli. Un secondo dopo, divise le dita della mano che gli copriva gli occhi, aprendo un varco tra indice, medio, anulare e mignolo, per lasciar di nuovo libera la vista. Ripeté gli stessi movimenti due volte e il tutto apparve come una sorta di strano ballo visto dall’esterno.
Blake la guardò attendendo, indicandola di nuovo, per farle comprendere fosse il suo turno.
A ciò, la bambina, fino a quel momento concentrata fissa su di lui e sui suoi movimenti, sembrò tornare in sé, prendendo a fare la medesima serie di movimenti susseguiti che aveva compiuto Blake poco prima, senza tralasciarne neanche uno.
A quella vista, Julia si riscosse, scostando la mascella poggiata mollemente al palmo della mano e rizzando il viso sorpreso, incorniciato dalle ciocche castane che le scendevano sottili e morbide come veli dall’acconciatura scomposta. – Ha imitato tutti i vostri movimenti … - constatò sussurrando attonita, fissando la figlioletta.
A ciò, Blake sorrise a Maila, carezzandole una guancia, per poi rialzarsi in piedi e dirigersi verso Julia e Sybil, entrambe positivamente sorprese. Si sporse sul tavolo e scrisse qualcosa sopra un foglio, spostandolo sotto gli occhi di Julia. – “L’imitazione è impossibile senza una buona memoria e consapevolezza di sé. Vostra figlia è più dotata di quanto pensiate” – lesse la donna, per poi voltare lo sguardo su di lui e scoprirlo ad osservare ancora i gesti ingenui di Maila.
Sybil sorrise di rimando, alzandosi e andando a prendere in braccio la sua nipotina, stringendola a sé e sorridendole teneramente. – Ma come siamo brave, mia piccola dolce ninfea! – esclamò baciandole la guancia, facendo sorridere gioiosa anche sua sorella nel guardarle.
Lo sguardo di Julia si fece lievemente velato di qualcosa di cupo, nonostante sembrasse sinceramente emozionata di osservare la sua bambina tanto felice e reattiva al contempo.
Anya sembrava non prestare attenzione loro, troppo impegnata a seguire sua nipote Selma che le spiegava con minuzia e accortezza le figure che le sue mani avevano scoperto, durante la lettura dei tarocchi.
Cam e Jeremy erano appena andati alla stalla, ad abbeverare gli animali; mentre Ephram sembrava totalmente assorto a giocare la sua partita a scacchi in autonomia, giocando le proprie mosse e anche quelle del suo eventuale sfidante. Blake gli si sedette dinnanzi, osservando prima la scacchiera, poi la sua prossima mossa incerta, con un sopracciglio alzato.
Dopo che Ephram, dall’alto del suo orgoglio, fece una smorfia seccata, capendo di essersi imbrigliato da solo e di aver fatto lo stesso col suo avversario, mosse rassegnato la torre orizzontalmente.
Blake spostò la regina al centro della scacchiera, mangiando un pedone e sbloccando la situazione, lasciando campo libero di agire ad Ephram e al suo avversario assente.
Lo stregone accennò un ghigno soddisfatto, muovendo un ulteriore pezzo. – Ho vinto due volte contro Jeremy questa mattina, ma ho perso una partita contro Cam. Quell’uomo ha una mente incredibilmente strategica, nonostante le apparenze – commentò, per poi alzare gli occhi e le iridi nocciola su Blake, poggiando il mento sopra le mani congiunte tra loro e rialzate. – Volete farmi l’onore di questa partita? Mi avete battuto abbastanza da esser certo di poterlo fare di nuovo.
Blake distolse lo sguardo , posandolo altrove, senza la particolare intenzione di indispettirlo.
- Che cosa vi preme? – gli domandò lo stregone, spingendolo a catapultare i suoi occhi blu nuovamente su di lui, interrogativi.
- Deve esservi qualcosa, a spingervi a voler rimanere qui – dedusse lo stregone. – E sono quasi certo non si tratti della tormenta dal corpo da fanciulla o lo sguardo felino che noi due condividiamo – aggiunse accennando un sorriso furbo, spostando poi un pedone. – Ella non è abbastanza da distrarre un animo impetuoso dalla sua meta e dai suoi obiettivi. Dunque, cosa?
“E voi?” gli mimò in labiale.
- Io? Io attendo paziente che il viaggio si dirami e si compia in tutta la sua lunghezza e complessità, osservando e facendomi da parte. Non ho alcuna fretta, come l’avete voi. Dunque voi rimanete l’unico mistero. Selma resta poiché la sua famiglia esercita ancora un dolce potere su di lei, tanto da trattenerla. Cos’è che trattiene voi, invece? – insistette il giovane stregone.
Blake fece virare gli occhi nuovamente verso la piccola Maila, la quale mangiava allegramente una pagnotta sopra le gambe di sua madre, pura, ingenua, inconsapevole della maggior parte del mondo che la circondava.
Un’anima dannata, destinata a vagare nel limbo tra l’umanità e l’inumanità, tra l’intelligenza e l’istinto.
Uno spirito perduto, ma luminoso, raro come era raro trovare un frammento di ossidiana nella galleria di Bliaint.
Ephram seguì il suo sguardo, prendendo a guardare la piccola a sua volta. – La compassione che risiede nel vostro cuore è grande e fremente a tal punto? Sapete bene che debbono trascorrere ancora anni prima che quella dolce e stupida creatura venga uccisa dai suoi genitori. E quando accadrà, ella non se ne renderà neanche conto, considerando quanto invadente sia il germe di idiozia che ha messo radici in lei. Sybil vi avrà spiegato come funziona.
Blake si voltò nuovamente a guardarlo, con uno sguardo incerto, un’espressione velata da una strana fragilità che era raro vedere contaminare i lineamenti del suo bel volto.
A ciò, Ephram realizzò. – Si tratta davvero di questo, dunque. Provate empatia per la demente. Un’assurda, fuori luogo, inesplicabile empatia. Cosa vi impietosisce davvero di lei? Il fatto che non sia in grado di fare nulla, senza il costante supporto dei suoi genitori? Individui come lei sono ciò che vi è di più dannoso per un villaggio - il giovane stregone non si era accorto che Blake avesse scritto qualcosa su un foglio e lo avesse trascinato verso di lui, mentre egli parlava e guardava la stupida creatura.
- “Dieci anni è l’età in cui i fanciulli sono pronti a difendere la loro vita e ad attaccare quella altrui, secondo la loro tradizione, l’età in cui potrebbero vincere questa lotta sanguinaria imposta loro, se sono forti, furbi, determinati e preparati a sufficienza.
Dieci anni. Al compimento dei dieci anni dei ragazzini, sono considerati alla pari, genitori e figli.
Ora ditemi, dunque: quella bambina, secondo quale contorto equilibrio o legge naturale dovrebbe essere alla pari con i suoi genitori, che sia all’età di dieci, di venti o di cinquant’anni?
Come potrebbe anche solo provare a difendersi, a comprendere cosa accade intorno ad essa, quando avverrà il fatidico momento?
Non è leale. Non è giusto. Non è paritario. Non è onesto.” – terminò di leggere Ephram, prendendosi qualche secondo di silenzio, prima di rispondere.
Il vociare in sottofondo riempì nuovamente le loro orecchie, ora che né le parole dello stregone, né il rumore dei pezzi mossi sulla scacchiera, fendevano più l’aria tra loro.
Ephram rialzò lo sguardo sul ragazzo.
- Da quando vi importa di ciò che è giusto?
 Da quando vi importa di ciò che è onesto, Blake …?
 
L’aria si fece improvvisamente pesante nel pomeriggio.
Qualcosa di sbagliato aleggiava nella casa.
Selma e Blake sembravano averne preso coscienza.
Il ragazzo si richiuse nella sua camera, la testa dolente e invasa di troppi pensieri che volevano prendere il predominio su di lui.
Avrebbe voluto scrivere una lettera a Ioan, per informarlo sull’andamento del suo viaggio e rassicurarlo, per chiedergli come stesse.
Sperò vivamente che il ciondolo che aveva creato per lui stesse dando gli effetti sperati.
Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta, distraendolo dalle sue elucubrazioni.
Andò ad aprire, trovando dinnanzi a sè una Sybil dallo sguardo palesemente turbato.
Era strano di per sè che la ragazza si trovasse dinnanzi alla sua porta a quell’inusuale ora del pomeriggio, considerando che erano le notti quelle che i due condividevano insieme.
Il ragazzo la guardò interrogativo, senza lasciarla entrare.
- Ho un brutto presentimento ... – esalò lei spostando gli occhi da una parte e dall’altra, nervosa. – Insomma, quando Maila ha compiuto un anno di età, temevo che mia sorella l’avrebbe lasciata sulla riva di un fiume, attendendo che annegasse, per liberarsi di lei e della disabilità che la affligge. Invece non è accaduto ... - cominciò, buttando parole al vento, non sapendo neanch’ella dove volesse esattamente arrivare. – Ho paura che ... non so, ho il presentimento che ... insomma, Julia, questa mattina, aveva un volto turbato, che non prometteva nulla di buono ... guardando te giocare con Maila, forse si è resa conto che, quando sarà il momento, rinunciare a lei sarà tremendamente doloroso.
“Non è qualcosa che sapete e al quale siete avvezze oramai da un po’?” le disse in labiale il ragazzo.
- Non è la stessa cosa! Viverlo da genitori non è la stessa cosa! Viverlo da carnefici e non da vittime ... è completamente diverso! – delirò la ragazza, guardandolo mentre attendeva qualcosa, una qualsiasi reazione o risposta da lui.
- Ho bisogno di parlare con te ... Devo schiarirmi le idee – gli sussurrò, massaggiandosi le tempie nervosamente.
In risposta, Blake negò con la testa.
- Perchè no ...? Perchè mi stai rifiutando?
“Se pensi che tua sorella possa far qualcosa di male a Maila, allora fermala. Parlale, agisci, fa’ qualcosa” le mimò in labiale.
Trovandosi con le spalle al muro, la ragazza annaspò, non sapendo cosa rispondere. – Che cosa potrei fare ...? Che cosa potrei fare, Blake? Non ho potere su di lei!
“Sei sua sorella!”
- Ma le leggi sono chiare e il dolore che proverebbe sarebbe capace di far uscire di senno ogni uomo o donna su questa terra! Ucciderla ora limiterebbe il suo dolore in futuro, come mi hai fatto notare tu questa mattina!
“Che cosa vuoi da me, dunque?”
- Voglio solo parlare con te! Voglio solo il tuo conforto! È un tale fardello per te quello che ti sto chiedendo...? - chiese sconvolta.
“A cosa servirebbe...?”
Quella risposta la fece raggelare. – Sei ... indescrivibile. In questi ultimi giorni, ho cercato di instaurare un contatto con te... ed ora, ora mi tratti come se non meritassi un minimo della tua considerazione...? - sussurrò delusa.
“Non potrei comunque fare nulla per confortarti per la morte di tua nipote. Sta a te impedire di dover soffrire un dolore così grande.”
- Stai cercando di smuovere qualcosa in me in questo modo, per caso??
“Parla con lei, Sybil.”
 - Il tuo atteggiamento mi ripugna – disse ferita.
“Se ti recassi da Ephram ora, sono certo ti parlerebbe nello stesso modo. Nel dubbio, va’ da lui a cercare conforto.”
Quando le sue labbra terminarono di mimare quelle parole, il ragazzo ricevette un violento schiaffo in pieno volto.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, fin quando Sybil non riprese la parola. – Sono venuta da te. Non da lui. E, di certo, non andrò da lui perchè tu mi hai rifiutata – disse con voce rotta.
Blake si voltò nuovamente a guardarla, percendo un velo di senso di colpa che non provava da un po’ risalirgli su per lo stomaco.
La fissò in quegli occhi grandi e liquidi, tacendo.
La ragazza accennò un sorriso stanco.
- Chissà cosa racconterai di me, quando tornerai a casa.
Se tornerò a casa.
- Chissà cosa dirai di Morag, il villaggio dei cannibali, a coloro che ami.
Chissà cosa dirai ... della mia vigliaccheria.
Blake rimase in silenzio, attendendo che continuasse, bramoso di udire le sue prossime parole.
- Forse ... l’unico motivo per il quale ho cominciato a provare queste emozioni contrastanti ... l’unico motivo per il quale voglio salvare Maila ... risiede nel mio destino. Quello di madre.
Un destino che si sta materializzando davanti ai miei occhi, molto prima di quanto mi aspettassi.
Blake negò con la testa con convinzione.
No, non era possibile.
Erano stati più che parsimoniosi, nel corso di quei tre giorni, lui in particolar modo.
Nessun seme avrebbe fecondato quel ventre ancora incontaminato. Non il suo.
La ragazza gli rivolse uno sguardo che fu in grado di sostituire più di mille parole.
Blake sembrò realizzare. “Ephram. Lui non ha mostrato la stessa attenzione che ho mostrato io.”
- No, non lo ha fatto – confermò ella. – Sembra che a lui non importi minimamente chi, come o quando inseminare. Ho la vaga impressione che abbia figli bastardi sparsi in tutta la pianura e che sia felice di ciò - rispose Sybil alle sue domande implicite.
“Dunque accadrà. Ne sei quasi certa.”
- Se le previsioni sull’invidiabile fertilità del mio ventre profetizzate dalla profetessa del villaggio non mentono, sì, sono quasi del tutto certa accadrà.
“Lui lo sa?”
La ragazza negò con la testa. – Credo se lo immagini. Ad ogni modo, tu sei il primo a cui l’ho detto. E pensare che non era neanche mia intenzione fartelo sapere. Eppure ... sono stranamente sollevata di avertelo detto - riflettè, sorridendo tristemente.
Le labbra le tremavano enormemente.
- Mi farò uccidere da mio figlio o da mia figlia quando sarà il momento – esalò. – Non alzerò un dito per far andare le cose diversamente. Lascerò che egli o ella vinca, perchè così dovrebbe essere, sempre, ed è infinitamente meglio di porre fine alla sua vita e nutrirmi della sua carne.
“Oppure, te ne andrai via di qui e farai nascere e crescere tuo figlio o tua figlia altrove. Rinnegherai la tua terra e le leggi che promulga, come ha fatto Selma” mimarono le sue labbra mentre si avvicinava maggiormente a lei.
Ella lo guardò con occhi confusi. – Dio non volterà la testa dell’altra parte se dovessi abbandonare il villaggio e vivere a modo mio, trasgredendo le leggi di Morag. E se dovesse scagliarsi sulla mia famiglia per punire il mio peccato non me lo perdonerei mai.
A ciò, il ragazzo le sorrise, poggiandole le mani ai lati del viso. “Se il tuo dio ha voltato la testa dall’altra parte quando hai giaciuto per tre notti e tre giorni con due figli del diavolo ... forse potrebbe farlo anche quando scapperai via di qui”
A tale risposta, il volto vispo della ragazza si rianimò e accennò un sorriso mentre lo guardava. – Se lo facessi davvero ...
“Sì.”
- Sarei davvero libera come mi aspetto di essere?
“Non ho le risposte a tutto, Sybil” stava continuando a parlarle in labiale, eppure lei comprendeva tutto ciò che egli le diceva. “Ma posso garantirti che lo sarai molto più di quanto lo sei ora.”
Ella annuì, infilandogli una mano dietro la nuca e spingendolo verso il basso. Si alzò sulle punte dei piedi e posò le sue labbra su quelle di lui, come aveva fatto numerose volte, ma in maniera del tutto differente dal solito, con dolcezza, fragilità e lentezza.
Blake ricambiò premendo la mano sulla sua guancia morbida.
Quando si staccarono, Sybil sorrise ancora lievemente, tra le sue labbra. – Hai una fanciulla che ti aspetta, nel luogo da cui provieni...?
Egli negò con la testa.
- Ne hai molte di più di una...?
Il ragazzo le rivolse uno sguardo divertito, negando nuovamente.
- Bene – disse ella rivolgendogli il solito sorriso furbo e lascivo che la contraddistingueva, di una che aveva giaciuto con molti uomini. – E anche se l’avrai quando e se ci rincontreremo, farai un’eccezione per me e mi delizierai e sazierai con il tuo corpo ancora una notte, come hai fatto in questi ultimi giorni?
Egli annuì, lasciandole un ultimo bacio a fior di labbra, certo che non avrebbe trascorso un’altra notte in quel villaggio.
Il loro viaggio avrebbe dovuto riprendere.
- Blake ... non dimenticarti ciò che ti ho detto: dovrai convivere con lui. Con l’uomo che hai condannato.
“Lo so. Lo terrò a mente.”
- Inoltre ... nel profondo, spero che la voce non ti torni mai – gli rivelò, sorprendendolo ancora una volta. - Amo interpretare ogni tuo sguardo, ogni tuo gesto, e amo capire quello che vuoi dirmi solo percependo le vibrazioni sulla tua gola e la tua bocca che si muove sulla mia.
“Sappi che, se mai dovessi avere bisogno di qualcosa, potrai raggiungermi in ogni momento.”
- Lo stesso vale per te. Ricordalo.
In tal modo, si salutarono sul ciglio di quella porta, incerti sul futuro, ma decisi sul da farsi.
Blake sapeva che la decisione che aveva preso Sybil richiedeva un’immensa dose di coraggio, e la spavalda ragazza che aveva imparato a conoscere ne era del tutto provvista.
Nonostante fosse stato lui a darle la spinta per farlo, ella avrebbe di certo fatto da sè quel passo verso la libertà, partendo quella sera stessa, da sola, con solo poche provviste e coperte con sè, in sella al suo cavallo.
Alla volta del mondo enorme e sconosciuto, senza una meta precisa.
O forse, una meta l’avrebbe avuta, proprio come loro.
Per quanto riguardava la questione di Maila, Sybil avrebbe preso l’ardua decisione di lasciare che per la sua amata nipote le cose seguissero il loro inevitabile e infausto corso.
Non poteva di certo portarla con sè, poichè non avrebbe mai privato sua sorella, una madre, della propria figlia.
Invece, avrebbe salvato il suo, di figlio, agendo come aveva deciso di agire, lasciandosi ogni cosa alle spalle, per il suo bene. Su ciò aveva potere, lo aveva avuto da sempre e nessuno avrebbe potuto toglierglielo.
Quella sera, poco prima della sua partenza, e di quella di Selma, Blake e Ephram, i quali avrebbero preso una direzione diversa dalla sua, Sybil si recò nella camera di sua cugina.
La donna, intenta a preparare i sacchi per il viaggio, la fece entrare e le sorrise con confidenza, abbracciandola.
- Mi mancherai, piccola e scalmanata Bi.  
- Anche tu, Selma – le rispose l’altra ricambiando il caloroso abbraccio.
- Sono felice che te ne andrai anche tu di qui. Tua madre sarebbe stata fiera di te – le disse, provocandole una piacevole stretta al cuore. – Avrei voluto mostrarti Bliaint, se ne avessimo avuto l’occasione.
- Lo farai. Sono certa ve ne sarà l’occasione – la rassicurò la fanciulla sciogliendo l’abbraccio e stringendole le mani sulle sue.
- Ti ho lasciato che eri una bambina e ti ho ritrovata donna. Una donna impavida e determinata.
Sybil le sorrise ancora.
- Dove andrai? – le domandò Selma dopo qualche secondo trascorso a stringersi le mani tra loro.
- Proprio di questo volevo parlarti – le disse la fanciulla, tirando fuori dalla tasca dei suoi pantaloni un pezzo di carta sgualcito e scolorito, che aveva evidentemente attraversato le più varie intemperie.
- Mi è arrivata circa cinque anni fa – le disse Sybil porgendogliela. – Andrò a cercarla.
Non capendo a chi la ragazza si riferisse, Selma prese la lettera e la aprì, confusa.
Non appena lesse il contenuto, i suoi occhi scuri si sgranarono totalmente e le gambe quasi le cedettero al suolo.
Il corpo della donna che le aveva messe al mondo e cresciute giaceva senza vita al suolo, accanto a quello di Islay.
Ognuno dei due era morto orrendamente, in maniere diverse.
Islay ucciso dalla donna che giaceva accanto a lui, e quest’ultima ... da loro due.
Fie e Selma guardarono prima il cadavere del loro giovane fratello, poi della loro madre, restando ferme, ansimanti, in silenzio, senza guardarsi, mentre il vento freddo entrava dentro la casetta, scuotendo i loro capelli.
Le mani delle due erano sporche di sangue fino ai gomiti, così come lo erano i loro abiti, le maniche e le sottane.
Fie fu la prima a prendere la parola, con una voce totalmente lontana dalla propria: fredda, distante e dura. - Dobbiamo portarli nella stanza da macello. Entrambi. Gli zii vorranno che ci nutriamo di loro a partire da questa sera.
Quella sera, come previsto, dopo che le due si furono ripulite da capo a piedi, senza, tuttavia, calmarsi o riprendersi minimamente dall’inferno vissuto quello stesso pomeriggio, furono fatte accomodare al tavolo nel quale avevano consumato tutte le loro cene dalla nascita, in presenza di tutti i familiari.
La gioia imperversava nei volti di tutti, tranne che in quelli delle due sorelle, le quali, non si erano guardate in faccia nemmeno una volta dopo ciò che era accaduto.
Zia Anya servì a Fie il suo piatto contenente le carni di Islay e di Sarah mischiate insieme, uniti nella morte, e zio Cam servì a Selma il suo.
Le due si nutrirono delle carni dei loro familiari, poi si alzarono dalla sedia e si congedarono.
Selma, avendo visto Fie uscire dalla sua camera durante la notte, la seguì, fino all’esterno della casa.
Fie si infilò due dita in gola e vomitò violentemente tutta la carne che aveva ingerito durante la cena, riversandola nella terra fresca, in un miscuglio scuro ripugnante e maleodorante.
La ragazza si voltò verso la sua sorellina, che la guardava dall’uscio della casa.
- Non mi nutrirò mai più delle loro carni – esalò superandola e rientrando nell’abitazione senza dire altro.
La mattina seguente, non vi era più traccia di Fie.
La ragazza sembrava sparita nel nulla, senza lasciare niente dietro di sè, nè una lettera, nè delle spiegazioni.
Le uniche cose che mancavano, erano una caciotta di formaggio dalla cucina e un cavallo dalla stalla.
Da quel giorno, nessuno di loro l’avrebbe più rivista.
“Se la mia sparizione fosse servita a far comprendere alla mia unica sorella rimastami di doversene andare via da Morag per sempre... a tal punto, saprei che la mia vita finora ha avuto un senso.
Ti porto i miei migliori saluti, cara cugina, informandoti che sto bene e di non rispondermi a questa lettera, nè di venire a cercarmi.
Sto bene dove sto e non ho bisogno di altro.
Non dire a nessuno che ti ho scritto, nè tanto meno a Selma, se ti capiterà di incontrarla.
Probabilmente, forse non ti ricorderai neanche di me, tanto eri piccola quando me ne andai.
Casualmente, l’anniversario del giorno della tua nascita, lasciai il villaggio.
Ti scrivo proprio per tale motivo. Per farti i miei migliori auguri e per scusarmi con te, per aver, forse, rovinato questo giorno importante per te.  
Spero che tu sia ancora in vita, piccola Bi.
Se così non fosse, probabilmente sto scrivendo questa lettera a vuoto.
Vivi la tua vita e dimenticati della sciocca che disonorò la famiglia nell’anniversario del giorno in cui venisti al mondo.
Con amore, Fie.”
Leggere nuovamente quel nome, dopo così tanto tempo, dopo così tanti anni ... fu in grado di farle venire quasi un mancamento.
Lei e Fie non avevano mai avuto un buon rapporto.
Ogni volta che si vedevano si accapigliavano tra loro, finendo sempre alle mani.
Ogni volta era una lotta, Fie la indispettiva sempre, la innervosiva continuamente e non le lascaiva un attimo di respiro.
Eppure ... eppure quante volte nel corso di tutti quegli anni, si era chiesta dove fosse, perchè l’avesse lasciata sola, per quale motivo anche lei se ne fosse andata dalla sua vita.
Non erano enumerabili. Tutte le volte che aveva invocato il suo nome, insieme a quello di Islay, durante la notte, quanto aveva sperato che, un giorno, anche fosse stato l’ultimo, l’avrebbe rivista.
Ce l’aveva con lei, ce l’aveva infinitamente con lei per essersene andata.
La odiava. La odiava per il troppo amore che nutriva nei suoi confronti.
- È viva ... è ancora viva...! – esclamò con immensa gioia la donna, cadendo in ginocchio a terra. – Mia sorella è viva!
I tre partirono proseguendo il loro viaggio e Sybil partì per iniziare il suo.
I tre in cerca della polvere nera, Sybil in cerca di Fie.
E mentre Selma proseguiva il suo cammino con il cuore infinitamente più leggero, dopo tanti anni che aveva vissuto estraniata da se stessa, grazie alla notizia che la sua sorella di sangue fosse viva, magari in capo al mondo, ma viva; una settimana dopo la loro ripartenza, giunse loro notizia, per lettera, che la piccola Maila fosse disgraziatamente morta per un banale incidente in casa, a causa di una candela che la piccola aveva cercato di afferrare, che le aveva bruciato e sfigurato il volto.
 
 
UNA SETTIMANA DOPO, VILLAGGIO DI BLIAINT
 
Judith si infilò la maschera ingombrante che le coprì tutto il volto, lasciandole scoperti solo gli occhi, come era oramai abituata a fare.
Becco lungo e nero sul davanti, con fiori secchi sparsi all’interno per ridurre al minimo il rischio di contagio.
Si infilò i guanti e uscì dalla cattedrale, dirigendosi verso l’altra cattedrale, oramai divenute entrambe baracche per la cura dei malati.
Non appena mise piede fuori, all’esterno, incontrando l’aria fredda, dinnanzi a lei si diramò una visuale torbida e orrida, ai limiti dell’umanamente accettabile: le strade della piazza principale di Bliaint erano letteralmente cosparse di cadaveri, uccisi dalla terribile epidemia diffusasi da qualche giorno.
Forse, erano davvero destinati a morire tutti, come oramai profetizzavano i maggiormente disillusi.
Si avvicinò ai corpì che avevano una cera leggermente migliore degli altri, controllandoli uno ad uno, ponendo due dita sul loro collo per carpirne il battito.
Morto, morto, morto, morto.
Non cedette, e continuò a controllarne altri.
Si avvicinò al corpo di un bambino.
Morto anche lui.
I sintomi erano stati gli stessi per tutti: iniziava con una febbre alta, proseguendo con spossatezza, dimagrimento, inappetenza, difficoltà a respirare, pustole in tutto il corpo e un tremendo male alla testa.
Maroine era stata la prima in assoluto a manifestarli.
Toccando il collo dell’undicesimo corpo che aveva trovato lungo la strada, quello di una donna di mezza età, udì un lieve battito.
- Presto, qui ce ne è una! – esclamò a gran voce verso i pochi che si trovavano all’esterno delle cattedrali a loro volta, con le maschere ben in vista a proteggersi dal contagio.
Accorsero verso di lei e si accinsero e prendere la donna, per portarla dentro una delle cattedrali.
Per alcuni, per coloro che avevano dei corpi più forti e sembravano reagire meglio alla malattia, forse c’era ancora speranza di guarigione.
Venivano tenuti al caldo e a riposo nelle cattedrali, curati e accuditi con cibo e infusi caldi.
Si accinse anch’ella ad entrare nella cattedrale, venendo a contatto col tanfo dei malati.
Si avvicinò al letto di Maroine, guardando con apprensione e dolcezza suo fratello Maringlen addormentato accanto a lei, che le era sempre vicino, non lasciando mai il suo capezzale, se non per recarsi a fare commissioni per i malati, dovunque lo spedissero: a raccogliere fiori, erbe, provviste, acqua e coperte.
Fortunatamente, le maschere create appositamente per situazioni come quella sembravano fare effetto: Maringlen stava bene, non aveva dato segno di mostrare alcun sintomo, anzi, sembrava in salute e in forze come non mai, ora che il contributo e l’aiuto di ciascuno era prezioso e fondamentale.
Ognuno di coloro ancora graziati e miracolosamente in salute, indossava la maschera minuziosamente, quasi sempre, se non nei luoghi frequentati solamente da altri sani.
La ragazza si avvicinò ad alcuni tra i malati, tra chi avesse bisogno di aiuto per bere un po’ d’acqua o per alzarsi.
Una di loro, qualcuno che Judith aveva imparato a conoscere e ad identificare bene da quando vi era stata la rivolta, tossì violentemente, attirando la sua attenzione.
Judith si avvicinò alla corvina che era alla guida delle rivolta, aiutandola ad alzare la testa per tossire e ponendole un panno pulito davanti alla bocca, che la giovane sporcò di sangue.
- Grazie ... – esalò Beitris con voce rauca.
Vicino a lei, padre Craig steso a sua volta su uno dei giacigli improvvisati, era accudito da uno degli stregoni.
Purtroppo, neanche il giovane prete straniero era riuscito ad evitarsi la pestilenza.
Tuttavia, era stato proprio lui, involontariamente, a spargere la voce che stava diffondendosi riguardo il “bambino miracolato” di Bliaint, il secondogenito del proprietario della galleria, dal quale il prete era stato ospitato nel suo soggiorno nel villaggio. Dalle parole di padre Craig, sembrava che Christopher Ioan, uno dei bambini con l’aspettativa di vita minore a Bliaint a causa di una malattia che si portava dietro dalla nascita, da quando aveva cominciato ad indossare un particolare e meraviglioso ciondolo, il suo male fosse come sparito nel nulla. E, in aggiunta a ciò, il ragazzino sembrava quasi immune anche all’epidemia che aveva cominciato a dilagare negli ultimi giorni, continuando a mostrare perfetta salute.
Ciò non aveva fatto altro che suscitare le invidie e i sospetti delle malelingue, le quali si diffondevano a macchio d’olio, sprigionando odio.
Eppure, non vi erano prove che Ioan avesse acquisito una sorta di immunità miracolosa, se non magica, ai malanni, poichè il ragazzino indossava sempre la maschera come tutti coloro rimasti sani.
Improvvisamente, la presenza di padre Cliamon dietro di lei la distrasse dai suoi pensieri, mentre era intenta a massaggiare un panno bagnato sulla fronte bollente di Beitris.
- Per quale motivo stiamo accudendo anche costei...? – domandò pieno d’odio il monaco.
Judith sospirò stancamente, alzandosi in piedi. – La rivolta e la guerra sanguinaria tra le due fazioni del villaggio è passata in secondo piano da quando siamo stati colpiti da questo tremendo flagello, padre.
Guardatevi intorno: si sono ammalati stregoni, così come si sono ammalati monaci e altri componenti del villaggio. La malattia ha colpito tutti, indistintamente. Non ha alcun senso continuare a farci guerra tra noi per il potere e il controllo del villaggio se moriamo come mosche da un giorno all’altro. La vita e l’aiuto di ognuno di noi sono infinitamente preziosi, al momento. Dunque, cerca di superare l’odio che nutri nei confronti di questa donna – lo esortò seria.
- Questa donna ha guidato la rivolta, ci ha imprigionati tutti ed è ossessionata dai gemelli in un modo a dir poco spaventoso – protestò Cliamon.
In quel momento, i due vennero raggiunti da Myriam, con la maschera sul volto a sua volta, la quale li affiancò in silenzio, abbassandosi e aiutando Beitris a bere un po’ d’acqua.
- Questa donna è malata, così come è malata la ragazzina alla quale tenete tanto.
Se non siete in grado di guardarvi intorno e di comprendere dov’è che stiamo precipitando tutti, siete un uomo cieco, oltre che stolto e vigliacco come già sapevo foste – commentò con fredda acidità la strega.
Judith venne distratta dal battibecco tra i due non appena udì delle voci roche, tra un tossicchio e l’altro, provenienti da qualche giaciglio lì vicino:
- Dio ci sta punendo ... Dio ci sta punendo e il Diavolo con lui ...
 Ci stanno punendo con questa calamità ...
Ci stanno punendo perchè uno di noi ha superato i limiti del concesso ...
Uno di noi si è recato oltre i confini del villaggio per cercare il Flagello dell’umanità ... La maledetta polvere nera ...
- Sì, Dio e il Diavolo ci stanno punendo ... per colpa di quel ragazzo ...
Judith sospirò.
Erano in molti a pensarla così, da quando si era sparsa la voce che Blake si fosse recato chissà dove per cercare la polvere nera e portarla al villaggio.
E lo voci sul ciondolo dato in dono da Blake al suo fratellino “miracolato” di certo non aiutavano.
“Il Flagello dell’umanità”.
E la colpa di tutto ciò, in gran parte, era sua. Judith ne era consapevole.
Era vero che Blake fosse un vulcano di curiosità e spavalderia, tuttavia, se lei non lo avesse coinvolto nei suoi piani, ora il ragazzo probabilmente non sarebbe disperso chissà dove e odiato da mezzo villaggio.
Sì e, probabilmente, se fosse rimasto lì egli si sarebbe aggiunto a quell’infinità di malati spiranti su quei giacigli, pensò la ragazza, autoconsolandosi nel pensare che il tenerlo lontano da Bliaint almeno fosse servito a proteggerlo.
Sperò vivamente non tornasse, per il momento, almeno finchè le acque non si fossero calmate.
- La colpa è del ragazzo ...
- No, la colpa è della seguace del Diavolo rimasta gravida del servo del Creatore ... la colpa è del bambino figlio del peccato che ha messo radici nel suo ventre maledetto...
La loro lussuria e il loro disprezzo per le leggi del villaggio ci uccideranno tutti!
A quella seconda ondata di mormorii e deliri, Judith si voltò, afflitta.
Blake non era il solo ad essere ritenuto la causa scatenante dell’epidemia che li aveva colpiti.
Le voci riguardo la sua gravidanza si erano diffuse a loro volta, scatenando il panico tra i più malpensanti, nonostante Judith e Naren avessero negato più e più volte che il bambino fosse di quest’ultimo.
Era divenuta a sua volta catalizzatrice di quell’odio represso e incombente, che non faceva altro che animare quei corpi in fin di vita che con tanta attenzione lei si stava premurando di aiutare e di tenere in vita.
Ironia della sorte.
La odiavano, ma lei era l’unica, insieme ai pochi ancora in salute rimasti a Bliaint, a poterli aiutare e soccorrere.
Naren le si avvicinò, posandole una mano sulla schiena. – Non ascoltare quello che dicono. Non fanno bene al tuo corpo tutte queste malelingue – le disse premuroso.
- Al bambino non fa bene neppure che io respiri la stessa aria pregna di tonfo di morte di questi malati, Naren, eppure lo faccio lo stesso – gli rispose dura.
- Ci dovrà essere una ripresa, quando tutto questo sarà finito – le disse. – La domanda è: quando costoro guariranno dall’epidemia, il capro espiatorio da bruciare al rogo per scongiurare tutto questo odio sarà il tuo amico Even Blake, o saremo noi due e nostro figlio?
Judith gli rivolse uno sguardo fuliminante, nonostante egli non potesse vederlo a causa delle maschere che indossavano.
- No, vi prego, non parlate in questo modo ...
Dio e il Diavolo non ci stanno punendo per ciò che ha fatto quel ragazzo – quella voce dolce e immacolata attirò l’attenzione dei due.
Judith la riconobbe nonostante la maschera: si trattava di quella fanciulla, la serva del Creatore che aveva incontrato un dì dentro la cattedrale, e che le aveva chiesto di Blake.
Ora, era impegnata a versare dell’acqua nella bocca di un malato e a smentire con fermezza e tranquillità le malevoci che si stavano accumulando tra gli infetti.
- Non è nè colpa del ragazzo in cerca della polvere nera, nè della fanciulla che porta in grembo il suo bambino. Ella ha detto che il bambino non è del servo del Creatore, ma di un servo del Diavolo.
Io le credo. Dobbiamo crederle tutti.
La colpa non può essere di quei due ragazzi, non hanno fatto nulla di male.
Vi prego, abbiate fede.
Abbiate fede che tutto questo passerà.
Abbiate fede che non sia una punizione di Dio o del Diavolo, ma che sia solo frutto del caso e che, ben presto, con la tenacia, la forza di volontà e l’aiuto di tutti, ne verremo fuori.
Riusciremo a sconfiggere l’epidemia.
Judith e Naren  si fissarono a guardarla, a distanza.
Judith si voltò verso colui che, un tempo, era stato il suo amore, e lo vide fissarla senza distogliere mai lo sguardo, come abbagliato dalla candidezza, dalla profonda fede e dalla genuinità di quella ragazza.
Una ragazza del suo stesso credo.
Judith sorrise amaramente, sapendo già quale sarebbe stato l’epilogo di quella scena a cui stava assistendo e il suo cuore, in risposta, fece solo un lievissimo balzo, in memoria dei vecchi tempi.
Poi, tornò a concentrarsi su questioni ben più importanti, che le premevano davvero.
Certo che ne sarebbero usciti.
Ma, prima di ciò, ogni minaccia sarebbe dovuta essere neutralizzata, per il bene del villaggio, delle persone che amava, per se stessa e per il bambino che, forse, l’avrebbe uccisa.
Ne sarebbero usciti, nel bene o nel male, ne sarebbero usciti, ne era certa.
 
 
 
 
   
 
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