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Autore: moira78    19/03/2021    2 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Archie prova ancora... dei sentimenti per te", disse Albert guardando l'orizzonte sopra al lago. Erano seduti sull'erba fresca e profumata ed era una giornata così limpida che gli parve di scorgere il panorama sulla riva opposta.

Il sospiro di Candy gli confermò che la conversazione con Annie non era stata molto diversa dalla sua: "Annie aveva proprio questo sospetto", disse infatti.

Il silenzio che seguì fu pesante. Albert raccolse un sassolino e lo fece rimbalzare sul lago una, due, tre volte prima che affondasse sollevando un piccolo schizzo d'acqua. Cercò di riordinare i pensieri e un'idea si fece strada nella sua mente.

"Pensavo che...".

"Io non credevo che Archie...".

Avevano parlato insieme, di nuovo, ma stavolta la coincidenza gli strappò un sorriso: "Prima tu", la incitò voltandosi a guardarla.

Candy abbassò gli occhi, mentre un leggero e delizioso rossore le si diffondeva sulle guance: gli apparve così adorabile che dovette trattenersi dal baciarla in quel preciso istante.

"Volevo solo dire che non credevo che Archie fosse ancora a questo punto. L'ultima volta che ha provato ad affrontare l'argomento eravamo alla Saint Paul School e da allora non l'ha più toccato".

Albert annuì, tornando a guardare il lago: "Sai, Candy, ho avuto modo di osservare mio nipote in questi anni e correggimi se sbaglio: con Annie è sempre stato bene, non è vero?".

Sentì Candy muoversi e protendersi verso di lui mentre rispondeva con enfasi: "Sì! È proprio per questo che non capisco come mai abbia dei dubbi proprio ora, a pochi mesi dalle nozze. Non voglio che Annie soffra per quella che potrebbe essere... beh, una semplice infatuazione. Per me lui è sempre stato come un fratello".

"Anche Anthony e Stair?", le chiese d'impulso, volgendosi un poco verso di lei e alzando un sopracciglio. Dopo averlo fatto, quasi se ne pentì.

Lei parve smarrita mentre la fronte si increspava in un'espressione perplessa: "Cosa c'entrano loro, adesso?".

Cercando con gesti tesi altri sassi nell'erba, Albert le raccontò dei sentimenti che i due fratelli e il suo nipote più diretto avevano nutrito per lei, secondo il racconto di Archie.
Candy ne parve sconvolta.

"Io... io non avevo idea che anche Stair... lui e Patty... Solo con Anthony mi sono resa conto...". Evidentemente imbarazzata, con la faccia tutta rossa e le mani nervose che torcevano l'erba, Candy gli parve ancora la cosa più bella in quel prato.

Doveva toccarla, voleva con ogni fibra del suo essere sentire la consistenza di quella pelle che ora doveva essere calda per il rossore.

Con delicatezza, le mise una mano sul viso e scoprì che aveva ragione. Si chiese dove fosse finita la donna intraprendente che lo aveva baciato almeno un paio di volte. Incontrò il suo sguardo e ne rimase, ancora una volta, abbagliato: "Scusami, non ha più importanza ormai. Però capisco perfettamente perché i miei nipoti ti amassero tutti così tanto. Non smetterò mai di essere grato a ognuno di loro per avermi suggerito di adottarti".  

"Oh, Albert, mi mancano così tanto...", mormorò lei mentre le lacrime cominciavano a brillare.

Dannazione, non voleva farla piangere! Serrò la mascella, a disagio, e le asciugò prima che cadessero, con cura e amore, come aveva sempre fatto: "Non piangere, mi dispiace averti portato alla mente ricordi tristi".

Candy sorrise e, scuotendo la testa, puntualizzò: "Oh, no, sono ricordi bellissimi. Nonostante i Lagan, non dimenticherò mai i giorni spensierati con Archie, Stair e... Anthony".

Albert, a quel nome, provò due sentimenti distinti: gelosia e vergogna. Gelosia perché era chiaro come il sole quanto Candy avesse adorato il figlio della sua cara sorella. Vergogna perché era morto in maniera atroce a soli quindici anni e lui lo amava immensamente.

Candy si ricompose subito e fece aderire la guancia contro la sua mano, approfondendo il contatto e trasmettendogli un piacevole brivido lungo tutto il braccio.

"A quanto pare, però, ti sei sempre preoccupata degli altri anche a costo di ferire te stessa, vero?". Non voleva che ci fosse una nota di rimprovero nella sua voce, ma non riuscì a farne a meno.

"Che vuoi dire?", chiese lei palesemente stupita, scostandosi per guardarlo meglio.

"Candy, tu ti sei preoccupata molto per Annie in passato e lo stesso stai facendo ora. Ma a quanto mi ha raccontato Archie, lei non ha esitato un attimo a metterti da parte per non sfigurare con l'alta società, non è così?".

La mano ricadde, non avendo più il contatto tiepido della guancia di Candy quando lei si volse e distolse lo sguardo, colpita: "Non vedo cosa c'entri ora. Sono cose che appartengono al passato e io non le porto rancore. E nemmeno tu, a quanto mi risulta, sei una persona che lo fa".

Stavolta fu lui a non avere il coraggio di guardarla. Si stupì di quanto fosse cambiato in pochi giorni. Tornò ancora una volta a tormentare il terreno erboso, affondando le unghie fino a strappare alcuni ciuffi. "Infatti non sono così, Candy, ma ora che le cose tra noi sono cambiate e che posso esprimere liberamente i miei sentimenti è come se avessi tutti i nervi scoperti. E mi fa molto più male quando so che qualcuno ti ha ferita, anche se è passato del tempo". L'erba gli volò dalle dita, portata via da un soffio di vento.

Sentì gli occhi di Candy di nuovo su di sé: "Non conoscevo questo lato di te".

"Nemmeno io", ammise allungando un braccio per toccarle i capelli. Come aveva fatto fino a pochi istanti prima con il prato, affondò le dita in quella massa di riccioli dorati, ma con dolcezza. Lei emise un sospiro che gli trasmise quanto avesse gradito quel tocco e Albert, non resistendo oltre, le sfiorò le labbra in un bacio. Leggero, proprio come il vento di quel giorno, un contatto appena accennato molto più gentile di quello che avevano condiviso nelle stalle poco prima. Evitò di spingersi oltre perché temeva di lasciarsi sopraffare dal desiderio di lei che gli cresceva dentro come un fuoco sotto la cenere, pronto ad ardere impetuoso non appena l'avesse smossa.

Altrimenti l'avrebbe baciata senza sosta, solo per recuperare il tempo perduto.

Ma non era ancora finita.

Doveva occuparsi di altro che non fosse Candy e questo lo frustrò. La strada per la loro felicità era ancora troppo lunga. Se Archie e Annie non si fossero più sposati sarebbe scoppiato uno scandalo e la zia Elroy avrebbe dato in escandescenze, prima di mettersi a cercare un'altra ragazza consona per il nipote più giovane. In tutto quel marasma, se lui avesse provato a parlare a lei e al Consiglio delle proprie intenzioni con Candy, sarebbe esplosa una vera bomba.

Sperava che lo scenario non fosse così brutto e cominciò a esporre a Candy la sua idea. Quando terminò, lei lo fissò con tanto d'occhi: forse, dopotutto, quello era un pessimo piano.

"Sì, lo so che è un po' eccessivo, ma è l'unica cosa che mi è venuta in mente. Hai idee migliori?".

Lei parve pensarci su un attimo, inclinando la testa poi fece segno di no col capo: "Direi di no. Certo, sono stati già separati in passato ma.. vale la pena tentare".

"Bene!", esclamò lui rinvigorito. Si alzò in piedi, scacciando i pensieri negativi e le allungò le mani per aiutarla a fare altrettanto.
 
 - § -
 
Annie aveva letto molti romanzi in cui accadevano eventi facilmente prevedibili. Alcuni erano scritti molto bene, altri sembravano tutti uguali, uno la brutta copia dell'altro: nella stragrande maggioranza, c'erano storie d'amore che si concludevano più o meno con un lieto fine.

Quando aveva incrociato Archie nell'atrio, ancora sconvolta per aver finalmente dato voce ai suoi dubbi su di lui, le parve di essere caduta proprio in uno di quei cliché. La protagonista che confessa le sue pene e poi incontra proprio l'oggetto dei suoi timori.

D'altronde, per quanto fosse grande la villa, si trovavano entrambi lì e non si trattava certo di un caso così fortuito. Ciò che le sembrò più sorprendente, però, fu che anche lui sembrava sconvolto.

Si fermò nel bel mezzo della scala, stringendo il corrimano con un gesto involontario: la sensazione del metallo freddo sulla pelle le fece venire un brivido alla schiena.
"Annie", la chiamò lui dal basso con un tono che sembrava stupito e teso al contempo: "Credevo che fossi ancora in camera tua con Candy".

Fece un passo come se volesse raggiungerla, ma rimase dov'era e Annie scese un altro scalino. Temeva quasi che, una volta che si fossero avvicinati e che le scale fossero finite, sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile.

Avevano già avuto una conversazione in merito al loro rapporto più di una volta, ma lei preferiva relegare le sue paure in fondo al cuore tentando di seppellirle come se non avessero peso. Ma era inutile continuare a evitare il chiarimento definitivo: tra qualche mese si sarebbero sposati e allora non avrebbero più potuto tornare indietro.

"È andata nelle stalle a trovare Cesar e Cleopatra", rispose guardandolo negli occhi, rendendosi conto che lui invece cercava di distoglierli. Sapeva che aveva parlato con Albert in biblioteca, ma non capiva come mai quella conversazione lo avesse sconvolto al punto da restarsene lì impalato come se temesse anche lui di avvicinarla. Possibile che provassero gli stessi sentimenti contrastanti? Che con suo zio avesse dato voce ai propri dubbi e ora temesse il confronto con lei?

"Beh, probabilmente sono andati a fare una cavalcata insieme, lei e Albert". Subito dopo, come se gli fosse sfuggito qualcosa di scomodo, si affrettò ad aggiungere: "Di sicuro lo zio voleva darle la possibilità di stare con loro, Candy è innamorata di quei cavalli!". Fece una risatina nervosa e lei scese altri due scalini. Nelle orecchie le rimbombò il suono attutito della moquette sotto le scarpe: era come il rintocco di un orologio che segnava l'avvicinarsi del momento fatale.

"Io, invece, penso che finalmente abbiano ammesso i sentimenti che provano l'uno per l'altra", rispose con tono fermo, cercando ancora una volta il contatto visivo con Archie ed evitando di rivelargli i particolari della sua chiacchierata con Candy. "Ricordi? La sera della festa abbiamo notato entrambi gli sguardi che si lanciavano". 

Finalmente, Archie la guardò e le sorrise: "Credo proprio che tu abbia ragione, Annie". Sembrava più rilassato a parlare di qualcosa invece che stare lì a vederla scendere con lentezza esasperante le scale.

Annie si era sempre considerata più debole di Candy ed era evidente a chiunque la differenza tra il suo carattere chiuso e timido e quello solare e ribelle della sua sorella acquisita. Ora le sembrava molto più plausibile come avesse finito per innamorarsi di uno spirito libero come Albert. Sospettava che, se avesse deciso invece di rimanere con Terence, la loro indole avrebbe finito inevitabilmente per farli discutere.

Per lei era tutto più semplice: non amava ribellarsi, accettava quasi sempre con pacatezza le decisioni e si sottometteva a ciò che la vita le offriva con gratitudine e senza discutere. Ma, ora che si avvicinava il proprio matrimonio, sentiva l'urgenza di risolvere qualsiasi cosa fosse rimasta in sospeso con Archie.

Annie prese un respiro profondo e, ancora una volta, strinse il freddo ottone del corrimano sentendo che anche nel suo cuore la temperatura si stava abbassando. Gettandosi nell'ignoto, scese gli ultimi scalini senza interrompere il contatto visivo con il fidanzato.

"Dobbiamo parlare", disse semplicemente e vide la comprensione calare sul suo volto. Ma fu solo un attimo: scomparve immediatamente, sostituita da uno sguardo perplesso. In realtà, poteva vedere bene come Archie fosse sulla difensiva dal modo nervoso con cui deglutiva, sbatteva le palpebre e faceva persino un altro passo indietro: sembrava quasi intimorito.

Ma lei non sarebbe tornata indietro, non più.  

Non voleva essere una seconda scelta, né l'ombra della donna ideale. Lei era Annie Brighton e si era stancata di far parte di un romanzo pieno di luoghi comuni.
 
- § -
 
Terence si sentiva di nuovo quasi un essere umano. Dopo essersi ripulito e aver ordinato la sua stanza, aveva seguito Karen da Robert Hataway, non prima di aver messo qualcosa nello stomaco.

La ragazza era stata insolitamente silenziosa e non le aveva fatto più alcuna predica, limitandosi a suggerire di chiamare una carrozza o un taxi per evitare che usasse troppo il piede ferito.

I problemi erano cominciati nell'ufficio del suo capo, con un pugno sulla scrivania: "Io ti do di nuovo la mia fiducia e tu mi ripaghi così?!", aveva sbottato stringendo tra le dita il suo sigaro come se volesse stritolarlo.

"Non succederà più, Robert, io...", la sua giustificazione aveva scatenato altre urla. Gli stava tornando il mal di testa e il piede gli pulsava. Voleva solo uscire di lì a comprare un analgesico abbastanza forte, poi tornarsene a casa e bere mezzo litro di caffè per eliminare gli ultimi postumi della sbornia.

"Immagini che scandalo se il primo attore della compagnia Stratford venisse trovato a consumare alcool illegalmente? Hai idea delle ripercussioni su di me, che ti ho accordato...?".

"Ho detto che non succederà più!", quasi aveva gridato Terry, pur di mettere a tacere quella voce tonante.

L'uomo aveva sbattuto le palpebre, chiaramente colpito e infastidito da quella reazione. Ora, mentre lo guardava sedersi di nuovo e riacquistare la calma mentre aspirava dal sigaro, Terence ebbe solo voglia di rimettersi a fumare a sua volta.

Alla faccia dei buoni propositi.

"È sempre per quella ragazza, vero? Mi avevi chiesto un giorno libero: è venuta a trovarti?".

Terence strinse i pugni: non voleva che qualcuno parlasse di Candy e ficcasse il naso nei suoi affari: "Chi è stato a metterti queste idee in testa? Karen?", chiese urtato.

"Non importa, è chiaro come il sole che qualcosa in te non va. Prima era Susanna, ora è di nuovo una questione di cuore o il successo ti ha dato alla testa?".

Sospirò, cercando di controllarsi: "Non sono affari tuoi, Robert".

"Lo sono, maledizione!", esplose di nuovo, sbattendo un altro pugno e facendolo sussultare suo malgrado. "Lo sono dal momento che lavori per me e che se mandi in malora un altro spettacolo qui fallisce tutto! Non sono disposto a ipotecare il futuro della mia Compagnia per un ragazzino capriccioso, per quanto bravo possa essere, mi hai sentito Terence Granchester?".

"Graham, il mio cognome ora è Graham", lo corresse a denti stretti.

"Sì, quello che è!", ribatté Robert agitando le braccia in aria con noncuranza.

Per qualche istante non parlò, limitandosi a camminare avanti e indietro mentre prendeva ampie boccate dal sigaro. Terence era certo che stesse meditando di licenziarlo lì, su due piedi e, sorprendendo se stesso, non  provò alcun rimorso. Magari avrebbe davvero accettato la proposta di quell'impresario che voleva fargli fare un film con sua madre, per quanto l'idea lo allettasse ben poco.

Dopo qualche istante, invece, il suo capo sedette ancora e parlò con voce più calma: "Hai mai pensato di farti aiutare da un professionista, Terry?", gli chiese.

Lui alzò gli occhi per guardarlo, stupito: aveva capito bene?

"Mi stai suggerendo di andare da uno strizzacervelli, Robert?". L'idea gli fece quasi venir da ridere, ma si trattenne.

"Si tratta di un medico specializzato nella... nella mente umana", rispose agitando una mano mentre cercava evidentemente i termini da usare. "Magari ti fa tirare fuori parti di te che non conosci e parlando con lui puoi risalire al disagio...".

"Ne parli come se ci fossi andato a parlare tu, Robert", lo schernì.

"Insomma, non m'interessa come risolvi i tuoi problemi personali, Terence. O ti rimetti in riga o sei fuori. La prossima settimana partiamo per la tournée e ti avviso: al prossimo passo falso ti abbandono e cancello le date addossando a te tutta la responsabilità. Io potrò rialzarmi ma la tua carriera potrebbe finire in quel preciso momento".

Terry strinse i pugni: "Ora passi anche alle minacce?".

"Non è una minaccia, è una promessa".

La loro conversazione terminò lì e Terence decise che per ora avrebbe seguito semplicemente i suoi piani di tornare a casa e bere caffè, non prima di essersi rifornito in farmacia.

Aveva bisogno di stare solo e riordinare le idee. Da quando Candy se n'era andata non aveva avuto modo di rimanere con se stesso molto a lungo, perché lo spettacolo lo aveva tenuto impegnato. Poi, quando finalmente era stato libero di starsene un po' in pace, si era obnubilato la mente con l'alcool.

Per ricostruire la propria vita doveva essere lucido, invece. Ripensò alla distruzione dell'albergo, alla preoccupazione di sua madre e ricordò di aver fatto una promessa a Candy. E a se stesso.

Sospirando, Terence decise che non poteva continuare così: se non si fosse rialzato, la sua vita sarebbe stata rovinata irrimediabilmente. Doveva farsi forza senza cercare surrogati pericolosi e, anche se gli sarebbe costato molto caro riuscirci, s'impose di tentare.

A ogni costo.
 
- § -
 
Archibald Cornwell era sbalordito. Non c'erano altri termini più adatti al suo stato attuale, eppure quell'aggettivo non gli parve ancora abbastanza adeguato. Da quando Annie lo aveva trascinato nella sua stanza, che a sua detta era più vicina, gli era venuto in mente innanzitutto che non era consono che rimanessero da soli in camera, specie con la zia Elroy che li teneva d'occhio solo perché erano prossimi al matrimonio.

Invece erano lì, al centro della sua camera da letto, tra la porta e la finestra.

Aveva avvertito la rabbia che emanava e si era chiesto se per caso non avesse udito la sua conversazione con Albert. Quello sì che sarebbe stato grave! Stava ancora cercando di convincersi che non era successo nulla di simile quando le sue parole lo investirono come una doccia gelata: "La ami ancora, vero?".

Archie era rimasto immobile, deglutendo a secco e con l'espressione di stupore congelata sul volto, senza azzardarsi a muovere un muscolo. Per un attimo vagliò l'ipotesi di scappare, visto che la porta era rimasta accostata, ma sarebbe stato da vigliacchi.

Pensa, pensa!

"Io... uh, di cosa parli, tesoro?", chiese capendo subito che reagire così sarebbe stata una pessima idea.

Infatti lo fu.

"Non chiamarmi tesoro!", urlò Annie facendolo quasi barcollare. Annie urlava. Annie era arrabbiata. Forse, tutto sommato, quella davanti a lui non era Annie.

Aveva stentato a riconoscerla fin da quando si erano incrociati sulla scala e la tensione fra loro era esplosa in un'aria densa di silenzi e frasi di circostanza.

"Tes... Annie, vuoi spiegarmi perché sei così arrabbiata con me?", le chiese cercando di usare un tono fermo e fallendo miseramente.

Lei fece un lungo sospiro, come per contenere la rabbia, si voltò e si posizionò davanti alla grande porta finestra che dava sul balcone guardando fuori. Per un attimo, Archie la immaginò mentre saltava sul primo albero e si calava in giardino come faceva Candy ai tempi della Saint Paul School.

Che pensiero bizzarro!

"Che ne diresti se lo facessi anch'io?", lo sorprese lei ancora una volta. Il respiro gli si mozzò in gola.

Oddio, ha imparato a leggere nel pensiero!

 "Cosa... cosa intendi? Non ti capisco", balbettò sentendo un sudore freddo e viscido colargli lungo le tempie e la schiena.

Lei si girò e sul suo viso non era rimasto nulla della Annie che conosceva: sembrava una maschera di dolore e furia.

"Cosa intendo? Intendo saltare su un ramo e arrampicarmi come fa lei! Essere allegra ed espansiva come lei! È così che ti piacciono le ragazze, vero? Irruente, vivaci! E invece sei finito con me, che sono... sono...". Le sue spalle cominciarono a essere scosse dai singhiozzi e Archie le si avvicinò d'istinto.

Non era affatto preparato alla sua reazione: "Non ti avvicinare!", gridò ancora, schiaffeggiandogli via la mano che stava allungando per toccarla.

"Annie...", tentò con voce conciliante.

"E cos'altro vorresti che fossi, anche più intraprendente come... come in un romanzo rosa, di quelli che si leggono ora?". Archie non si accorse che stava indietreggiando. Dopo quella frase, la nuova Annie aveva cominciato a camminare nella sua direzione a grandi passi e lui ora aveva quasi le spalle al muro.

Ho paura di lei? Cosa può farmi, picchiarmi? Leggermi dentro? Non lo sta forse già facendo?

Rimase così per istanti che gli parvero eterni, mentre Annie, la dolce e timida Annie prima lo guardava con un'intensità a lui sconosciuta, poi gli afferrava il volto e, con uno scatto improvviso, chiudeva la distanza in quello che era il loro primo bacio.

E non era stato lui a prendere l'iniziativa.

La sentì tremare contro di sé, ginocchia contro ginocchia, petto contro petto, mentre pigiava la bocca fresca e morbida sulla sua. E, fosse dannato, lui non riuscì a far altro che rimanere fermo, gelato e con gli occhi spalancati dalla sorpresa, mentre la sensazione del corpo di Annie premuto contro il suo lo inebriava tanto quanto il suo profumo leggero e fruttato.

Perché non ho mai pensato di provare le sue labbra? Non avrei mai creduto che baciarla fosse così... così...

Una voce maschile interruppe bruscamente quell'incanto: "Archie, scusa, io... oh!".

In meno di un secondo Annie era sparita e lui aveva ripreso a respirare. Non si era accorto di aver trattenuto aria nei polmoni dopo aver inalato l'odore delizioso di Annie, né di essersi goduto quel bacio finché lei non lo aveva lasciato libero. Alzò gli occhi su suo zio, che aveva la faccia stravolta.

"Mi... mi dispiace, ma la porta era aperta, non sapevo...", era chiaramente in imbarazzo.

"Non lo sapevo neanche io", riuscì solo a dire passandosi una mano tremante tra i capelli e crollando a sedere su una poltrona.
   
 
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