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Autore: Lodd Fantasy Factory    19/03/2021    1 recensioni
Non ho tempo per le introduzioni. Devo raccontare questa storia, e voglio farlo il prima possibile. Prima che qualcosa mi possa fermare... prima che loro... sono dietro ogni angolo. Sono nella mia casa... cancelleranno tutto. Persino me...
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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19 Marzo 2021,

 

 

Quale terrore si è impadronito di me la scorsa notte!

Sono rimasto a lungo ad ascoltare quel trambusto venire dall’esterno della porta della camera. Avorio, artigli sfoderati, puntava la maniglia con sguardo predatore. Anche l’uomo più coraggioso avrebbe timore, nella mia condizione; questo pensiero è riuscito a farmi coraggio. Così, con il cuore in gola e la chitarra salda in una mano, mi sono avventurato nel corridoio. Dannata sia la mia scrupolosità nel tenere le luci spente quando non sono nelle altre stanze.

Per quanto in passato abbia amato la notte e l’oscurità, la loro capacità di amplificare ogni rumore, ogni minima sensazione, in questi casi è una caratteristica da detestare.

Il colpo, ritmato, proveniva dalla zona centrale della casa, vicino all’ingresso. Mi venne da chiedermi se qualcosa non stesse cercando di uscire.

Quando Avorio, fiero al mio fianco, ha lanciato il suo miagolio d’avvertimento, quel suono si è placato all’istante, quasi avesse finalmente individuato il proprio bersaglio. Ho provato subito l’istinto di sbarrare la porta, girare la chiave nella serratura e nascondermi sotto le coperte alla maniera dei ragazzini. Ma non ho più nessuno pronto a rassicurarmi del fatto che nell’oscurità non vi sia niente.

Ci sono solo io.

No.

Io, Avorio e questo terrore gelido.

Il pensiero dell’ultima storia di Philipp mi ha perseguitato anche mentre accendevo la luce del corridoio. Immaginavo quella cosa venir fuori dalla penombra del salotto, sfoderando contro il mio volto i suoi artigli d’osso. Avrebbe fatto scempio delle mie carni, ma senza uccidermi sul colpo. L’urlo straziante delle sue vittime era come una dolce musica di sottofondo per il pasto. Le mie grida sarebbero state udite da tutto il palazzo, ma nessuno sarebbe mai venuto a controllare. Mesi dopo, a distanza di molte tasse del condominio mancanti, qualcuno avrebbe finalmente trovato il coraggio di scoprire il mio cadavere. Avrebbe finito con il liberare quella cosa… un finale adatto ad un vicinato omertoso e disgustoso come il mio.

Questo pensiero mi fece addirittura sorridere.

A proposito di ciò, e vado un po’ fuori contesto, anche per alleggerirvi quest’ansia che mi assale a rileggermi: avete mai riflettuto sulla rapidità e l’insistenza di certi viaggi mentali? In un istante siamo capaci di costruirci film mentali così realistici da avere l’impressione di averli vissuti. La nostra mente è un cinema di serie B: ci passa tutta la mondezza del momento, e qualche volta delle perle destinate a perdersi nell’oblio della mente. */

*/ La vita che sto vivendo è un film di serie B. Scritto da cani, diretto da idioti. Quando comparirà un personaggio positivo nella mia vita? Non ho tenuto conto di voi… anche se siete di grande aiuto morale, non potete fare niente per aiutarmi… non volermene Anduin.

 

Tornando alla mia disavventura…

Chitarra in pugno, mi sono fatto largo per tutte le stanze lontane dall’ingresso, senza mai dargli direttamente le spalle. Nessuno in casa, almeno ad una prima occhiata. Poi, con Avorio a precedermi, abbiamo raggiunto il punto di origine di quel suono.

Silenzio.

Ma c’era qualcosa nell’aria.

Un odore.

Non riesco a descriverlo, perché sono riuscito a percepirlo solo per un breve attimo.

Era sgradevole.

Se i film horror mi hanno insegnato qualcosa, è che bisogna guardare proprio dove meno ci si aspetterebbe di trovarla: il soffitto. Avorio ha avuto la mia stessa idea.

Ed eccolo lì, annidato nell’angolo sopra la porta: un essere antropomorfo, il quale scaturiva da un ulteriore corpo aracnide dai peli pungenti, di un raccapricciante rosso scuro; la peluria risaliva sino a capo di quel suo fisico ignudo, dove un cespuglio di riccioli oleosi nascondeva il suo volto; vi era posto solo per otto fessure iniettate di sangue, sbarrate sulle nostre figure. L’essere si sorreggeva con le sue otto zampe a una tela spessa come filo spinato; l’intero soffitto ne era ricoperto!

Rimasi pietrificato!

Avrebbe potuto far di me ciò che voleva.

Tutta quella follia era però solo il frutto della mia mente tormentata dal caos dell’orrore. Possiamo, con i nostri pensieri, rendere reali certe fantasie? Mi auguro di no.

Fu proprio quel boato contro il portone blindato a ricordarmelo.

Avorio sfoderò gli artigli e soffiò contro l’ingresso.

Di nuovo silenzio.

La luce dell’androne delle scale era spenta. Era lì fuori, padrone dell’oscurità, pronto ad aprirsi un varco verso di noi.

Mi affrettai a girare la manopola che imposta un secondo blocco al portone, giusto in tempo per udire un secondo forte boato. Lo specchio che si trova all’ingresso ha fatto come per staccarsi. Possibile che fossi l’unico ad udirlo all’interno del palazzo?

No, riusciva a percepirlo anche Avorio.

La verità è che al palazzo non interessa un beneamato di me. Fosse per gli altri condomini, leggerebbero volentieri il mio necrologio sul giornale, augurandosi che i prossimi inquilini possano essere meno fastidiosi. Si sarebbero dunque limitati a farmi trovare l’ennesimo richiamo di proteste nella cassetta delle lettere.

 

Esclusa a priori l’idea di aprire, azzardai a fare qualcosa di cui ancora adesso mi pento. */

 

*/ E se dovessi svanire nel nulla, da domani, sarà probabilmente colpa di questo mio osare quando non è il caso.

Avvicinato l’occhio allo spioncino, diedi uno sguardo all’esterno. Sentii vibrare il mio volto dopo l’ennesimo tonfo. L’oscurità si aprì verso il corridoio. La tenue luce della finestrella dell’ascensore mise in evidenza una sagoma scura. Qualcosa di verdognolo e violaceo brillava al centro di quella massa informe, dai contorni gassosi.

Volevo vederla. Volevo appurare la sua esistenza.

Quasi fossi un’eroe da film horror - e concedetemi questo mio dipingermi così coraggioso, quando non lo sono – mi sono concesso di pronunciare la mia frase ad effetto:

“Vediamo se ti piace la luce, figlio di ….” dissi frattanto che pigiavo l’interruttore a molla.

L’ennesimo boato mandò in frantumi il lampadario a luci LED prima che avesse il potere di rischiarare la zona. Ma quell’estensione, un arto fulmineo, ondeggiante, fluido, mi riportò alla mente quel viscido pozzo di cui vi ho già raccontato i primi giorni di questo diario.

Era reale.

Era presente.

Era una minaccia.

Poi, alle sue spalle, scorsi una nuova luce rischiarare il fondo del corridoio.

La porta del vicino!

“Torna dentro!” mi è venuto da gridare con quanto fiato avessi in gola, battendo i pugni contro il portone blindato, e per farlo mi fu necessario staccare l’occhio dallo spioncino. “Torna dentro!”

Quando tornai ad osservare, lo vidi: il profilo del vicino armato di mazza; di quella sagoma, invece, nessuna traccia.

Suonò al campanello, e quel verso stridulo mi fece accapponare la pelle. Avorio continuò a soffiare, come preda di una foga sconosciuta.

“Apri, pezzo d’idiota!” e picchiò la mazza contro il portone. “Ne ho le scatole piene delle tue stranezze. Apri! Apri che ti riduco quella faccia da idiota a un colabrodo!”

“Ti prego, ascoltami: devi tornare a casa tua! Torna a casa tua!” ho tentato invano di convincerlo. Gli insulti e qualche nuovo colpo di mazza furono la sua risposta.

L’ombra si stagliò alle spalle del vicino, quasi lo stesse governando in qualche modo. L’ennesimo impatto del legno sul legno, ma meno forte di quello prodotto dall’Essere.

Avrei voluto pregarlo di smettere, ma i suoi insulti, la sua rabbia, il suo vomitarmi contro un odio incomprensibile, alterarono la mia umanità. No, è più corretto dire che misero in mostra il vero lato oscuro della nostra umanità: distolsi lo sguardo dalla porta.

“E allora muori…” aggiunsi, deponendo anche la chitarra.

Non avrebbe potuto sfondare il portoncino con una mazza, non con le sue sole forze perlomeno. Attesi che ne avesse abbastanza, quindi tornai a guardare. Lo vidi dirigersi verso casa sua, l’entità fedele al suo seguito.

Che stesse giocando con me, con la mia umanità, mi parve subito chiaro: il suo era un gesto di ricatto.

Allora, afferrate le chiavi di casa e il giubbotto, mi lasciai alle spalle Avorio e il portone in chiusura, e mi mi precipitai giù per le scale a lunghi balzi.

Decisi di correre a perdifiato per farmi inseguire.

Ho girovagato per tutta la notte senza un meta, prediligendo le zone illuminate.

Ma non credo che quella cosa mi abbia seguito. Anzi, sono quasi sicuro che non lo abbia fatto.

Non mi sono sentito tallonato, anche se non mi è mai venuto in mente di smettere di muovermi, se non il tanto per riprendere fiato.

 

Ho dormito in un giardino pubblico, come un barbone, quando è spuntato fuori il sole.

Tornando, non ho potuto fare a meno di provare un profondo senso di agitazione. Avevo lasciato il Diario di Philipp in casa. Ho risalito nel scale con la tremarella alle gambe.

Avorio mi ha accolto con il solito lamento, strusciandosi contro il mio stinco. Sembra molto felice di vedermi, oltre che affamato.

Per mia fortuna è tutto in ordine.

Rimane una sola riflessione da fare:

Se non sono stato inseguito, quella cosa deve aver... è meglio non pensarci.

Vorrei andare dal vicino, ma ho terrore che, qualora fosse ancora vivo, possa decidere di spaccarmi la testa con la sua mazza.

Una domanda continua tormentarmi: possiamo rendere reali i nostri sogni, i nostri pensieri o le nostre paure?

Devo ancora raccontarvi di come è andato a finire il racconto di Philipp in quelle segrete. Forse mi sto lasciando condizionare troppo dalle sue disavventure. Devo concentrarmi su di me...

Non ho la forza di continuare a scrivere. */

*/Non ero abituato a scrivere così a lungo; le mani mi fanno male per lo sforzo. Forse ho i tendini infiammati. Cosa dovrei fare? Quali sono i vostri consigli?

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile…

 

 

Philipp Lloyd.

   
 
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