Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mondschein    21/03/2021    0 recensioni
JeanKasa
Modern!AU
Farsi convincere dalla propria famiglia ad andare in vacanza insieme a loro era stato un grande sbaglio, ma Mikasa dovrà ricredersi quando, a causa di un piccolo incidente in spiaggia, conoscerà Jean. Un incontro casuale che le permetterà di affrontare la relazione passata e chiuderne i battenti una volta per tutte, agguantando così una nuova esperienza, una nuova occasione.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La maggior parte delle volte non è facile iniziare una relazione. Troppi possono essere i dubbi e le incomprensioni che si interfacciano con la realtà dei fatti. Bisogna avere la maturità necessaria di affrontare insieme a un'altra persona la vita di coppia, e molti non ce la fanno a stare al passo con il proprio partner. Non basta l'amore, ci vogliono fiducia, amor proprio e la consapevolezza di affrontare qualcosa che è più grande della persona che si ama. E Mikasa lo avrebbe capito a tempo debito.


 

Si erano conosciuti al mare in un giorno ventoso, tant'è vero che era fastidioso stare per cinque minuti sdraiati sul telo. 
«Vado a mettere i piedi a bagno» disse Mikasa ai suoi genitori, Carla e Grisha, alzandosi e pulendosi le cosce piene di sabbia che le sfregava la pelle candida. Aveva sempre odiato la spiaggia, non solo perché non si faceva altro che stare sotto il sole e abbronzarsi, ma per tutte quelle volte che si scottava e si annoiava, avrebbe preferito di gran lunga stare a casa da sola. I suoi genitori però le avevano negato questo suo desiderio. Passava le sue giornate a studiare, diceva sua madre, a guardare anime al computer oppure a leggere fumetti, e una settimana al mare le avrebbe solo fatto bene! 
«Non allontanarti troppo» ammonì Carla, indirizzando uno sguardo veloce alla figlia, per poi rivolgere di nuovo la sua attenzione alla rivista le cui pagine svolazzavano a causa del vento. 
«Hai messo la crema?» chiese invece suo padre, sempre apprensivo. 
«Sì, sì» rispose seccamente, e si allontanò mentre sistemava i capelli in una coda alta. Le erano cresciuti molto e adesso le arrivano alle spalle. A pensarci non si era mai curata molto dei suoi capelli, da quando si era lasciata con Floch. Aveva passato dei mesi d'inferno, ma grazie alla sua migliore amica Sasha e alla sua famiglia si era risollevata. Tuttavia, era ancora troppo scossa dopo quella relazione finita decisamente male, e non aveva intenzione di fare gli stessi errori. Per questo motivo aveva iniziato a trascurare il suo aspetto, facendosi crescere i capelli un po' come capitava a loro. 
Eren l'aveva convinta a tagliarli, perché, secondo lui, stava meglio con un taglio corto e Mikasa gli aveva promesso che l'avrebbe fatto; contava sempre su Eren, anche per le cose banali. Anche se si differenziavano di un solo anno, erano sempre andati di comune accordo e si aiutavano a vicenda per qualsiasi cosa. 
Ma c'erano dei momenti - ad esempio ora in spiaggia, - che proprio avrebbe voluto urlargli contro di quanto fosse uno stronzo. Lasciarla da sola con i loro genitori mentre lui e la sua scorribanda di amici se ne andavano chissà dove, era un gesto deplorevole. E meno male che non voleva immaginarsela da sola a casa! 
Gli avrebbe mollato felicemente due ceffoni in faccia, così da fargli vedere le stelle. Alla prossima vacanza si sarebbe imposta di più con i suoi parenti. 
Arrivò finalmente a riva e mise i piedi nell'acqua. Le venne un brivido di freddo ma subito si rilassò grazie alle onde del mare che si infrangevano sul bagnasciuga. Il mare quel giorno era mosso, non le piaceva e non sarebbe entrata da sola. 
Si accovacciò e poi distese le gambe, sedendosi portando le mani dietro di sé per sostenersi. Con quel vento che le sferzava il viso, immaginò di essere protagonista in una di quelle pubblicità estive. 
"Voglia di estate e mare, allora provate la nuova linea estiva di costumi da bagno", oppure, "Troppo caldo e la pelle si infiamma? Previeni subito, con la nuova crema solare doppia protezione!
Sorrise, e cacciò dalla sua caviglia un'alga fastidiosa che le si era appiccicata all'improvviso. Mikasa aveva una fantasia effimera, ma non potendola condividere con nessuno, poteva solo farlo con se stessa. 
Sì, appena Eren torna gli terrò il muso per tutto il giorno, pensò mentre guardava le nuvole cambiare velocemente la loro forma. 
Intanto, solo il vociare dei bambini e delle altre persone la tenevano in compagnia. Alcuni discorsi che sentiva erano in italiano, per cui non ci capiva assolutamente niente. 
Quella era una meta scelta da molti turisti tedeschi, ma di ragazze interessanti con le quali fare amicizia non ne aveva trovata mezza. Forse a causa del suo carattere poco estroverso. Che ci poteva fare se era una persona selettiva? 
Diede un'occhiata alla sua sinistra e intravide due ragazzi giocare a palleggio, poi tornò a fissare il mare con aria annoiata. Avrebbe pagato oro se solo le fosse concessa la possibilità di tornare a Monaco, tra i suoi libri, fumetti, serie tv e... 
«Attenta!» 
Mikasa si voltò in tempo prima che una palla le colpisse la testa. Portò le mani in avanti e la palla rimbalzò sui suoi palmi e cadde accanto a lei, trascinata via dall'onda. 
«Mi dispiace molto, ti sei fatta male?» Una voce calda, suadente e gentile. Sì, la colpì nel petto fin da subito, anche perché chi l'avrebbe detto che proprio un tedesco le si avvicinasse? Appena alzò lo sguardo sul ragazzo, restò affascinata dal suo aspetto. Era bello, davvero molto bello. 
«No.» Mikasa si alzò recuperando la palla, trovandola inaspettatamente molto leggera. «Ecco, tieni.» 
«Grazie, con questo vento va dove le pare e piace» ridacchiò lui, leggermente imbarazzato, o così parve a Mikasa. Si fermò a guardarla un po' troppo a lungo finché la ragazza non rispose. «In effetti... quella palla la usano i bambini di solito.» 
Una frase che a Mikasa non piacque mentre la pronunciava. Suonava così fuori luogo che per un momento pensò che sarebbe stato meglio scavare una fosse e buttarcisi dentro. 
«Ma lo so! Il mio amico non ne aveva altre» disse lo sconosciuto ridendo di gusto. Non si era offeso, per la gioia di Mikasa. 
«Ah, in questo caso, meglio che niente» affermò con un'alzata di spalle. 
«È la stessa cosa che dice il mio amico, ma il mio strano motto è: mai accontentarsi. Ancora scusami per la quasi pallonata in faccia. Ci vediamo!» 
Alzò velocemente la mano come segno di saluto e Mikasa ricambiò allo stesso modo. Lo osservò mentre si allontanava e poi si guardò intorno, come per accertarsi che nessuno dei suoi familiari l'avesse vista. 
Appena fu sicura che non c'erano sguardi indiscreti, decise di immergersi fino a metà coscia nell'acqua, per far vedere ai genitori quanto fosse penoso fare il bagno in solitudine. Almeno così si sarebbero sentiti in colpa.

***

«Alla buon'ora» disse Mikasa appena vide suo fratello arrivare sotto il loro ombrellone. Aveva abbassato gli occhiali da sole e lo stava fissando con uno sguardo di fuoco, altro che scottature dai raggi solari. 
«Che c'è? Abbiamo giocato a calcetto nell'altra spiaggia» rispose prendendo una bottiglia d'acqua dalla borsa. Guardò per un attimo i due teli vuoti dei genitori, poi passò la sua attenzione su Mikasa. «Papà e mamma?» 
«Sono andati a fare una passeggiata circa un quarto d'ora fa» rispose visibilmente scocciata, riprendendo a leggere dal telefono. Doveva restare offesa con lui per tutto il tempo e così avrebbe fatto. 
Eren si distese sul suo asciugamano, dopo aver sciolto i capelli rendendoli ancora più disordinati. «Capisco, allora, appena tornano di' loro che stasera vado a mangiare una pizza con Connie, Reiner e Berthold. Penso vengano anche delle loro amiche.» 
Mikasa si voltò verso di lui con una sopracciglia alzata e si tolse gli occhiali. «Perché dovrei dirglielo io?» 
Eren poggiò la testa sul palmo della mano mentre si girava su un fianco. «Tra poco viene Connie e ci facciamo un ultimo bagno insieme.» 
«Grandioso.» Mikasa indossò di nuovo gli occhiali e tornò a concentrarsi sulla sua lettura. I libri in quelle circostanze erano il miglior antidoto su tutto. 
«Sei arrabbiata?» chiese Eren, titubante. Capiva alla svelta quando Mikasa lo era, anche se gli era difficile trovare cosa le provocasse questo malessere. Di solito lei aveva l'abitudine di chiudersi a guscio e non dire niente a nessuno. Ma Eren dovette ricredersi appena lei si voltò di scatto, mettendosi in posizione seduta. 
«Se sono arrabbiata?» si tolse gli occhiali, «sono furibonda. Mi avete convinta a venire fin qui, però io non mi sto proprio divertendo.» 
«Guarda che siamo solo al secondo giorno di vacanza, e poi ti avevo chiesto di venire con me e i miei amici stamattina.» 
«Appunto, sono tuoi amici, non miei. Io non mi trovo bene con loro. Per questo volevo stare a casa in santa pace.» 
«Sei tu che non sai come divertirti! Sempre a leggere su quel dannato telefono, ma fatti degli amici veri e non virtuali.» 
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mikasa schiuse le labbra sorpresa e si alzò infuriata. «Vaffanculo.» 
Indossò la sua vecchia maglietta nera dei Thirty Seconds To Mars, che le stava decisamente larga, e i pantaloncini del medesimo colore. Afferrò la borsa con dentro i suoi effetti personali mentre Eren cercava di farla ragionare. 
«Me ne torno in camper. E non scordarti di dire ai tuoi genitori che te ne vai con i tuoi amici stasera.» Quando si arrabbiava con Eren sottintendeva sempre la sua adozione e che Carla e Grisha fossero in primo luogo i genitori di Eren, e non i suoi.
«Aspetta Mika-» provò a rincorrerla ma lei lo spintonò via con una forza da far invidia a qualunque ragazzo della sua età. Andare in palestra dà i suoi frutti, pensò ironicamente Mikasa. Si girò di spalle e continuò a camminare con la sua andata veloce e decisa. 
L'area camper dava proprio sulla spiaggia: era molto grande, con le piazzole per i camper, le roulette e gli chalet. C'erano bar e ristorante e accanto la piscina, frequentata soprattutto dai genitori con i loro bambini. 
Mikasa percorse un lungo tratto di strada prima di arrivare alla postazione del camper di famiglia. Era un Chartago ma se l'erano potuto permettere grazie al lavoro ben retribuito di Grisha. Ce l'avevano ormai da tre anni, ed era in ottime condizioni, spazioso e comodo. Mikasa lo adorava solo perché sembrava una specie di camera d'albergo mobile. Aprì il camper con l'unica chiave che avevano ed entrò, posando il borsone sopra la poltrona. 
Sospirò rammaricata e prese un asciugamano per farsi la doccia. Era piena di sabbia e ovviamente era una cosa che odiava più del mare. La sua pelle candida era segnata dal rossore, anche se si era messa la crema solare protezione 50, la sua era comunque delicata. 
Finito di lavarsi, lasciando i capelli sciolti e bagnati, indossò abiti comodi e puliti, perennemente neri, il suo colore prediletto e si sistemò sul suo letto, sopra a quello di Eren. 
Ogni qualvolta che andavano in vacanza in quel posto infernale faceva amicizia con amiche diverse, mai una che andava lì l'anno successivo. Invece Eren era sempre stato fortunato, perché come loro, le famiglie dei suoi amici erano abitudinari e tornavano sempre in quel campeggio. 
Mikasa quell'anno avrebbe voluto cambiare locazione, ma no, i suoi genitori volevano viziare Eren fino agli sgoccioli. Per questo è cresciuto testa di cazzo, pensava Mikasa, mentre guardava Instagram. Vide le stories di suo fratello che giocava con i suoi amici. Scosse il capo e chiuse l'app per andare a leggere le sue amate storie scaricate illegalmente sul telefono. Perse la cognizione del tempo mentre leggeva, trasportata animatamente dalla storia che poco a poco si sarebbe conclusa, venne però distratta dal bussare alla porta. 
«Mikasa, ci sei?» 
Sua madre. 
Sospirò e scese giù dal letto andando ad aprire ai suoi genitori. «Ovvio che ci sono. Pensavate che vi avrei lasciati fuori dal camper come cani abbandonati?» 
Tornò alla sua postazione mentre riceveva sguardi di disapprovazione da parte di Carla. «Non ti sei di nuovo asciugata i capelli con il fon? Lo sai che ti verrà il mal di testa.» 
«Me ne farò una ragione» rispose Mikasa non prestando troppa attenzione. 
Grisha si avvicinò a lei, posando una mano sulla spalla della ragazza. «Mika, c'è qualcosa che ti turba?» 
«Tutto, papà.» Non lo guardò in faccia e si distese su un fianco dando loro le spalle. 
«Dov'è Eren?» Il suo tono era seccato. Suo fratello faceva la bella vita e aveva tutte le libertà di questo mondo. A lei non le era stato concesso di restare da sola a casa per dieci giorni. Cosa pensavano? Che era un'imbranata e che non sapeva badare a se stessa? 
«E' rimasto in spiaggia con Connie. Stasera visto che non c'è vorresti venire con noi a fare una passeggiata in centro città?» 
Col cazzo, avrebbe voluto rispondergli. Ma era pur sempre suo padre, l'uomo che aveva deciso di adottarla nonostante avesse già la bellezza di sette anni. Molti genitori rifiutavano di compiere quel passo con un bambino di età già grande, perché era consapevole che la coppia non era la sua famiglia biologica. 
«Non ho tanta voglia» sospirò Mikasa alla fine. 
Carla guardò il marito e scosse il capo, un modo per dire di non insistere. La lasciarono in pace, almeno per il tempo di farsi la doccia e poi, insieme a sua mamma, Mikasa si decise a cucinare. 
Chiacchierano per tutta la durata del pasto e finita la cena, i genitori si premunirono, dicendole che non sarebbero tornati troppo tardi a casa. 
Rimasta di nuovo sola, Mikasa si preoccupò di andare a lavare i piatti. Da sola ci avrebbe impiegato un po' di più, perché bisognava raggiungere i lavandini comuni e fare dietrofront, sempre con tutta la roba all'interno di una bacinella. Carla aveva pensato per quella sera di utilizzare i piatti e le forchette di plastica, almeno ci sarebbero state stoviglie in meno da lavare. 
Svolto anche quel lavoro noioso e salita di nuovo in camper guardò l'ora. Erano solamente le nove e mezza. Avrebbe potuto vedere un film, ma non voleva consumare tutti i giga a disposizione per quella settimana. 
Acconciò i capelli in una treccia francese e soddisfatta del risultato, si specchiò, trovando il suo aspetto molto bello. Rifletté un momento sul da farsi, e ricordandosi del bar del campeggio aperto di notte per i giovani, pensò che sarebbe stato carino passare una serata diversa dal solito. 
Uscì di casa mettendosi le scarpe da ginnastica, indossò una maglia larga che sistemò dentro i pantaloncini blu jeans a vita alta. Era vestita in maniera molto casuale, tanto non doveva far colpo con nessuno. 
Come ben sperava, appena era arrivata in prossimità del bar, era aperto, con la musica da disco a palla e una moltitudine di giovani dentro a bere cocktail e divertirsi con gli amici. 
Deglutì, pentita già di quella scelta, ma entrò lo stesso dentro il locale, cercando di ambientarsi e leggendo l'elenco dei drink offerti. 
A diciassette anni non poteva permettersi di bere alcolici, così ordinò al barista un Red Sunset in un inglese impeccabile e aspettò, incrociando le braccia sul bancone. Si guardò in giro incuriosita dai volti dei giovani lì presenti. Il chiacchiericcio generale e la musica a palla le rendeva impossibile capire chi stesse parlando in italiano e chi no; se era fortunata, qualche tedesco l'avrebbe trovato. 
Prima di ricevere il suo drink, un viso familiare le catturò l'attenzione e fu felice e imbarazzata allo stesso tempo mentre riconosceva il ragazzo che le aveva tirato per sbaglio il pallone addosso. 
Il barista la fece tornare con i piedi per terra, e dopo averlo ringraziato afferrò il suo drink e iniziò a berlo, immaginando come avrebbe fatto ad approcciarsi a quel ragazzo. La prima cosa importante da considerare: non era da solo. Era insieme a tre ragazzi, uno che aveva visto insieme a lui quel pomeriggio in spiaggia, mentre gli altri due erano dei completi sconosciuti. La sua idea era andare lì, salutarli, chiedergli gentilmente se poteva unirsi al loro tavolo. Sì, nella sua testa pareva già un fallimento totale. 
Sospirò e tornò a bere due sorsi del suo drink, mettendo su un broncio scocciato. Si sentiva una sciocca a pensare solo di poter "provarci" con un tipo conosciuto per caso in spiaggia. Appena avrebbe finito il suo drink sarebbe tornata in camper sconsolata. Si sarebbe messa a letto a leggere, aspettando i suoi genitori che avevano passato una serata piacevole loro due in compagnia. 
E lei sola, come sempre. 
«Ciao.» 
O forse no. 
Mikasa si voltò seguendo la voce e quasi non le andò di traverso il Red Sunset. Quel ragazzo l'aveva riconosciuta e aveva avuto il coraggio di andare a parlarle. Si pizzicò di nascosto il braccio per essere sicura di non stare sognando. 
«Ehi.» 
Il suo cuore iniziò a palpitare per il nervoso. A volte desiderava essere una ragazza estroversa e solare, che non si fa problemi a fare amicizia con gli altri, invece era nata e cresciuta fastidiosamente introversa e scettica. Per questo motivo faceva fatica a fare amicizia. 
«Sei sempre da sola, come mai?» chiese il ragazzo, forse era un suo modo per approcciarsi. 
«A quanto pare, sì» rispose in modo vago, sorridendo appena, e non lo guardò in faccia.
«Come ti chiami?» 
«Mikasa, e tu?» 
«Jean. Ti va di venire al mio tavolo?» 
Le sembrava una cattiva idea infiltrarsi come un parassita all'interno di un gruppo in cui non conosceva nessuno. Però quel ragazzo l'aveva gentilmente invitata a far loro compagnia... o gli stava semplicemente facendo pena. 
Avrebbe colto la palla al balzo, per ironia.
«Mh, d'accordo.» Accettò l'invito senza fare troppe storie e il ragazzo ricambiò con un sorriso genuino, contento, come se non avesse desiderato altro. Lo seguì fino al tavolo in cui erano seduti i tre amici di Jean, il quale la presentò al resto del gruppo. 
«Ragazzi, lei è Mikasa. Mikasa ti presento Marco, il proprietario della palla per bambini - il ragazzo moro con le lentiggini ridacchiò divertito, - e loro sono Marlo e Hitch.» 
«Sei cinese?» chiese Hitch puntandole il bicchiere pieno di chissà quale alcolico. La sua faccia annoiata non diede una buona impressione a Mikasa e cercò di non far trasparire il suo caratterino velenoso. 
«No, ho origini giapponesi» rispose con calma mentre si sedeva accanto a Jean. Posò il suo bicchiere con ancora un po' di Red Sunset sul tavolo, ma c'era più ghiaccio che altro lì dentro. La musica era assordante, quasi le veniva voglia di andarsene via da quel posto, e in fretta. 
«Da dove vieni, Mikasa?» chiese Marco gentilmente, piegandosi un po' in avanti per vederla meglio, visto che Jean gli copriva la visuale. 
«Da Monaco, e voi?» 
«Che coincidenza!» esclamò Jean sorpreso. «Anche io vengo da Monaco. Una città in provincia.» 
«Ma dai...» esalò Mikasa, stupita persino lei della inusuale coincidenza. 
«Anche io» disse Marco, «ma io ora abito in Italia con i miei nonni per l'università. Sono avvantaggiato perché so ben parlare l'italiano!» 
Interessante, pensò Mikasa. A primo attrito aveva paura di conoscere chissà quali persone pazze e squilibrate, invece fino a ora erano normali. 
«Noi due invece abitiamo a Berlino» parlò Marlo, indicando con il pollice se stesso e la ragazza seduta accanto a lui, che non aveva smesso di bere. 
Mikasa annuì impercettibilmente mentre ascoltava con attenzione il racconto di Marlo, regredendo sempre di più l'entusiasmo provato poco prima. Scoprì, in realtà, che non gliene fregava nulla di cosa studiasse Marlo o come si fossero conosciuti lui e Hitch. Ogni tanto le capitava di lanciare delle occhiate al ragazzo seduto accanto e avrebbe tanto voluto sapere qualcosa in più su di lui. Ma a "rovinare" la serata era quella noiosa coppietta di fidanzati, che per la gioia di Mikasa alzarono i tacchi per tornare al loro chalet. Hitch era tutt'altro che sobria. 
La decisione unanime fu quella di tornare tutti ai propri alloggi. Non era nemmeno troppo tardi, ma Mikasa decise che per il momento andava bene così, perché tanto i suoi genitori stavano facendo ritorno in camper. 
«Tu in che direzione vai?» chiese Jean quando furono fuori dal bar, dopo aver pagato il conto. 
«Nella zona camper, dall'altra parte.» 
«Oh, vuoi che ti accompagni?» 
L'io interiore avrebbe risposto che se la sarebbe cavata da sola, che non c'era bisogno di fare il cavaliere per fare un favore tanto scontato quanto squallido. Ma d'altro canto voleva conoscere proprio lui, no? Mettere via l'orgoglio non le costò nemmeno tanta fatica. 
«Se vuoi, se non ti reca disturbo.» 
«Macché! - si voltò verso Marco, - tu vai pure, arrivo tra un quarto d'ora.» 
«Va bene amico, buonanotte Mikasa.» Salutò la ragazza e camminò nel senso opposto al loro. Jean le spiegò che era insieme a Marco in vacanza, l'aveva raggiunto in città dove alloggiava dai suoi nonni e poi in macchina erano venuti in campeggio per passare la settimana al mare. 
«E quindi quanti anni hai?» 
«Diciannove, e tu?» 
«Diciassette.» 
Calò un momento di silenzio, nel frattempo camminavano a passo lento, senza fretta di raggiungere il camper di Mikasa. A un certo punto Jean prese dalla tasca dei suoi pantaloni un pacchetto di sigarette e ne tirò fuori una che mise fra le labbra. La accese in un solo colpo e fece lungo tiro, sbuffando via il fumo dalla parte opposta a Mikasa. 
«Ah, ti dà fastidio per caso?» 
Mikasa scosse il capo. «No, tranquillo. Anche il mio ex fumava, sono abituata.» 
Le balenò in mente un bruttissimo ricordo, in cui Mikasa alla sola età di quindici anni supplicava Floch, suo coetaneo, di non fumare di fronte ai suoi genitori. Se solo avessero saputo che frequentava un fumatore, conoscendoli, si sarebbero messi in guardia e probabilmente le avrebbero fatto aprire gli occhi subito. Non che ci fosse qualcosa di male perché fumasse, ma intercettando la sua compagnia di amici, avrebbero capito la vera persona che aveva celato per tutto il tempo in cui si stavano conoscendo. Mikasa ci era rimasta davvero male, perché aveva captato immediatamente la relazione tossica di cui si era impelagata. Ci aveva tenuto sul serio a Floch e lasciarlo era stato un brutto colpo. Ma l'aveva fatto per se stessa e per la sua famiglia, che aveva capito la gravità della situazione. 
«Ex, eh?» commentò Jean, risvegliandola da quel fiume di pensieri. «E adesso sei impegnata?» 
«No, no.» Fu urgente il suo diniego a quella domanda. Come se, al solo pensiero di un'altra relazione, la turbasse. 
«Brutta esperienza? Ti posso capire.» 
«Come mai?» chiese, sperando di non essere troppo invasiva. Ma Jean non si indispettì e, anzi, rispose senza vergogna alla domanda. 
«Sono stato con un tipo per circa nove mesi, poi, mentre io mi crogiolavo sul da farsi, lui mi ha lasciato, così.» Si strinse nelle spalle e Mikasa quasi non ricevette un colpo secco sul petto, simile a una pugnalata, ma più intensa. 
Con un tipo... quindi era gay? 
«Cercava di inculcare nella mia testa che finché stavo con lui potevo definirmi cento per cento omosessuale, ma non è così porca puttana!» 
Sorrise a quella enfasi, allora la domanda le sorse spontanea. «Sei bisessuale?» 
«Certo» disse con una punta di orgoglio, fiero di quella consapevolezza e la cosa che più entusiasmò Mikasa era che ne stava parlando a lei come se fosse una cara e vecchia amica. Senza imbarazzo alcuno.
«Questa si chiama discriminazione. Come può il tuo ragazzo dirti che, visto che ti sei messo con lui, sei sicuramente gay ai massimi livelli? Non ha senso! Per darti un esempio stupido: se vedo una ragazza bella non vado a nascondermi sotto un telo a negare che quella ragazza lo sia davvero.» 
«Stessa cosa se ti metti con una ragazza e fai un complimento a un ragazzo?» 
Jean le puntò le due dita strette intorno alla sigaretta. «Esatto!» 
«Ma ciò che dici potrebbe presumere che tu voglia dire a qualsiasi ragazzo o ragazza che incontri che sono belli e che te li faresti. Se fossi fidanzato non credi che il tuo ragazzo o ragazza sarebbero gelosi?» 
«Non intendevo questo» inspirò un'altra boccata di fumo. «In una relazione se c'è fiducia non vai a pensare che l'altra persona ti stia tradendo a prescindere. Questo significa che il tuo presunto fidanzato ha anche la libertà di dire e ammettere che un'altra ragazza è bella, ma finisce lì. E magari tu puoi anche metterti accanto a lui e dire "eh, sì, hai proprio ragione", per poi tornare a fare le solite zozzerie, capisci ora?»
Mikasa scoppiò a ridere, influenzando Jean, ma fu questione di un attimo, e un sorriso mesto le si formò sulle labbra. «Il mio ex era geloso di tutto. Persino di mio fratello.» 
Jean aggrottò le sopracciglia e spense la sigaretta contro un palo della luce e la buttò nel primo cestino che era capitato lungo la strada. «Di tuo fratello?» 
«Sì, ecco... io sono stata adottata.» 
«Oh.» 
«E sapere che non eravamo fratelli di sangue gli faceva pensare a cose strane. Ammetto che mio fratello è molto più bello del mio ex, ma non mi sognerei mai di innamorarmi di lui in quel senso. Sinceramente mi fa anche schifo l'idea di esserne attratta.» 
«Eh sì, immagino.» 
Restarono per qualche istante in silenzio, camminando per le vie intersecate del campeggio. Molti camperisti erano ancora svegli: c'era chi stava fuori sotto la tenda, al tavolo giocando a carte, chi guardava la tv, chi chiacchierava animatamente e chi ancora restava seduto fuori a godersi la frescura della sera. 
Erano quasi arrivati al camper e Mikasa sentiva il bisogno di stare ancora un po' con lui. Sperava che l'indomani potesse ancora avere l'opportunità di vederlo e conoscerlo più a fondo. 
«Hai avute anche altre relazioni?» chiese lei, vedendo in lontananza il suo camper. 
«Sì, a quattordici anni ho avuto una storia con una mia compagna di classe. Ma ero praticamente un bambino, non ne capivo niente di relazioni.» 
Mikasa annuì comprendendo la situazione. La sua prima relazione seria la rese consapevole di quanto fosse stato acerbo il suo sentimento verso Floch. Ma era maturata molto dopo la rottura, e adesso vedeva in altro modo quel genere di cose. Ed era contenta, almeno in questo, di non essersi concessa a Floch. 
«Siamo arrivati.» Si fermò davanti al camper e sorrise quando scorse la faccia stupita di Jean. Il ragazzo fischiò. «Caspita, questo sì che è un bel camper.» 
«E pensa che mio padre fa il modesto.» Risero all'unisono, e poi si guardarono negli occhi, uno di fronte l'altra. 
«Ti ringrazio di questa serata.» 
«Grazie a te, Jean. Se non ti fossi avvicinato probabilmente me ne sarei tornata qui subito.» Le sue parole erano intrise di rammarico e gratitudine. Jean non aveva idea di quanto fosse contenta di aver parlato con lui. 
«Allora ti auguro una buonanotte, domani ci becchiamo in spiaggia?» Se non fosse stato per il buio, Mikasa avrebbe intravisto un leggero rossore formatosi sulle guance del ragazzo. 
«Sicuro, Jean.» 
Non vedo l'ora, avrebbe voluto dirgli, ma tenne per sé quelle parole. Restarono ancora per un attimo a fissarsi come due pesci lessi, finché Mikasa non distolse lo sguardo, dando due colpi di tosse. 
«Bene, allora buonanotte.» 
Prese le chiavi del camper dalla borsa e si avvicinò alla porta. Jean ricambiò di nuovo il saluto con un cenno del capo e quando le diede le spalle, Mikasa entrò dentro il camper vuoto. 
Si lasciò andare in un sospiro e non riuscì a nascondere il sorriso formatosi sulle sue labbra. Ancora non credeva di essere riuscita a fare una blanda amicizia, e forse finalmente avrebbe potuto passare quei giorni in compagnia di quei ragazzi. 
Andò a dormire appena i suoi genitori furono rientrati dalla lunga passeggiata. Altro che un'ora, erano rimasti fuori la bellezza di due ore e mezza. Eren invece non era ancora rientrato e gli aveva mandato un messaggio per conto di Carla, per sapere almeno a che ora tornasse e se avessero dovuto lasciare la porta del camper aperta. 
Arrivata la risposta del fratello, Mikasa poté finalmente addormentarsi, intercettando la figura e il viso di Jean, protagonista dei sogni di quella notte.

 

   
 
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